Regione del Veneto - U.O. Sistema Statistico Regionale
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Rapporto Statistico 2013
Rapporto Statistico 2013
Sintesi


Un Veneto in trasformazione: reazione ed evoluzione

"Le strutture viventi possono essere soltanto se divengono; possono esistere soltanto se mutano. Trasformazione e crescita sono qualità inerenti al processo vitale" (Erich Fromm, 1976).
E' la trasformazione il segno distintivo con cui abbiamo voluto caratterizzare quest'anno il Rapporto Statistico, giunto alla sua decima edizione, associandola all'idea di sviluppo. Se la trasformazione è il mezzo, lo strumento indispensabile per evolversi, lo sviluppo è il fine, l'obiettivo ultimo per il benessere collettivo e individuale. Infatti, per sviluppo si intende la tendenza al miglioramento delle condizioni e della qualità della vita della popolazione che vive e lavora in un territorio, la prospettiva di miglioramento dell'ambiente umano e naturale, stabile e garantito anche per le future generazioni.
E' evidente come il tema scelto quest'anno costituisca la naturale prosecuzione delle riflessioni colte nelle precedenti edizioni del Rapporto, volume che nel tempo è cresciuto in analisi, struttura e approfondimenti. Già nel 2007 il tema della competitività era proposto nell'ottica di un modello di sviluppo, nel 2008 elaborazioni e analisi miravano ad approfondire i concetti di progresso, ricchezza e benessere nell'ambito di un focus sulla qualità della vita. A seguire, trattando i temi della mobilità, delle reti e della sostenibilità si proponevano gli strumenti, le possibili strategie per uscire dalla crisi e concepire nuovi modelli di crescita. Infine, se l'anno scorso si parlava di opportunità, con il proposito di individuare nel cambiamento quei vantaggi e quelle possibilità di ridare slancio e vitalità a un'economia e a una società provate dall'effetto delle rapide mutazioni, va da sé che trasformazione e sviluppo è il passaggio successivo e necessario nella difficile congiuntura che stiamo vivendo.
Sotto questa lente si ripercorreranno quindi gli ambiti classici del nostro Rapporto -economia, società, ambiente- soffermandosi ed evidenziando quelle trasformazioni che, magari solo in nuce, segnano un possibile cambio di paradigma dello sviluppo rispetto al periodo appena trascorso. E' un obiettivo ambizioso, stante i cambiamenti veloci, complessi e a volte apparentemente contraddittori a cui assistiamo quotidianamente; ma vogliamo raccogliere la sfida, amplificare ciò che la realtà a volte suggerisce appena, senza velleità di previsione né di conclusione: la trasformazione è, a tutti gli effetti, un percorso, più che uno stato. Per l'etimologia, la derivazione del termine dal latino transformare ne sottende le componenti trans- cioè "oltre" e formare ossia "dare forma". "Quindi il termine trasformare significa "formare al di là", cioè "formare nel profondo", "formare dentro". (...) Ossia la trasformazione non è creazione; esiste già un qualcosa di latente, per così dire, il quale, con la trasformazione, prende forma" (Nota 1).
Quella che stiamo attraversando, del resto, è un'epoca di radicale trasformazione, simile ad altri momenti storici che l'Europa e l'Italia hanno dovuto già affrontare nel passato. Il mutamento è lo stadio normale della società. "Le forme economiche secondo cui gli uomini producono, consumano, fanno scambi, sono transitorie e storiche. Grazie alle forze produttive di recente acquisite, gli uomini trasformano il loro modo di produzione, e con il loro modo di produzione trasformano tutte le loro relazioni economiche, che non erano che le relazioni necessariamente corrispondenti a un modo di produzione determinato", scriveva Karl Marx nel 1846. Ogni ambito è soggetto a continuo cambiamento, c'è una continua riformulazione di idee, credenze e teorie, una continua riaffermazione o rifiuto di norme. Il XX secolo è stato testimone di due guerre mondiali, che sono state momenti drammatici apicali di crisi profonde, nonché di una serie di trasformazioni in tutti gli ambiti, dalla sfera economica a quella socioculturale all'ambientale, senza precedenti per portata e rapidità. Oggi, portata e rapidità sono amplificate dall'interconnessione veloce dei soggetti e dei Paesi grazie alle reti telematiche, ai mezzi di trasporto, alla caduta di molti dei vincoli di frontiera preesistenti: seguendo la teoria dell'effetto farfalla ("il batter d'ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas"), oggi tra battito d'ali e tornado non trascorrerebbe nemmeno una generazione.
