Regione del Veneto - U.O. Sistema Statistico Regionale
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Rapporto Statistico 2013
Capitolo 5

Il settore della meccanica strumentale nel Veneto:
Come si trasformano le imprese per tenere il mercato? (Nota 1)

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5.1 La competizione: motore della trasformazione del proprio modello di business

Quando alla fine del 2008 i sistemi economici occidentali sperimentarono un drammatico ridimensionamento e peggioramento dei loro fondamentali (caduta verticale della domanda, brusca frenata della produzione, crisi dei consumi e collasso finanziario) molti dissero con un'espressione divenuta ormai celebre che "... nulla sarebbe stato più come prima ...", intendendo così sottolineare che i mutamenti imposti ai sistemi economici e produttivi sarebbero stati di portata tale da delineare un quadro assai diverso dal passato. A distanza di cinque anni, la crisi manifestatasi allora ha confermato quanto fosse davvero anomala rispetto a quelle sperimentate nei decenni trascorsi, al punto che ancora oggi si fatica a trovare globalmente una via di uscita; queste considerazioni non devono però nascondere il fatto evidente, che i sistemi produttivi sono comunque di per sé realtà continuamente in movimento, perché è la dinamica stessa della concorrenza a indurre le imprese a rimodellare costantemente il loro rapporto con il mercato. Se non sono in grado di affrontare il cambiamento esse rischiano infatti di soccombere: coloro che studiano i fenomeni della demografia industriale sanno bene che la nati-mortalità delle imprese è il punto di convergenza di varie dinamiche: la struttura della concorrenza, le prospettive di sviluppo, la complessità delle conoscenze produttive e delle tecnologie, la disponibilità di risorse adeguate (umane e finanziarie).
Questo lavoro presenta un approfondimento per il territorio veneto dei risultati di uno studio volto ad approfondire alcune caratteristiche dei percorsi evolutivi dei modelli di business delle PMI nel settore 'meccanica strumentale' (Nota 2) a livello nazionale. Allo scopo si è fatto uso dell'ampio archivio di dati strutturali di SOSE riguardanti le imprese con fatturato inferiore a 7,5 mln. di euro.
Quando si fa riferimento a modello di business, si intende la combinazione dei principali elementi della catena del valore attraverso cui le imprese configurano la propria attività e l'organizzazione interna per affrontare la concorrenza; il mix particolare in cui essi vengono combinati per effetto delle decisioni assunte da ciascuna impresa conduce ad una specifica configurazione dell'attività che sinteticamente si rispecchia in un profilo di business (Nota 3) . Nella tabella 5.1.1 sono elencati i principali profili di business delle PMI del settore disposti secondo una gerarchia di complessità, dal più semplice al più complesso.
Rispetto alla scelta originaria da parte dell'impresa di adottare uno specifico modello coerente con il sistema interno delle competenze tecnologiche, produttive e commerciali, i comportamenti con cui le imprese interagiscono con le dinamiche del mercato danno origine a flussi di transizione da un modello ad un altro, con modificazioni spesso rilevanti della catena del valore e dei suoi assetti organizzativi interni.
In relazione al percorso di mutamento intrapreso, tali percorsi di transizione sono stati indicati come movimenti di downgrading, quando l'impresa abbandona un modello di business più complesso per adottarne uno più semplice: si tratta delle situazioni in cui il cambiamento coinvolge, ad esempio, la struttura commerciale - riducendola, o nei casi estremi eliminandola- oppure comporta l'abbandono di marchi di prodotto, o ancora la perdita dei mercati esteri o infine la semplificazione del processo produttivo non solo nella articolazione della gamma di offerta, ma anche nella struttura delle fasi di produzione. (Tabella 5.1.1)
