Regione del Veneto - U.O. Sistema Statistico Regionale
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Rapporto Statistico 2013

Territorio e Ambiente

Capitolo 12

L'ambiente dalla dimensione globale a quella locale: le trasformazioni in atto

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Il contesto

Nel dicembre 2012 si è svolta a Doha, in Qatar, la diciottesima Conferenza delle parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc) (Nota 1) che aveva degli obiettivi importanti, tra i quali gettare le basi per il proseguimento del Protocollo di Kyoto, la cosiddetta fase 2 e consolidare gli accordi sulla cooperazione di lungo periodo e quelli relativi agli aiuti da dare ai Paesi in via di sviluppo.
Il primo obiettivo, protocollo di Kyoto, ha visto l'adozione di un emendamento specifico per l'istituzione di una fase 2 dello stesso a partire dal 1 gennaio 2013. Tale emendamento è stato sottoscritto da 37 Paesi (tra i quali tutti i membri dell'Unione Europea) con impegni legalmente vincolanti di riduzione complessiva delle emissioni di gas serra del 18% nel periodo dal 1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2020 rispetto ai valori del 1990. I Paesi hanno altresì confermato l'impegno a portare avanti un accordo globale sui cambiamenti climatici che coinvolga tutti a partire dal 2020 e da formalizzare già entro il 2015. Sul fronte del sostegno ai paesi in via di sviluppo, i Paesi industrializzati hanno confermato il proprio impegno a contribuire economicamente al fine di raggiungere uno stanziamento complessivo pari a 100 miliardi di dollari all'anno destinati alla mitigazione e all'adattamento dal 2020 in poi.
Questi risultati, seppure importanti, da soli non bastano e servono a questo punto anche delle azioni concrete inserite all'interno di un quadro globale di pianificazione, senza il quale, ogni attività rischia di rimanere confinata nella sua micro dimensione, apportando miglioramenti troppo marginali se non in taluni casi quasi irrilevanti.
Rimane sempre aperta una questione importante, ovvero il fatto che tutti gli impegni presi coinvolgono paesi che, assieme, contribuiscono solo per il 15% del volume totale di emissioni di gas serra, mentre rimangono ancora fuori Stati Uniti, Cina, India, Brasile e Sud Africa.
Dalla dimensione globale passiamo a quella europea, dove è particolarmente forte l'impegno verso la salvaguardia dell'ambiente. La Commissione europea ha varato lo scorso 29 novembre 2012 la proposta di decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio inerente il Settimo Programma europeo d'azione per l'ambiente, valido fino al 2020 e denominato "Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta". In esso si cerca di lavorare su più fronti, ovvero la sostenibilità ambientale, l'efficienza nell'uso delle risorse e le opportunità economiche che ne derivano. Una trasformazione del sistema economico è in atto ed è fondamentale riuscire ad inserirla sempre più in un contesto green di protezione e conservazione delle risorse naturali del pianeta. Sono molteplici gli aspetti caratterizzanti le interazioni tra la civiltà e l'ambiente: produrre ricchezza richiede energia, l'energia richiede risorse e, infine, la ricchezza produce rifiuti. Le azioni intraprese dall'Unione Europea in tal senso vanno ad incidere proprio su questo processo in un'ottica di diminuzione sia dei consumi di energia che degli "scarti". Parallelamente, la trasformazione dei processi produttivi e la stessa creazione di beni più ecocompatibili sta portando a miglioramenti, seppure lenti, per quanto riguarda le immissioni di sostanze inquinanti nell'aria, nell'acqua e sul suolo. Altro importante filone che si sta perseguendo è quello della riduzione dei rifiuti, da una parte grazie alla maggiore efficienza nel comparto produttivo e dall'altra riutilizzando i rifiuti a loro volta come nuova risorsa.
Dalla trasformazione dell'economia a quella degli stili di vita e delle stesse città dove viviamo il passo è breve. Sono molte le azioni intraprese nel campo ambientale, e che coinvolgono una molteplicità di aspetti e attori: dal monitoraggio via via più sistematico e preciso del territorio in cui viviamo, dell'acqua che adoperiamo e dell'aria che respiriamo, alle attività pianificatorie per ridurre gli impatti ambientali dell'attività antropica, sia in risposta a direttive di carattere comunitario, sia a precise esigenze dell'area specifica. Il quadro d'insieme che ne scaturisce è un po' frammentario in quanto il settore ambientale soffre ancora di una debolezza di fondo per quanto riguarda la pianificazione a livello nazionale, da cui derivano molte azioni che però non sono sempre raccordate tra loro o comunque parte di un disegno unico e condiviso tra le diverse realtà territoriali. Il lato positivo è comunque l'attenzione crescente verso questo che ormai è un settore a tutti gli effetti seppure non ancora codificato tra quelli tradizionali.
Ponendo l'attenzione sui diversi temi caratterizzanti l'ambiente, andremo adesso a delineare una panoramica sulla qualità dell'aria nella regione Veneto, sulla qualità delle acque e sulla situazione relativa alla produzione e gestione dei rifiuti. Si andrà infine a fornire un quadro, seppure parziale, sui consumi di energia elettrica e lo stato di avanzamento del processo di trasformazione dei sistemi tradizionali di produzione di energia in sistemi ecocompatibili tramite lo sfruttamento delle fonti rinnovabili.
 