Che la crisi globale attuale in qualche modo sia il motore delle trasformazioni in atto è indubbio, ma fermarsi alla sua descrizione è insufficiente. "Crisi" contiene in sé un'idea di temporaneità e di parentesi, quasi di sospensione. Le cose, invece, continuano ad accadere. Non solo la crisi muta, si espande, tocca settori economici inizialmente immuni (dalla finanza mondiale al piccolo commercio al dettaglio), ma investe via via i soggetti, i legami sociali, i comportamenti e la cultura stessa, cambiando i concetti stessi di cittadinanza, diritto, economia. Non è una semplice presa d'atto da parte dei soggetti che ciò che sembrava inossidabile nel periodo precedente non funziona più, quanto la messa in campo e il riorientamento più convinto di strategie, azioni, reti, in forme prima residuali. Le trasformazioni a cui stiamo assistendo non sono da considerarsi solo come semplici "re-azioni" allo shock che ha destabilizzato gli equilibri raggiunti, ma, in qualche caso, rappresentano esempi di vera e propria "pro-azione", ossia processi che dimostrano la capacità del sistema di mutare autonomamente la realtà di contesto, stimolare il rinnovamento, intraprendere strade inesplorate, seguire nuovi stili di vita, nuove prospettive. La trasformazione, quindi, intesa come capacità della società e dei gruppi di mutare i propri meccanismi per adattarsi ad uno scenario a volte ostile, ma comunque in rapido movimento, e, in questo adattamento, gettare le basi di una nuova società, di un nuovo modello di sviluppo. La capacità di costruire nel mentre della demolizione. Proprio in quest'ottica, il tema si propone di riscoprire le risorse racchiuse in ampi settori dell'economia e della società, a volte non adeguatamente valorizzate, riconoscere le potenzialità inespresse e ricercare quelle energie sotterranee, non sempre manifeste, per trasformarle in energia cinetica volta a un dinamismo positivo. E se parliamo di energie non si può non pensare ai giovani: una società che desidera evolversi deve poter riflettere sulla sua capacità generativa, se cioè sta investendo sui giovani e se sa valorizzarne potenzialità e risorse. Da un lato i giovani, che oggi nel Veneto sono per il 17% stranieri, hanno tenore di vita, opportunità sociali, culturali e relazionali superiori a quelle dei loro padri e hanno investito in percorsi di formazione che assicurano elevati livelli di capitale umano, dall'altro però sembra che siano destinati a un futuro incerto e difficoltoso. Lo stesso Presidente della Repubblica Napolitano, cercando di restituire fiducia ai giovani, richiama l'attenzione sulla questione sociale della dilagante disoccupazione giovanile di cui "bisogna farsi carico, ponendola al centro dell'azione pubblica, che deve connotarsi per un impegno sempre più assiduo nella ricerca di soluzioni tempestive ed efficaci alle pressanti istanze dei cittadini" (Nota 2).
Il difficile momento che stiamo vivendo può e deve essere, quindi, l'occasione per innescare un nuovo e vitale fermento sociale, economico, culturale e morale, quale risposta responsabile, capace di trasformare le difficoltà in opportunità di nuova crescita.
I cambiamenti dell'economia nella lunga crisi internazionale...
L'attuale fase di evoluzione del ciclo economico è caratterizzata da molti elementi di discontinuità rispetto al passato e alla teoria classica di Schumpeter dei cicli economici. Negli ultimi venti anni si è verificato un cambiamento di sistema socio-economico che si può sintetizzare in due fondamentali elementi: la riduzione delle dimensioni "spazio-tempo" e le innovazioni finanziarie. I progressi nel mondo dell'informazione e della comunicazione hanno permesso un'enorme riduzione delle distanze in termini di tempo e di spazio e una conseguente velocizzazione dei processi. Persone e fatti accaduti in luoghi lontanissimi entrano in contatto e interagiscono, dando vita a conseguenze globali; i grandi mercati borsistici e finanziari sono in grado di spostare in pochi minuti ingentissime quantità di denaro; la crescente mobilità, reale e virtuale favorisce la piena integrazione degli scambi e dei movimenti internazionali di beni, servizi, capitali. L'innovazione finanziaria ha portato all'offerta di nuovi strumenti finanziari di natura complessa, dei quali risulta arduo comprendere appieno il profilo di rischio. Mentre aumenta l'interconnessione tra mercati, eventuali squilibri finanziari divengono più difficili da individuare, crescono i rischi che shock avversi provenienti da ambiti locali o da specifici segmenti del settore finanziario possano diffondersi rapidamente a livello globale.
