Regione del Veneto - U.O. Sistema Statistico Regionale
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Rapporto Statistico 2013
Capitolo 7

Il comparto agricolo tra cambiamenti e tradizione

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7.1 - I mutamenti dell'agricoltura veneta alla lente dei censimenti

Il comparto agricolo italiano, soprattutto nel corso degli ultimi anni, ha vissuto un periodo molto complesso, condizionato dalla crisi economica, dalla volatilità dei prezzi delle commodity agricole, dai cambiamenti nella Pac e non ultimo dalle nuove sfide legate alla sostenibilità ambientale. Tutto questo, sommato alle esigenze di una rinnovata capacità imprenditoriale ed alle necessità legate ad una maggiore redditività dell'agricoltura, ha contribuito alle profonde trasformazioni che si sono registrate fra i vari censimenti dell'agricoltura e che hanno portato in qualche modo l'agricoltura nostrana ad avvicinarsi maggiormente agli standard europei.
Nel frattempo, lo stesso modello agricolo europeo è in forte evoluzione verso un modello imprenditoriale dove l'innovazione è il paradigma: questo intenso processo è contraddistinto da nuovi metodi di produzione e nuovi tipi di collaborazione, oltre che nuovi prodotti e servizi da offrire ai consumatori. In questi anni i mercati, inoltre, sono sempre più orientati verso una inarrestabile globalizzazione e una forte evoluzione della domanda dei compratori a cui bisognerà essere in grado di rispondere soddisfacendone le esigenze, con un occhio di riguardo alla qualità e alla sicurezza delle produzioni.
Inoltre, l'agricoltura si fa portavoce di istanze energetiche, e non solo in qualità di consumatrice ma anche di produttrice: sempre più agricoltori si specializzano nella produzione non alimentare, nell'intenzione di recuperare energie rinnovabili per sostituire parzialmente il consumo di petrolio, sia in risposta al rincaro energetico sia in funzione dell'abbattimento dell'inquinamento ambientale ed atmosferico.
E' in questo scenario che le aziende, sia venete che italiane, si muovono e cercano di trovare un equilibrio: sono sempre meno ed in media sempre più grandi rispetto al passato. La SAU media, infatti, solo negli ultimi 10 anni è cresciuta di oltre il 40% sia in Veneto che in Italia, passando rispettivamente a 6,8 e 7,9 ettari, mentre calano del 32,4% sia il numero delle aziende venete che italiane; la SAU totale di conseguenza registra un calo decisamente inferiore e rispettivamente del 4,6% per la nostra regione e del 2,5% a livello nazionale.
Questa tendenza alla concentrazione ormai interessa il comparto da decenni, in un processo registrabile fin dal 1982 ma che, negli ultimi 10 anni, ha subito un'accelerazione ancor più significativa.
In 30 anni si sono perse la metà delle aziende venete ma solamente l'11% della SAU, pari ad oltre 100 mila ettari di superficie coltivabile.
Territorialmente la perdita maggiore di aziende, considerando la variazione tra il 2000 ed il 2010, si concentra nei comuni della zona pedemontana e montana delle province di Vicenza, Treviso e Belluno. Di converso le variazioni positive si concentrano in alcuni comuni della provincia di Verona e soprattutto di Belluno che, come vedremo, è la provincia che ospita la più elevata percentuale di giovani rapportata al totale dei capi azienda. (Figura 7.1.1)
La mortalità delle aziende venete si è concentrata soprattutto nelle classi di dimensione più piccole: analizzando il fenomeno per classe di SAU di appartenenza, appare chiaro come solo negli ultimi 10 anni le aziende con meno di un ettaro si siano più che dimezzate ed è solamente in classi di SAU superiori ai 20 ettari che vediamo un trend positivo di crescita tra i due ultimi censimenti. Questo fenomeno, sebbene con intensità sempre crescenti da un decennio all'altro, si ripete in forma simile nei 3 decenni presi in considerazione.
Nella classe fra 50 e 100 ettari, infine, troviamo il 30,7% di aziende in più rispetto al 2000, sebbene questa tipologia aziendale sia ancora poco rappresenta nell'universo veneto e pari appena all'1,2% del totale. (Figura 7.1.2)
Nonostante questi continui cambiamenti, infatti, permangono quelle caratteristiche tipiche di polverizzazione dell'agricoltura veneta: le aziende con meno di 5 ettari sono quasi i tre quarti del totale ed occupano meno del 20% della SAU regionale, di converso le aziende sopra i 50 ettari rappresentano meno del 2% del totale eppure si accaparrano quasi un terzo degli oltre 800mila ettari registrati nel 2010.
Inoltre, analizzando la distribuzione delle aziende per titolo di possesso del terreno, tra il 1982 ed il 2010, la proprietà esclusiva rimane comunque la modalità più diffusa, sebbene nel primo censimento coprisse l'80% dei casi ed ora questa percentuale si è ridotta al 69,2%: sono infatti le aziende con meno superficie, e quindi verosimilmente quelle a conduzione familiare, a preferire la proprietà esclusiva dei terreni, mentre, man mano che si sale di classe di superficie e ci si dirige verso una strutturazione aziendale di stampo imprenditoriale, viene preferito sempre più l'affitto esclusivo o formule flessibili di proprietà e affitto. (Figura 7.1.3)
Entrambe queste realtà però difendono le loro funzioni peculiari: alle aziende più piccole rimane l'importantissimo ruolo di presidio diffuso sul territorio, necessario per arginare lo spopolamento delle zone montane e delle aree rurali più svantaggiate, per tutelare il paesaggio e frenare il dissesto idrogeologico.
Alle aziende più grandi e strutturate rimane il ruolo fondamentale di garantire l'approvvigionamento della catena alimentare per il fabbisogno dei consumi interni, per il pregiato export del made in Italy, e non ultimo per l'impatto occupazionale che esse assicurano.
Di pari passi risultano in calo nell'ultimo trentennio anche le giornate di manodopera prestate in azienda: e se il calo più consistente ha colpito principalmente i familiari del conduttore, nell'ultimo decennio si nota un innalzamento (+58,7%) delle giornate di coloro che lavorano a tempo determinato (stagionali, saltuari, assunti per singole fasi lavorative). (Figura 7.1.4)
La fotografia delle persone che lavorano in azienda nel 2010 si presenta con la stragrande maggioranza (oltre l'80%) di appartenenti alla famiglia o comunque alla cerchia dei parenti del conduttore ed una presenza maschile (oltre 169.000 persone) che è quasi il doppio di quella femminile (poco più di 88.000 persone).(Figura 7.1.5)
La loro cittadinanza è in preponderanza italiana (92%), considerando il totale delle persone, ma con notevoli differenze a seconda della tipologia di manodopera prestata. Se, infatti, per familiari e parenti del conduttore questa percentuale rasenta il 100%, si abbassa via via che si prendono in considerazione le altre tipologie: arriva al 71% per i lavoratori in forma continuativa, fino a quasi dimezzarsi considerando i lavoratori saltuari (57%) e i lavoratori non assunti direttamente dall'azienda (56%).
Le coltivazioni
Negli ultimi 30 anni, sostanzialmente, per la nostra regione gli orientamenti produttivi sono rimasti invariati: oltre i due terzi della superficie delle nostre aziende è dedicata ai seminativi, con un leggero aumento di censimento in censimento a scapito soprattutto della superficie a prati e pascoli che passa dal 21% del 1982 al 16% del 2010; le coltivazioni legnose, di cui la parte del leone la fa certamente la vite coprendone quasi i tre quarti, rimangono stabili in rapporto percentuale alla totalità della SAU. (Figura 7.1.6)
Profondi cambiamenti, invece, sono avvenuti nella fisionomia viticola della nostra regione, nel corso degli ultimi 10 anni si è assistito ad una vera e propria rivoluzione. Mentre infatti le aziende da un censimento all'altro sono via via diminuite fino a quasi dimezzarsi tra il 2000 ed il 2010, le superfici a vite sono addirittura aumentate nel corso dell'ultimo decennio, la conseguenza diretta è il raddoppio della superficie media delle aziende con vite che, pur mantenendo un'identità tipica veneta con un valore per azienda molto basso, passa da un ettaro a due. (Figura 7.1.7)
Le protagoniste principali sono le due province venete viticole per eccellenza: Verona (+15,7% di superficie a vite) e Treviso (+9,7%) che, anche grazie al successo internazionale del valpolicella e del prosecco, hanno saputo gestire il momento storico a loro favore, sia tutelando con la denominazione d'origine protetta i loro vini sia coordinando sapientemente superfici e produzioni.
Anche in virtù di questo non è più il Merlot il vitigno più diffuso in Veneto, come accadeva nel censimento del 2000, ma la Glera, il vitigno da cui si ricava il prosecco, più che raddoppiata nel corso dell'ultimo decennio. Si registrano incrementi notevoli anche per la Corvina (uno dei vitigni principali dell'uvaggio del valpolicella) e soprattutto per il Pinot grigio, uno dei bianchi fermi veneti più amato all'estero, che totalizza la variazione percentuale più elevata nel corso del decennio intercensuario. (Figura 7.1.8)
Gli allevamenti
La medesima dinamica di concentrazione colpisce anche il sottoinsieme delle aziende con allevamenti, calando da un censimento all'altro in maniera importante e costante: nel 2010 sono presenti un quinto delle aziende conteggiate nel 1982 e la metà di quelle del 2000. Il calo del numero di capi non rispecchia quello aziendale, anzi in alcuni casi ci troviamo di fronte ad una variazione pressoché nulla o addirittura un aumento, come rispettivamente nel caso dei capi avicoli e suini.
Cambia anche la fisionomia: delle oltre 100.000 aziende con allevamenti nel 1982 il 70% allevava bovini, il 57% avicoli, il 38% suini ed il 28% conigli, con evidenti fenomeni di poli-allevamento. Ora, sebbene i bovini rimangano la specie più allevata coprendo il 64% delle 20.000 aziende zootecniche venete, si è notevolmente ridimensionata la predisposizione ad allevare più varietà di capi e le aziende paiono orientate ad una specializzazione unica. (Figura 7.1.9)(Figura 7.1.10)
La preponderanza delle piccole dimensioni si conferma anche per questa tipologia aziendale: il Veneto risulta quasi sempre al di sotto della tendenza nazionale analizzando il fenomeno per classi di UBA (Nota 1), un terzo ha meno di 2 UBA e la metà ne ha meno di 5, solamente per le classi superiori ai 100 UBA c'è un superamento della media nazionale, ma appena il 3% ne possiede più di 500.