In numerosi casi il downgrading può significare adottare da parte dell'impresa anche un nuovo modello di business che non preveda il presidio diretto del mercato, ma si focalizzi su servizi produttivi effettuati nei confronti di una o più imprese committenti (le situazioni di terzismo). Generalmente, simili tendenze sottintendono la difficoltà di mantenere la competitività quando essa è focalizzata su leve competitive troppo complesse per il livello di capacità organizzativa espresso dall'impresa e per il sistema delle sue conoscenze (knowledge); di qui il tentativo di trovare un diverso posizionamento competitivo più "alla portata" dell'impresa che miri a facilitare la sua permanenza sul mercato. Nella "Meccanica Strumentale" questi flussi di transizione riguardano in media non meno del 40% delle imprese con punte fino al 70%-80%"in relazione al modello di business adottato.
In senso inverso, i percorsi di upgrading indicano sentieri di crescita vera e propria, una crescita soprattutto in termini di complessità organizzativa, strategica e spesso anche produttiva che, di conseguenza, conduce nel tempo a dimensioni più elevate (Nota 4) . Si tratta di flussi generalmente meno rilevanti quantitativamente, ma pur sempre importanti in quanto dimostrano non solo la vitalità della piccola impresa, ma anche la sua attitudine "selettiva" (ovvero di un numero minoritario di piccoli imprenditori) a spingersi verso sfide di mercato più difficili e più grandi: quasi sempre, infatti, l'upgrading approda a modelli di business la cui catena del valore è fortemente centrata sui mercati esteri e sul confronto competitivo internazionale. Da studi più vasti effettuati (Nota 5) , tale tendenza coinvolge non più del 30% circa delle imprese in tutti i settori, con proporzioni più accentuate per "Lavorazione di metalli" e "Lavorazioni Plastiche"; anche nel settore della "Meccanica strumentale" questo fenomeno assume connotati interessanti.
Ma qual è l'esito finale di questi percorsi di trasformazione dei sistemi produttivi? E in quale misura l'evoluzione del modello di business originario è in grado di accrescere la capacità dell'impresa di affrontare la concorrenza o anche, più semplicemente, di tenere il mercato? Per cercare di fornire una risposta a questi interrogativi si è proceduto, per il settore della meccanica, ad una stima empirica delle probabilità di sopravvivenza delle imprese (Nota 6) associata ai diversi comportamenti di trasformazione del proprio modello di business, verificando:
  • a quali condizioni la transizione tra modelli differenti riesce ad accrescere la probabilità di sopravvivenza e in quale orizzonte temporale;
  • se in tali percorsi l'adozione di uno specifico modello si riveli più efficace di altri;
  • se abbia maggior successo la transizione da strutture più complesse della catena del valore a strutture più semplici o viceversa.
Oltre a valutare il grado di successo delle strategie di trasformazione in relazione al modello di business adottato, ci si è anche chiesti se e in che misura la dimensione dei mercati di sbocco possa condizionare la scelta del percorso di cambiamento. Infatti i profili di competenza e la stessa catena del valore prendono forme diverse in relazione al mercato obiettivo che l'impresa intende raggiungere: sia esso di dimensione locale, nazionale o internazionale. Per sostenere più efficacemente la concorrenza dell'impresa sui mercati internazionali e, più in generale, garantirne la sopravvivenza anche nel lungo termine, occorrono modelli di business evoluti in cui il valore creato dipende strettamente sia dalla capacità di innovazione tecnologica, sia dallo sfruttamento di risorse immateriali quali la forza commerciale e l'impiego di marchi di prodotto, e infine dall'abilità a rendere flessibili i costi di produzione.
Al contrario, se l'ambito operativo dell'impresa viene limitato a dimensioni locali gli approcci di tipo artigianale e/o meno strutturati al mercato risultano adeguati: questo livello, infatti, caratterizzato da una scala limitata di produzione, facilita il controllo a costi contenuti delle dinamiche della domanda e delle esigenze della clientela; non richiede strutture commerciali e può prescindere dall'impiego di marchi di prodotto, e talvolta consente margini di libertà maggiori sul fattore prezzo. Tuttavia, dal momento che le dinamiche dei mercati locali sono pur sempre - anche se meno direttamente - governate dall'evoluzione dei mercati globali, questi fattori non si rivelano sufficienti a porre in modo durevole la piccola impresa al riparo dalla competizione più ampia: risultano facilmente imitabili, al punto che la loro fragilità finisce per ripercuotersi sulla probabilità di sopravvivenza delle imprese che operano con tali modelli di business, riducendola.