L'insieme di questi fattori e il ritardo con cui sono emerse le fragilità e le interconnessioni dei mercati finanziari hanno ampliato l'impatto e la persistenza sull'economia reale della crisi finanziaria scoppiata nell'estate del 2007 negli Stati Uniti.
La crisi ha accentuato gli effetti di una trasformazione già in atto, mettendone purtroppo in evidenza più gli aspetti negativi che gli sviluppi proficui. Dopo una timida ripresa nel 2010, un 2011 ancora in decelerazione, i dati del 2012 presentano delle prospettive di crescita globale ancora incerte. Se segnali positivi vengono dal rafforzamento dei Paesi emergenti, dall'accordo raggiunto negli Stati Uniti per evitare il fiscal cliff e dall'allentamento delle tensioni finanziarie nell'Area dell'euro, in Europa la produzione industriale ha continuato a perdere vigore.
...accentuano il persistere delle difficoltà
Il 2012 vede migliorare lievemente l'economia internazionale nel terzo trimestre e la crescita globale si attesta sul 3,2% per l'intero anno. Nel corso del 2013, sesto anno dall'inizio della grande crisi economica internazionale iniziata nel 2007, la ripresa rimarrebbe fragile soprattutto nell'Area dell'euro e caratterizzata da un'ampia eterogeneità tra aree e paesi. Rimane ancora alta la probabilità di recessione, soprattutto per l'Area euro; il Fondo Monetario Internazionale ipotizza che l'espansione del prodotto mondiale si intensifichi nel 2014. L'Unione europea chiude l'anno 2012 in recessione, -0,3% per l'UE27 e -0,6% per l'Area euro.
Il rallentamento ciclico, le misure di risanamento dei conti pubblici e le riforme strutturali stanno determinando una forte correzione degli squilibri esterni di alcuni paesi dell'Area dell'euro. Nonostante i progressi conseguiti a livello europeo e l'attenuazione dei timori di eventi estremi sfavorevoli, le condizioni finanziarie internazionali rimangono fragili. Il principale rischio per la stabilità finanziaria in Europa e in Italia è rappresentato dalla spirale tra bassa crescita economica, crisi del debito sovrano e condizioni del sistema bancario. Gli spread sovrani particolarmente elevati che si registrano in più paesi a causa dei timori di reversibilità dell'euro, se persistenti, deprimerebbero la crescita.
L'economia italiana sta attraversando una fase di profonda difficoltà, in cui le debolezze strutturali sono acuite dallo sfavorevole momento congiunturale. Nell'arco di un quinquennio essa ha dovuto far fronte alla crisi finanziaria, all'instabilità del mercato del debito sovrano, a due profonde recessioni. Dall'avvio della crisi, il PIL è sceso di 7 punti percentuali, il numero di occupati di 600.000 unità.
Nelle stime del 2012 anche il Veneto risente della recessione in maniera analoga al livello nazionale: la variazione percentuale del -2,3% (Nota 3) del PIL risulta leggermente migliore del -2,4% nazionale. Il 2013 rappresenterà ancora un anno di stagnazione per poi lasciare il passo alla ripresa che dovrebbe avviarsi nel 2014 riportando una crescita attorno allo 0,9%.
Nonostante le difficoltà congiunturali, il Veneto rimane la terza regione in Italia per la produzione di ricchezza, dopo Lombardia e Lazio: il 9,4% del Prodotto Interno Lordo nazionale è realizzato in Veneto. Il PIL per abitante veneto stimato nel 2012 risulta di circa 29.600 euro, superiore del 15% rispetto a quello nazionale. Siamo, però, ancora lontani dai valori economici pre crisi, nelle previsioni al 2014 il PIL veneto potrebbe arrivare a 130.079 milioni di euro, ossia tornare ai livelli del 2003; il PIL per abitante, pur mantenendosi sopra alla media italiana, nel 2014 si potrebbe posizionare sui valori del 1995, ben 20 anni prima.