Territorialmente queste aziende mantengono la loro allocazione tradizionale, con le concentrazioni maggiori che si distribuiscono nei comuni montani e pedemontani delle province di Belluno, Vicenza e Treviso, quegli stessi comuni che maggiormente hanno sofferto della perdita di aziende. (Figura 7.1.11)
L'orientamento tecnico economico
La classificazione delle aziende agricole per Orientamento Tecnico Economico (OTE) risponde all'esigenza di fornire informazioni sull'indirizzo produttivo e sul grado di specializzazione aziendale sulla base dell'incidenza percentuale della dimensione economica (in termini di Reddito Lordo Standard o Standard Output (Nota 2)) delle varie attività produttive sulla dimensione economica complessiva dell'azienda. L'OTE rappresenta pertanto l'indirizzo produttivo dell'azienda, che sarà considerata, per esempio, "a seminativi" se la maggior parte del reddito complessivo aziendale proviene dalla coltivazione di seminativi.
Nella nostra regione oltre la metà delle aziende ha una specializzazione in seminativi e considerando anche le coltivazioni permanenti si comprende quasi l'80% delle aziende venete: nonostante ciò in termini di redditività questi sono due tra gli orientamenti con lo standard output medio più basso.
Di converso le aziende con orientamento granivoro (suini e pollame), ad ortofloricoltura e con poliallevamento risultano di gran lunga le più redditizie ma anche le meno rappresentate nel panorama veneto: tutte assieme non raggiungono il 4%. (Figura 7.1.12)
Lo standard outuput medio della nostra regione è pari a 46.115 euro, superiore a quello italiano di quasi 16.000 unità, e per la stragrande maggioranza concentrato nelle prime classi di dimensione economica: il 58% delle aziende venete ha uno standard output medio inferiore a 8.000 euro (62% in Italia) ed appena l'8,5% ha una redditività superiore ai 100.000 euro (5,5% in Italia). (Figura 7.1.13)
Dal punto di vista della produttività media per ettaro di SAU il valore del Veneto si attesta ad una quantità in euro pari quasi al doppio di quella italiana, con 6.785 contro 3.874.
Allo scopo di localizzare nel territorio le zone più redditizie della nostra regione, abbiamo calcolato questo valore per le SAU appartenenti alle aziende agricole di ciascun comune veneto: le redditività più elevate si localizzano nei comuni delle provincie di Verona e di Treviso, dove più elevata è l'associazione con le specializzazioni più economicamente remunerative. (Figura 7.1.14)
I giovani
La sopravvivenza futura delle aziende agricole è strettamente legata al ricambio generazionale all'interno delle stesse ed anche al sopraggiungere di forze giovani (Nota 3) dall'esterno per rinvigorire con nuova linfa l'imprenditorialità agricola, sfruttando le misure messe a disposizione dallo sviluppo rurale rivolte a questi ultimi (Nota 4): infatti l'età media dei capi azienda veneti, pari a 62 anni e superiore anche alla media italiana, denuncia un'importante esigenza di rinnovamento. (Figura 7.1.15)
Sebbene abbiamo visto come siano in corso dinamiche piuttosto rilevanti di concentrazione e ristrutturazione del patrimonio agricolo regionale, esse avvengono con lentezza: nel 2010 l'azienda individuale a conduzione diretta, con terreni di proprietà esclusiva, di piccole dimensioni e fortemente incentrata sulla famiglia del capo azienda è ancora la forma più diffusa; inoltre la metà dei capi azienda veneti ha più di 60 anni, le altre attività remunerative connesse all'azienda sono ancora poco conosciute ed utilizzate.
Il subentrare dei giovani nel mondo agricolo sta apportando una forte componente di trasformazione: sebbene i capi azienda sotto i 40 anni rappresentino appena il 7% delle aziende venete, l'impulso di rinnovamento è di notevole entità.
Innanzitutto un capo azienda con meno di 40 anni è in media più istruito dei suoi colleghi veneti: se il 77,2% dei capi azienda non possiede un titolo di studio superiore alla scuola media, questa percentuale si dimezza nel caso dei giovani (43,6%) che si concentrano maggiormente invece nei diplomi di scuola superiore e lauree. (Figura 7.1.16)
Inoltre questi ricorrono meno alla propria famiglia per ottenere la manodopera da utilizzare in azienda: se infatti, in media, nelle aziende venete l'81% della manodopera proviene dalla famiglia o è un parente del conduttore, questa quota si abbassa al 65% nel caso che il capo azienda abbia meno di 40 anni e di conseguenza ben il 35% del personale è assunto direttamente od indirettamente dall'azienda al di fuori della famiglia. I giovani inoltre ricorrono meno frequentemente al lavoro del proprio partner e più spesso a quello dei propri familiari rispetto alla media veneta. (Figura 7.1.17)(Figura 7.1.18)
Anche l'età media dei collaboratori delle aziende giovani è sensibilmente più bassa, tranne che per i familiari e i parenti i quali in media distaccano i capi azienda di una generazione.
Quanto alla struttura aziendale, quelle giovani sono in media più grandi, con ben 12,6 ettari di SAU media, quasi il doppio dei 6,8 ettari registrati dalla totalità delle aziende venete. Le aziende sopra i 5 ettari hanno una probabilità più alta di essere guidate da un giovane ed aumenta sempre più man mano che cresce la classe di SAU, mentre la proporzione si inverte per tutte le classi di superficie utilizzata inferiori. (Figura 7.1.19)
La superficie in gestione di queste aziende è più spesso in affitto, in uso gratuito o gestita con titoli di possesso misti rispetto al totale veneto, dove, come abbiamo già visto, la stragrande maggioranza (69,2%) possiede totalmente i terreni della propria attività. Anche la forma giuridica si differenzia con un maggior ricorso alla società semplice per le aziende giovani (11,7% contro il 5,3%), sebbene l'azienda individuale rimanga di gran lunga la forma preferita, sia dai giovani che da tutti gli altri. (Figura 7.1.20)
Le aziende gestite da giovani risultano anche più dinamiche e versatili: non solo ricorrono molto più frequentemente all'informatica per la gestione aziendale (16,3% contro il 5,4% del totale), possiedono un sito web (7,6% contro il 2,4% del totale) ed utilizzano internet per l'attività aziendale (3,9% contro l'1,1%), ma anche sono più propensi ad affiancare alla tradizionale attività agricola anche altre attività remunerative.
Se infatti il 4,6% delle aziende venete ha almeno un'altra attività remunerativa connessa all'agricoltura, per gli under 40 questa percentuale raddoppia e passa al 10,6%: le più diffuse, sia tra tutte le aziende che nel sottoinsieme dei giovani, sono il lavoro conto terzi, l'agriturismo e la prima lavorazione dei prodotti agricoli.
Tra tutte queste attività accessorie, le più attrattive per i giovani sono i lavori artigianali: un capo azienda su tre che si dedica all'artigianato, alla lavorazione del legno o alla sistemazione di parchi e giardini ha meno di 40 anni. (Figura 7.1.21)
Territorialmente i giovani si concentrano nelle provincie di Belluno e Verona: rispettivamente il 16% e l'11% dei capi azienda in queste province ha meno di 40 anni e sono tutti bellunesi i comuni nei quali questa percentuale è pari o superiore al 50%.
Le specializzazioni aziendali, individuate tramite l'Orientamento Tecnico Economico, evidenziano una certa differenziazione nel gruppo dei giovani: benché, esattamente come per i propri colleghi, l'orientamento a seminativi sia il più diffuso, la distribuzione non si concentra qui per oltre la metà dei casi come capita nel totale veneto, bensì gli under 40 si orientano più facilmente verso altre tipologie come le colture legnose, l'allevamento di erbivori e l'ortofloricoltura.
Gli orientamenti misti non sono diffusi né per i giovani, né più in generale nella nostra regione, dimostrando come le energie aziendali vengano destinate più volentieri ad un progetto imprenditoriale specializzato. (Figura 7.1.22)
Vista la dinamicità e la versatilità dei giovani e la loro predisposizione a fare più impresa che mera azienda agricola, non sorprende come lo Standard Output medio di questi ultimi sia quasi 2,5 volte quello dei propri colleghi veneti, con ben 109.692 euro, e sensibilmente più elevato in quasi tutti gli orientamenti tecnico-economici: fa eccezione solamente l'orientamento "poliallevamento" che vede redditi minori da parte degli under 40. (Figura 7.1.23)
I giovani agricoltori stanno quindi dando prova, nonostante le difficoltà congiunturali e strutturali che il settore denuncia, di avere le capacità, le idee e la forza per contribuire alla realizzazione di un modello agricolo diversificato, competitivo, innovativo, multifunzionale e sostenibile. Un modello che mira al territorio rurale e alla propria comunità rurale come al proprio centro naturale, in cui l'agricoltura ne rappresenti l'ossatura irrinunciabile, dove l'integrazione tra settori come soluzione alle esigenze della società sotto il profilo economico, ambientale e sociale si svolga in maniera coerente e rispettosa: l'impegno di questi giovani dimostra come serva un'agricoltura in grado di presentarsi come componente essenziale e fonte di ricchezza per il territorio in cui opera, capace di multifunzionalità e di offrire al territorio rurale beni e servizi che derivano dalle sue funzioni economiche, sociali ed ambientali.
In conclusione, l'agricoltura veneta e quella italiana dimostrano l'esigenza di un forte rinnovamento, subordinate come sono alla presenza di una miriade di aziende di ridotte dimensioni e di importanza economica secondaria, nelle quali si concentrano gli agricoltori anziani e la presenza dei giovani è quasi nulla. Questa classe, a causa della ridotta dimensione fondiaria, difficilmente potrà attrarre il giovane imprenditore, costituendo per sua natura un complemento al reddito prodotto altrove oppure un trampolino di lancio per iniziare l'attività, puntando a maggiori dimensioni.
Se considerato nella sua totalità, il comparto agricolo veneto dimostra trasformazioni in corso lente ma inesorabili, con una progressiva scomparsa delle aziende piccole e non competitive e con timidi affacci di aziende dallo stampo imprenditoriale e specializzato. Ma è analizzando le singole specializzazioni (biologico, prodotti certificati dop ed igp, allevamenti) che queste spinte appaiono sempre più evidenti, sebbene in peso percentuale occupino ancora spazi marginali: le aziende rispetto alla media regionale sono più grandi, più giovani, ricorrono più spesso all'affitto dei terreni e a forme societarie di conduzione, sono più inclini alla multifunzionalità e alla sostenibilità ambientale ed infine creano più reddito.

