Regione del Veneto - U.O. Sistema Statistico Regionale
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Rapporto Statistico 2013
Capitolo 9

Le strategie delle famiglie: rivedere priorita' e comportamenti

Che il presente oggi rappresenti un momento di trasformazioni anche sociali è ormai indubbio, nel giro di pochi mesi è mutata non solo la consapevolezza generale della particolarità del momento storico ma anche la necessità e la sensibilità di adeguare comportamenti, stili di vita, scelte personali e collettive alla nuova situazione.
Orientarsi attraverso le informazioni statistiche in questa moltitudine di effetti e di stimoli che, pur partendo dal singolo, hanno valenza sociale, non è facile, data la complessità, la velocità e l'apparente contradditorietà di alcuni fenomeni e i tempi "fisiologici" della produzione dei dati. Tuttavia, è di sicuro interesse tentare di cogliere gli aspetti più evidenti nella molteplicità di risposte e di reazioni di persone, famiglie e comunità.
Nel 2011 si è svolto il 15° Censimento della popolazione e delle abitazioni che ha ridisegnato la nostra mappa demografica e i macro cambiamenti avvenuti negli ultimi dieci anni, fornendo risposte non solo al "quanti siamo" ma altresì al "chi siamo" e al "dove e come" scegliamo di vivere. Scelte che sempre più spesso sono legate alle contingenze di lavoro e reddito, si pensi alla scelta tra lo stabilirsi in grandi centri o nelle periferie o a quella di avere figli, di andare a studiare o a lavorare all'estero, ma che sono legate anche al clima sociale, all'intreccio di soddisfazione per il presente e di fiducia nelle prospettive.
L'affacciarsi di nuove povertà e l'aumento delle disuguaglianze sono divenuti materia di cronaca, cambiando anche i connotati della comunicazione, ma ai costi della crisi il corpo sociale ha reagito dapprincipio trovando una robustezza fatta, come sottolinea il Censis nel suo ultimo rapporto (Nota 1), di "restanza" -ovvero ripresa e valorizzazione di tutto ciò che resta di funzionante dei precedenti processi di sviluppo- e poi dimostrando di saper cambiare, cercando nuove strade nel rivedere priorità e comportamenti. Sobrietà è tra i vocaboli tornati più in voga, anche riportando i consumi a logiche a-competitive di bisogno e non di status, si fanno strada la solidarietà e un rinnovato desiderio di prossimità, di farsi comunità. La presenza straniera, che in questa situazione rischia di essere vissuta esclusivamente in termini di conflitto, è a tutt'oggi considerata, come emerge in un'indagine Istat (Nota 2), in modo ambivalente tra "eccessiva" (65,2% dei rispondenti) e valevole di diritto al voto amministrativo (42,6%) e di riconoscimento della cittadinanza ai figli nati in Italia (72,1%). E proprio gli stranieri, che in questo frangente subiscono in modo acuto il dramma della crescente disoccupazione, sono tuttavia i più ottimisti e condividono l'accresciuta spinta generale all'impegno personale e all'instaurare relazioni e reti solidali.
Per tutti, accanto a vere rinunce, a scelte ponderate e a oculate strategie di consumo e risparmio, la valorizzazione del proprio capitale sociale pare costituire un dispositivo elettivo e virtuoso per cercare di mantenere il più possibile inalterato il proprio status.
 
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9.1 - Il Censimento della popolazione, disegno della nuova società

Al 9 ottobre 2011, data del 15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni realizzato da Istat, in Italia risiedono 59.433.744 persone. La popolazione censita (pubblicata su Supplemento ordinario n. 209 alla Gazzetta Ufficiale 294 del 18 dicembre 2012) diviene riferimento legale per il Paese fino alla successiva rilevazione ed è perciò definita "popolazione legale". Rispetto al Censimento del 2001 si registra un aumento della popolazione del 4,3%: incrementi consistenti si osservano soprattutto nelle regioni settentrionali e del Centro, al contrario al Sud e nelle Isole prevalgono i comuni che vedono diminuire i propri residenti. In Veneto la popolazione legale raggiunge i 4.857.210 abitanti, circa 329.500 persone in più rispetto a dieci anni prima, pari a un incremento del 7,3%, uno dei maggiori registrati in Italia.
Il Censimento fornisce informazioni utili per l'aggiornamento delle anagrafi comunali della popolazione residente, per cancellare coloro che erano iscritti ma sono risultati irreperibili al momento del Censimento, e iscrivere, invece, i nuovi residenti. In base alle recenti revisioni delle anagrafiche comunali e tenuto conto dei movimenti demografici negli ultimi mesi dell'anno, alla fine del 2011 la popolazione residente in Veneto scende a 4.853.657 abitanti e di questi 458.930 sono stranieri.
Grazie ai dati dei Censimenti è possibile ripercorrere la storia demografica del Paese nel lungo periodo, apprezzandone l'evoluzione, non solo in termini quantitativi, ma anche e soprattutto in termini strutturali, per capire come sta cambiando la società, se sta invecchiando, diventando più multietnica, più mobile, più scolarizzata.
Le dinamiche di natalità, di mortalità e dei flussi migratori riflettono importanti cambiamenti sul profilo per età della popolazione, che dal dopoguerra ad oggi, in Veneto come in Italia, risulta sempre più vecchia. La fascia giovane è in costante diminuzione, tanto che, se nel 1951 i ragazzi sotto i 15 anni rappresentavano il 28% della popolazione, oggi tale quota si riduce al 14%; al contrario, aumenta significativamente il peso della componente anziana, dal 7,7% nel 1951 al 20,6% nel 2011. Più alta la percentuale di anziani nelle province di Belluno, Rovigo e Venezia, zone meno attrattive dal punto di vista economico, dalle quali la fascia attiva della popolazione si sposta per studiare o lavorare altrove.
A livello provinciale, rispetto al 2001 la popolazione cresce in maniera molto significativa a Treviso (+10%), Verona, Padova e Vicenza, mentre rimane pressoché stabile a Belluno e Rovigo. (Figura 9.1.1)(Tabella 9.1.1)
Siamo di più grazie agli stranieri
Nel periodo intercensuario 2001-2011 è soprattutto il contributo della popolazione straniera a incidere positivamente sulla variazione complessiva dei residenti, attenuando le diminuzioni o accentuando i guadagni. A livello nazionale, mentre i residenti stranieri crescono del 201,8%, per gli italiani si registra una sostanziale stabilità (-0,5%). Lo stesso si può dire comparando le dinamiche regionali: la popolazione straniera cresce in tutte le regioni italiane con variazioni sempre superiori al 150%. Non così per gli italiani, la cui crescita massima in ambito regionale è inferiore al 4% e anzi più spesso si osservano tassi negativi. A spiegare in parte il forte aumento di stranieri residenti censiti, occorre annoverare l'effetto emersivo delle sanatorie intercorse durante il decennio e l'inclusione nell'Unione europea di Romania e Bulgaria, da cui proviene complessivamente più del 20% dei migranti. (Figura 9.1.2)
Anche il Veneto si misura con questo fenomeno; in 10 anni la popolazione straniera aumenta di 304.254 unità, arrivando a costituire il 9,4% della popolazione (457.328 persone, un aumento del 198,8%), mentre gli italiani sono solo 25.262 in più (lo 0,6%). Nel 2001 i migranti rappresentavano appena il 3,4 della popolazione. La quota di stranieri sulla popolazione complessiva rimane più alta a Treviso, Verona e Vicenza (oltre il 10%), ma è Padova a registrare l'incremento più elevato (dal 2,6% al 9,1% della popolazione, ben 6,5 punti percentuali in più). Si tratta delle province che offrono più opportunità occupazionali; i dieci anni trascorsi tra i due censimenti sono infatti nel complesso anni di florida attività economica nella nostra regione, che è stata in grado in questo periodo di attrarre e trattenere cittadini stranieri in cerca di collocazione lavorativa. La crisi economica globale, che dal 2009 attraversa anche il Veneto, sta tuttavia producendo un sostanziale rallentamento di tale dinamica: nel biennio 2009-2010 gli stranieri aumentano in media del 5,4% all'anno, a fronte di incrementi superiori al 10% negli anni precedenti. (Figura 9.1.3)
Centro o periferia
A trasformare il puzzle della popolazione nei comuni del Veneto contribuiscono oltre ai cambiamenti demografici, anche i mutamenti sociali ed economici degli ultimi decenni. Negli anni '90 molti capoluoghi italiani, anche nelle province venete, sono stati protagonisti di un fenomeno di fuga dalle città, che ha portato a un progressivo inurbamento delle cinture metropolitane, dilatando aree produttive e residenziali fino a creare arcipelaghi metropolitani. I motivi di questa espansione territoriale centrifuga sono da ricercare nella necessità di abitazioni meno costose e meno densamente distribuite sul territorio, nonché nell'esigenza di allontanarsi dal caos e dall'inquinamento metropolitano a favore di una maggiore qualità di vita. La città si trasforma, dunque, sempre più in un luogo di consumo, attraversata da chi ne utilizza servizi e risorse, da chi studia o lavora, da chi la visita come turista.
Dal 2001 in Veneto si assiste però a un lento ripopolamento di alcuni capoluoghi, come Vicenza (+4%), Belluno (+1,5%), Treviso (+1,1%) e Padova (+0,6%). I motori di questa nuova forza centripeta sono riconducibili da un lato al fenomeno dei grandi flussi migratori, che vede nuovi cittadini stranieri occupare in un primo momento i grandi centri urbani per eventualmente poi trasferirsi nei comuni limitrofi, e dall'altro allo sforzo di riqualificazione degli spazi urbani, intrapreso da molte città per riacquistare forza attrattiva. Sostanzialmente stabili i comuni di Rovigo e Verona, flessione invece per Venezia (-3,6%).
Nonostante la recente ripresa di alcuni capoluoghi, per molte aree del Veneto le cinture mostrano un potere attrattivo superiore, più le seconde delle prime. Questo vale specialmente per le province situate nella fascia centrale della regione, con una maggiore dinamicità economica e occupazionale. Tali comuni sono quelli che hanno maggiormente incrementato la loro popolazione in questi ultimi dieci anni.
In futuro l'accessibilità e la godibilità delle città saranno fattori chiave per il popolamento dei centri urbani: tutto dipenderà, oltre che dallo sviluppo economico e occupazionale, anche dall'efficienza delle infrastrutture di trasporto e dai costi delle abitazioni. Promuovere lo sviluppo urbano sostenibile è fra le priorità anche della politica dell'Unione europea, che riconosce il ruolo della città quale motore di crescita e di sviluppo nell'incentivare la competitività e la coesione. (Figura 9.1.4)