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L'economia

Le trasformazioni del sistema economico
I sistemi economici evolvono e si trasformano costantemente. La storia economica del Veneto viene studiata nell'intero periodo 1995-2011 e nei suoi sottoinsiemi 1995-2000, anni di pieno benessere, 2000-2007, quando l'andamento del PIL comincia a oscillare e, infine, 2007-2011, gli anni della grande crisi.
Considerato l'intero periodo 1995-2011, il PIL veneto cresce in media dello 0,9% all'anno come in Italia. A questo risultato si arriva dopo il forte incremento medio annuo degli anni 1995-2000, pari al 2,4% (1,9% per l'intera Italia) al quale contribuisce particolarmente l'exploit del 2000: la variazione percentuale 2000/1999 è pari a +5%. Gli anni 2000-2007 vedono una crescita del PIL pari all'1,3% (come il dato nazionale): dopo la debolezza del 2002 (-0,8%) si assiste ad una buona ripresa soprattutto nel 2004, +2,7%, fino alla variazione percentuale 2007/06, +2%. Infine gli ultimi anni 2007-2011 vedono una riduzione della ricchezza dell'1,4%: la caduta 2009/2008 del 5,5% incide fortemente sull'intero periodo.
Nel confronto territoriale, il Veneto risulta in tutti i periodi tra le regioni con lo sviluppo più elevato, tranne che nel periodo di crisi quando la caduta più intensa rispetto ad altre regioni del Nord economicamente forti, come Lombardia ed Emilia Romagna, è da spiegarsi con la sua economia ancora fortemente legata alla manifattura e agli scambi internazionali, così da risentire maggiormente della recessione globale.
Dall'analisi shift&share, una tecnica che consente la scomposizione della crescita del valore aggiunto in componenti che raccolgano i contributi dei diversi fattori di sviluppo, emerge un Veneto che risente della tipologia delle proprie attività produttive, come la Lombardia, l'Emilia Romagna, l'Abruzzo, le Marche, il Piemonte e la Toscana; regioni che risentono del freno costituito da una composizione strutturale penalizzante, in quanto ricche di attività in quei settori economici rivelatisi meno dinamici e meno in crescita di altri nel periodo di riferimento. Nonostante ciò, il Veneto presenta una crescita del valore aggiunto nel decennio di poco inferiore rispetto alla media nazionale, mostrando quindi di disporre di una componente locale positiva, dietro alla quale si cela un sistema produttivo stabile, in grado di mantenere il territorio ad un livello di sviluppo economico relativamente solido rispetto all'andamento nazionale, alimentando così un segnale di forte produttività del territorio.
Le spinte al cambiamento: i flussi commerciali
La globalizzazione attraverso lo sviluppo dei flussi commerciali e produttivi si è tradotta in un fattore motivante per la competitività del territorio e l'apertura verso i mercati esteri viene considerata uno degli assi portanti dell'economia regionale. A livello nazionale, in termini di fatturato estero, sono 3 le regioni che hanno contribuito maggiormente alla crescita in questi ultimi dodici anni, spiegando oltre il 55% dell'aumento delle esportazioni nazionali: la Lombardia (+27,7%), l'Emilia Romagna (+16,4%) e il Veneto (+11,5%).
I cambiamenti avvenuti negli ultimi vent'anni che hanno maggiormente influenzato la struttura e il funzionamento delle imprese sono stati la riduzione delle barriere commerciali e la rivoluzione della logistica e delle comunicazioni. Le imprese hanno così cominciato a operare in maniera assai più integrata su scala mondiale, mentre quelle che operavano a livello esclusivamente locale si sono trovate in profonda difficoltà.
Questo ha portato a profondi mutamenti nelle dinamiche dei flussi commerciali internazionali sia a livello settoriale che geografico. L'espansione commerciale si è associata alla forte crescita delle esportazioni di manufatti, in particolare delle produzioni a elevato contenuto tecnologico e di conoscenza. Inoltre, la forte intensificazione dei processi di frammentazione dei cicli produttivi fra più paesi ha determinato una rilevante crescita degli scambi di prodotti intermedi e di beni strumentali. La significativa crescita di alcune economie emergenti ha determinato uno spostamento dell'asse commerciale mondiale che ha generato un nuovo equilibrio della distribuzione della ricchezza globale. La formazione e la diffusione delle reti internazionali di produzione hanno consentito ad alcune delle nuove economie emergenti di aumentare notevolmente il contenuto tecnologico delle proprie esportazioni. Questo processo ha determinato un progressivo avvicinamento del grado di affinità delle esportazioni con quelle dei paesi avanzati, guadagnando segmenti a maggior valore aggiunto delle merci esportate.