Figura 7.1.1

Variazione percentuale aziende rispetto al censimento precedente per comune. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.2

Variazione percentuale aziende rispetto al censimento precedente per classe di SAU (ettari). Veneto - Anni 1982:2010

Figura 7.1.3

Distribuzione percentuale aziende per titolo di possesso del terreno. Veneto - Anni 1982 e 2010

Figura 7.1.4

Variazione percentuale rispetto al censimento precedente delle giornate di lavoro per tipologia di manodopera. Veneto - Anni 1982:2010

Figura 7.1.5

Distribuzione percentuale persone che lavorano in azienda per tipologia di manodopera e cittadinanza. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.6

Distribuzione percentuale della SAU per tipo di coltivazione. Veneto - Anni 1982:2010

Figura 7.1.7

Variazione percentuale aziende e superficie a vite rispetto al censimento precedente. Veneto - Anni 1982:2010

Figura 7.1.8

I primi 10 vitigni (ha) agli ultimi due censimenti dell'agricoltura. Veneto - Anni 2000 e 2010

Figura 7.1.9

Distribuzione percentuale delle aziende con allevamenti per tipo di capo. Veneto - Anni 1982 e 2010

Figura 7.1.10

Distribuzione percentuale delle aziende con allevamenti per classe di UBA(*). Veneto e Italia - Anno 2010

Figura 7.1.11

Percentuale di aziende con allevamenti per comune. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.12

Distribuzione percentuale aziende per orientamento tecnico economico e standard output medio. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.13

Distribuzione percentuale aziende per classe di dimensione economica (migliaia di euro). Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.14

Produttività media (euro) per ettaro di SAU e per comune. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.15

Aziende per classe d'età del capo azienda. Veneto e Italia - Anno 2010

Figura 7.1.16

Distribuzione percentuale delle aziende agricole per titolo di studio del capo azienda. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.17

Distribuzione percentuale del personale che lavora in azienda per tipologia ed età del capo azienda. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.18

Età media dei familiari e dei lavoratori a tempo indeterminato nelle aziende agricole secondo l'età del capo azienda. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.19

Distribuzione percentuale delle aziende agricole per classe di SAU (ettari) ed età del conduttore. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.20

Distribuzione percentuale aziende agricole per titolo di possesso della superficie ed età del capo azienda. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.21

Attività remunerative connesse all'agricoltura: aziende e percentuale di giovani. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.22

Distribuzione percentuale aziende agricole per Orientamento Tecnico Economico per età del capo azienda. Veneto - Anno 2010

Figura 7.1.23

Standard output medio delle aziende agricole per Orientamento Tecnico Economico ed età del capo azienda. Veneto - Anno 2010
 
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7.2 - Dalle trasformazioni del tessuto produttivo alla trasformazione dei mercati (Nota 5)