Figura 9.1.1

Popolazione residente totale e per classi di età ai Censimenti. Veneto - Anni 1951:2011

Tabella 9.1.1

Popolazione residente, stranieri e popolazione anziana per provincia. Veneto - Censimento 2011 e 2001

Figura 9.1.2

Variazioni assolute 2011/01 della popolazione residente per cittadinanza, regioni e province del Veneto

Figura 9.1.3

Incidenza percentuale degli stranieri sulla popolazione (I) al Censimento. Veneto - Anno 2011 e 2001

Figura 9.1.4

Variazione percentuale 2011/01 della popolazione residente nei capoluoghi e nelle cinture, per provincia in Veneto (*)
 
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9.2 - Come cambia il clima sociale

I comportamenti e le scelte rispondono a fattori e a cambiamenti oggettivi, ma riflettono anche ciò che si pensa, come si percepisce, si giudica la situazione che si sta vivendo. Anche le aspettative e la fiducia nel futuro incidono sulle decisioni attuali, sulle energie che si intende investire, i rischi che si è disposti a correre, la voglia di mettersi in gioco, di impegnarsi per superare le difficoltà e raggiungere nuovi obiettivi. Per questo è importante indagare come sta cambiando il clima sociale, l'umore, quali sono le preoccupazioni e le speranze delle famiglie e delle persone.
Eurobarometro da quattro anni confronta il clima sociale nei 27 Paesi dell'Unione e propone un indicatore sintetico che ne riassume la percezione soggettiva, tenendo in considerazione la soddisfazione per i vari aspetti della qualità della vita (Nota 3), dalla sfera individuale al contesto socio-economico del Paese in cui si vive, anche in termini di politiche dei governi nei diversi ambiti: sanità, pensioni, coesione sociale. In una scala che va da un minimo di -10 a un massimo di +10, i cittadini europei, nel complesso, giudicano il momento che stiamo vivendo in modo abbastanza neutro, né positivamente né troppo negativamente: nel 2012 il punteggio è di -0,8, lievemente peggiorato rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, è la media di realtà molto differenti: nel Nord Europa, in Austria e in Germania i cittadini si esprimono abbastanza positivamente (2,8 il valore più alto, in Olanda e Danimarca), talvolta anche meglio dell'anno scorso; al contrario nei Paesi dell'Est e in quelli del Mediterraneo si registra una diffusa preoccupazione. L'Italia appartiene a questo secondo gruppo, con un livello di insoddisfazione generale di -3,1, più negativo della media europea e in netto calo rispetto al 2011 (-1,1). (Figura 9.2.1)
Il giudizio risente soprattutto delle preoccupazioni per il difficile quadro nazionale, per cui i cittadini esprimono grossi malumori (Ue27 -2,9 punti, Italia -5,5) (Nota 4). Nonostante ciò, a livello europeo tiene ancora la soddisfazione per la propria condizione personale (+2,1), la vita in generale, la famiglia, il lavoro, la zona di residenza; non così in Italia, dove anche questa dimensione, che fino al 2011 indicava ancora una certa positività, segna ora una caduta (il punteggio scende a zero, era +1,9 nel 2011), quale ripercussione del peggioramento dello stato di salute del Paese. Gli italiani, più degli europei, si dichiarano preoccupati per la situazione economica-occupazionale del Paese (-6), delusi dalle istituzioni (-5), scontenti per le misure che riguardano il sistema di inclusione e protezione sociale, sempre più minato dalla crisi: preoccupano la sostenibilità e l'adeguatezza del sistema pensionistico (-4,4), la tenuta degli ammortizzatori sociali contro la disoccupazione (-4,5) e i tagli al sistema socio-sanitario (-1,8), nonché l'incremento delle disuguaglianze sociali e della povertà (-2,8). (Figura 9.2.2)
Anche per i cittadini veneti la disoccupazione è il problema principale per il Paese, come indicato dal 74% della popolazione, valore ora prossimo a quello nazionale (80%) e in costante crescita rispetto al 2008 (39%), quando gli effetti della crisi dovevano ancora farsi sentire sui livelli occupazionali. Naturalmente il giudizio risente del clima generale che si respira, ma anche della specifica situazione locale, visto l'impatto della crisi nel territorio regionale.
In questo contesto di crisi si attenuano le preoccupazioni per criminalità e immigrazione, mentre iniziano ad avvertirsi con più forza problemi quali la povertà, l'evasione fiscale, il debito pubblico, l'inefficienza del sistema sanitario e, seppur in misura minore, del sistema scolastico, cui non si riconosce più il valore e la capacità di formare adeguatamente e garantire prospettive lavorative. (Figura 9.2.3)
La qualità della società e la dimensione personale
Proprio nei momenti più critici, la fiducia nelle istituzioni e verso le persone appare un fattore particolarmente importante per favorire la cooperazione e la coesione sociale e consentire una maggiore efficacia delle politiche pubbliche.
L'aggravarsi della crisi economica e le molte occasioni perdute hanno favorito il diffondersi di un clima di sfiducia e delusione generale nelle istituzioni, che attraversa tutti i segmenti della popolazione, le aree del Paese e le diverse classi sociali. I cittadini si allontanano dalla politica, la giudicano incapace di capire le necessità di un Paese che arranca, di dare risposte concrete e adeguate, di realizzare una società equa e coesa, di cui tutti possano sentirsi cittadini a pieno titolo. Tranne poche eccezioni, il livello di fiducia nelle istituzioni pubbliche nel 2012 è mediamente basso: il dato peggiore riguarda i partiti politici e il Parlamento, che, in una scala da 0 a 10, ottengono un punteggio pari rispettivamente a 2,1 e 3,3 in Veneto (2,3 e 3,6 in Italia), mentre le istituzioni locali come Regioni, Province e Comuni, sentite più vicine al cittadino, guadagnano qualche punto in più, rimanendo comunque sotto la sufficienza. I giudizi migliori sono per le forze dell'ordine e i vigili del fuoco, istituzioni particolarmente amate dai cittadini che ne apprezzano la generosità e la prontezza d'intervento nel momento del bisogno.
La fiducia nelle istituzioni dipende anche dal livello di corruzione percepito nel sistema: se le istituzioni operano in modo trasparente acquistano credibilità, al contrario una diffusa discrezionalità e un alto livello di corruzione accettato agiscono negativamente sulla loro immagine. A tal riguardo, l'Italia registra nel 2012 un indice di corruzione percepita (Nota 5) di 42 punti, in una scala 0-100, uno dei valori peggiori in Europa, dopo Bulgaria e Grecia (rispettivamente 41 e 36). Vola attorno ai 90 punti, invece, l'indicatore per Danimarca, Finlandia e Svezia, dove è anche massima la fiducia nelle istituzioni.