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12.1 L'aria

L'ambiente che ci circonda dipende da molti fattori che incidono sulla nostra vita quotidiana. Uno di questi è l'aria che respiriamo. La presenza di sostanze inquinanti nell'aria determina uno scadimento della qualità complessiva dell'ambiente intorno a noi.
La valutazione della qualità dell'aria si esegue mediante il confronto dei valori di concentrazione degli inquinanti con dei limiti di riferimento, ma anche attraverso lo studio delle sorgenti di emissione e della loro ubicazione all'interno del territorio, tenendo conto delle sue caratteristiche specifiche.
In materia di controllo dell'inquinamento atmosferico il caposaldo è rappresentato dalla Direttiva 2008/50/CE, elaborata sulla base del Sesto Programma Comunitario di Azione in materia di ambiente, che fornisce la linea guida ai vari Stati membri dell'Unione Europea per la creazione di una strategia comune per la lotta all'inquinamento stesso. Lo studio dell'ubicazione delle fonti di inquinamento consente di individuare le zone di un territorio simili quanto allo stato dell'aria e ai livelli di pressione stessa a cui esse sono sottoposte. A tale proposito, tra le premesse della Direttiva, si indica come sia opportuno classificare il territorio di ciascuno Stato membro in base a zone o agglomerati che presentino caratteristiche simili dal punto di vista del territorio, dell'ambiente e delle pressioni che insistono su di essi. Inoltre, "per le zone e gli agglomerati in cui le condizioni sono particolarmente difficili, dovrebbe essere possibile prorogare il termine entro il quale deve essere garantita la conformità ai valori limite per la qualità dell'aria nei casi in cui, nonostante l'attuazione di adeguate misure di abbattimento, in alcune zone o agglomerati specifici persistano problemi acuti di conformità". In quest'ottica si capisce come la pianificazione assuma un ruolo fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di contenimento dell'inquinamento.
Altre norme comunitarie sono orientate alla riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici provenienti da fonti specifiche, quali: i trasporti, il settore industriale, la produzione delle vernici e i prodotti per carrozzeria.
In particolare, per quanto riguarda i trasporti, questi sono responsabili di circa un terzo del consumo totale di energia finale nei paesi membri e di più di un quinto delle emissioni di gas ad effetto serra. Sono anche responsabili di un'ampia quota di inquinamento atmosferico urbano. Da una parte i mezzi di trasporto sono sempre più efficienti e meno inquinanti, ciononostante, dall'altra parte, c'è stata una crescita dei trasporti stessi talmente elevata da portare ad un complessivo aumento sia del consumo energetico che delle emissioni di gas ad effetto serra. In realtà, focalizzando l'attenzione sui principali inquinanti, si può vedere come le criticità si siano modificate nel corso degli anni. Se fino a 20 anni fa il monossido di carbonio rappresentava uno dei principali problemi da affrontare nel trasporto su strada, l'introduzione dei mezzi con marmitte catalitiche ha progressivamente ridotto tale criticità. Oggi le problematiche maggiori sono legate alle emissioni di polveri sottili (particolato - PM10, PM2,5) e di ozono per i quali l'andamento tendenziale non mostra reali significativi miglioramenti dal 1997.
Il settore industriale, da parte sua, contribuisce in Europa all'inquinamento atmosferico in modo particolare in termini di emissioni di gas ad effetto serra e sostanze acidificanti, scarichi e rifiuti.
Di fondamentale rilevanza è la definizione degli obiettivi specifici di diminuzione delle sostanze inquinanti che ogni Stato membro deve recepire con proprie leggi nazionali. L'Italia, da parte sua, ha definito tali obiettivi strategici inerenti la qualità dell'aria con il D.Lgs. n. 155 del 2010, di attuazione della Direttiva 2008/50/CE, e il recente D.Lgs. n. 250/2012 di modifica ed integrazione del suddetto 155/2010. In dettaglio tali obiettivi riguardano:
  • il raggiungimento del valore limite annuale e giornaliero per il PM10;
  • il raggiungimento del valore limite annuale per il PM2,5;
  • il raggiungimento del valore limite annuale per il biossido di azoto NO2;
  • il conseguimento del valore obiettivo e dell'obiettivo a lungo termine per l'ozono O3;
  • il conseguimento del valore obiettivo per il benzo(a)pirene;
  • il conseguimento dell'obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
(Tabella 12.1.1)
Il Veneto ha avviato il processo di aggiornamento del vigente Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell'Atmosfera per allinearsi alla nuova Direttiva europea e al relativo D.Lgs. 155/2010.
Accanto agli obiettivi strategici, sono stati individuati i settori su cui agire e i relativi obiettivi operativi. (Tabella 12.1.2)
Ma qual è in dettaglio l'attuale situazione dell'aria che respiriamo in Veneto e il relativo trend negli anni?
Prendiamo qui in esame alcune sostanze inquinanti di particolare interesse ed attualità, quali le polveri sottili (PM10), l'ozono (O3) e i gas serra.
Per quanto riguarda il PM10, il primo dato che andiamo ad analizzare è quello delle medie annue nelle stazioni di traffico/industriale (Nota 2) e quelle di background (fondo) (Nota 3). Si osserva subito un trend in tendenziale diminuzione fino al 2010, con le medie entro il limite di 40µg/m3 dal 2007 per le stazioni in contesto di background e dal 2009 per quelle in zone di traffico o industriali. In entrambi i casi il 2011 ha visto un peggioramento della situazione rispetto al 2010, specie nel caso delle stazioni di traffico/industriali per le quali la media è tornata al di sopra del livello target. (Figura 12.1.1)
Scendendo nel dettaglio di alcune centraline specifiche poste in particolare in contesti urbani e di traffico urbano, si conferma in linea generale quanto detto per le medie complessive, ovvero un trend in calo fino al 2010 e poi una ricrescita dei valori medi delle concentrazioni di PM10 nel 2011. Per la particolare tipologia delle zone dove sono ubicate queste centraline, ovvero le zone ad alta densità abitativa, di traffico ed industriale, si evidenziano maggiori criticità con valori medi annuali spesso al di sopra del tetto di 40µg/m3 fissato dal D.Lgs. 155/2010 per il PM10. Nel 2011 le uniche due centraline, tra quelle prese in esame, con valori entro i limiti sono quella di Belluno-città e quella di Venezia-Parco Bissuola, rispettivamente con concentrazioni di PM10 di 23 e 39µg/ m3. (Figura 12.1.2)
Vediamo infine l'aspetto più critico relativo alle polveri sottili, ovvero i superamenti del limite giornaliero di 50µg/m3 all'interno di un anno. Secondo il D.Lgs. 155/2010 questi superamenti non devono essere più di 35. Come si può vedere dal trend, anche qui c'è stato un tendenziale calo fino al 2010 e poi un nuovo innalzamento nel 2011. Solo la centralina posta in Belluno-città si mantiene pressoché costante e registra un numero di superamenti al di sotto dei 35. (Figura 12.1.3)
In generale si può vedere un peggioramento nell'ultimo anno che va ad interrompere il trend positivo del quinquennio precedente. Questo fenomeno trova una parziale spiegazione tenendo presente che il problema delle polveri sottili, al di là della quantità che ne viene immessa nell'atmosfera, è anche quello del ristagno delle stesse e, questo, è strettamente legato alle condizioni climatiche circostanti. Il clima della pianura padana di per sé favorisce la permanenza delle particelle di PM10 nell'aria, e, a questo, va aggiunta una situazione particolare nel 2011 che ha visto, contrariamente allo standard, un periodo invernale caratterizzato dai mesi di febbraio, novembre e dicembre con alta pressione e aria piuttosto ristagnante, che non ha certo favorito la dispersione delle polveri sottili.
Relativamente all'ozono (O3), esso è presente sia nell'ozonosfera, ovvero la parte bassa della stratosfera a circa 25 km di altitudine nella quale funge da filtro ai raggi UV, sia negli strati bassi dell'atmosfera come gas inquinante prodotto dalle attività antropiche. Tra gli obiettivi di riduzione dei gas serra rientra anche il contenimento delle concentrazioni di O3 in questi strati bassi dell'atmosfera.
Il D.Lgs. 155/2010 fissa delle soglie di concentrazione di O3 nell'aria per la tutela della salute delle persone. In particolare sono previste la soglia di allarme (240µg/m3), definita come il livello oltre il quale c'è rischio per la salute umana già per un breve periodo di esposizione, la soglia di informazione (180µg/m3) definita come il livello oltre il quale vi è un rischio per la salute umana, in caso di esposizione di breve durata e per alcuni gruppi particolarmente sensibili della popolazione, e l'obiettivo di lungo termine che prevede una media giornaliera sulle 8 ore non superiore a 120µg/m3, e che rappresenta la concentrazione di ozono al di sotto della quale si ritengono improbabili effetti nocivi diretti sulla salute umana o sulla vegetazione. La situazione generale appare piuttosto altalenante, seppure, dato positivo, non siano stati registrati nel corso del 2011 superamenti della soglia di allarme.
Le concentrazioni di O3 sono influenzate pesantemente dalle condizioni climatiche. In estate la forte radiazione solare, la temperatura elevata, la presenza di alta pressione e bassa ventilazione, sono tutti fenomeni che favoriscono il ristagno e l'accumulo delle sostanze inquinanti che danno origine alla formazione di O3. Alla luce di queste considerazioni, si può meglio capire l'andamento altalenante cui si è accennato poco fa. Concentrando l'attenzione sulla soglia di informazione e, in particolare, su alcune centraline poste in zone di contesto e traffico urbano, si nota per il 2011 una tendenziale diminuzione del numero dei superamenti del valore di 180µg/m3. Questo fenomeno è dovuto ad una situazione meteorologica favorevole, che ha visto, nei periodi tipicamente più critici, ovvero giugno e luglio, il passaggio di diverse perturbazioni che hanno mitigato il caldo e quindi le condizioni favorevoli al persistere di alte concentrazioni di O3. (Figura 12.1.4)
Si è fino a qui trattato della situazione attuale e si è posta l'attenzione maggiormente sul fattore climatico. Non va però tralasciata l'altra faccia della medaglia, ovvero il quantitativo di sostanze immesse nell'aria. Su questo punto si sta cercando di agire per migliorare la situazione complessiva. Un primo passo è sicuramente il monitoraggio in modo di avere sempre la giusta percezione della situazione attuale. A livello regionale è stato realizzato l'inventario delle emissioni in atmosfera (INEMAR Veneto cfr. Arpav) attualmente popolato con le stime delle emissioni riferite all'anno 2005.
Si prendono qui in esame i dati riferiti alle polveri sottili (PM10) e ai precursori dell'ozono, ovvero gli ossidi di azoto (NOX) e i composti organici (COV).
Per quanto riguarda il PM10, pur in assenza di un limite di emissioni imposto da una normativa di carattere generale che comprende sia le leggi che i regolamenti, ci sono comunque delle regolamentazioni sulle emissioni complessive da parte delle attività produttive e del trasporto su strada. Per una valutazione della situazione lo strumento viene fornito dalla banca dati INEMAR (Nota 4) alla quale il Veneto ha aderito assieme ad altre 7 regioni italiane (Nota 5). Attualmente l'unico anno per il quale è disponibile il monitoraggio è il 2005 e pertanto non risulta possibile studiare un trend. Si riesce tuttavia a delineare come i diversi settori contribuiscano alle emissioni di polveri sottili. Si vede subito che la maggior parte del PM10 viene emesso in atmosfera dal settore delle combustioni non industriali, con oltre il 40% del totale, seguito dal trasporto su strada con il 25%. (Tabella 12.1.3)
Relativamente ai gas serra in Italia i limiti di emissione da raggiungere entro il 2010 sono stati definiti dal D.Lgs. 171/04, in recepimento della Direttiva "National Emission Ceilings - Limiti Nazionali di Emissione" (2001/81/CE) (Nota 6). Nel dettaglio essi sono: 990 kilo tonnellate (kt) all'anno per gli NOX e 1.159 kt per i COV. Non sono invece fissati, dalla normativa vigente, tetti di emissione a livello regionale. La situazione vede l'uso dei solventi come il maggiore imputato nel rilascio dei composti organici volatili, con quasi il 35% del totale delle immissioni, seguito dall'agricoltura con il 18,8% e dalla combustione non industriale con il 14,3%. Al quarto posto si stabilizza il trasporto su strada con il 13,7%.
Gli ossidi di Azoto vedono invece una prevalenza del trasporto su strada con quasi il 45% del totale di immissioni e, a seguire, altre sorgenti mobili e macchinari (14,5%), la produzione di energia e trasformazione dei combustibili (14,4%) e la combustione nell'industria con il 14,3%. (Tabella 12.1.4)