Quando si parla di sviluppo e trasformazioni in agricoltura, si fa per lo più riferimento a quelle legate alla produzione. È evidente, nella storia dell'agricoltura, che queste avvengono solitamente con tempi "biblici": tra il primo aratro in legno e quello in acciaio sono passati quasi diecimila anni! Negli ultimi trecento anni, dalla prima meccanizzazione dell'agricoltura, avvenuta nel diciassettesimo secolo, ad oggi, le trasformazioni si sono fortemente velocizzate: il primo trattore è arrivato nei primi decenni del 1900, ma verso la fine del secolo questi erano già dotati di tutti i comfort. Dal secondo dopoguerra, con la cosiddetta "Rivoluzione verde", le trasformazioni hanno continuato a riguardare soprattutto gli aspetti produttivi, ma l'attenzione è passata dalla sostituzione della forza lavoro con la meccanizzazione alla ricerca e all'uso di nuove tecnologie legate all'utilizzo di nuove varietà di sementi (ingegneria genetica), pesticidi, fitofarmaci e fertilizzanti. Verso la fine del XX secolo e con l'inizio del nuovo millennio, le trasformazioni hanno riguardato sempre meno aspetti legati al prodotto e sempre al processo: argomenti ricorrenti sono diventati la trasformazione dei prodotti agricoli e i rapporti di filiera, la specializzazione e l'aggregazione delle imprese agricole, l'impresa agricola multifunzionale fornitrice di servizi (contoterzismo, turismo rurale, fattorie didattiche, ecc.) e di energia da fonti rinnovabili (biogas, fotovoltaico, ecc.), l'informatizzazione, le filiere e le reti di impresa.
Negli ultimi trent'anni l'evoluzione dei sistemi di comunicazione di massa su scala mondiale (internet), che hanno velocizzato enormemente lo scambio di informazioni prima ancora che di merci, ha ridotto le distanze e il conseguente fenomeno della globalizzazione ha investito, specie negli ultimi decenni, il sistema produttivo e soprattutto commerciale internazionale dei beni destinati all'alimentazione umana. Sono aumentati i consumi così come la produzione e gli scambi.
In Europa, dalla caduta del muro di Berlino l'apertura delle frontiere tra i Paesi della Comunità Europea, con la libera circolazione delle merci, ha velocizzato una serie di trasformazioni che, più che gli aspetti produttivi, hanno riguardato i mercati di scambio e la commercializzazione dei prodotti. L'ambiente competitivo è ormai transnazionale e richiede capacità imprenditoriale, flessibilità decisionale e velocità di risposta al cambiamento, crescita, innovazione, organizzazione e sviluppo di filiera e di rete.
Il Veneto agroalimentare export-oriented
Per quanto riguarda il commercio internazionale bisogna riconoscere al Veneto di aver saputo cogliere sul nascere l'opportunità di poter accedere più facilmente a nuovi mercati e a nuovi bacini di consumatori, forti del successo dei prodotti made in Italy.
I dati del commercio con l'estero sono eloquenti e permettono di comprendere la situazione a livello nazionale: nel complesso il Veneto si posiziona al terzo posto in Italia, dopo Emilia-Romagna e Lombardia per quanto riguarda le esportazioni di prodotti agricoli, alimentari e bevande (escluso il tabacco), con un valore di oltre 4,8 miliardi di euro (+8,2% rispetto al 2011). Dopo le difficoltà riscontrate nel corso del 2009 in cui si è osservato un calo dell'export, la nostra regione ha saputo invertire velocemente tale tendenza riportandosi velocemente su valori mai raggiunti da oltre vent'anni. I principali mercati serviti sono quelli europei - in particolare Germania, Francia ed est Europa - e nordamericani, ma è crescente l'attenzione dedicata al "far east" asiatico (Cina, Giappone e India).
Dettagliando l'analisi (Nota 6), il Veneto si posiziona al secondo posto, dopo l'Emilia-Romagna, per quanto riguarda l'export di prodotti agricoli, animali e della caccia (775 milioni di euro, +1,4%), ma facendo registrare il più alto valore di interscambio totale (poco meno di 2,7 miliardi di euro).
Per quanto riguarda i prodotti alimentari, il Veneto occupa il quarto posto nella graduatoria nazionale, prima della Campania e dietro a Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte. In tale comparto, infatti, queste regioni possono contare su alcuni prodotti "campioni" dell'export made in Italy: il Grana Padano, il Parmigiano-Reggiano, il Prosciutto di Parma, senza dimenticare le conserve vegetali e i prodotti dolciari (cioccolato su tutti). Il Veneto detiene invece la leadership incontrastata per quanto riguarda l'export di bevande con un valore di oltre 1,6 miliardi di euro, in cui il vino fa la parte del leone. Nel complesso, considerando queste tre categorie di prodotti insieme, il Veneto si posiziona al terzo posto tra le regioni esportatrici a livello nazionale. (Tabella 7.2.1)
Ma è dall'analisi di lungo periodo che si comprende meglio l'orientamento verso l'export, i cambiamenti in atto e la capacità della nostra regione di aver saputo cogliere meglio di altre le opportunità offerte dalla trasformazione dei mercati avvenuta nell'ultimo ventennio. Dal 1991 al 2012 le importazioni italiane di prodotti agroalimentari sono poco più che raddoppiate in termini di valore, passando da 16 a 36 miliardi, mentre quelle del Veneto sono più che triplicate (da 1,6 a 5,2 miliardi di euro). Questo è dovuto in parte a un aumento del potere di acquisto e dei consumi in seguito al miglioramento dei redditi degli abitanti, ma in buona parte anche alla capacità degli imprenditori commerciali veneti di concentrare le merci provenienti dall'estero per rilanciarli verso altri mercati. Infatti è proprio considerando le esportazioni che la situazione risulta ancora più significativa e si comprende come la performance del Veneto a confronto di quella italiana abbia avuto un altro passo e sia proceduta a una velocità quasi doppia. Infatti, nel periodo considerato, mentre le esportazioni italiane sono quadruplicate (da 7,7 a 31,5 miliardi di euro), quelle della regione Veneto sono aumentate di quasi sette volte, passando da circa 700 milioni di euro a quasi 4,8 miliardi di euro, con incrementi repentini di crescita soprattutto nei periodi 1992-95, 2005-2008 e 2009-2012. (Figura 7.2.1)
La trasformazione dei mercati ortofrutticoli
Detto del generale, l'analisi di un settore in particolare esemplifica questa caratteristica del Veneto di fungere da piattaforma di rilancio dei prodotti agricoli e alimentari. La fotografia degli scambi che avvengono all'interno dei mercati ortofrutticoli regionali all'ingrosso, relativamente ai prodotti di frutta e verdura freschi, è infatti un perfetto "case" di quanto accade anche al di fuori di essi e per altri prodotti, grazie a un tessuto imprenditoriale fatto di grandi commercianti e di strutture di aggregazione dei produttori agricoli (Cooperative e Organizzazioni dei produttori) radicate da decenni nel territorio regionale.
A partire dal 2000 si nota una vera e propria evoluzione: i mercati alla produzione e più ancora quelli terminali (o di consumo) hanno registrato un crollo delle quantità di merce veicolata, con perdite rispettivamente del 30% e di quasi il 40% rispetto all'anno base considerato. I mercati di redistribuzione (Verona, Padova e Treviso) hanno invece aumentato le merci in transito, anche se negli ultimi cinque anni hanno registrato anch'essi una flessione. (Figura 7.2.2)