Tabella 5.1.1

Tassonomia dei modelli di business e loro ordinamento gerarchico (dal più semplice al più complesso) (*)
 
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5.2 Quale vocazione di mercato per i modelli di business delle imprese meccaniche venete (Nota 7) ?

Sotto l'aspetto strutturale la suddivisione delle piccole imprese meccaniche per modello di business nel Veneto non risulta molto dissimile dalla media nazionale così come le modificazioni intervenute su tale struttura nel periodo 2004-2010.
Nel 2010 la prevalenza dei modelli di terzismo mostrava proporzioni analoghe (65% delle imprese sul totale) tanto in Veneto quanto nella media del Paese, così come simile era la composizione dei profili al loro interno: tra le forme di terzismo il modello più diffuso (61%) risultava in entrambi i casi quello basato "...sulla specializzazione in una fase produttiva, con rapporto di prevalente monocommittenza" (MB6); seguivano a distanza (3%) i "terzisti che esternalizzano fasi ad alto valore aggiunto (i trattamenti)"(MB4) e (1%) i "terzisti specializzati in un unico mercato di sbocco che operano anche con scambi internazionali" (MB2). Questi profili segnalano, in primo luogo, che il tessuto industriale della piccola impresa meccanica è caratterizzato tanto nel Veneto quanto a livello Italia da una forte estensione delle reti informali composte soprattutto da operatori che si sono specializzati nel fornire servizi produttivi ad altre imprese (terzismo): servizi che comportano sia un livello di qualità molto elevato (in termini di puntualità delle consegne, rapidità dei tempi di lavorazione, prezzi competitivi) pena la perdita della relazione con l'impresa-cliente; sia la capacità di rendere flessibile la risposta produttiva alle esigenze del cliente ricorrendo ad un ulteriore livello di terzismo specializzato; sia la partecipazione alle catene di fornitura internazionale grazie all'elevata efficienza del servizio reso.
Tale struttura è venuta rafforzandosi nella seconda metà degli anni duemila: nel 2004 il peso di tali modelli era inferiore (57% in Veneto e 55% a livello Italia); tra questi in particolare, si è fortemente accresciuto nel periodo (+14-15 punti percentuali) il terzismo "esclusivo" in cui la fidelizzazione ad un cliente principale, è legata alla capacità di mantenere qualità e affidabilità della relazione di subfornitura. (Figura 5.2.1) (Figura 5.2.2)
In parallelo va segnalata la perdita della capacità di restare ancorati alle supply chain internazionali: la numerosità delle imprese con modelli di business terzisti aperti verso l'estero non era già elevata nel 2004 (2% in Italia e 3% in Veneto) e nel 2010 per effetto della crisi globale dei mercati, risulta dimezzata in Italia e ridotta ad un terzo in Veneto.
Concentrando l'attenzione sulla relazione tra modello di business e dimensione del mercato servito (locale, nazionale ed internazionale) l'analisi per "mercati di destinazione" dei prodotti/servizi rivela che l'apertura verso le supply chains internazionali non è però soltanto tipica del MB 2 "terzisti specializzati in un unico mercato di sbocco che operano anche con scambi internazionali" , ma riflette l'approccio competitivo anche dei "terzisti che esternalizzano fasi ad alto valore aggiunto (i trattamenti)"(MB4): per entrambi i gruppi, infatti, di quel 59-63% di imprese che realizzano il proprio fatturato prevalentemente in un ambito extra locale più del 90% esporta all'estero e in misura rilevante (72% - 84%) anche nei paesi extra-UE. (Tabella 5.2.1) (Tabella 5.2.2)
A livello Paese si confermano sostanzialmente le medesime caratteristiche appena descritte ma con una percentuale inferiore, a dimostrazione che nel Veneto la presenza di aree territoriali a forte specializzazione produttiva e la stessa presenza di distretti produttivi comportano un' impostazione strategica più internazionalizzata da parte delle imprese meccaniche.
All'opposto il modello di business del terzismo "esclusivo" che rivolge i propri servizi di subfornitura ad un cliente principale (MB6), mette in luce un approccio di mercato del tutto differente, prevalentemente focalizzato sulle relazioni locali: per il 78% delle imprese venete il fatturato (tabb. 5.2.1. e 5.2.2) viene realizzato, infatti, entro una dimensione geografica poco più che regionale mentre l' esportazione all'estero riguarda meno del 20% delle imprese. Del tutto analogo a quello veneto risulta il profilo di mercato di questo modello di business sul piano nazionale; ciò rafforza la conclusione che:
  • da un lato, il rapporto di fidelizzazione nei confronti del cliente principale sembra richiedere una contiguità geografica che contribuisce a semplificare e ridurre i costi di controllo della relazione con il cliente;
  • dall'altro, la focalizzazione delle competenze produttive su unica fase di lavorazione, tipica di tale approccio, concorre a indebolire la capacità di competere riducendone l'apertura verso i mercati internazionali.
Quest'ultima considerazione va anche interpretata alla luce della crescente importanza che nella seconda metà degli anni duemila tale modello di business è venuto assumendo sia nel Veneto che a livello nazionale: un numero consistente di piccole imprese meccaniche ha, infatti, adottato quelle logiche organizzative e quella catena del valore; occorre allora capire come si siano caratterizzati i percorsi evolutivi delle imprese che hanno scelto di modificare la propria configurazione competitiva originaria, a favore di questo approccio strategico: in chiave difensiva e di sopravvivenza a fronte di un ridimensionamento globale della domanda? E con quali prospettive di successo?
Risposte che l'analisi successiva cercherà di fornire mettendo a fuoco le caratteristiche dei percorsi evolutivi da altri modelli di business verso questo modello di terzismo monocliente e valutando le probabilità di restare sul mercato per effetto di tale scelta strategica.
Per quanto riguarda i modelli di business delle piccole imprese meccaniche che presidiano direttamente i mercati di sbocco risultano dominanti, sia in Veneto sia in Italia, "le imprese specializzate nella produzione di sistemi e parti che fanno ricorso a marchi propri (MB3)" con una quota attorno al 19%-20% sul totale (figg. 5.2.1 e 5.2.2): si tratta di aziende che producono impianti produttivi (o parti) destinati ad altre imprese (canali BtoB) principalmente nei settori della metallurgia, del legno, dell'agricoltura e della plastica. La dimensione di mercato è soprattutto nazionale, con una quota per le imprese venete superiore alla media nazionale (71,7% vs. 67,8%); malgrado, il ricorso a marchi di prodotto, la forza di penetrazione sui mercati internazionali resta un po' limitata per tale modello di business, ma pur sempre superiore per le imprese venete rispetto alla media nazionale (62% vs 59,6% per le aree UE e 52,5% vs 50,6% per le aree extra UE). Ciò è in relazione anche a minori investimenti nella struttura commerciale che ne caratterizzano il profilo, non ancora adeguati a sostenere un forte sviluppo sui mercati internazionali. (Tabella 5.2.3) (Tabella 5.2.4)
I modelli di business con la capacità di esportazione più elevata sono invece il MB5 "imprese specializzate in sistemi e parti, con apertura internazionale e che fanno ricorso a marchi propri" che, stante la medesima specializzazione produttiva del MB3 e la comune strategia di valorizzazione del marchio, si distingue da esso proprio per la spiccata vocazione internazionale sostenuta da maggiori investimenti immateriali nelle reti commerciali; e il MB11 "imprese specializzate in prodotti finiti di qualità che utilizzano marchi ed esternalizzano i trattamenti a valore aggiunto" per il quale la quota di imprese il cui fatturato è generato da mercati extra locali è superiore all'80% (tabb 5.2.3 e 5.2.4) e per oltre il 90% di quest'ultime proviene dalle esportazioni. Va segnalato che rispetto alla media Italia per le imprese Venete già al 2010 la percentuale di imprese esportatrici in paesi extra UE era superiore a quella dei paesi UE denotando una più rapida capacità di aggredire i mercati emergenti.
Tuttavia, l'importanza e la diffusione di tali modelli di business tra le piccole imprese resta ancora piuttosto contenuta non superando complessivamente il 7%, come si evince dalle figure 5.2.1 e 5.2.2. I modelli di business rimanenti (MB7 "Imprese specializzate in sistemi e parti, con un unico mercato specifico di sbocco ma prive di marchio" e MB9 "Imprese specializzate in prodotti finiti e che non utilizzano marchi") con cui le piccole imprese meccaniche presidiano direttamente il mercato evidenziano, invece, una decisa e marcata propensione ad operare nell'ambito di mercati locali (non meno del 60%-65% delle loro imprese), come conseguenza di catene del valore basate su un'organizzazione interna semplificata, non manageriale e caratterizzata da irrilevanti o nulli investimenti nei fattori immateriali (marchi e reti commerciali).