Tabella 12.1.1

Gli indicatori degli obiettivi strategici per la qualità dell'aria in vigore ai sensi del D.Lgs. 155/2010

Tabella 12.1.2

I settori su cui agire e i relativi obiettivi operativi

Figura 12.1.1

Andamento medie annuali (valori in µg/m<sup>3</sup>) di PM<sub>10</sub> nelle Stazioni di traffico/industriali (*) e background (fondo)(**) - Anni 2002:2011

Figura 12.1.2

Media annuale (valori in µg/m<sup>3</sup>) del PM<sub>10</sub> in alcune centraline di contesto urbano e traffico urbano(*) - Anni 2005:2011

Figura 12.1.3

Numero di superamenti del valore limite giornaliero(*) di PM<sub>10</sub> in alcune centraline di contesto urbano e traffico urbano - Anni 2005:2011

Figura 12.1.4

Numero di superamenti della soglia di informazione (180µg/m<sup>3</sup>) di ozono in alcune centraline di contesto urbano e traffico urbano - Anni 2007:2010

Tabella 12.1.3

Emissioni di PM<sub>10</sub> per macrosettore (tonnellate/anno). Veneto - Anno 2005

Tabella 12.1.4

Emissioni di Ossidi di azoto (NO<sub>X</sub>) e composti organici volatili (COV) per macrosettore (tonnellate/anno). Veneto - Anno 2005
 