L'evoluzione delle dinamiche di scambio appare ancora più chiara analizzando la figura 7.2.3, che schematizza la provenienza delle merci immesse annualmente nei mercati ortofrutticoli veneti Si tratta di circa un milione di tonnellate di merce che per il 25% viene prodotta all'interno dei confini regionali, per il 53% proviene da altre regioni d'Italia e per il 22% viene importata dall'estero, principalmente da altri Stati dell'Unione Europea, ma anche dal centro-sud America (23%) e dall'Africa (5%). La merce che esce dai mercati per il 43% rimane all'interno della regione e viene distribuita e consumata localmente, per il 21% è destinata ad altre regioni italiane, principalmente quelle confinanti, e per il 36% viene rilanciata verso i mercati esteri. (Figura 7.2.3)
Se ne desume che il Veneto è una regione ideale per concentrare i prodotti agricoli e alimentari di altre regioni e Paesi produttori e può essere definita come una vera e propria piattaforma di rilancio verso l'estero, in questo favorita sia dalla posizione geografica, sia da una lunga tradizione di grandi commercianti che risale alla Repubblica di Venezia, oltre che da altre condizioni favorevoli, ad esempio il fatto che ancora oggi circa il 90% dei trasporti di prodotti agricoli e alimentari avviene su gomma.
Gli operatori veneti svolgono quindi una duplice funzione, di re-distribuzione sul territorio regionale e del nord Italia e di rilancio e smistamento verso i principali mercati di sbocco esteri, sfruttando i corridoi di traffico che puntano verso nord e verso est, sia dei prodotti agricoli e alimentari realizzati in loco, che di quelli provenienti dal resto d'Italia e da altri Paesi nel mondo.
Le trasformazioni dovute alla globalizzazione: interdipendenza dei mercati, organizzazione di filiera e struttura delle imprese
Globalizzazione dei mercati e smaterializzazione del valore sono sfide e minacce competitive, che altri possono usare contro di noi, ma anche risorse di grande forza che possono ulteriormente generare nuove opportunità per l'agroalimentare veneto.
L'interdipendenza dei mercati porta come conseguenza una maggior correlazione dei prezzi dei prodotti, la cui produzione avviene, in alcuni casi, in Paesi di tutt'altra parte del mondo. Così, ad esempio, i prezzi delle principali commodities che si formano nelle borse merci locali e nazionali (frumento, mais, soia, per citare i più rilevanti per il Veneto), dipendono sempre più dall'offerta mondiale e dalle quotazioni delle borse di contrattazione internazionali, quella di Chicago su tutte. Ma anche per molti prodotti ortofrutticoli, per latte, formaggi e altri prodotti della zootecnia, le dinamiche produttive dei Paesi esteri, la disponibilità scarsa o eccessiva di prodotto sul mercato fisico locale per la presenza o meno di prodotto importato, finisce per avere conseguenze anche rilevanti sui listini dei prodotti veneti. L'aleatorietà dei prezzi e la loro elevata variabilità è diventata negli ultimi anni un aspetto al quale gli imprenditori agricoli devono prestare un'attenzione sempre maggiore, in quanto le ripercussioni sulla redditività aziendale di tali fattori esterni, scarsamente o per nulla controllabili e governabili, possono essere considerevoli e gravi, finendo per aumentare in maniera notevole il rischio imprenditoriale. Diventa perciò fondamentale utilizzare strumenti di assicurazione sui prezzi, al fine di ridurne il rischio di elevate oscillazioni. Tale situazione sta ponendo serie e stringenti questioni nella riformulazione delle politiche, dalle internazionali alle regionali, che vanno direttamente a influenzare lo sviluppo agricolo di sistema come quello della singola impresa. Altri punti critici sono i rapporti di filiera, la riorganizzazione e il riposizionamento nei mercati, la rete e l'innovazione.
Dal punto di vista della riorganizzazione, ad esempio, si è osservata una ristrutturazione delle forme di aggregazione presenti nel settore agroalimentare, evidenziando come la propensione ad operare in mercati internazionali aumenti con le dimensioni aziendali, sia per numero di dipendenti che per fatturato. Certamente, oltre a questi, ci sono altri elementi che favoriscono la penetrazione nei mercati esteri: gli investimenti nella promozione, con la partecipazione a fiere ed eventi, l'adesione a consorzi di imprese e la cooperazione con le istituzioni pubbliche.
Senza entrare nel dettaglio di quanto già precedentemente evidenziato rispetto alla specializzazione e all'aggregazione delle imprese agricole, si vuole qui sottolineare un aspetto, riguardante la correlazione tra dimensioni delle strutture di Cooperative e Organizzazioni dei Produttori (OP), principali forme di aggregazione delle imprese, e la propensione all'internazionalizzazione e al commercio con l'estero.
Il grafico 7.2.4 presenta l'andamento del numero di cooperative agroalimentari in Veneto negli ultimi quarant'anni. Nel 1952 il numero di Cooperative era di poco superiore a 1.200 unità, e nel 1986, dopo più di trent'anni, si poneva praticamente allo stesso livello, pur con fasi alterne comprese tra 1.000 e 1.200 cooperative. Dalla fine degli anni ottanta, invece, si è assistita a una consistente riorganizzazione dell'intero sistema aggregativo del settore agroalimentare, con una continua riduzione del numero di Cooperative e la fuoriuscita di quelle meno in grado di affrontare il nuovo ambiente competitivo di mercato, fino a giungere, nei primi anni dell'ultimo decennio, ad attestarsi su circa 550 unità. Nel contempo, dal 1995 ad oggi (i dati per gli anni precedenti non sono disponibili) si è registrato un aumento vertiginoso del fatturato prodotto dalle cooperative venete, che è più che triplicato, nonostante una flessione nell'ultimo biennio dovuta alle note difficoltà legate alla crisi economica generale che persiste a livello nazionale, europeo e mondiale. (Figura 7.2.4)
Il dato è confortato anche dalla dinamica di crescita delle OP ortofrutticole venete, che nel periodo 2004 al 2011 sono cresciute in numero da 11 a 18, aumentando notevolmente anche il valore della produzione commercializzata, che è praticamente raddoppiato, salendo da circa 176 milioni di euro del 2004 a oltre 340 milioni di euro nel 2011. Nello stesso periodo le esportazioni sono aumentate da 38 milioni di euro a poco meno di 63 milioni di euro, dopo aver toccato il livello massimo di 87 milioni di euro nel 2010.
Le trasformazioni della commercializzazione delle imprese agricole: la vendita diretta nei dati del Censimento e il caso dei farmers market
Al pari del sistema agricolo nazionale anche il Veneto possiede delle caratteristiche intrinseche di valore che possono ulteriormente essere valorizzate e sviluppate per potersi trasformare in vantaggi competitivi. La globalizzazione, che per i prodotti made in Italy non può significare omogeneità e standardizzazione, consente di far conoscere e vendere le nostre eccellenze in mercati lontani e non è quindi un semplice adattamento a nuovi mercati e a nuovi consumatori. Tuttavia, la specializzazione in alcune produzioni di nicchia, quali vini, formaggi e ortofrutta, ha fornito valore al consumatore ma ciò è avvenuto in una dimensione prevalentemente locale: questi prodotti vengono venduti a poche decine o centinaia di chilometri dal luogo della produzione. Tra i prodotti veneti a Denominazione di Origine, ad esempio, a parte i vini, solo una "grande DOP" come il Grana Padano registra percentuali interessanti di prodotto destinato all'esportazione, superiori al 20%. Tra gli altri, il radicchio, l'Asiago e il Montasio raggiungono quote più modeste di vendita all'estero, comprese tra il 5-10%, mentre gli altri prodotti faticano ad uscire dagli ambiti regionali e nazionali.