Figura 5.2.1

Meccanica strumentale: distribuzione percentuale delle piccole imprese per modello di business. Veneto e Italia - Anno 2010

Figura 5.2.2

Meccanica strumentale: distribuzione percentuale delle piccole imprese per modello di business. Veneto e Italia - Anno 2004

Tabella 5.2.1

Meccanica strumentale: ripartizione percentuale delle imprese per modello di business e area di mercato. Imprese che operano in conto terzi. Veneto - Anno 2010

Tabella 5.2.2

Meccanica strumentale: ripartizione percentuale delle imprese per modello di business e area di mercato. Imprese che operano in conto terzi. Italia - Anno 2010

Tabella 5.2.3

Meccanica strumentale: ripartizione percentuale delle imprese per modello di business e area di mercato. Imprese che presidiano direttamente il mercato. Veneto - Anno 2010

Tabella 5.2.4

Meccanica strumentale: ripartizione percentuale delle imprese per modello di business e area di mercato. Imprese che presidiano direttamente il mercato. Italia - Anno 2010
 
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5.3 Le imprese (Nota 8) che trasformano il proprio modello di business riescono a rimanere più a lungo sul mercato

L'analisi ha evidenziato che nel settore della meccanica strumentale la relazione tra modelli di business e dimensione geografica del mercato sembra essere fortemente condizionata dalla complessità della catena del valore sottostante il singolo modello di business ed in particolare dai seguenti fattori:
  1. investimenti in risorse immateriali (le reti commerciali e il marchio di prodotto);
  2. livello delle competenze tecnologiche e produttive che presuppongono importanti capacità di gestione manageriale dell'organizzazione di impresa.
Infatti, il maggior grado di apertura verso i mercati internazionali -sia per le imprese che presidiano direttamente i mercati di sbocco sia per le imprese che adottano modelli di subfornitura in grado di accedere ed operare all'interno delle supply chain internazionali- si riscontra tra i modelli di business centrati su catene del valore più evolute e sui vantaggi competitivi anzidetti. Tale relazione sembra assumere quasi carattere strutturale: essa prescinde, infatti, dal contesto territoriale considerato rivelandosi molto simile tanto per le imprese operanti nel Veneto quanto per la totalità del Paese.
Quanto sono importanti i diversi e specifici vantaggi competitivi dei modelli di business nel determinare le loro probabilità di sopravvivenza sul mercato? Sono proprio questi vantaggi a guidare i percorsi di trasformazione? Se così fosse, ci si potrebbe attendere una tendenza evolutiva generale verso quei profili di business i cui fattori di competizione e la cui catena del valore risultano superiori. In realtà, le traiettorie di mutamento (Nota 9) osservate si configurano soprattutto come percorsi di "downgrading" competitivo piuttosto che come evoluzioni verso modelli di business più complessi ("upgrading"); di fronte a questo quadro verrebbe da pensare che tali dinamiche siano soprattutto indotte dalle difficoltà a fronteggiare la competizione da parte di imprese che hanno strutturato una catena del valore difficile da gestire efficientemente e che in tal modo mirano ad una sua semplificazione. E per contro, le imprese che mantengono nel tempo il medesimo modello di business potrebbero essere ritenute quelle più solide ed abili nel gestire con efficacia le leve competitive.
Per verificare questa ipotesi si è proceduto a stimare la curva di sopravvivenza per l'intero insieme di imprese operanti nel settore (almeno per un anno) tra il 2004 e il 2010 in Veneto ed in Italia. I risultati ottenuti si riferiscono alla probabilità di sopravvivenza delle imprese per ciascun modello di business considerato, calcolata nel breve (tre anni) e nel medio-lungo termine (sette anni) per poter meglio valutare la solidità delle prospettive di permanenza sul mercato; la soglia che discrimina le migliori prospettive di restare sul mercato è stata fissata al 50%. (Figura 5.3.1) (Figura 5.3.2)
I risultati si rivelano sorprendenti: in Veneto le imprese che hanno mantenuto stabilmente il medesimo modello di business per tutto il periodo sono caratterizzate da una probabilità di sopravvivenza -nel breve e ancor più nel lungo termine- inferiore alla media generale del settore, ma soprattutto a quella delle imprese che hanno intrapreso percorsi di mutamento.
In particolare, nel breve termine il valore della sopravvivenza per tale gruppo di imprese supera la soglia del 50% soltanto nei seguenti casi:
  1. tra le imprese che presidiano direttamente i mercati, nei modelli di business centrati su catene del valore più complesse in cui gli investimenti immateriali costituiscono il vantaggio competitivo determinante per affrontare i mercati internazionali (MB5 e MB11 e più limitatamente MB3) (Nota 10);