Se è difficile fidarsi delle istituzioni, ad oggi non migliore appare il grado di fiducia che si è disposti ad accordare agli altri, a chi non si conosce e non fa parte della propria rete familiare o amicale. Prevale il senso di diffidenza, visto che in Italia, ma anche in Veneto, solo il 20% delle persone ritiene che la gente meriti fiducia, percentuali in calo rispetto agli anni precedenti (nel 2010 il 23% per il Veneto e il 22% per l'Italia) e assai contenute rispetto a molti dei Paesi europei e alla media Ocse (33%). E' probabilmente una reazione istintiva alle crescenti difficoltà e incertezze, un meccanismo di difesa, che potrebbe portare verso una società dall'impronta sempre più soggettiva e individualistica. Ciò non è in contraddizione con il bisogno di conoscenza e di prossimità con l'altro, dato che proprio la conoscenza diretta, anziché la fiducia indistinta, pare essere un bisogno e una riscoperta (in termini di "restanza") di questo ultimo periodo.
In quest'ottica vanno viste la partecipazione, la fiducia e il coinvolgimento nelle iniziative di solidarietà, che assieme formano un sistema di reti e relazioni che cercano di sostenere i soggetti più vulnerabili, di recuperare risorse aggiuntive e supplire le carenze del sistema. L'associazionismo e il volontariato, vere ricchezze per il Paese, coinvolgono attivamente in Veneto il 15% della popolazione, più che a livello nazionale (10%): si tratta di persone che, nonostante le incombenze quotidiane, mettono a disposizione degli altri tempo, energie, idee e aiuti concreti. Ancora più forte l'aiuto tra chi si conosce bene, amici e parenti, sui quali si sa di poter contare nel momento del bisogno: ci si scambia favori, aiuti reciproci di vario tipo, anche monetari, si affrontano assieme le difficoltà e gli ostacoli. Ben l'82% dei veneti dichiara di poter fare affidamento sulla rete familiare, amicale e di vicinato e il 35% di prestare a sua volta aiuti gratuitamente: il livello di solidarietà intergenerazionale e sociale di buon vicinato sembra quindi soddisfacente. (Tabella 9.2.1)
Proprio la soddisfazione per le relazioni familiari e amicali, che si mantiene nel tempo su livelli molto alti, indipendentemente dall'alternarsi delle fasi del ciclo economico, contribuisce a giudicare in modo positivo la propria vita. Amici e parenti ricoprono un ruolo sempre più prezioso nella gestione degli impegni quotidiani, continuano a rappresentare un punto di riferimento, nonostante i limiti imposti dalle trasformazioni socio-demografiche ed economiche.
Alla domanda "Attualmente, quanto si ritiene soddisfatto della sua vita?", invitati a indicare un punteggio da 0 (molto insoddisfatto) a 10 (molto soddisfatto), i cittadini veneti nel 2012 si esprimono attribuendo in media un valore pari a 7, in lieve calo rispetto all'anno precedente (7,2); per l'Italia il dato passa da 7,1 a 6,8. E' anche vero che una buona parte di chi fino all'anno scorso manifestava alti livelli di soddisfazione (punteggi da 8 a 10), ora invece esprime giudizi più cauti, collocandosi in una fascia di punteggio medio-bassa (da 5 a 7).
Pesa soprattutto il giudizio sulla propria situazione economica, che risente in misura maggiore degli effetti della congiuntura economica: è un fattore di criticità, tanto che nel 2012 soddisfa solo la metà dei cittadini, in diminuzione nel tempo, soprattutto se confrontato con il dato del biennio 2000-2001, quando quasi il 70% dei veneti si dichiarava molto o abbastanza soddisfatto.
Considerando altri aspetti che definiscono il "sentirsi bene", nel corso di questi ultimi vent'anni sempre positivo è il giudizio sul proprio stato di salute, mentre si è meno contenti della qualità del proprio lavoro e della disponibilità di tempo libero. Anche a causa delle difficoltà di conciliare impegni lavorativi ed esigenze familiari, i più insoddisfatti sono gli adulti nella fascia di età 35-59 anni e le donne. (Figura 9.2.4)
Le aspettative per il futuro
La maggioranza dei cittadini lamenta un peggioramento della situazione generale e personale rispetto a cinque anni fa e non si aspetta miglioramenti nei prossimi 12 mesi (Nota 6); oltre l'80% degli italiani non confida in un possibile recupero della situazione economica-occupazionale a breve termine e nella tenuta del sistema sociale del Paese, tensioni che secondo il 20% delle persone inevitabilmente si ripercuoteranno in un ulteriore peggioramento della propria situazione personale, per molti già critica.
Ragionando in un'ottica di medio-lungo periodo, le aspettative non sembrano cambiare, come emerge da una ricerca Censis (Nota 7) del 2011: si pensa spesso al futuro e lo si fa con una certa preoccupazione per sé e per i propri figli (45%) e per la situazione generale del Paese (62%). Si ritiene che l'Italia tra 10 anni sarà sicuramente un Paese diverso, più aperto al mondo e alla globalizzazione, con una buona integrazione tra etnie e culture (50%), ma nel complesso meno benestante (68%), con maggiori disuguaglianze socio-economiche (60%), meno giusto (59%) ma più solidale (55%). I livelli di reddito saranno inferiori agli attuali, venuto meno quel processo di accumulazione progressiva di ricchezza che ha caratterizzato le generazioni precedenti, che riuscivano a risparmiare e a investire. Alla mancanza di giustizia sociale, si contrapporrà una maggiore responsabilità sociale e individuale.
E' l'inversione delle aspettative crescenti e ottimistiche che sono state la forza e le leve promotrici del miracolo italiano del dopoguerra e dell'espansione dell'economia fino qualche tempo fa, nella convinzione diffusa che fosse possibile salire nella scala sociale, crescere in benessere e qualità di vita.
A livello regionale esistono forti differenze nell'atteggiamento verso il futuro: più ottimisti al Nord, sfiduciati al Sud. In Veneto, oltre ad esprimere una maggiore soddisfazione per la propria vita, il 29% delle persone si attende nei prossimi cinque anni un miglioramento della propria situazione personale, valore secondo solo alla Lombardia (32%), superiore alla media nazionale (25%) e lontano dallo scoramento che prevale nella gran parte delle regioni meridionali. Resistono gli ottimisti-soddisfatti, che apprezzano il presente e credono in un futuro migliore: sono circa il 12% della popolazione in Italia, soprattutto giovani, una parte di società positiva a "tutto tondo". Nonostante i problemi, le lamentele e le critiche, potendo scegliere non si vorrebbe comunque vivere altrove: "il vivere in Italia è percepito come un'opportunità positiva, alla quale non rinunciare nemmeno in presenza di un'occasione per farlo" (Censis 2012). (Figura 9.2.5)