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12.2 L'acqua

L'altro grande argomento connesso all'ambiente è l'acqua, che comprende una moltitudine di aspetti diversi:
dalla disponibilità delle risorse idriche per l'uso potabile alla qualità delle stesse, dalla balneabilità dei corpi idrici alla vita della flora e della fauna acquatica.
L'uso sostenibile di questa risorsa limitata sta diventando un problema sempre più pressante poiché si sta ampliando il divario tra la domanda e l'offerta. Questo avviene a causa di più fattori, in particolare la crescita della popolazione mondiale e quindi dei fabbisogni, le trasformazioni idrogeologiche causate dai cambiamenti climatici e una non ottimale gestione economica delle risorse idriche determinata da un prezzo troppo basso dell'acqua che ne favorisce lo spreco. Qualcosa sta tuttavia cambiando, soprattutto nell'approccio a livello internazionale al problema. Si sta recependo l'importanza di una politica di gestione delle risorse idriche più razionale e il 2013 è stato proclamato "anno internazionale della cooperazione nel campo dell'acqua" da parte dell'ONU.
Nell'Unione europea si parla di una politica dell'acqua già nel corso degli anni '90. Quest'ultima è basata su due percorsi differenti ma strettamente intrecciati: quello dell'attuazione di una strategia «comune» dell'ambiente a livello europeo e quello del mercato dei servizi pubblici nell'ambito della realizzazione del mercato unico integrato.
In linea con il primo percorso, l'asse centrale della politica dell'acqua è stato costruito sull'acqua in quanto risorsa naturale da preservare in uno stato ecologico buono (qualità dell'acqua) contro i processi di ipersfruttamento della risorsa e di contaminazione d inquinamento. Il Parlamento e il Consiglio Europeo hanno approvato nel 2000 la Direttiva Quadro Europea sull'acqua (la DQE-Acqua 2000/60/CE del 23/10/2000), il cui obiettivo principale è stato quello di fissare al 2015 il raggiungimento in tutti gli Stati dell'Unione di uno stato ecologico "buono" delle risorse idriche. A questo fine, la Direttiva ha introdotto l'obbligo per gli Stati di presentare entro il 2009 i loro «Piani nazionali di gestione delle acque per bacini idrografici». La Direttiva stabiliva che la messa in attuazione dei piani di gestione doveva essere fatta entro il 2012 e, secondo il calendario fissato, il 2013 è dedicato all'esame dei progressi compiuti e delle soluzioni possibili per superare e rimuovere gli ostacoli esistenti al raggiungimento dell'obiettivo del 2015. E' stato così definito da parte della Commissione Europea nel novembre 2012, «Il Piano di salvaguardia delle risorse idriche europee», più conosciuto come «The Water Blueprint». Secondo gli studi condotti dall'Agenzia Europea dell'Ambiente, lo stato ecologico "buono", al 2010, è stato raggiunto solo dal 43% delle acque. La stima per il 2015 è del 53%.
Per far fronte alla rarefazione della "risorsa", la Commissione propone due serie di risposte/misure da adottare. In primo luogo, attuare delle politiche di prezzi che incentivino un uso efficiente delle acque. Secondo il Piano occorre fissare il giusto prezzo dell'acqua, anche perché il non applicare un prezzo a una risorsa limitata come l'acqua può essere ritenuto alla pari di una sovvenzione dannosa per l'ambiente. In secondo luogo, promuovere le tecnologie e le pratiche che consentono un uso efficace dell'acqua, in linea con l'obiettivo generale di efficienza idrica stabilito nel quadro della "Strategia Europa 2020".
In Veneto la ricchezza di questa risorsa è grande: i laghi, i fiumi, le sorgenti sotterranee fino ad arrivare al Mare Adriatico. Da questa grande ricchezza derivano però anche grandi doveri in termini di salvaguardia e controllo. Si proverà qui a dare una, seppure parziale, fotografia dell'attuale stato delle acque in Veneto con particolare riferimento a quelle destinate alla balneazione, allo sfruttamento delle risorse idriche, agli usi potabili e alla loro gestione.
Dal monitoraggio delle acque di balneazione emerge una situazione sicuramente positiva, essendo la maggior parte dei punti di rilevamento nella classe eccellente. Gli sporadici casi di acque non rientranti nella classe "eccellente" presentano comunque una prevalenza compresa tra le classi "buona" ed "eccellente", quindi dentro gli obiettivi comunitari.
Un altro aspetto di rilevante importanza legato all'acqua è quello del controllo delle acque destinate al consumo umano.
Le Aziende ULSS predispongono dei piani per il controllo da eseguire all'interno delle reti di distribuzione acquedottistiche ed emettono il giudizio di idoneità o meno.
Tra i parametri chimici analizzati nelle acque destinate all'uso potabile ci sono le concentrazioni dei nitrati. Questi sono naturalmente presenti a concentrazioni molto basse nelle acque. Concentrazioni al di sopra dei 9 mg/l per le acque sotterranee e 18 mg/l per le acque superficiali di solito indicano la presenza di apporti antropici, quali le attività zootecniche o l'uso di fertilizzanti. In base alla normativa in vigore, il D.lgs. 31/2001, la concentrazione di nitrati nelle acque che escono dai rubinetti non deve essere superiore ai 50 mg/l.
In tutta la regione le mediane dei valori di concentrazione si mantengono sempre al di sotto della soglia dei 50 mg/l. Scomponendo i dati in 4 classi (Nota 7) e analizzando l'andamento nell'arco del tempo delle percentuali di comuni ricadenti in ciascuna di esse, si osserva che la situazione generale rimane piuttosto stazionaria, con un lieve incremento nel 2012 delle due migliori rispetto al 2007: la percentuale di comuni con concentrazioni sotto i 5 mg/l passa dal 40,1 al 41,7% e quella dei comuni tra 5 a 15 mg/l da 35,2 a 36%. (Figura 12.2.1)
Riprendendo il discorso dell'acqua come risorsa e bene comune da salvaguardare, oltre ai dati di monitoraggio sulla qualità, sono di vitale importanza anche gli aspetti inerenti le attività di gestione delle risorse idriche: dal prelievo all'erogazione, fino al trattamento e depurazione delle acque reflue. Relativamente ai primi due aspetti, il prelievo e l'erogazione, il percorso vede in realtà quattro fasi distinte, ovvero il prelievo, l'eventuale potabilizzazione, l'immissione nelle reti di distribuzione e infine l'erogazione all'utenza finale. I dati relativi a questo aspetto sono raccolti periodicamente tramite apposite indagini o censimenti da parte di Istat presso gli Enti gestori dei servizi idrici (Nota 8). Ad oggi sono disponibili i dati dei censimenti sulle risorse idriche del 1999 e 2008 oltre a quelli dell'indagine campionaria del 2005. E' attualmente in corso l'ultima indagine censuaria riguardante i dati del 2012.
Il prelievo di acqua ad uso potabile in Italia è stato pari a 9,1 miliardi di metri cubi nel 2008, mostrando un andamento in crescita nel tempo rispetto sia al 1999 che al 2005. Lo stesso trend si nota anche in Veneto, dove si passa dai 678 milioni di metri cubi prelevati nel 1999 ai 730 del 2008. Tutto cambia però analizzando i prelievi pro capite. Qui si osserva un tendenziale calo a livello nazionale, mentre un andamento altalenante per quanto riguarda il Veneto: dai 150,3 metri cubi pro capite del 1999 si scende ai 148,2 del 2005 per poi assestarsi sui 149,4 del 2008. In tutti i casi il valore pro capite regionale si mantiene un po' al di sotto della rispettiva media italiana. Ma qual è il peso del Veneto sul bilancio nazionale? Con riferimento al 2008 la regione del Veneto si colloca al quarto posto tra le regioni con maggiore impatto in termini di prelievo di acque ad uso potabile con un'incidenza dell'8%, inferiore solo a Campania, Lazio e Lombardia, rispettivamente con 9,6, 12,5 e 15,9%. (Figura 12.2.1)(Figura 12.2.3)
L'acqua prelevata, prima di essere immessa nelle reti di distribuzione deve subire un trattamento per essere resa potabile nel caso non lo sia già alla sorgente. Tra le varie fonti disponibili, vengono privilegiate quelle sotterranee le quali, essendo mediamente di migliore qualità rispetto alle superficiali, non richiedono normalmente ulteriori processi di potabilizzazione. Un basso indice di potabilizzazione esprime una maggiore ricchezza di acque di buona qualità nel sottosuolo. Il Veneto ha una conformazione idrogeologica abbastanza favorevole in tal senso, infatti, i 131 milioni di metri cubi di acqua potabilizzati nel 2008, rappresentano solo il 18,1% del totale di quelli prelevati, valore sotto la media nazionale che è pari al 32,2%. Questo valore pone il Veneto all'ottavo posto tra le regioni della penisola per ricchezza di risorse idropotabili di buona qualità, e al terzo tra quelle del nord, dietro solo al Trentino-Alto Adige e alla Valle d'Aosta (rispettivamente 17,7 e 12,6% di potabilizzazione). (Figura 12.2.4)
Una volta potabilizzata, dove necessario, l'acqua prelevata viene immessa nelle reti di distribuzione. In Italia, dei 9,1 miliardi di metri cubi di acqua prelevata nel 2008, ne vengono effettivamente immessi nelle reti di distribuzione 8,1 miliardi, ovvero l'89,4%. In Veneto tale percentuale è lievemente più bassa, fermandosi all'85,3% (pari a 623 milioni di metri cubi immessi su 730 milioni prelevati). Spostando l'attenzione sul dato pro capite, l'acqua immessa nelle reti di distribuzione nel 2008 è pari a 136 m3 per abitante su scala nazionale, ma la situazione è piuttosto eterogenea tra le regioni, passando dai 182 m3 della Valle d'Aosta ai 101 dell'Umbria. In Veneto questo indicatore si ferma a 127 m3 per abitante. (Figura 12.2.5)
Il passaggio successivo successivo, dopo l'immissione nelle reti di distribuzione, è l'erogazione dell'acqua all'utenza finale. Solo una parte dell'acqua immessa nelle reti di distribuzione viene effettivamente erogata, e questo per molteplici motivi: vi sono quote destinate ad usi pubblici e non contabilizzate, dispersioni dovute agli sfiori dei serbatoi quando, in certi periodi dell'anno, l'acqua disponibile supera la capacità di contenimento, eventuali furti e/o prelievi abusivi dalla rete ed, infine, perdite delle condotte. Si capisce come maggiore sia il rapporto percentuale di acqua erogata su quella immessa, maggiore sia l'efficienza di tutto il sistema idrico. Nel 2008 in Italia l'efficienza delle reti di distribuzione dell'acqua potabile, intesa appunto come percentuale di acqua erogata rispetto a quella immessa, è pari a circa il 68%, valore lievemente più basso rispetto alla rilevazione precedente, quella del 2005, quando sfiorava il 70%. La situazione tra le regioni si presenta abbastanza disomogenea, con valori che oscillano tra il 53,4% della Puglia e il 78,9% della Lombardia. Il Veneto, nel 2008, è la settima regione in termini di efficienza con il 70%, valore però in calo rispetto al 2005 di 4,4 punti percentuali. (Figura 12.2.6)
L'ultimo stadio del processo di trasformazione e utilizzo delle acque è il trattamento e la depurazione delle acque reflue. In base alla Direttiva 91/271/CEE, sono stati definiti gli agglomerati e i requisiti in termini di collettamento e fognatura delle acque urbane. In particolare, per quanto riguarda i primi, essi sono delle "aree in cui la popolazione e/o le attività economiche sono sufficientemente concentrate in modo tale da rendere tecnicamente ed economicamente possibile la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un impianto di trattamento o un punto di scarico finale, tenendo anche conto dei benefici ambientali conseguibili". Per quanto riguarda i secondi invece, il D.Lgs. n. 152/1999 di recepimento della Direttiva 91/271/CEE, prevede, a partire dal 31 dicembre 2005, la presenza della rete fognaria per tutti gli agglomerati con un carico generato al di sopra dei 2.000 Abitanti Equivalenti (AE) (Nota 9). Gli agglomerati al di sopra dei 2.000 AE presenti in Veneto nel 2009 sono 223. Tra gli agglomerati al di sopra dei 2.000 AE sono state distinte 4 classi distinte:
  1. 2.000 AE <= carico generato < 15.000 AE
  2. 15.000 AE <= carico generato < 50.000 AE
  3. 50.000 AE <= carico generato < 150.000 AE
  4. Carico generato >= 150.000 AE
La maggior parte di questi appartengono alla classe più piccola, quella dai 2.000 ai 15.000 AE (66%), seguiti da quella compresa tra 15.000 e 50.000 (21,5%). Le due classi superiori - tra 50.000 e 150.000 e oltre 150.000 - coprono il rimanente 12,5%. (Figura 12.2.7)
A fronte dei 223 agglomerati presenti in Veneto al di sopra dei 2.000 AE, ci sono 232 impianti di depurazione con potenzialità superiore alla medesima soglia di 2.000 AE e altri 283 impianti più piccoli (sotto i 2.000 AE). (Tabella 12.2.1)
La questione ancora aperta è l'effettivo livello di copertura in termini di collettamento delle acque reflue. L'obiettivo generale europeo, al di là del target fissato dalla normativa, è infatti quello di avere tutti gli agglomerati serviti da reti fognarie per le acque reflue. Il "grado di collettamento" degli agglomerati misura la conformità o meno alla Direttiva: tale indicatore viene misurato come percentuale di carico generato effettivamente collettato a fognatura e l'obiettivo da raggiungere è di almeno il 95%. La situazione in Veneto è in continua trasformazione e lo si può leggere attraverso i numeri. Partendo dal 2005, prima rilevazione disponibile, si osserva come solo il 16% degli agglomerati avesse un grado di collettamento pari ad almeno il 95%. Nel 2009, ultimo anno disponibile, la situazione è significativamente migliorata, infatti gli agglomerati sono stati rivisti e adesso sono 223, e la percentuale di essi al di sopra della soglia è oltre il 30%. Alla luce di questi numeri si capisce come si stia andando nella direzione giusta sebbene vi sia ancora molto da fare per raggiungere lo stato ottimale. (Tabella 12.2.2)
Ma qual è l'effettiva situazione in termini di depurazione delle acque reflue? Questo ultimo passaggio della filiera dell'acqua è di fondamentale importanza al fine di prevenire l'inquinamento delle fonti idriche stesse. La depurazione avviene all'interno di appositi impianti che sono di tre tipologie diverse, a seconda del grado di trattamento in grado di effettuare: al primo livello, quello più "basso", con un trattamento parziale dei reflui c'è quello meccanico, basato sulla separazione e rimozione grazie a elementi meccanici o forze meccaniche (ad esempio: griglie, sedimentazione); al secondo livello c'è il trattamento biologico, nel quale certi inquinanti vengono rimossi grazie all'azione di microrganismi (principalmente batteri); infine, al terzo livello c'è il trattamento chimico o chimico-fisico, basato sulla rimozione degli inquinanti grazie a reazioni chimiche (ossidazione, neutralizzazione) eventualmente associate a fenomeni fisici (adsorbimento, flocculazione, strippaggio).
La capacità potenziale complessiva degli impianti nel 2008 in Italia si attesta sui 75,2 milioni di AE, valore che, rispetto ai 61,4 milioni di AE del 1999, indica un miglioramento del 22,5%. Il Veneto, con una capacità potenziale pari a 5 milioni e mezzo di AE, sempre nel 2008, presenta un indice di miglioramento rispetto al 1999 pari a 12,4%, inferiore a quello medio nazionale. (Figura 12.2.8)
Tra le iniziative volte alla salvaguardia del patrimonio idrico il Consiglio Regionale del Veneto insieme all'Assessorato all'Ambiente della Giunta Regionale del Veneto e all'Unione Veneta Bonifiche, in paternariato con l'associazione del Monastero del Bene Comune e con l'Università del Bene Comune hanno promosso, per l'anno 2013, tre Audizioni Pubbliche Regionali sulll'Acqua (APRA). Le Audizioni intendono promuovere, in alternativa al tradizionale convegno, l'acquisizione a livello regionale di elementi di consapevolezza e conoscenza utili alla definizione di politiche regionali future attraverso incontri diretti tra le istituzioni e cittadini. La prima Audizione, tenutasi a Padova il 22 marzo (giornata mondiale dell'acqua), ha avuto per tema le norme e gli orientamenti europei, le principali criticità e opportunità, gli scenari possibili e le ricadute in ambito regionale. Le seconda Audizione che ha avuto luogo a Longarone lo scorso 24 giugno, è stata incentrata sul tema "Acqua e Italia. Rapporti di reciproca influenza tra le politiche di livello regionale e nazionali". Infine la terza Audizione, che avrà luogo a Verona riguarderà la definizione di orientamenti, linee guida, azioni ed iniziative concrete da promuovere a livello regionale sulla base di quanto emerso nelle due audizioni precedenti.