  2. tra le imprese che effettuano servizi di subfornitura ad altre imprese, unicamente nel MB6 modello per il quale la relazione esclusiva con l'impresa committente rappresenta la strategia fondamentale.
In tutti gli altri casi si osservano valori di sopravvivenza inferiori al 50%, un risultato che può spiegarsi con la fragilità dei fattori competitivi attorno a cui sono costruiti quei modelli di business: per le imprese di subfornitura che si relazionano con le supply chain internazionali (MB2 e MB4), ad agire in senso sfavorevole è la forte esposizione alle logiche della concorrenza su mercati più difficili: a fronte di questo, non sembra costituire un sufficiente fattore di contrasto la specializzazione delle competenze produttive o la capacità di governare ulteriori livelli di esternalizzazione di fasi produttive (MB4). Per le altre imprese che presidiano direttamente il mercato (MB9, MB7 e MB1), invece, i punti di debolezza sembrano risiedere in particolare proprio nella dimensione locale del mercato stesso che viene affrontato con strutture organizzative poco (o nulla) managerializzate: in tal senso l'assenza di investimenti in marchi distintivi di prodotto e la scarsa rilevanza di strutture commerciali articolate, finiscono con il concentrare la leva competitiva principalmente sul prezzo del prodotto riducendo nel tempo la marginalità del business.
Il quadro così rappresentato evolve in senso ulteriormente negativo se si valuta un orizzonte di medio-lungo termine (7 anni): soltanto due modelli di business mantengono una probabilità di sopravvivenza superiore al 50% ((Figura 5.3.2) e si tratta di imprese che presidiano direttamente i mercati proponendosi con marchi di prodotto (MB5 e MB3). In tutti gli altri casi le probabilità sono drasticamente decurtate, specie per i subfornitori contoterzisti (MB2 e MB4) per i quali vi sono solo il 15%-16% di probabilità di sopravvivenza, mentre per i modelli di business che presidiano direttamente i mercati con catene del valore semplificate (MB1, MB9 e MB7) esse variano in un range di valori compreso tra il 19% e il 37%.
La scelta di intraprendere percorsi di trasformazione della propria catena del valore aziendale, si rivela invece decisamente premiante: sia che tali percorsi siano orientati ad un upgrading competitivo sia che invece siano orientati nella direzione di una semplificazione della propria catena del valore interna, le probabilità di sopravvivenza nel breve periodo (3 anni) aumentano generalmente al di sopra del 90% indipendentemente dal profilo di business di partenza. Anche nel lungo termine (7 anni) tali valori si mantengono elevati, prevalentemente al disopra dell'80%, con differenziali positivi molto significativi soprattutto a favore dei modelli di business più deboli e maggiormente esposti alla prospettiva di uscire dal mercato: ovvero i due modelli di subfornitura (MB2 e MB4) e il MB1 " imprese specializzate in beni strumentali, con apertura ai mercati internazionali ma prive di marchi"; per le imprese di quest'ultimo si rivelano particolarmente efficaci soprattutto i percorsi di downgrading .
Un sensibile aumento della capacità di tenere il mercato si verifica anche in seguito a percorsi di upgrading quando le imprese che abbandonano il proprio assetto originario centrato su catene del valore semplificate (MB7 e MB9), assumono modelli di business più complessi. E si vedrà nel seguito più dettagliatamente verso quali nuove configurazioni organizzative e competitive tali imprese si sono principalmente orientate. (Figura 5.3.3) (Figura 5.3.4)
Poste a confronto con i comportamenti delle imprese a livello nazionale queste tendenze confermano nella sostanza le evidenze già esaminate per i Veneto:
  1. le probabilità di sopravvivenza per le imprese che non mutano il proprio profilo competitivo iniziale sono maggiori del 50% limitatamente ai medesimi modelli di business evidenziati nel Veneto. I valori sono simili, attorno al 62%-63% ((Figura 5.3.3); un po' superiori (58%) rispetto al Veneto nel caso del MB1;
  2. se si considerano i percorsi di mutamento nel breve termine, le probabilità di sopravvivenza salgono oltre il 90% e sono mediamente superiori di qualche punto percentuale rispetto alla situazione veneta; vi sono più opzioni di trasformazione per i MB2 e MB4 le cui imprese intraprendono anche percorsi di upgrading, pur se con percentuali di sopravvivenza inferiori agli altri casi;
  3. nel lungo termine ((Figura 5.3.4) i valori di sopravvivenza si mantengono in media attorno all'80% ma risultano generalmente inferiori di qualche punto ai livelli registrati nel Veneto dai modelli di business analoghi (sole eccezioni i MB6, MB7 e MB9);
  4. in generale, i percorsi di upgrading conducono a probabilità di sopravvivenza inferiori rispetto ai percorsi di downgrading, volti a semplificare le leve competitive e le strategie di mercato.