Figura 9.2.1

Indicatore sintetico di percezione del clima sociale del Paese. UE27 - Anni 2009 e 2012 (*)

Figura 9.2.2

Indicatore sintetico di percezione del clima sociale e soddisfazione per i vari aspetti della vita. UE27 e Italia - Anni 2009:2012 (*)

Figura 9.2.3

Problemi prioritari del Paese (% di persone di almeno 14 anni). Veneto e Italia - Anni 1999:2010

Tabella 9.2.1

Qualità della società: alcuni indicatori. Veneto e Italia - Anno 2012 (*)

Figura 9.2.4

Percentuale di persone che si ritengono molto o abbastanza soddisfatte di alcuni aspetti della loro vita. Veneto - Anni 1993:2012 (*)

Figura 9.2.5

Percentuale di persone di almeno 14 anni (P) che ritengono che la loro situazione personale migliorerà nei prossimi cinque anni, per regione. Italia - Anno 2012
 
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9.3 - Far quadrare i conti

Diminuiscono le risorse
La crisi ha interrotto il trend positivo di crescita dei redditi delle famiglie, dopo anni di sviluppo continuo culminato negli anni 2007-2008. Nel 2010 una famiglia in Veneto guadagna in media 37.353 euro all'anno (circa 3.100 euro al mese), quasi 2.000 euro in più della media nazionale; tuttavia metà delle famiglie può contare su un reddito al massimo di 33.530 euro all'anno. (Figura 9.3.1)
Con la perdita di potere di acquisto aumentano le famiglie in sofferenza: non sempre le rinunce sono voluttuarie, investono capitoli di spesa accessori o lasciano inalterato lo status delle famiglie. Il 67% delle famiglie (76% in Italia) dichiara di avere difficoltà ad arrivare a fine mese, di non poter quindi far fronte a una spesa imprevista di 700-800 euro (27%) o concedersi anche una sola settimana di vacanza (34%). E' in aumento anche la quota di famiglie impossibilitate a sostenere alcune spese specifiche primarie, come riuscire a mangiare con regolarità in modo adeguato o riscaldare sufficientemente la casa, o che accumulano arretrati di pagamento, specie per il mutuo e l'affitto. (Tabella 9.3.1)
La riduzione del reddito talvolta è tale da esporre il 10,8% della popolazione a rischio povertà e il 4% a condizione di grave deprivazione materiale, ossia, seppur al di sopra della soglia di povertà, incapace di accedere a certi beni e servizi considerati comuni e ordinari o percepiti come necessari per gli standard della società in cui si vive (Nota 8).
Si pensi che in Veneto nell'ultimo anno la disoccupazione raggiunge il 6,6% e i lavoratori in cassa integrazione superano i 62.000 (erano 7.000 nel 2007), venendo così a mancare per molte famiglie la principale fonte di sostentamento o l'apporto di una parte consistente del reddito. Sale al 6,3% la percentuale di persone con meno di 60 anni che vive in famiglie a "bassa intensità di lavoro", dove sono pochi a lavorare, o sono sottoccupati o senza lavoro, e nell'insieme lavorano meno del 20% del potenziale calcolato a livello familiare. Proprio chi subisce l'esclusione dal mercato del lavoro, vi partecipa a intermittenza, alternando periodi di occupazione ad altri di inattività o accontentandosi di orari ridotti, è più soggetto al rischio di povertà o esclusione sociale.
Dalla combinazione di queste diverse forme di disagio deriva l'indicatore Eurostat previsto per il monitoraggio dell'obiettivo europeo della lotta contro la povertà e l'esclusione sociale: si definisce a rischio povertà o esclusione sociale chi è in stato di povertà o di grave deprivazione materiale o chi vive in famiglie "very low work intensity". In Veneto tale condizione affligge il 15,9% della popolazione (15,8% delle famiglie), valore che in un confronto nazionale ed europeo si mantiene ancora contenuto (Italia 28,2%, UE27 24,2%), leggermente in crescita rispetto al 2009 (14,1%). Tuttavia se il confronto è positivo per il Veneto, non va trascurata la portata del fenomeno in termini di cittadini coinvolti, circa 785 mila persone che non riescono a vivere secondo gli standard comuni della società attuale e faticano a provvedere adeguatamente ai bisogni fondamentali della vita.
In Italia l'effetto della crisi si fa sentire con maggior forza, tanto che l'indicatore aumenta nel solo ultimo anno di quasi 4 punti percentuali (era 24,5% nel 2010); il che significa circa 2,4 milioni di persone in più, nuove situazioni di forte disagio, un dato particolarmente preoccupante se si pensa che solo qualche anno fa, nell'ambito della strategia Europa 2020 (Nota 9), l'Italia si era posta l'obiettivo di far uscire dalla condizione di rischio povertà o esclusione sociale circa 2,2 milioni di persone entro il 2020. (Figura 9.3.2)
Cambiano i consumi
Lo sviluppo economico, che il nostro Paese ha conosciuto fino a qualche anno fa, ha sicuramente contribuito a incoraggiare comportamenti di tipo consumistico, favorendo con ciò la crescita generale dei livelli di consumo. Il sopraggiungere della crisi ha posto un freno a questo processo e, se da un lato le famiglie si trovano ad affrontare rinunce e limitazioni, dall'altro dimostrano la capacità di adattarsi alle nuove condizioni, di saper cambiare, di differenziare rispetto al passato obiettivi e percorsi personali, anche reinterpretando la propria visione del mondo. Rientra in questo processo il mettere in atto nuove strategie e comportamenti di consumo per spendere meno, ma anche più attenti, responsabili e ragionati, più sostenibili.
L'analisi della spesa per consumi e dei comportamenti di acquisto consente di tracciare un quadro delle condizioni di vita delle famiglie e di capire come lo stile di vita stia cambiando: quanto si spende, cosa si compra, quali le difficoltà, come cambiano le priorità familiari, la ricerca di nuovi equilibri, l'accesso a canali di vendita alternativi, anche grazie alla diffusione delle nuove tecnologie.
Nel 2011 le famiglie venete spendono in media 2.903 euro al mese per acquistare beni e servizi necessari a soddisfare le esigenze del vivere quotidiano, un valore che continua a mantenersi tra i più alti a livello regionale, secondo solo alla Lombardia, e decisamente superiore alla media nazionale (2.488 euro). Tuttavia, osservando l'andamento della spesa per consumi dal 1997 al 2011, rivalutata ai prezzi dell'ultimo anno, emerge un trend decrescente, che segna proprio nel 2011 la peggiore performance dell'intero periodo considerato. Le famiglie venete consumano oggi il 7,5% in meno rispetto a quindici anni fa e il 12% in meno rispetto al 2007, periodo di massima espansione economica nella nostra regione. A livello nazionale nel 2012 i consumi segnano un ulteriore rallentamento, segnando un calo dell'1,6% rispetto all'anno precedente, a causa anche della perdita del potere d'acquisto delle famiglie, -4,8%, una caduta di intensità eccezionale che giunge dopo un quadriennio di continuo declino. (Figura 9.3.3)(Figura 9.3.4)