In fatto di mercato locale, assume pertanto grande valore la vendita diretta: a tal riguardo è interessante analizzare i dati raccolti dall'ultimo Censimento dell'Agricoltura 2010, mettendoli a confronto, ove possibile, con quanto rilevato nel 2000. Ne risulta che, secondo il Censimento 2010, in Veneto sono 9.949 le aziende agricole che fanno ricorso a tale canale di commercializzazione su un totale di 119.384 aziende agricole totali, pari ad una quota di appena l'8,3%, la seconda più bassa a livello nazionale e addirittura in calo rispetto al 2000, quando l'incidenza delle imprese con vendita diretta raggiungeva il 9,9%. Il calo nella diffusione di questo canale commerciale può essere spiegato con vari motivi: sia con i cambiamenti avvenuti nella normativa che regola queste attività e che ha definito criteri più precisi e restrittivi, sia con il contestuale aumento delle dimensioni medie aziendali, che, comportando maggiori volumi di prodotti da collocare sul mercato, ha orientato le aziende verso canali di vendita che consentono di smaltire più rapidamente grandi quantitativi di prodotti. Infatti, la percentuale di aziende che utilizzano altri canali di vendita, quale quello ad imprese commerciali (46%) o ad organismi associativi (42,9%) rimane ancora nettamente predominante rispetto alla percentuale di chi utilizza la vendita diretta.
Tuttavia, un'analisi più dettagliata evidenzia come il ricorso alla vendita diretta sia in alcuni casi piuttosto rilevante: ciò vale, ad esempio, per le aziende agricole di montagna, che registrano un'incidenza di utilizzo della vendita diretta del 21,4%, un valore superiore di oltre tre volte rispetto alle aziende situate in pianura. Anche un'analisi per tipologia di prodotto consente di evidenziare che, nonostante la percentuale di aziende con vendita diretta sia mediamente diminuita a livello regionale rispetto al 2000, per alcuni prodotti l'incidenza di utilizzo di tale canale di vendita da parte delle aziende che commercializzano i propri prodotti è molto significativa, superiore al 50%. In particolare si fa riferimento alla vendita diretta di vino e mosto, utilizzata dal 75,4% delle aziende, olio (59,5%), formaggi e altri prodotti lattiero-caseari (79,4%), tutti appartenenti alla categoria dei prodotti trasformati, e ai prodotti florovivaistici (67,2%) nella categoria dei prodotti vegetali. Percentuali interessanti di aziende che utilizzano il canale diretto si registrano anche nella vendita di prodotti forestali (47,7%) e in misura comunque inferiore in quella di prodotti ortivi e patate (25,3%). (Tabella 7.2.2)
L'importanza che riveste la vendita diretta per alcuni prodotti, in particolare per quelli trasformati, trova conferma considerando non tanto l'incidenza delle aziende che utilizzano tale canale, ma l'effettiva percentuale di prodotto venduto per canale di commercializzazione. Nella tabella 7.2.3 è indicato, per ogni prodotto, il canale di vendita attraverso il quale viene commercializzata la maggior parte del prodotto. Risulta quindi che la vendita diretta è il canale attraverso il quale viene venduta la maggior parte dei prodotti florovivaistici, altri prodotti animali (uova), tutti i prodotti trasformati e quelli forestali (legna). (Tabella 7.2.3)
Anche per quanto riguarda la vendita diretta, detto della situazione generale, l'analisi di un caso particolare può fornire ulteriori indicazioni interessanti.
L'oggetto di indagine sono i farmers market, una particolare forma di commercializzazione dei prodotti agricoli e agro-alimentari che riduce i passaggi di prodotto accorciando la filiera e creando un circuito breve per la vendita diretta dal contadino/produttore all'acquirente/consumatore. Questi mercati sono stati introdotti ufficialmente dalla Finanziaria 2007 a cui ha fatto seguito il Decreto attuativo del MiPAAF del 20 novembre 2007 che ne ha regolamentato la creazione. La loro dinamica di sviluppo è significativa di come le aziende agricole stiano mettendo in atto un cambiamento nelle forme, nei canali e negli strumenti di vendita dei loro prodotti.
Nel 2009, in seguito a un'indagine di Veneto Agricoltura, sono stati rilevati 44 mercati degli agricoltori nella nostra regione. Secondo l'ultimo monitoraggio effettuato dalla Regione Veneto, il loro numero è salito a 72 nel 2012 (+64%) e risultano principalmente diffusi nella provincia di Venezia (18 mercati, +3 rispetto al 2009), Verona (17 mercati) e Vicenza (13 mercati) che hanno registrato entrambe un aumento di 9 mercati, e Treviso (12 mercati).
All'aumentare dei mercati ovviamente crescono di conseguenza anche le postazioni disponibili per la vendita predisposte dai comuni, che passano da circa 760 a 1.240 (+63%). Gli imprenditori agricoli, tuttavia, sono effettivamente presenti in numero notevolmente inferiore (875 agricoltori), comunque in crescita del 52% rispetto ai circa 570 del 2009. Inoltre, considerando che oltre il 60% di essi è presente abitualmente in 2 o più mercati durante la settimana (fino a 5 o 6), di fatto è possibile stimare in circa 400 i produttori agricoli coinvolti in questa attività di vendita presso i farmers market, in crescita del 43% rispetto al 2009.
Si tratta di veri e propri "professionisti" della vendita diretta, che hanno puntato già da anni (per la maggior parte da più di 8 anni) su questa modalità di cessione dei propri prodotti aziendali impegnativa e molto impattante sull'organizzazione aziendale e sulla programmazione stessa della produzione agricola. Sono aziende che hanno investito sia in attrezzature di vendita che in risorse umane, modificando la gestione aziendale stessa e orientandola verso questo canale di commercializzazione attraverso il quale veicolano circa il 70% della produzione (il 33% proprio attraverso il farmers market) e che per oltre l'80% di essi ha comportato un effettivo aumento del reddito aziendale. (Figura 7.2.5)
Per quanto riguarda le caratteristiche dei farmers market, crescono i mercati settimanali (che ora sono l'89%, mentre tre anni fa erano l'82%), aperti principalmente durante un giorno feriale (58% dei casi rispetto al 52% del 2009). Sono dunque in calo i mercati quindicinali o mensili, così come diminuisce la quota di mercati aperti nei fine settimana.
Secondo l'indagine realizzata da Veneto Agricoltura il farmers market tipo è costituito mediamente da 12 bancarelle di vendita, di dimensioni medio-piccole (meno di 5 mq) per lo più coperte con dei gazebo (l'80% dei casi) e che si svolge in una piazza del centro cittadino o nelle immediate vicinanze. Risultano particolarmente ben funzionanti quelli nei comuni medio-grandi (a Verona, ad esempio, sono passati da 2 a 6, e a Venezia ne sono operativi 4) dove vi è un numero maggiore di postazioni di vendita che garantiscono una più ampia gamma di prodotti acquistabili e, di conseguenza, un elevato flusso di consumatori, un maggior numero di atti di acquisto (in media più di 2 per consumatore) e quindi un più alto valore della spesa media.
Di fatto, pur registrando in alcuni casi qualche difficoltà, la realtà dei farmers market è ancora in fase di espansione. Attualmente le giornate di apertura all'anno sono pari a circa 3.400 (+900 rispetto al 2009) e i consumatori, stimati in oltre un milione, effettuano circa 2,3 milioni di atti di acquisto per un giro d'affari stimabile in oltre 15 milioni di euro all'anno.