Figura 5.3.1

Meccanica strumentale: probabilita' di sopravvivenza a tre anni. Imprese stabili vs. percorsi di downgrading e upgrading. Veneto - Anno 2010

Figura 5.3.2

Meccanica strumentale: probabilita' di sopravvivenza a sette anni. Imprese stabili vs. percorsi di downgrading e upgrading. Veneto - Anno 2010

Figura 5.3.3

Meccanica strumentale: probabilita' di sopravvivenza a tre anni. Imprese stabili vs. percorsi di downgrading e upgrading. Italia - Anno 2010

Figura 5.3.4

Meccanica strumentale: probabilita' di sopravvivenza a sette anni. Imprese stabili vs. percorsi di downgrading e upgrading. Italia - Anno 2010
 
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5.4 Come si trasformano le piccole imprese meccaniche del Veneto (Nota 11) ?

Vediamo ora, nel dettaglio, quali sono le modalità con cui le piccole imprese meccaniche si trasformano con l'obiettivo di mantenere la capacità di restare sul mercato; ovvero quali sono i modelli di business verso cui si orientano i percorsi evolutivi delle imprese che decidono di cambiare le leve della competizione e di modificare la struttura della catena del valore interna. I casi più interessanti sono quelli messi in evidenza dall'analisi precedente, per i quali il differenziale positivo delle probabilità di permanenza sul mercato risulta maggiore per effetto di un mutamento del modello di business.
Considerando le imprese che presidiano direttamente il mercato, i modelli " Imprese specializzate in sistemi e parti, con unico mercato specifico di sbocco ma prive di marchio" (MB7) e "Imprese specializzate in prodotti finiti e che non utilizzano marchi" (MB9) percorrono due strade opposte: da un lato, rifocalizzano la propria catena del valore mutando radicalmente strategia (Tabella 5.4.1) ovvero trasformano il proprio modello di business in un modello di terzismo monocliente (MB6) o caratterizzato dalla specializzazione in una specifica lavorazione (MB8). Si tratta di percorsi di semplificazione rispetto alla strategia originaria, in quanto rinunciano alla specializzazione produttiva e soprattutto alla logica di gestione diretta del mercato. Dall'altro, intraprendono percorsi di "upgrading" (Tabella 5.4.2) rafforzando l'impiego di marchi di prodotto (MB3) ed anche potenziando le reti commerciali per competere efficacemente sui mercati internazionali (MB5). (Tabella 5.4.)
Per quanto riguarda invece, i due modelli di subfornitura che sono inseriti nelle supply chains internazionali (MB2 e MB4) va sottolineato che le loro traiettorie di mutamento sono contraddistinte unicamente dalla semplificazione delle strategie concorrenziali, essendo volte a focalizzare l'attività di terzismo principalmente sul mercato interno - addirittura con una dimensione geografica regionale (tab 5.4.2) - e ad abbandonare la complessità delle competenze di processo e di coordinamento organizzativo (MB4) raggiunte ma non in grado di esser mantenute. (Tabella 5.4.3) (Tabella 5.4.4)
Come si può osservare, infatti, i "terzisti che esternalizzano fasi ad alto valore aggiunto (i trattamenti)" nel MB4 si orientano da un lato verso forme di terzismo monocliente (MB6), dall'altro verso specializzazioni in un'unica lavorazione ma completamente integrate e sviluppate al proprio interno (MB8); allo stesso modo, i "terzisti specializzati in un unico mercato di sbocco che operano anche con scambi internazionali" (MB2) si orientano verso il terzismo "esclusivista" (MB6). Vanno segnalati inoltre (Tabella 5.4.3), anche radicali mutamenti strategici che aprono l'impresa ad un presidio diretto del mercato (MB3) massimizzando in tal modo le probabilità (93%) di permanenza anche nel lungo termine. Non si osservano percorsi evolutivi verso configurazioni più complesse (upgrading) della catena del valore (Tabella 5.4.4) da parte di tali imprese: quest'ultimi sono, invece, le traiettorie di crescita intraprese dai " terzisti specializzati in una fase produttiva, con rapporto di prevalente monocommittenza" (MB6) i quali riposizionano la propria strategia competitiva in vari modi: assumendo il presidio diretto del mercato mediante modelli di business specializzati in impianti produttivi (MB7) o prodotti finiti (MB9); indirizzandosi verso strutture organizzative più evolute (MB5) in grado di competere sui mercati esteri, grazie all'investimento in marchi di prodotto e reti commerciali. Il riposizionamento della strategia concorrenziale, infine, si manifesta anche spingendo i servizi di subfornitura verso le sfide collegate alle supply chain internazionali (MB2 e MB4).
Un'ultima considerazione riguardo i comportamenti delle imprese che adottano i modelli di business più complessi e che presidiano direttamente i mercati di sbocco, caratterizzati da una forte apertura verso l'estero (MB5 e MB11): colpisce il fatto che le probabilità di permanenza sul mercato aumentino considerevolmente (+28-32 punti percentuali, (Figura 5.3.1) quando essi pongono in atto un riposizionamento "al ribasso" della modalità di competere che abbandona i marchi di prodotto (MB7 e MB9, (Tabella 5.4.1) o che modifica radicalmente l'approccio strategico preferendo operare come terzista entro le catene di subfornitura (Tabella 5.4.1): sia in ambiti locali di mercato (MB6 e MB8) sia all'estero (MB2 e MB4). E' il segnale tangibile di una difficoltà diffusa a reggere le logiche della competizione che richiedono: strutture organizzative e catene del valore interne complesse, un forte grado di capacità manageriale ed investimenti immateriali continui; preferendo piuttosto "ripiegare" su strategie che implicano leve competitive più semplici. (Tabella 5.4.5)
Un comportamento nel complesso non tipico delle sole piccole imprese meccaniche venete quanto invece comune a tutto il territorio nazionale. Se una diversità può essere rintracciata, essa consiste di due aspetti.
  • Il primo concerne i percorsi di trasformazione delle imprese che adottano modelli di subfornitura e che in ambito nazionale mostrano un insieme più ampio di opzioni di mutamento strategico. Si evidenziano, infatti, percorsi di "upgrading" che comportano mutamenti radicali della strategia adottata, abbandonando le logiche di subfornitura per abbracciare logiche di gestione diretta del mercato (verso MB1, MB5 e MB11).
  • secondo aspetto concerne l'esito finale di tali percorsi di mutamento che si esprime nella probabilità di sopravvivenza di lungo periodo e che, come già dimostrato, risulta un po' più elevata per le imprese venete rispetto alla media nazionale.