Tra il 2000 e il 2012, al progressivo calo della specializzazione verso l'area UE, si è associata una presenza crescente nei mercati delle economie emergenti. Infatti, se da un lato il contributo alla crescita delle esportazioni venete degli ultimi dodici anni è ancora fortemente legato alle vendite verso i mercati maturi, nel periodo preso in esame circa il 55% del nuovo export generato è ascrivibile ai mercati UE, dall'altro sono i mercati delle nuove economie emergenti a registrare i tassi medi di crescita più elevati, con punte nell'Asia centrale (+13,2%), nell'Europa orientale (+8,2%) e in Medio Oriente (+6,5%).
La maggiore propensione a servire i mercati più dinamici si è associata al posizionamento sulla fascia medio-alta della gamma produttiva esportata, in particolare nella filiera della meccanica di precisione, da molti anni uno dei fiori all'occhiello della produzione regionale ad elevato contenuto tecnologico. Osservando la dinamica delle esportazioni del settore manifatturiero e aggregando i settori in base alla classificazione basata sul contenuto tecnologico dei beni, si rileva che il comparto dei beni a medio-alta tecnologia è diventato quello più rappresentativo dell'export regionale, assorbendo più del 39% dell'intero valore del fatturato estero regionale. All'aumento delle esportazioni di questa tipologia di bene influiscono in maniera significativa i prodotti del settore della meccanica, degli apparecchi elettrici e del comparto dell'ottica. In questi ultimi anni, la meccanica strumentale veneta è riuscita, grazie all'alto grado di automazione dei processi produttivi e all'elevata capacità di innovare i prodotti, a compensare in modo soddisfacente la minore domanda dai mercati avanzati con la più favorevole evoluzione nella richiesta di macchinari da parte dei Paesi emergenti. In aumento anche l'altra componente dei beni a contenuto intermedio: la quota dell'export del settore a contenuto tecnologico medio-basso è passata dal 15,9% del 2000 al 19,2% del 2012. Questo comparto, spinto dell'export delle lavorazioni in metallo, ha contribuito all'incremento dell'export regionale degli ultimi dodici anni con una quota di poco superiore al 30%, registrando un tasso di crescita annua pari al 4,2%.
Un volano per lo sviluppo: l'interscambio dei settori "tradizionali", ma belli e ben fatti
Il peggioramento del quadro economico italiano ed europeo rende ancora più stringente la necessità per l'economia veneta di cercare altrove l'appiglio per risalire la china. Restano, pertanto, quanto mai attuali le considerazioni svolte nella passata edizione del Rapporto, circa l'opportunità da parte delle imprese di rivolgere la propria attenzione verso i mercati emergenti più dinamici di quelli maturi e soprattutto attraversati da cambiamenti economici e sociali che stanno modificando profondamente il comportamento dei consumatori. In particolare, nei nuovi mercati un bacino di spesa potenzialmente molto ampio deriva dall'allargamento del ceto medio. Tale fascia della popolazione va orientandosi verso un paniere di consumo più evoluto in cui cresce il peso di beni non necessari, ma che affascinano o addirittura rivestono il ruolo di status symbol. Per agganciare questo potenziale bacino di domanda il Veneto possiede due strumenti che fanno parte del suo DNA produttivo: l'elevata vocazione all'export e un tessuto economico radicato nei valori di qualità, design ed esperienza insiti in prodotti belli e ben fatti che esercitano un evidente appeal sui nuovi consumatori.
Il Bello e Ben Fatto (BBF d'ora in poi) è il made in Italy dei beni di fascia medio-alta di antica tradizione ed artigianalità, ma innovativi nel design e nelle tecnologie di avanguardia, realizzati con standard qualitativi e professionalità elevati. Rispetto all'analisi presentata nel Rapporto dello scorso anno, il campo di osservazione dei beni di fascia medio-alta che costituiscono il BBF veneto si amplia, comprendendo, oltre ai settori alimentare, abbigliamento-tessile casa, calzature e arredamento anche due comparti particolarmente rilevanti per l'economia veneta: l'occhialeria e l'oreficeria-gioielleria.