L'abitazione (affitto, bollette e altre spese ordinarie), l'acquisto di generi alimentari e le necessità di mobilità assorbono complessivamente in media il 62% della spesa delle famiglie italiane. Ancora di più incidono nel bilancio delle famiglie con minori possibilità economiche, alle quali resta poco da dedicare a beni e servizi non strettamente necessari, cui è più facile rinunciare. Questo spiega in parte le differenze nelle strutture di consumo che si osservano a livello territoriale: ad esempio, le famiglie del Sud, generalmente più povere, per mangiare impegnano un quarto della propria spesa mensile, rispetto alla media nazionale del 19% e a valori ancora più bassi al Nord (16,6%). Viceversa il tempo libero, la cultura e gli svaghi rappresentano il 3% dei consumi familiari nelle regioni meridionali, contro il 5% di chi vive al Nord. Un discorso a parte va fatto per le spese destinate alla casa, che pesano di più nel Centro-Nord, anche per la presenza di condizioni ed esigenze abitative qualitativamente più elevate. (Figura 9.3.5)
Nel tempo cambia la struttura dei consumi, per l'evoluzione dei bisogni delle famiglie ma soprattutto in risposta alle diverse condizioni economiche; per effetto di vincoli di bilancio familiare più stringenti aumenta l'incidenza della spesa per generi alimentari, a scapito dei non alimentari: i primi nel 2011 pesano per il 16% della spesa media delle famiglie venete, quando nel 2007 erano il 15%. Difficilmente comprimibili risultano le spese per la casa, anzi in crescita, tanto da impegnare ormai il 30% delle uscite familiari, circa tre punti percentuali in più rispetto al 2007. (Tabella 9.3.2)
Dopo l'abitazione e i generi alimentari, i trasporti costituiscono il terzo capitolo di spesa più importante del bilancio familiare. La spesa in trasporti, più di altre, segue il ciclo economico e risente della crisi perdendo tre punti in termini di quota sul totale dal 2007 a oggi. La caduta riflette sicuramente il crollo degli acquisti di automobili, incoraggiati in passato dagli incentivi statali e non riproposti nel 2011: si dimezza, infatti, la percentuale di famiglie venete che acquistano un'auto, che si stima scendere all'8%. Nel contempo si registra anche una riduzione della spesa media per comprare l'auto, sia perché si ricorre di più all'usato sia perché, anche quando si compra un'auto nuova, si scelgono vetture meno costose. Se costretti a rinunciare all'automobile, si opta per mezzi alternativi, prediligendo comunque quelli privati. Aumenta così la percentuale di chi compra una bicicletta, nuova o usata, comunque di modico valore, mentre risulta stabile la quota di coloro che acquistano un ciclomotore o una moto; per questi si è disposti a spendere anche più che in passato, così da disporre di mezzi che, per prestazioni, consumi e sicurezza, siano una valida alternativa all'automobile. (Tabella 9.3.3)
Il numero e le caratteristiche dei componenti della famiglia determinano sia il livello che la struttura della spesa per consumi. Chiaramente all'aumentare del numero di componenti la spesa cresce, ma, per effetto della presenza di economie di scala, in misura non direttamente proporzionale: ad esempio, la spesa media mensile per le famiglie di una sola persona è il 78% di quelle con due componenti.
Le spese fisse per l'alloggio hanno un peso decisamente più elevato se si vive soli o in coppia (34% contro il 23% nel caso di famiglie di 5 o più persone), al contrario le spese per abbigliamento, trasporti, salute e istruzione sono fortemente associate al numero di componenti.
La spesa media più bassa si registra nelle famiglie di anziani soli, che ne destinano oltre il 40% alla casa e il 20% circa ai consumi alimentari. Per gli anziani tra le spese incomprimibili vanno considerate anche le spese sanitarie, la cui incidenza sale al 6%, rispetto alla media del 5%; viceversa, più ridotta è la quota destinata ai trasporti (8,8% rispetto al 14% per il totale delle famiglie), valore più contenuto, oltre che per una più limitata esigenza di muoversi, per la possibilità di usufruire di riduzioni nel pagamento del servizio di trasporto pubblico. (Tabella 9.3.4)
Le famiglie più disagiate, ossia il 20% più povero (I° quinto di spesa equivalente (Nota 10)), spendono complessivamente il 9% della spesa totale delle famiglie in Veneto, le più ricche ben il 39%. In altri termini, quest'ultime hanno un livello di spesa che è 4,5 volte (Italia 5,2) superiore alle prime e il divario è anche in crescita rispetto a cinque anni fa (4,2).
Le famiglie più in difficoltà sono soprattutto quelle con figli, specie se tre o più, i nuclei monogenitoriali e le coppie di anziani, mentre il gruppo delle famiglie con maggiore capacità di spesa è rappresentato da coppie senza figli e da single 35-64enni.
La diversa disponibilità economica, come già visto, si traduce in una differente struttura della spesa per consumi: ad esempio, nelle famiglie più ricche l'incidenza per i trasporti sale al 17% (contro il 12% per le famiglie più in difficoltà), per arredamento e servizi per la casa al 7% e per lo svago al 5% (contro il 3% per entrambe le voci nel I° quinto). Rimangono differenze importanti anche nell'accesso ad alcuni diritti fondamentali, come potersi curare o spendere per istruirsi. Le famiglie con reddito più basso riescono a destinare alla cura della salute solo il 3% della propria spesa, contro il 5% di chi sta economicamente meglio: si tratta di circa 50 euro in media al mese per le prime contro 270 euro delle altre. Si è costretti quasi a eliminare le visite mediche, le analisi cliniche e gli esami radiologici, mantenendo solo la spesa incomprimibile per i medicinali, a conferma di come le disuguaglianze socio-economiche si traducono in disuguaglianze in salute. I gruppi più vulnerabili, i più poveri, quelli marginalizzati, quelli che stanno più in basso nella scala sociale, pagano un prezzo assai alto non solo in termini di aspettativa di vita ma anche di salute-malattia. (Figura 9.3.6)