Tabella 5.4.1

Meccanica strumentale: Percorso di 'DOWNGRADING' e stima delle probabilità di sopravvivenza. Modelli di business con presidio diretto del mercato. Veneto

Tabella 5.4.2

Meccanica strumentale: Percorso di 'UPGRADING' e stima delle probabilità di sopravvivenza. Modelli di business con presidio diretto del mercato. Veneto

Tabella 5.4.3

Meccanica strumentale: Percorso di 'DOWNGRADING' e stima delle probabilità di sopravvivenza. Modelli di business contro-terzisti. Veneto

Tabella 5.4.4

Meccanica strumentale: Percorso di 'UPGRADING' e stima delle probabilità di sopravvivenza. Modelli di business contro-terzisti. Veneto

Tabella 5.4.5

Meccanica strumentale: Percorso di 'UPGRADING' e stima delle probabilità di sopravvivenza. Modelli di business contro-terzisti. Italia
 
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5.5 Considerazioni conclusive (Nota 12)

Nella seconda metà degli anni duemila (2004-2010) nel settore della meccanica strumentale del Veneto le piccole imprese hanno tenuto comportamenti competitivi mutevoli di fronte ai continui cambiamenti dello scenario economico, con l'obiettivo di rafforzare la capacità di permanenza sul mercato: schematizzando, si può dire che sia i comportamenti di tipo adattivo (principalmente i percorsi di downgrading volti a semplificare la struttura della catena del valore interna e i conseguenti assetti organizzativi aziendali) sia i percorsi di tipo proattivo (l'adozione di modelli di business più complessi) hanno conseguito con notevole successo tale obiettivo. La probabilità di sopravvivenza sul mercato è, infatti, sensibilmente aumentata per le imprese che hanno intrapreso tali percorsi di trasformazione del proprio modello di business, soprattutto nel breve termine (sempre al disopra del 90%) ma anche nel lungo termine. Al contrario, le imprese che hanno mantenuto stabilmente lo stesso approccio competitivo e la medesima struttura della catena del valore interna, senza modificare la propria "value proposition", hanno generalmente evidenziato le maggiori difficoltà a tenere il mercato; le sole eccezioni riguardano da un lato, i modelli con un approccio al mercato centrato su investimenti immateriali e competenze manageriali in grado di sostenere la concorrenza sui mercati internazionali; dall'altro, il modello della subfornitura "esclusiva" verso un cliente principale.
Trasformarsi ha significato quindi rispondere ai cambiamenti imposti dai mercati rivelandosi la strategia vincente per continuare a competere; un segnale positivo di vitalità e di dinamismo. Tuttavia, all'interno di questo ampio fenomeno occorre distinguere la valenza dei processi di trasformazione per poter calibrare il giudizio di merito. Innanzitutto, la diffusa convergenza su percorsi di semplificazione delle leve competitive e degli assetti organizzativi interni, cui è collegata una miglior possibilità di sopravvivenza, è un segnale di generale difficoltà a sostenere modelli di business più complessi e in particolare, quelli che consentono di competere sui mercati esteri. In tal senso il ripiegamento sul mercato interno e, ancor di più, su dimensioni locali non può essere considerato come una tendenza positiva: anzi, esprime il deficit di competenze manageriali e in senso lato di marketing che principalmente possono valorizzare l'eccellente qualità del prodotto italiano sui mercati internazionali.
In secondo luogo, la particolare centralità entro la filiera produttiva del modello di business della subfornitura "esclusiva" (monocliente) verso cui soprattutto convergono i percorsi di trasformazione dei vari modelli di business del settore e la prevalente dimensione locale delle sue relazioni produttive, rappresentano l'altra faccia del problema più sopra evidenziato: specie nei momenti di forte turbolenza dei mercati risulta più facile "vendere la propria competenza produttiva" ad altre imprese più grandi, piuttosto che andare a caccia di nuovi mercati, specie se assai lontani. Non è un limite unicamente del sistema Veneto; anzi, l'analisi ha mostrato una sostanziale identità con i modelli di comportamento e con la struttura del sistema produttivo a livello nazionale. Ma proprio per questo si pone con rilevanza ancor più forte, la necessità di azioni e politiche che mirino a far evolvere la cultura imprenditoriale da una visione di prodotto ad una visione di mercato, al centro della quale ci sia una solida ed efficiente capacità commerciale: un salto che inevitabilmente conduce poi l'impresa verso dimensioni organizzative maggiori, abbandonando le logiche limitanti del restare piccoli.