Che i prodotti BBF rappresentino una leva importante per l'economia veneta lo dimostrano, in una situazione di crisi profonda dei consumi interni, i numeri dell'export: nel 2012 a fronte di una crescita delle esportazioni complessive pari all'1,6%, quelle di BBF aumentano del 4,7%; nel 2012 pesano per il 29% delle esportazioni venete complessive. Inoltre, che le opportunità di crescita vadano ricercate nei mercati nuovi si desume anche dall'andamento delle esportazioni di BBF veneto per area di destinazione: nel 2012 le esportazioni di BBF aumentano dell'8,1% nei paesi emergenti, 4,7% in quelli maturi.
Tra i nuovi mercati più rilevanti, quello in cui il Veneto mostra una maggiore penetrazione è la Russia, in particolare, per l'alimentare, l'arredamento e i comparti della moda. Tale presenza più significativa è favorita dalla duplice considerazione che, rispetto ad altri paesi emergenti, come Brasile, Cina o India, in Russia il ceto medio è, in proporzione, più numeroso e che forte è il fascino esercitato dai prodotti BBF sui nuovi consumatori del Paese.
Ma, oltre alla Russia, altri paesi sono importanti bacini di domanda: la Cina, in primis, che rappresenta un'opportunità anche per accedere in altri mercati asiatici ad alto potenziale (India, Malesia, Vietnam, ad esempio) più difficili da approcciare direttamente. In Cina, considerata l'ampiezza del mercato, il BBF veneto esercita un peso non trascurabile; nell'occhialeria e nell'oreficeria-gioielleria, in particolare, il Veneto detiene una quota superiore al 20% del mercato cinese.
Un altro mercato di grande interesse è rappresentato dagli Emirati Arabi Uniti, nei quali, ad eccezione dell'occhialeria, il peso del Veneto sulla domanda internazionale di BBF è ancora relativamente ridotto: margini di espansione si ravvisano, infatti, in tutti i comparti, grazie al crescente apprezzamento dei prodotti tipici del made in Italy, veicolato anche da turismo ed eventi fieristici.
La leva di attivazione della trasformazione: la ricerca
In questo momento storico la ricerca rappresenta un moltiplicatore di produttività e come tale una leva strategica fondamentale per avviare le economie mature verso la ripresa. La fase attuale non è soltanto di crisi ciclica, ma di mutamento sistemico, e a maggior ragione saranno i "salti tecnologici" a poter dare slancio alla ripresa e allo sviluppo di un diverso assetto economico. Puntare sull'innovazione è una vera strategia contro la crisi, guardando anche al problema macroscopico della scarsità di alcune risorse non rinnovabili sul piano mondiale e alla pressione che ciò sta generando sui prezzi e sulla disponibilità di alcuni beni.
Nella stessa Strategia Europa 2020 l'asse prioritario "crescita intelligente" promuove la conoscenza e l'innovazione come motori della nostra futura crescita. L'Europa promuove l'innovazione e il trasferimento delle conoscenze in tutta l'Unione, l'utilizzo ottimale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e incentiva la trasformazione in nuovi prodotti e servizi delle idee innovative. Si riconosce che per affrontare le sfide a cui oggi la nostra società va incontro, dall'efficienza energetica alle trasformazioni demografiche, dovranno essere rafforzati gli investimenti in ricerca e innovazione, così da garantire un futuro più efficiente e più sostenibile, tanto per la società quanto per il nostro territorio.
In Veneto in questo settore gli effetti della crisi si sono fatti sentire: ma più che le aziende, sono state le Università e le istituzioni pubbliche a tagliare le attività ritenute aggiuntive rispetto agli standard minimi e quindi ridurre la spesa in ricerca. L'incidenza della spesa in ricerca sul PIL in Veneto nel 2010 è pari a 1,04%, leggermente più bassa dell'anno 2009, l'1,08%.
Gli agenti delle trasformazioni economiche: le imprese
La dinamica delle imprese attive venete dell'ultimo triennio conferma che è ancora in pieno svolgimento la trasformazione del sistema produttivo regionale: il terziario continua a ricoprire il proprio ruolo di traino per l'economia veneta; le imprese dei servizi, infatti, rappresentano complessivamente oltre il 54% del sistema produttivo regionale (oltre il 65% se non consideriamo il comparto agricolo). Le imprese che soffrono di più la recessione nel periodo 2009-2010 sono sicuramente le manifatturiere, -1,9%, seguite da quelle nell'ambito dell'edilizia che si riducono dell'1,7%. Segue il comparto dei trasporti con -1,8% e il commercio, -0,2%. Gli altri settori rimangono in crescita, in particolare i "servizi alle imprese" (+1,9% nel triennio), le aziende del terzo settore "servizi sociali e personali" (+1,5%), quelle che ruotano attorno al turismo, "alberghi e ristoranti" (+1,4%) e le banche e società finanziarie (+1,2%).