Figura 12.2.1

La distribuzione percentuale dei comuni veneti per classe di concentrazione di nitrati nelle acque potabili - Anni 2007:2010

Figura 12.2.2

Il prelievo di acqua ad uso potabile (milioni di m<sup>3</sup> e m<sup>3</sup> pro capite). Veneto e Italia - Anni 1999, 2005, 2008

Figura 12.2.3

Prelievo di acqua ad uso potabile per regione (incidenza percentuale sul totale Italia) - Anno 2008

Figura 12.2.4

Potabilizzazione dell'acqua prelevata per regione (percentuale rispetto al totale dei prelievi) - Anno 2008

Figura 12.2.5

Acqua immessa nelle reti di distribuzione per regione (metri cubi per abitante) - Anni 1999 e 2008

Figura 12.2.6

Efficienza delle reti di distribuzione (percentuale di acqua effettivamente erogata all'utenza finale rispetto al totale di quella immessa in rete) per regione - Anni 2005 e 2008

Figura 12.2.7

Numero degli agglomerati del Veneto al di sopra dei 2.000 Abitanti Equivalenti (AE) per provincia e per classi di carico generato - Anno 2009

Tabella 12.2.1

Gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane per provincia e classe di potenzialità Abitanti Equivalenti (AE). Veneto - Anno 2010

Tabella 12.2.2

Agglomerati per classe di grado di collettamento (valori percentuali). Veneto - Anni 2005, 2008 e 2009

Figura 12.2.8

Capacità potenziale degli impianti di depurazione delle acque reflue (abitanti equivalenti - AE e variazioni percentuali) per regione - Anni 1999 e 2008
 