L'evoluzione della settore pesca
Il settore ittico Veneto si trova oggi in una fase di profonda trasformazione indotta principalmente da una serie di fattori esogeni che impongono alle diverse filiere adeguamenti strutturali nonché evoluzioni produttive.
Dal punto di vista biologico è noto il problema del sovrasfruttamento delle risorse e dello stato di sofferenza di alcuni stock ittici che si tende ad associare spesso all'eccessiva capacità dello sforzo di pesca. La diminuzione costante della numerosità della flotta degli ultimi anni e della sua capacità di pesca è stata infatti più che compensata dagli incrementi di produttività. (Figura 7.2.6)
Vi sono poi i problemi della piccola pesca a strascico, legati alla scarsità delle risorse e a politiche comunitarie (Nota 7) che limitano ulteriormente specifiche attività ittiche, eliminando di fatto la pesca dei latterini, delle seppie e dei moscardini. Si sta in effetti assistendo a una modifica sostanziale dei sistemi e delle modalità proprie della pesca tradizionale veneta, ponendola in questo modo di fronte a ulteriori difficoltà. Si tratta di una flotta molto numerosa, ma con un'incidenza sugli stock minore rispetto ad altre aree di pesca nazionali, composta da pescherecci di diversa tipologia, multi attrezzo e multi specifica per adattarsi alle fluttuazioni temporali dell'ampia gamma di risorse presenti. E' una pesca artigianale in senso ampio per dimensione di impresa e numero di uscite in mare, lontana da altre realtà nazionali, basti pensare che il peschereccio più grosso ha una lunghezza di 30 metri e 8 persone di equipaggio. L'età degli imprenditori è relativamente bassa, nella maggioranza dei casi inferiore a 59 anni, ma le barche utilizzate sono alquanto obsolete. Per questi motivi il Veneto sta lavorando a un intervento finanziario nell'ambito del Fondo Europeo per la Pesca (FEP) che consentirà nell'immediato futuro di ritirare dalla piccola pesca a strascico un numero consistente di pescherecci (compreso tra 30 e 40) pari a circa il 25% della flotta corrispondente.
Altra questione rilevante riguarda l'eccessiva antropizzazione della fascia costiera e la crescente conflittualità sia interna al settore ittico sia esterna, nei confronti di altri settori. Il futuro del mare si gioca nella fascia costiera, e così non può che essere, visto che la fascia di mare più vicina alla costa si caratterizza per un elevato tasso di biodiversità e di produttività, in cui molte specie tipiche dell'area alto adriatica vanno a riprodursi. E' indubbio, inoltre, che nella fascia costiera esistono straordinarie ricchezze in termini di valori storico-culturali, ambientali e paesaggistici. Ma la stretta interrelazione fra territorio, costa e mare pone questa zona fortemente soggetta all'azione antropica che si esplica, oltre che nell'inquinamento, in interventi strutturali a finalità energetica, commerciale e turistica, mentre le tradizionali attività di pesca e allevamento vedono ridursi i loro spazi di azione. A questo si aggiungono i problemi legati all'erosione, destinati ad aumentare ulteriormente a causa dei cambiamenti climatici, e alle necessarie opere di ripristino morfologico e di salvaguardia.
Va inoltre considerato che l'impresa rappresenta il centro dell'attività economica e la sua redditività è presupposto fondamentale di ogni politica che miri alla salvaguardia economica e sociale delle zone costiere. Per questo si intende puntare su attività orientate al miglioramento delle strutture e dei servizi alla pesca, e in particolare delle infrastrutture e della logistica (portualità, mercati, certificazioni, sburocratizzazione, per citarne alcuni). Nello specifico, risulta quanto mai urgente rivalutare il ruolo dei mercati ittici, che dovrebbero evolversi in fornitori di servizi alle imprese ittiche per quanto riguarda la qualità, la certificazione e la sanità dei prodotti. Essi stanno perdendo il loro compito di incontro fra domanda e offerta, per cui occorre rivalutarne il ruolo favorendo una loro ristrutturazione, manutenendo banchine e porti nonché adottando politiche di concentrazione dell'offerta non solo in senso fisico, ma anche su piattaforme virtuali. Non va a questo proposito dimenticato che in Veneto risiedono due dei primi tre mercati nazionali per transiti di prodotti ittici.
Una necessità sempre più pressante è la promozione di forme di aggregazione organizzata dell'offerta per tipologia di prodotto e territorio che dovrebbe scaturire da un lavoro di coesione economica e sociale fra imprenditori in funzione dell'ottenimento del massimo rendimento sostenibile. La finalità ultima è la creazione di poche Organizzazioni di produttori e l'agevolazione di percorsi di filiera per le imprese produttrici in modo da renderle protagoniste della valorizzazione del prodotto prevedendo incentivi per quelle che si aggregano e si orientano verso attività commerciali, riappropriandosi di parte del valore del prodotto. In questa direzione va anche lo sviluppo delle attività connesse e affini, come l'avvio del recupero di strutture della pesca e acquacoltura per lo sviluppo di attività turistico-ricettive, da cui la recente legge regionale n. 28/2012 su pesca turismo e ittiturismo.
Una migliore organizzazione dell'offerta potrebbe agevolare non solo politiche di promozione e valorizzazione dei prodotti ittici veneti, ma anche aiutare i produttori nel percorso verso la tracciabilità imposto dalle politiche comunitarie e che, ad oggi, risulta ancora di difficile applicazione.
Dal punto di vista economico/sociale il settore lamenta una limitata visione imprenditoriale degli operatori - che si contraddistinguono spesso per la loro spiccata individualità - e l'aumento dei costi di produzione, in particolare di quelli energetici. L'eccessiva frammentazione e la presenza cospicua di micro imprese non facilita il rilancio delle attività di pesca e dell'imprenditorialità. (Figura 7.2.7)
Nell'ottica di regionalizzazione proposta dalla Commissione Europea ben si inserisce la costituzione del Distretto di Pesca Nord Adriatico, che permette di applicare in maniera integrata e su un'area ben definita i principi caratterizzanti della Politica Comune della Pesca, mediante la condivisione di sistemi di buona governance
Il Distretto ha l'obiettivo di essere uno strumento rilevante per la gestione degli aspetti economici, sociali e ambientali del mare comune, ma soprattutto per superare le rigidità di norme non adatte alla realtà dell'area nord adriatica.
Uno sguardo infine a cosa accade nell'allevamento ittico, settore complementare e non in conflitto con la pesca di cattura. Non c'è dubbio che nel prossimo futuro l'approvvigionamento di prodotti ittici dipenderà sempre più dall'acquacoltura. In questo settore sono necessarie maggiori garanzie sulle produzioni extracomunitarie, ma anche più attenzione in ambito comunitario allo scopo di uniformare condizioni di lavoro e tutela del lavoratore.
Un discorso a parte merita la venericoltura, settore in cui il Veneto è leader a livello nazionale. Le criticità del comparto sono legate a problematiche gestionali nella Laguna di Venezia e a necessarie opere strutturali per la rivivificazione delle acque nel Delta del Po. Per ovviare alla scarsità nel reperimento del seme di vongola filippina sono stati avviati alcuni progetti che mirano alla riproduzione artificiale di seme di vongola e al pre-ingrasso dei piccoli bivalvi fino alla taglia idonea per la semina.