Strategie e nuovi comportamenti d'acquisto

Con la crisi emerge il profilo della "famiglia accorta", quella che, grazie alla messa in atto di strategie e piccoli aggiustamenti nelle scelte di consumo, cerca di mantenere inalterato il proprio posizionamento sociale, orientandosi verso consumi e stili di vita più sostenibili, vantaggiosi sia per il bilancio familiare che per l'ambiente. In tal senso, si osserva un diffuso tentativo di riduzione degli sprechi e di eliminazione di quegli eccessi considerati normali nei periodi di crescita economica. Le famiglie si adattano, rinunciano e riorganizzano la spesa cercando offerte e prodotti meno costosi, si dimostrano più sensibili ai prezzi, alle offerte commerciali, agli sconti e al rapporto qualità-prezzo.
Nel 2011 la grande distribuzione si conferma il principale luogo dove acquistare prodotti alimentari, con alcune differenze territoriali: se a livello nazionale, e soprattutto nel Mezzogiorno, rispetto al 2007 aumentano le famiglie che scelgono gli hard-discount, non così in Veneto, dove tale quota rimane residuale e pressoché costante e si preferisce il supermercato di media-grande dimensione, che, anche grazie a strategie di marketing mirate, come l'offerta di prodotti "primo prezzo" in chiave anti-crisi, permette di risparmiare. Emerge comunque forte la riduzione degli acquisti presso i negozi tradizionali: i veneti si rivolgono a ipermercati e supermercati anche per alimenti di base come pane, pasta, frutta e verdura, carne e pesce, rendendo largamente minoritaria la quota di famiglie che si riforniscono presso un dettagliante tradizionale. E' presto per dire se a ciò si affianchi un ritorno alla bancarella del mercato, i dati non ci consentono un'affermazione conclusiva, tuttavia sembra esserci qualche avviso in questo senso.
Seppur ancora limitato, l'autoconsumo segna un timido aumento, con la coltivazione di orti anche urbani, la trasformazione di prodotti alimentari e il fai-da-te casalingo, comportando un risparmio per famiglia di circa 172 euro nell'ultimo anno.
In fatto di rinunce, la situazione in Veneto è migliore di quella prospettata a livello nazionale: la maggioranza delle famiglie dichiara di continuare ad acquistare i principali prodotti alimentari - pane, pasta, carne, pesce, frutta e verdura - come prima in termini di quantità e qualità. Vi è comunque una percentuale non trascurabile che ammette di dover affrontare delle privazioni. Anche in un'ottica di riduzione degli sprechi, circa un quarto delle famiglie acquista quantità inferiori, un 7-8% sacrifica la qualità pur di mantenere inalterata la quantità e un 5% circa rinuncia a entrambe le cose. Per sintetizzare questi risultati si costruisce un indicatore sintetico di rinuncia, che varia da 0 a 100, dove 0 indica la situazione peggiore, quando si rinuncia a quantità o qualità per ogni prodotto considerato, mentre 100 è l'indice della situazione migliore, ossia si acquista come o più di prima. Il Veneto presenta nel 2011 un valore pari a 62,5 (64,5 nel 2007), mentre l'Italia riporta un punteggio minore, pari a 55,1, in diminuzione di oltre tre punti rispetto al 2007, a segnalare maggiori rinunce, oltre che un più sentito peggioramento delle condizioni delle famiglie. Per quanto riguarda le spese per abbigliamento e calzature, le rinunce sono anche maggiori: l'indicatore sintetico è 47,9 in Veneto e 39,4 in Italia. In Veneto, le famiglie maggiormente costrette a rivedere al ribasso i propri consumi sono quelle del ceto medio, ossia appartenenti al terzo e quarto quinto di spesa equivalente (da 2.085 euro a 3.699 euro). Le famiglie più disagiate, invece, non vedono sostanzialmente mutate le proprie abitudini di spesa, già compresse all'indispensabile anche negli anni precedenti. (Tabella 9.3.5)
Per far quadrare il bilancio le famiglie faticano a risparmiare, anzi spesso sono costrette a usare i risparmi messi da parte e, quando ciò non è sufficiente, devono anche intaccare il proprio patrimonio: la propensione al risparmio delle famiglie italiane si riduce dal 12,6% all'8,2% del reddito, minimo dal 1999. In Veneto il 78% delle famiglie dichiara di essere riuscita a risparmiare meno dell'anno precedente o di non aver risparmiato affatto e tra queste il 29% si è trovata nelle condizioni di erodere parte del proprio patrimonio se non addirittura ricorrere all'indebitamento. Inoltre, tra le famiglie appesantite da un mutuo contratto per acquistare la casa, il 17% ricorre alla rinegoziazione, in massima parte per ridurne il tasso di interesse o allungarne la durata (68%).

Social shopping

I comportamenti di consumo si stanno modificando anche grazie alla rapida diffusione delle nuove tecnologie, che consentono di fare shopping on-line nei mercati e nei bazar virtuali, riuscendo a reperire qualsiasi tipo di prodotto rimanendo comodamente a casa e spesso beneficiando anche di vantaggiosi risparmi rispetto all'acquisto tradizionale.
Il web, con il suo alto potenziale in termini di condivisione di contenuti, consente la partecipazione e l'aggregazione tra utenti-compratori, che con internet hanno la possibilità non solo di scegliere tra un'ampia gamma di prodotti, ma anche di poter comparare prezzi e merci, nonché di confrontarsi, scambiarsi informazioni e opinioni su un determinato prodotto prima di acquistarlo.
Nonostante cresca la consapevolezza dei vantaggi, gli italiani che fanno acquisti sul web (il 28% di chi usa internet) sono ancora pochi rispetto alla media europea (59%), in parte per un ritardo strutturale nella diffusione e nell'uso della rete e in parte per il permanere di un certo scetticismo verso acquisti di questo tipo. (Figura 9.3.7)
In termini di alfabetizzazione digitale l'Italia è indietro rispetto alla maggioranza dei Paesi europei e fatica a colmare il divario: nel 2012 solo il 63% delle famiglie italiane dispone di un accesso internet da casa, a fronte di una media europea del 75% e di Paesi come Olanda, Lussemburgo, Svezia e Danimarca che hanno raggiunto livelli ormai prossimi alla saturazione (oltre 90%).
Tuttavia, l'e-commerce sta aumentando rapidamente anche in Italia, in Veneto anche di più che a livello medio nazionale: nel 2012 il 32,5% di chi accede a internet ordina o compra merci on-line per uso privato, era il 25,6% sei anni fa. Si tratta di circa 797mila persone, quasi 100 mila in più solo nell'ultimo anno; sono soprattutto uomini (34% contro il 24% delle donne), giovani (il 40% dei 25-34enni) e con un titolo di studio mediamente alto (il 47% di chi possiede una laurea contro il 17% di chi ha al più la licenza media). Generalmente su internet si prenota un viaggio o una vacanza (54,5% delle persone cha acquistano on-line), si comprano libri, giornali, riviste, film, musica e biglietti per spettacoli (51,8%) o materiali informatico, come hardware, software, videogiochi e attrezzature elettroniche (35,6%).
Arrivano sul web anche i G.A.S., i gruppi di acquisto solidale, gruppi di consumatori sensibili alle tematiche del consumo critico, dell'alimentazione biologica e della solidarietà verso i piccoli fornitori, che, acquistando direttamente dal produttore e in grandi quantità, possono beneficiare di una maggiore convenienza, con l'assicurazione che la solidarietà e la cooperazione che si crea fra i due soggetti danno vita a una forma di economia basata sulla relazione e non sulle tradizionali leggi del mercato. Il fenomeno vede una particolare affermazione nel Veneto, territorio che vanta più di 150 G.A.S. (Nota 11) (per un totale stimato di circa 21.000 consumatori coinvolti) con un volume di acquisti che, nel 2011, supera i 5 milioni di euro, e che con l'apertura al web si prevede in crescita.