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12.3 I rifiuti

Altro tema portante della questione ambientale, nonché settore strategico della green economy e tutto quanto concerne le smart cities è quello connesso alla produzione e al riciclo e smaltimento dei rifiuti. Vista la rilevanza dell'argomento, la stessa Commissione Europea ha stabilito delle priorità in materia da recepire a cura dei Paesi membri dell'Unione. Tra queste ci sono:
  • la riduzione della quantità dei rifiuti intervenendo nella progettazione dei beni e degli imballaggi, nei processi produttivi e nei consumi, favorendo la riciclabilità, massimizzando il riciclo e sviluppando il riutilizzo;
  • l'abbattimento dello smaltimento in discarica a favore del riciclo;
  • l'incremento della ricerca applicata, della diffusione delle innovazioni e delle tecnologie migliori di riciclo;
  • la misurazione dei rifiuti effettivamente riciclati, oltre alle percentuali di raccolta differenziata attualmente utilizzate.
Si cerca qui di dare una fotografia dell'attuale situazione regionale relativamente a queste priorità e, soprattutto, a quali trasformazioni sono in atto nel tempo, con particolare riferimento all'ultimo decennio.
Relativamente alla prima priorità, premesso che sono state introdotte pratiche volte alla riduzione degli imballaggi (si pensi alla diminuzione di peso delle bottiglie in plastica per le bevande e alla sempre maggiore diffusione dei sistemi di vendita "alla spina" per i detersivi e i prodotti alimentari), si osserva come dal 1997 non ci sia ancora stata l'auspicata inversione di tendenza e, anzi, la quantità di rifiuti prodotta sia in costante leggera crescita, con una unica battuta d'arresto nel 2011, ultimo anno disponibile, la cui motivazione è tuttavia imputabile alla crisi economica e alla relativa diminuzione dei consumi e quindi dei rifiuti relativi. Il dato assoluto crescente può essere in parte giustificato dall'aumento progressivo della popolazione. Prendendo in considerazione invece la produzione pro capite si vede un trend in continua crescita fino al 2008, dopo di ché un forte contenimento del fenomeno nel 2009, una lieve ripresa nel 2010 e un nuovo calo nel 2011. L'ultimo dato parla di circa 465Kg/ab di rifiuti urbani prodotti a fronte dei 497,5 raggiunti nel 2008. Confrontando il Veneto con il resto dell'Italia, emerge comunque una situazione nel complesso positiva in quanto la produzione pro capite si attesta sempre al di sotto della media nazionale. Nel 2010, ultimo anno disponibile per il confronto, in Veneto sono stati prodotti 488Kg/ab di rifiuti urbani contro i 536 che rappresentano la media delle regioni italiane. (Figura 12.3.1)
Oltre alla riduzione del quantitativo di rifiuti prodotti, l'altra priorità è quella della loro gestione, ovvero lo smaltimento e il recupero dove possibile. In quest'ultima direzione si sta lavorando ormai da anni e i risultati iniziano a vedersi. Innanzitutto, riguardo alla gestione dei rifiuti, risulta fondamentale il sistema di raccolta, in modo da massimizzarne la differenziazione garantendo successivi trattamenti specifici ed ottimizzati per ciascun tipo di materiale. In questo senso si possono valutare i progressi in atto osservando sia le trasformazioni nei sistemi di raccolta, sia il livello di differenziazione raggiunto. Dall'analisi di come vengono trattati i rifiuti e della potenzialità degli impianti di trattamento, si può ricavare una fotografia dell'efficienza attuale e dell'evoluzione progressiva di questo importante settore ambientale. Procedendo con ordine, proviamo a valutare la filiera del trattamento dei rifiuti nelle sue fasi principali. Partendo dalla prima fase osserviamo che grandi sforzi sono stati profusi per attuare il progressivo cambiamento del sistema con cui i rifiuti vengono raccolti, cercando di entrare nelle case con iniziative e campagne di sensibilizzazione nei confronti della differenziazione già a monte. I risultati sono tangibili e i dati lo dimostrano: osservando l'andamento nell'arco del periodo 1999-2011 si vede chiaramente come si sia radicalmente trasformato tutto il sistema di raccolta dei comuni veneti: sono più che raddoppiati quelli che svolgono la raccolta differenziata (+145%) e, in particolare, c'è stato un autentico boom di quelli con la raccolta porta a porta (quasi il 300% in più). (Figura 12.3.2)
Si è così arrivati, nel 2011, a contare in Veneto 570 comuni su 581 che praticano un sistema di raccolta che tiene separati i residui "secchi" da quelli "umidi". In particolare, 461 comuni (il 79,3% del totale) fanno la raccolta differenziata di tipo domiciliare (porta a porta), 66 di tipo "stradale" (nei classici cassonetti) e 43 di tipo misto. Si nota come, tra i comuni dove è presente la divisione tra il secco e l'umido, quelli in cui la raccolta è di tipo domiciliare il valore medio di raccolta differenziata raggiunga i valori massimi, sfiorando il 70%, decisamente superiore al 63% che rappresenta la media regionale. (Tabella 12.3.1)
Il risultato raggiunto in termini di raccolta differenziata complessiva è molto chiaro: dal 28,4% del 2000 è cresciuta costantemente fino a raggiungere il 60,5% nel 2011, superando pertanto l'obiettivo del 60% entro il 31 dicembre 2011 previsto dal D.Lgs. 152/2006.
Nel 2011 tutte le province, ad eccezione di Venezia, hanno almeno raggiunto il target del 60%, con casi di eccellenza come Treviso (74%) e Belluno (66,4%) già oltre anche all'ultimo target previsto, quello relativo al 2012, e che prevede una percentuale di raccolta differenziata pari ad almeno il 65%. (Figura 12.3.3)(Figura 12.3.4)
Dalla raccolta si passa al trattamento, da cui si ricava un quadro finale della bontà di tutta la gestione della filiera dei rifiuti. L'avvio in discarica solo nel 2001 copriva oltre il 39% dei rifiuti urbani raccolti, mentre nel 2011 si è ridotto all'8,2%. Tutto questo a favore prevalentemente del recupero delle frazioni secca e organica, che passano rispettivamente dal 19,5 al 33,4% e dal 15 al 27%. (Figura 12.3.5)
Un po' più in dettaglio, il trattamento dei rifiuti avviene in appositi impianti specializzati ciascuno per i diversi tipi di materiali. Nel 2011 sono state così recuperate 623.000 tonnellate di rifiuti organici tramite 22 impianti dedicati. Dai rifiuti organici sono state prodotte oltre 230.000 tonnellate di "compost" per l'agricoltura e l'ortoflorovivaismo. Per quanto riguarda i rifiuti secchi riciclabili (carta, vetro, imballaggi in plastica e metallo), ne sono state raccolte 631.000 tonnellate e, tramite opportuni trattamenti, si è arrivati a percentuali di recupero elevatissime, dal 92% per la plastica fino al 99% per gli imballaggi in metallo. Da citare anche altre 133.000 tonnellate di rifiuti secchi differenziati suddivisi tra legno, rottami metallici e rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Il 23,2% dei rifiuti urbani, pari a 535.000 tonnellate, è rappresentato da residui secchi non riciclabili, da rifiuti ingombranti e da rifiuti derivanti dallo spazzamento delle strade. Questi sono avviati a impianti di trattamento meccanico biologico oppure ad altri trattamenti finalizzati al recupero di materia, energia o al loro smaltimento. Da segnalare che dal trattamento meccanico biologico si sono ricavati 159.000 tonnellate di Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR). L'incenerimento, sempre nel 2011, copre l'8,1% del totale dei rifiuti urbani trattati, pari a 188.000 tonnellate, valore in calo rispetto al 2010, sia in termini assoluti (-7,9%) che di incidenza percentuale (era all'8,5%). Infine il conferimento in discarica, come detto prima, è in costante calo. Solo nell'ultimo c'è stata una riduzione di oltre il 18% dei quantitativi di rifiuti portati nelle discariche, fermandosi nel 2011 a 188.000 tonnellate, valore che, se confrontato con le 850.000 del 2001, fornisce una immagine molto significativa delle trasformazioni avvenute nell'arco di poco più di un decennio. Un'altra nota positiva viene dai costi del sistema di gestione dei rifiuti urbani. Nel 2011 il costo medio pro capite è stato pari a 128,69 € per abitante, valore in lieve aumento dal 2010 (+0,6%) ma comunque sempre al di sotto della media nazionale che, al 2009, ultimo anno disponibile, superava già i 143 € per abitante.
Un ruolo importante all'interno del processo di gestione dei rifiuti è svolto dai Consorzi di filiera. Il D.Lgs. 152/2006, con la finalità di perseguire gli obiettivi di recupero e riciclo dei materiali da imballaggio previsti dalla legislazione europea, ha delegato il Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) a portare avanti il processo di trasformazione dal sistema basato sulla discarica verso quello integrato di gestione, i cui capisaldi sono il recupero e il riciclo dei materiali. Fanno parte del CONAI nove Consorzi e due Centri di Coordinamento relativi ad altrettanti materiali ed elencati nella tabella 13.8. (Tabella 12.3.2)
A conclusione di questo rapido excursus sul tema dei rifiuti, vanno citati i risultati ottenuti dai comuni veneti all'interno della XIX edizione del concorso di Legambiente sui "Comuni Ricicloni" e nel quale vengono premiati i comuni che si sono distinti in termini di minore produzione pro capite ed efficienza complessiva nella raccolta e gestione dei rifiuti stessi. Il Veneto si conferma anche nel 2012 in testa alla classifica delle regioni con la maggiore percentuale di comuni "ricicloni" rispetto al totale regionale superando il 61%. Da notare che per stilare la classifica non viene considerata la sola percentuale di raccolta differenziata, bensì un insieme di 23 parametri. Nella classifica assoluta, Ponte nelle Alpi (Bl) risulta il comune vincitore dell'edizione 2012, ma va segnalato che nella top ten figurano ben 7 comuni veneti (compreso Ponte nelle Alpi) e tra questi 5 della provincia di Treviso, che infatti risulta anche ai vertici regionali come provincia più virtuosa nel campo della gestione dei rifiuti. (Figura 12.3.6)

Figura 12.3.1

Produzione di rifiuti urbani totale (t/anno) e procapite (kg/ab). Veneto - Anni 1997:2011

Figura 12.3.2

Numero dei Comuni veneti che differenziano il secco dall'umido per tipologia di raccolta dei rifiuti. Veneto - Anni 1999:2011

Tabella 12.3.1

I comuni con raccolta differenziata 'secco-umido' dei rifiuti urbani (numero, abitanti, % sul totale dei comuni, % sul totale della popolazione) per sistema di raccolta. Veneto - Anno 2011

Figura 12.3.3

La percentuale di raccolta differenziata. Veneto - Anni 2000:2011

Figura 12.3.4

La percentuale di raccolta differenziata per provincia. Veneto - Anno 2011

Figura 12.3.5

Quantità (in valori percentuali) di rifiuti urbani suddivisi per modalità di gestione nel Veneto negli anni 2001:2011

Tabella 12.3.2

I Consorzi di filiera per tipo di attività svolta

Figura 12.3.6

I comuni ricicloni per regione (incidenza percentuale sul totale dei comuni della singola regione) (*) - Anni 2011 e 2012
 