Tabella 7.2.1

Import- export di prodotti agricoli, alimentari e bevande dal resto del mondo in milioni di euro - Anno 2012

Figura 7.2.1

Variazione percentuale delle importazioni ed esportazioni (anno base 1991 = 100). Veneto e Italia -  Anni 1991:2012

Figura 7.2.2

Variazione percentuale degli scambi per tipologia di mercati all'ingrosso (anno base 2000 = 100). Veneto - Anni 2000:2011

Figura 7.2.3

Flussi di merce in entrata e uscita nei mercati ortofrutticoli (percentuale sui volumi). Veneto - Anno 2011

Figura 7.2.4

Andamento del numero di cooperative e del valore del fatturato aggregato dal sistema cooperativo. Veneto - Anni 1973:2011

Tabella 7.2.2

Incidenza percentuale delle aziende agricole per tipologia di canale commerciale utilizzato e zona altimetrica. Veneto - Anno 2010

Tabella 7.2.3

Percentuale di prodotto venduto delle aziende agricole per tipologia di prodotto e canale commerciale utilizzato. Veneto - Anno 2010

Figura 7.2.5

Percentuale di prodotto venduto delle aziende agricole presenti nei farmers market per tipologia di canale commerciale utilizzato. Veneto - Anno 2009

Figura 7.2.6

Numero di imbarcazioni della flotta. Veneto - Anni 2000:2012

Tabella 7.2.4

Età media delle imbarcazioni. Veneto - Anno 2012

Figura 7.2.7

Andamento del numero di imprese della pesca e dell'acquacoltura. Veneto - Anni 2005:2012