Figura 9.3.1

Reddito familiare netto medio (in euro, a prezzi correnti) inclusi i fitti imputati. Veneto e Italia - Anni 2003:2010 (*)

Tabella 9.3.1

Famiglie in difficoltà nel far fronte alle spese. Veneto e Italia - Anni 2007 e 2011

Figura 9.3.2

Percentuale di persone in situazione di povertà o esclusione sociale e nelle singole condizioni di disagio. Veneto, Italia e UE27 - Anni 2004:2011 (*)

Figura 9.3.3

Spesa media mensile delle famiglie per consumi (in euro, a prezzi correnti), per regione - Anni 2007 e 2011

Figura 9.3.4

Spesa media mensile delle famiglie per consumi (in euro, a valori 2011). Veneto e Italia - Anni 1997:2011

Figura 9.3.5

Composizione percentuale della spesa per consumi delle famiglie per capitolo. Veneto, ripartizioni geografiche e Italia - Anno 2011 (*)

Tabella 9.3.2

Spesa media mensile delle famiglie per consumi per capitolo. Valori assoluti in euro e percentuale sulla spesa totale. Veneto - Anni 2001, 2007 e 2011

Tabella 9.3.3

Trasporti: famiglie acquirenti e spesa media per alcune voci. Veneto - Anni 2007 e 2011 (*)

Tabella 9.3.4

Incidenza percentuale di alcuni capitoli sulla spesa totale, per caratteristiche familiari. Veneto - Anni 2007 e 2011

Figura 9.3.6

Incidenza percentuale di alcuni capitoli sulla spesa totale nelle famiglie più disagiate (I° quinto di spesa equivalente) e in quelle più benestanti (V° quinto). Veneto - Anno  2011 (*)

Tabella 9.3.5

Strategie delle famiglie per far fronte alle difficoltà economiche. Veneto e Italia - Anni 2007 e 2011(*)

Figura 9.3.7

Persone di 14 anni e più che hanno ordinato e acquistato merci e servizi per uso privato via internet negli ultimi 12 mesi. Veneto, Italia e UE27 - Anni 2007:2012 (*)
 
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9.4 - Stranieri: arrivare, andarsene, muoversi