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12.4 L'energia

Il contesto europeo
L'energia rappresenta una delle principali sfide per l'Europa. L'affidabilità dell'approvvigionamento, il contenimento dei costi e il rispetto dell'ambiente riducendo le emissioni di gas serra sono le priorità da affrontare. Questo richiede grossi investimenti al fine di adeguare l'attuale sistema energetico alle esigenze future di un mondo in trasformazione. La Direttiva 2009/28/CE ha formalizzato la cosiddetta strategia "20-20-20" che si fonda su tre obiettivi che l'UE27 si è posta entro il 2020:
  • 20% di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990;
  • 20% dell'energia consumata proveniente da fonti rinnovabili;
  • 20% di aumento di efficienza delle prestazioni energetiche.
In questo scenario l'efficienza energetica ha un ruolo centrale e rappresenta uno strumento chiave per conseguire gli obiettivi europei in materia di energia e clima. In particolare, la maggiore efficienza rappresenta uno strumento efficace per ridurre le emissioni inquinanti e, nel contempo, contenere il costo dell'energia. Un aspetto determinante inerente l'efficienza energetica è quello dell'approvvigionamento: il trasporto dell'elettricità e del gas avviene tramite reti e condutture che attraversano più stati e le relazioni internazionali, nonché le situazioni socio politiche degli stati stessi, influenzano in maniera determinante la sicurezza e continuità del flusso energetico. Si rende pertanto necessario il libero scambio dell'energia all'interno dell'UE con sistemi di trasporto e stoccaggio efficienti al fine di ridurre al minimo ogni possibile rischio connesso all'approvvigionamento, anche in caso di emergenze o difficoltà con i paesi produttori.
Parallelamente va portato avanti lo sviluppo delle nuove tecnologie relative ai biocarburanti di seconda generazione e alle reti intelligenti, oltre allo sviluppo delle fonti rinnovabili.
L'attuale situazione all'interno dei paesi membri dell'UE mostra lenti miglioramenti. I dati riferiti agli anni dal 2004 al 2011 indicano che la quota di rinnovabili sul consumo finale lordo è passata dal 7,9% del primo anno al 13% dell'ultimo, segnando quindi un trend in crescita seppure si sia ancora distanti dal target del 20% fissato per il 2020. A ciascuno stato membro è stato assegnato un obiettivo specifico e il raggiungimento dei singoli obiettivi da parte di tutti dovrebbe garantire di pervenire al target europeo del 20%. All'Italia è stato assegnato un obiettivo del 17% e, al 2011, la quota raggiunta si è attestata sull'11,5%, valore in netto progresso rispetto al 4,9% del 2004 ma che indica quanto lavoro ci sia ancora da fare. (Figura 12.4.1)
La situazione in Italia
Il processo di liberalizzazione del mercato energetico ha comportato grossi investimenti in nuove centrali a ciclo combinato a gas, che in un contesto competitivo in cui gli investimenti vengono effettuati da privati con logiche di profitto, rappresentano la scelta più razionale alla luce dell'elevato rendimento che esse garantiscono. La conseguenza principale di questa tendenza è stata quella di sostituire la vecchia dipendenza dall'olio combustibile, che ha caratterizzato il settore energetico italiano a partire dalla fine degli anni ottanta, con una nuova dipendenza dal gas. Pertanto, per contenere il rischio di crisi energetiche dovute a interruzioni o limitazioni delle forniture di questa fonte primaria, il primo intervento fondamentale da realizzare è quello di ripensare e modificare il mix utilizzato per la produzione di energia. Alla luce delle preoccupazioni legate al cambiamento climatico, ciò dovrà essere ottenuto in primo luogo investendo sulle fonti rinnovabili, soprattutto in quelle più promettenti da un punto di vista dell'efficienza e del costo di produzione, ma tenendo presente che, almeno a medio termine, esse non saranno sufficienti a sostituire completamente i combustibili fossili. Il secondo intervento da portare avanti è invece quello di potenziare al massimo le infrastrutture di importazione delle fonti primarie oltre a migliorare le relazioni con i paesi fornitori.
Per quel che riguarda ad esempio il gas, oltre alla Russia, l'Italia dovrà inevitabilmente consolidare i rapporti con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, Algeria fra tutti. Sempre relativamente al gas, rimangono punti focali sia quello delle infrastrutture di stoccaggio, sia quello degli impianti di rigassificazione del gas naturale liquido importato. Questi ultimi rappresentano una criticità in Italia in quanto, ad oggi, sono presenti solo due impianti. Di questi uno è il rigassificatore offshore di Gas Naturale Liquefatto (GNL) situato 15 km a largo di Porto Levante, frazione di Porto Viro, in provincia di Rovigo e operativo dal novembre 2009 (Nota 10). Tutto questo va inserito nel contesto europeo della lotta ai cambiamenti climatici e al miglioramento dell'efficienza energetica. Tornando, infatti, all'aspetto più strettamente legato all'ambiente, la Direttiva 2009/28/CE, come detto in precedenza, ha fissato al 20% l'obiettivo comunitario della quota di energia da fonti rinnovabili a copertura dei consumi totali di energia assegnando ai diversi stati membri obiettivi specifici. Questi sono stati definiti sulla base delle singole peculiarità, quali le caratteristiche territoriali ed economiche di ciascuno.
L'obiettivo italiano del 17% è stato suddiviso in tre obiettivi specifici, uno per ogni settore dell'energia: quello elettrico, quello del riscaldamento/raffrescamento e quello dei trasporti (consumo di carburanti).
In dettaglio, sulla base dei calcoli e delle stime, si dovrebbe raggiungere l'obiettivo del 17% attraverso i seguenti sotto-obiettivi settoriali: il 26,4% nel settore elettrico, il 17,1% in quello del riscaldamento/raffrescamento e, infine, il 10% in quello dei trasporti.
La strategia di perseguimento del target nazionale è contenuta all'interno del Piano di Azione Nazionale (PAN), presentato dal Governo italiano alla Commissione europea il 31 luglio 2010, che costituisce il principale strumento per la programmazione delle energie rinnovabili in Italia.
Per il monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi è necessario il controllo sulla produzione e il consumo nei tre settori dell'energia, ovvero l'elettricità, il calore e i trasporti.
Come accennato poco sopra, nel 2011, la quota del consumo finale lordo complessivo di energia coperto da fonti rinnovabili ha raggiunto in Italia l'11,5%. Scomponendo nei tre settori energetici si possono vedere i risultati raggiunti e gli obiettivi al 2020 per ciascuno di essi. In particolare, per quanto riguarda il settore elettrico, a fronte di un obiettivo al 2020 del 26,4%, si è registrata nel 2011 una percentuale di rinnovabili pari a 23,5% e il trend indica una crescita piuttosto significativa, specie dal 2008 in poi. Su questo andamento incide in modo rilevante la forte spinta data dal fotovoltaico che negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo molto marcato.
Passando al settore del riscaldamento/raffrescamento (calore), l'obiettivo da raggiungere è pari a 17,1% e il valore raggiunto nel 2011 è stato dell'11%. In questo caso si osserva una spinta in avanti particolarmente decisa già a partire dal 2007 e il trend continua ad essere in crescita. ll settore dei trasporti, infine, è quello che presenta le maggiori criticità, in quanto a fronte di un obiettivo del 10,1% da raggiungere entro il 2020, il valore registrato nel 2011 è fermo a 4,7%, stabile dal 2010. Sicuramente c'è stato un miglioramento dal 2007 però già dal 2010 si osserva una battuta d'arresto probabilmente causata dalla crisi economica che investe anche il settore automobilistico, e quindi dei trasporti, in maniera più marcata ed immediata rispetto a quello elettrico e del calore. (Figura 12.4.2)(Figura 12.4.3)(Figura 12.4.4)(Figura 12.4.5)
L'energia in Veneto
Le regioni, con il loro contributo, giocano un ruolo fondamentale al perseguimento dell'obiettivo. A tal fine il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 15/3/2012, noto come Decreto Burden Sharing, suddivide l'obiettivo nazionale inerente le fonti rinnovabili tra le singole regioni per i settori elettrico e del riscaldamento/raffrescamento, ma escludendo quello dei trasporti, di esclusiva competenza dello Stato centrale. L'obiettivo fissato per il Veneto dal decreto Burden Sharing prevede il raggiungimento entro il 2020 di una quota di consumo finale lordo proveniente da fonti rinnovabili rispetto a quello complessivo pari al 10,3%.
Allo stato attuale il monitoraggio statistico su scala regionale è disponibile solo per quanto concerne il settore elettrico. E' possibile scorporare l'obiettivo generale ed individuare quello del solo settore elettrico che, per il Veneto è del 15,1%. Osservando l'andamento di questo indicatore dal 2005 al 2011 si coglie subito che è in atto un processo di trasformazione piuttosto significativo: dal 12,9% iniziale, la situazione ha visto un trend altalenante con piccoli incrementi fino al 2010. Nel 2011 invece si è assistito ad una forte accelerazione con un balzo in avanti delle fonti rinnovabili che ha consentito di passare in un solo anno dal 13,6% del 2010 al 17,1%, raggiungendo e superando l'obiettivo per l'anno 2020. (Figura 12.4.6)
Questo risultato si può spiegare andando ad analizzare i dati di produzione e consumo per fonte. Osservando l'andamento della produzione di energia elettrica nel tempo si vede come questa sia progressivamente diminuita dal 1997 fino al 2011 e, in contemporanea il consumo sia aumentato. La situazione è radicalmente cambiata: nel 1997 la produzione regionale era in grado di fare fronte ai fabbisogni del territorio e veniva anche esportata una parte di elettricità prodotta verso altre regioni. Negli anni è calata sempre più la produzione regionale facendo maggiore ricorso all'importazione di energia elettrica arrivando così, nel 2011 a coprire il 57,9% del consumo lordo complessivo. Scendendo nel dettaglio delle fonti, l'attuale situazione è il risultato di un marcato calo nella produzione termoelettrica tradizionale, che nel 1997 era di quasi 26.800 (GWh) e nel 2011 si è fermata a 13.500. Questo è dovuto alla chiusura dell'impianto produttivo di Porto Tolle. La seconda fonte in ordine di importanza è quella idroelettrica, che rappresenta il 31,3% della produzione complessiva di elettricità in Veneto nel 2011 con 4.228 GWh prodotti. L'andamento di quest'ultima è piuttosto altalenante nel tempo in quanto fortemente condizionato dalle condizioni meteo-climatiche. (Figura 12.4.7)
Una nota positiva giunge però dalle fonti rinnovabili e, in modo particolare, dal fotovoltaico: seppure il contributo sia ancora limitato in termini assoluti (913GWh di produzione nel 2011), è rilevante la crescita manifestata negli ultimi due anni da questa fonte. Complessivamente sono stati prodotti 5.845 GWh di energia elettrica nel 2011 da impianti a fonti rinnovabili con un incremento del 16,7% rispetto al 2010. La principale fonte rinnovabile in Veneto rimane quella idroelettrica seguita da quella fotovoltaica grazie al forte sviluppo che l'ha caratterizzata negli anni più recenti: nel 2011 ha segnato una crescita, rispetto al 2010, del 605,6% in termini di produzione, del 251% per la potenza installata e del 121,3% quanto a numero di impianti. (Tabella 12.4.1)(Figura 12.4.8)
Questi dati importanti sul fotovoltaico spiegano in buona parte il miglioramento dell'indicatore sul consumo di elettricità coperto da fonti rinnovabili di cui si è trattato sopra.
Da questa sintetica fotografia sulla situazione energetica emerge una forte dipendenza del Veneto dall'esterno per l'approvvigionamento sia delle fonti primarie sia, direttamente, dell'energia elettrica. Accanto a questa criticità, però, si vede forte attività nella direzione dell'innovazione dei processi produttivi, maggiormente orientati verso l'utilizzo delle fonti rinnovabili, seppure questa strada sia ancora all'inizio e tutta da percorrere. A conferma dell'attenzione posta nei confronti del tema energetico e delle tematiche connesse alla produzione di energia da fonti rinnovabili in Veneto, giunge anche la recente DGR. N. 694 del 14 maggio 2013 relativa alle "Procedure per il rilascio di concessioni di derivazione d'acqua pubblica e per il rilascio dell'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di impianti idroelettrici". La deliberazione si propone di realizzare una semplificazione dell'iter autorizzativo per il rilascio delle suddette concessioni, in modo da agevolare quanto più possibile l'utilizzo di tale fonte energetica.

Figura 12.4.1

Quota percentuale di consumi di energia coperta da fonti rinnovabili per Stato membro dell'UE27 - Anno 2011

Figura 12.4.2

Quota di consumo finale lordo di energia coperto dalle fonti rinnovabili (valori percentuali raggiunti e traiettoria degli obiettivi). Italia - Anni 2005:2011 (*)

Figura 12.4.3

Quota di consumo finale lordo di energia coperto dalle fonti rinnovabili nel settore elettrico (valori percentuali raggiunti e obiettivo 2020). Italia - Anni 2005:2011

Figura 12.4.4

Quota di consumo finale lordo di energia coperto dalle fonti rinnovabili nel settore del riscaldamento/raffrescamento (valori percentuali raggiunti e obiettivo 2020). Italia - Anni 2005:2011

Figura 12.4.5

Quota di consumo finale lordo di energia coperto dalle fonti rinnovabili nel settore dei trasporti (valori percentuali raggiunti e obiettivo 2020). Italia - Anni 2005:2011

Figura 12.4.6

L'andamento del consumo finale lordo di energia elettrica da fonti rinnovabili rispetto a quello totale (valori percentuali e target al 2020). Veneto - Anni 2005:2011

Figura 12.4.7

La produzione lorda e il consumo interno lordo di energia elettrica in Veneto (Gigawatt/ora - GWh) - Anni 1997:2011

Tabella 12.4.1

Numero, potenza (MW) e produzione (GWh) degli impianti da fonti rinnovabili in Veneto. Anni 2010:2011

Figura 12.4.8

Impianti fotovoltaici: la potenza installata nei comuni veneti (KW/Km2) - Anno 2011
 
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12.5 Una best practice (Nota 11)

Concludendo questa parte dedicata all'ambiente si cita un esempio di buona pratica rivolta all'innovazione nel segno della sostenibilità ambientale, ovvero il progetto "FRESH - Forwarding Regional Environmental Sustainable Hierarchies", co-finanziato dall'Unione Europea nell'ambito del Programma INTERREG IVC, che promuove l'eco-innovazione attraverso l'edilizia sostenibile in otto diverse regioni.
Il progetto, iniziato nel 2010 e terminato nell'aprile 2013, ha coinvolto numerosi partner europei provenienti da Finlandia, Irlanda, Italia, Polonia, Romania e Regno Unito. Nello specifico, i partner italiani sono stati la Regione del Veneto - Direzione Industria e Artigianato e l'Università degli Studi di Padova - Dipartimento Processi Chimici dell'Ingegneria.
Con FRESH, i partner di progetto si sono proposti di condividere lo sviluppo della "Creazione di Valore Sostenibile" (CVS) e favorire l'inserimento di misure amministrative e legislative in grado di generare una crescita economica del territorio basata sull'implementazione di azioni ed attività coerenti con i principi dello sviluppo sostenibile. In questo contesto, la crescita economica, raggiunta attraverso attività improntate alla sostenibilità, supporta la "Creazione di Valore Sostenibile" quando le tre dimensioni - economica, ambientale e sociale - sono, tendenzialmente, in equilibrio. Considerati la strategia comunitaria sullo sviluppo sostenibile, le iniziative comunitarie in favore del mercato (LMI), il piano d'azione per le tecnologie ambientali (ETAP) e le politiche comunitarie regionali e di coesione, i partner di progetto hanno individuato tre obiettivi operativi:
  1. incrementare l'impatto sul territorio delle politiche regionali volte allo sviluppo sostenibile;
  2. migliorare il coinvolgimento degli stakeholder locali nella definizione congiunta delle azioni a favore dell'eco-design e dell'eco-innovazione;
  3. includere i componenti della Creazione di Valore Sostenibile (CVS) nelle strategie regionali di medio e lungo periodo.
Lo sviluppo della strategia ambientale, infatti, consegue fattivi risultati solo se sinergicamente integrata con la dimensione sociale dove il vivere umano rappresenta la centralità nelle scelte strategiche di breve e lungo termine.
Al fine di raggiungere il benessere, sintesi condivisa tra sviluppo economico-industriale e strategie di mercato, è necessario introdurre strumenti utili alla crescita del territorio, quali l'eco-innovazione e l'eco-design, in grado di armonizzare le diversificate esigenze apportando benefici generalizzati nei settori coinvolti nelle dinamiche produttive e sociali.
Modalità operative nuove ed innovative costituiscono la base sulla quale i soggetti istituzionali sono chiamati a costruire la società del domani, basata su un modello nel quale il sistemo economico e quello sociale interagiscono.
Sulla base di queste premesse, i partner di progetto sono intervenuti nella modifica dei piani regionali di sviluppo, con l'obiettivo di incrementare l'impatto sul territorio delle politiche volte allo sviluppo sostenibile e promuovere l'adozione di strumenti di eco-innovazione, attraverso anche il coinvolgimento e la condivisione delle attività di progetto con diversi attori territoriali.
In particolare, le attività del progetto FRESH sono state focalizzate nello scambio di buone pratiche volte alla sostenibilità dei territori, in seno al partenariato. Dopo una prima fase di analisi, la Regione del Veneto ha individuato tra le buone pratiche da condividere con i partner europei la Legge Regionale 9 marzo 2007, n. 4 "Iniziative ed interventi regionali a favore dell'edilizia sostenibile", che prevede agevolazioni regionali per la realizzazione di interventi di costruzione o ristrutturazione secondo le tecniche e principi costruttivi di edilizia sostenibile; il progetto ATTESS che si propone di definire modalità di intervento sull'edilizia storica secondo criteri di efficienza energetica, di sostenibilità ambientale e di benessere e salubrità indoor; il distretto produttivo della Bio-edilizia.
Tra le buone pratiche promosse dai partner di progetto, la Regione del Veneto, si è interessata ad un indicatore di benessere denominato GPI - Genuine Progress Indicator, studiato e applicato dalle Regioni di Kainuu e Päijät- Häme (Finlandia). Il GPI è uno strumento di misurazione del benessere economico di un Paese che, diversamente dal PIL, al quale si propone come alternativa, considera contemporaneamente aspetti economici, ambientali e sociali. Nell'ambito delle proprie competenze, la Regione del Veneto ha studiato una possibile applicazione del GPI nel proprio territorio.