Nel corso del 2012 si è molto enfatizzato, soprattutto nella comunicazione giornalistica nazionale, un presunto fenomeno di fuga degli stranieri dall'Italia, che i commentatori hanno correlato all'incedere della crisi economica e al venir meno per gli stranieri del motivo principale del loro insediamento, il lavoro. Cerchiamo di capire cosa sta succedendo in Veneto, se stiano cambiando le dinamiche dei flussi migratori, utilizzando i dati delle ultime risultanze anagrafiche ufficiali, che registrano gli spostamenti di residenza degli stranieri per trasferimenti con l'estero e i movimenti tra un comune e l'altro all'interno del territorio nazionale. Per il Veneto, nel 2011, si registrano 32.244 iscrizioni in anagrafe da parte di stranieri provenienti dall'estero: si tratta di nuovi ingressi di persone prima non presenti sul territorio nazionale, un dato ancora elevato, ma in diminuzione rispetto ai due anni precedenti (quasi il 19% in meno rispetto al 2010), nonché chiaramente al di sotto del boom di nuove registrazioni del 2007 e 2008, dovuto all'ingresso di Romania e Bulgaria nell'Unione europea. Nel contempo, aumentano gli stranieri che decidono di lasciare l'Italia per recarsi in altri Paesi; nel periodo 2009-2011 il flusso in uscita raggiunge mediamente le 5 mila persone, quando fino a qualche anno prima si attestava sotto le 2 mila. Ciò tuttavia, la quota di nuovi ingressi rimane quasi 7 volte le uscite, determinando un saldo positivo che va ad aumentare il numero di stranieri residenti in Veneto e la popolazione nel suo complesso. E' comunque un saldo in calo, la cui diminuzione, come visto, è dovuta più alla flessione degli ingressi dall'estero che a un rinforzo consistente dell'esodo. Occorre segnalare però che il dato sui trasferimenti all'estero dei cittadini stranieri rappresenta un'informazione parziale, data la generale attitudine a non comunicare alle anagrafi la partenza, basti pensare che sono più di 15 mila i cittadini stranieri cancellati dalle anagrafi comunali per irreperibilità nel 2011. Ad ogni modo, la tumultuosa crescita dell'immigrazione straniera che ha caratterizzato gli anni pre-crisi sembra lasciare il passo a flussi più contenuti, ma non arrestati, tenuto conto che la crisi internazionale interessa fortemente anche i Paesi più poveri, da cui in genere provengono queste persone.
Dinamiche simili, seppur con intensità diverse, si registrano per l'intero territorio nazionale, in particolare per le regioni dove è più marcato il fenomeno dell'immigrazione quali Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana. (Figura 9.4.1)
I trasferimenti degli stranieri riguardano principalmente giovani: entrano in Veneto in media sotto ai 30 anni e decidono di trasferirsi in altri Paesi quando ne hanno circa 32; per molti probabilmente l'Italia non è il Paese di elezione per la destinazione del loro progetto migratorio, ma solo una tappa di transizione.
Per quanto riguarda i Paesi di origine, continua in Veneto il flusso di immigrati provenienti dalla Romania che, oltre a rappresentare la nazionalità più presente nella nostra regione, è anche la prima per nuovi arrivi nel 2011 (+7.895 persone). Questo fenomeno è dovuto al proseguimento dell'"effetto allargamento Europa", che dal 2007 ha semplificato l'iscrizione in anagrafe di cittadini stranieri comunitari rumeni e bulgari. Tuttavia quella rumena è la prima nazionalità anche per trasferimenti dalla nostra regione verso l'estero, con oltre mille emigrati nel 2011, più del 20% del totale delle emigrazioni di stranieri. A distanza seguono i flussi in uscita di cittadini cinesi, moldavi e marocchini. (Figura 9.4.2)
Muoversi per cercare migliori opportunità anche per affrontare la crisi sembra essere una strategia messa in atto non solo verso l'estero ma altresì all'interno dei confini nazionali. Forse a causa dei minori legami familiari, amicali o di comunità che fungono in genere da rete di protezione contro eventuali difficoltà economiche o di altro tipo, gli stranieri mostrano una maggiore flessibilità a trasferirsi più spesso degli italiani anche in altre regioni: facendo riferimento ai dati del Veneto, gli stranieri realizzano più di un quarto dei trasferimenti interregionali pur essendo il 9,4% della popolazione residente. E' da notare tra l'altro che, contrariamente al passato, negli ultimi tre anni i contingenti in uscita verso altre regioni superano gli ingressi da altre regioni (il saldo migratorio interregionale medio degli ultimi tre anni è di -433 persone). Le regioni di scambio sia in entrata che in uscita sono perlopiù quelle limitrofe, la Lombardia, l'Emilia Romagna e il Friuli Venezia Giulia.
Rimanere, fare famiglia
La mobilità del migrante è in fondo lo specchio di un'attenzione vigile al contesto, alle circostanze ambientali e alle opportunità che ne derivano. E' una concreta sensibilità verso tutto ciò che può migliorare o peggiorare la sua esistenza; una sensibilità che il migrante è costretto ad acquisire in fretta, sul campo, si potrebbe dire. Se da un lato la ricettività ai segnali esterni può essere una qualità personale acquisita, è d'altro canto mutevole la loro interpretazione e la risposta da dare (rimanere o andarsene), stante le diverse condizioni personali: avere o no famiglia, avere o no una casa, essere giovani o anziani, avere o meno una rete sociale. Una ricerca Censis (Nota 12) indaga le aspettative degli immigrati in Italia per i prossimi dieci anni e, nonostante il difficile periodo, ne emerge un generale ottimismo su molteplici temi anche problematici, come il lavoro, contrariamente a quanto espresso dagli italiani. L'aspetto più dinamico riguarda le aspettative crescenti di riuscita sociale a fronte di impegno e sacrificio personali: il 72% degli stranieri, in Italia e nel Nord-Est, è convinto che i più bravi riusciranno a emergere nel mondo del lavoro, non più confinati in mansioni di basso profilo. Si tratta di una convinzione che si allarga anche ai figli, segno di una proiezione di benessere intergenerazionale in ascesa, alla cui base c'è il darsi da fare e l'impegnarsi anche tramite l'istruzione scolastica, sulla quale viene riposta molta fiducia, dato che il 76% degli immigrati (81% nel Nord-Est) desiderano che i propri figli si laureino. E' l'integrazione sociale in senso ampio l'anello debole delle speranze, solo il 28,5% si aspetta che i figli saranno pienamente integrati senza diversità rilevanti con i nativi, mentre il 54,3% ritiene che nei prossimi anni gli immigrati continueranno ad essere tenuti ai margini senza diritti. E' un dato che colpisce e tuttavia è mitigato da aspettative più positive verso un'integrazione che si può definire "orizzontale", creata dalle relazioni e nel quotidiano, che gli stranieri stessi desiderano, vogliono promuovere e cercano di migliorare attraverso le relazioni amicali e di vicinato (60%) o mediante iniziative culturali e di volontariato (50%). Il 72% degli stranieri esprime il desiderio di rimanere in Italia anche nei prossimi dieci anni e più del 60% vorrebbe ristrutturare o acquistare una casa proprio nella città in cui vive, tutti segni che suggeriscono una volontà di stabilirsi, di insediarsi, di fare comunità, di pensare a una famiglia.
Per uno straniero, privo di reti sociali protettive, l'espressione "fare famiglia" assume una radicalità ancor più accentuata e nello stesso tempo un desiderio ancor più vivido di eleggere l'attuale luogo di residenza a luogo di esistenza a tutto tondo, a luogo di vita. In Veneto, le famiglie con capofamiglia straniero sono l'8,3% del totale (il 6,1% in Italia) e il 25,6% degli stranieri ha meno di 18 anni, segno di un forte radicamento nel territorio; questa percentuale, fra l'altro, è la più alta tra tutte le regioni, seconda solo alla Lombardia (26%). Gli stranieri formano famiglia non solo attraverso i ricongiungimenti del coniuge dal Paese di provenienza, ma anche dando origine a nuovi nuclei familiari in Italia: i matrimoni con almeno uno straniero (3.197 nel 2011) superano il 20% del totale, percentuale ben superiore al 13% medio nazionale. I figli nati da coppie dove lui e/o lei sono stranieri sono ormai una quota considerevole, il 27,5% dei nati in Veneto, per un totale di 12.480 nel 2011, lo 0,7% in più rispetto all'anno precedente, trainato soprattutto dalle nascite in coppie miste con madre straniera. Il tasso di fecondità delle donne straniere, pur a un livello sempre elevato (2,16 figli per donna contro l'1,27 delle donne venete), segna tuttavia un calo, se si pensa che nel 2005 era di 2,69 figli per donna, seguendo in questo il trend delle italiane. In parte ciò è attribuibile a un adeguamento agli stili di vita e ai comportamenti riproduttivi del Paese di accoglienza, tuttavia, sebbene sia presto per concludere in tal senso, si può pensare che contenere la numerosità familiare possa costituire una strategia per affrontare l'incertezza dovuta alla crisi.
Gli aiuti alla famiglia di origine
Chi si insedia per necessità in un Paese straniero conosce bene le difficoltà e sovente la gravità delle condizioni dei familiari che rimangono in patria; del resto, non solo la crisi economica globale ha colpito anche i Paesi in via di sviluppo ma, come messo in luce in uno studio pubblicato dall'Initiative for Policy Dialogue della Columbia University in collaborazione con il South Centre (Nota 13), le politiche di contrazione fiscale sono state più severe nei Paesi più poveri, comportando un aggravio del costo della vita nelle fasce di popolazione più vulnerabili. Va osservato inoltre che spesso si emigra grazie al supporto familiare anche economico e l'emigrare rappresenta un investimento nell'ambito di un progetto di uscita dalla povertà che è collettivo e familiare molto più spesso che individuale. Il far "fortuna" del migrante perciò riguarda innanzitutto riuscire a inviare soldi a casa. I dati della Banca d'Italia, che comprendono le transazioni transfrontaliere tra due persone fisiche effettuate tramite un istituto di pagamento o altro intermediario autorizzato (Nota 14), possono dare una stima dei flussi in denaro che dal nostro Paese sono diretti all'estero. Se si fa eccezione per l'anno 2010 in cui vi è una lieve flessione, dal 2005 al 2011 l'ammontare delle rimesse verso l'estero è sempre in crescita, sia a livello nazionale che in tutte le regioni, vista la maggiore presenza straniera in Italia. Il 2012 segna invece una battuta d'arresto piuttosto consistente pressochè ovunque; dal Veneto escono 423,3 milioni di euro, oltre il 15% in meno rispetto all'anno precedente (in Italia il 7,6% in meno). Questo dato è sconcertante se si calcola che mediamente uno straniero dalla nostra regione riusciva a inviare a casa più di mille euro all'anno nel 2007, mentre nel 2012 la stima (Nota 15) è di 813 euro. Tale tendenza di progressiva riduzione degli importi medi, pur attestandosi su livelli diversi, è simile in tutte le regioni italiane: per effetto della crisi anche gli stranieri riescono a risparmiare meno - i migranti infatti soffrono come e più dei nativi dell'aumento della disoccupazione - ma non è da escludere anche un piccolo effetto dell'introduzione della tassa di bollo sui trasferimenti introdotta a fine 2011 e rimasta in vigore per alcuni mesi fino ad aprile 2012 (Nota 16). (Figura 9.4.3)
Ben il 38,1% delle rimesse dal Veneto è diretta verso l'area asiatica, una quota che nel tempo assume un'importanza via via più vistosa, tanto da soppiantare le quote dei flussi verso i Paesi dell'Europa orientale e centro-orientale (oggi al 27,5%) e quelli verso l'Africa (il 17,8% del totale). Sono queste infatti le aree di destinazione dei flussi più rilevanti, non per caso, vista la consistenza delle presenze di cittadini di queste zone nella nostra regione: Cina, Bangladesh, India, Sri Lanka e Filippine per l'Asia; Romania, Moldavia, Albania e Ucraina per l'Europa orientale; Marocco, Tunisia, Nigeria e Ghana per l'Africa. La diminuzione complessiva delle somme inviate nel 2012 caratterizza tutte le aree, con un forte accento per il Sudamerica e l'Africa del Nord (attorno al 20% in meno) e in misura importante anche per i 12 "nuovi" Paesi europei dell'Unione e quelli asiatici. (Tabella 9.4.1)

Figura 9.4.1

Trasferimenti con l'estero di cittadini stranieri. Veneto - Anni 2002:2011

Figura 9.4.2

Stranieri iscritti e cancellati da e per l'estero per i principali Paesi di origine/destinazione. Veneto - Anno 2011

Figura 9.4.3

Rimesse di cittadini stranieri pro capite in euro, per alcune regioni. Anni 2005:2012(*)

Tabella 9.4.1

Rimesse di cittadini stranieri verso alcune aree geografiche in milioni di euro. Veneto - Anni 2005:2012