La metamorfosi da un'economia prevalentemente agricola come quella precedente la seconda grande guerra, all'elevata industrializzazione post bellica, fino alla tendenza alla terziarizzazione iniziata negli anni '80, ci permette di capire la flessibilità del sistema veneto che continua a riadeguarsi ai mutati assetti strutturali e alle diverse condizioni di contesto economico nazionale e mondiale.
L'apparato industriale veneto, pur duramente colpito dalla recessione internazionale, rimane comunque una dorsale rilevante sia in termini di forza lavoro, sia in termini di produzione di ricchezza incrementata dagli importanti scambi internazionali di merci prodotte in Veneto. Inoltre, bisogna osservare che il settore dei servizi, oltre all'importante componente legata al turismo, è composto in prevalenza da imprese che si occupano di servizi a supporto dell'industria.
Essendo una regione a così forte vocazione internazionale, diventa sostanziale per il Veneto seguire le raccomandazioni della Commissione europea, individuate attraverso l'iniziativa faro sull'industria che promuove una "politica industriale integrata per l'era della globalizzazione". Tale politica dovrebbe migliorare il contesto in cui opera l'industria attraverso un'ottimizzazione dell'accesso ai finanziamenti per le imprese, rafforzando e sviluppando il mercato unico, difendendo attivamente i diritti di proprietà intellettuale, migliorando le infrastrutture, attivando nuove politiche dell'innovazione industriale, regolamentando gli scambi ed accordi internazionali e garantendo l'accesso alle materie prime ed ai prodotti d'importanza critica; tutto ciò senza dimenticare la sostenibilità ambientale, quindi affrontando i problemi delle industrie ad alta intensità energetica, e quella sociale, con l'allargamento della responsabilità sociale d'impresa.
La manifattura veneta è comunque cambiata nel tempo: da metà anni 2000 si è assistito in Veneto ad una differenziazione delle attività produttive, con cambiamenti nel peso relativo dei settori, in linea con il processo di trasformazione della produzione veneta che vede alcuni settori tradizionali di grande peso lasciare spazio a settori nuovi, a più alta intensità tecnologica e contenuto di conoscenza.
Il terziario naturalmente rimane strategico, specialmente nei periodi recessivi del ciclo economico. Anche qui si trovano grandi differenze tra gli esercizi commerciali che hanno pesantemente risentito della crisi dei consumi degli ultimi anni e altri comparti. Ad esempio, il terziario ad alto contenuto di conoscenza sta raggiungendo negli anni una più elevata quota di imprese attive a discapito degli altri settori: in Veneto, infatti, partono da una quota di imprese attive dell'11,8% nel 2005 e arrivano nel 2011 a sfiorarne il 14%.
Come rispondono alla crisi le imprese venete
Trasformazione e sviluppo aziendale sono fortemente correlate in quanto è la flessibilità che consente di superare questo difficile momento. Le azioni di trasformazione aziendale messe in atto per superare lo storico rapporto crisi-ristrutturazione, visto come fenomeno puntuale e congiunturale, possono portare ad un'azione evolutiva che migliora lo status aziendale. Osservando lo zoccolo duro delle imprese venete, ossia quelle rimaste sempre attive nel periodo 2005-2010 e abbastanza strutturate, dai 10 addetti in su, si è cercato di individuare le caratteristiche delle imprese non micro che hanno mantenuto o addirittura migliorato occupazione e redditività. Le imprese studiate complessivamente registrano un aumento di redditività proporzionale all'aumento di addetti. La differenziazione nei risultati aziendali sembra conseguenza della dimensione dell'impresa: se le piccole imprese (10-19 addetti) nel periodo 2005-2010 soffrono, registrando variazioni medie annue negative sia in ambito occupazionale che in quello della redditività aziendale, le medie tendono a mantenere il proprio status, mentre le grandi migliorano decisamente. Le imprese con un numero di addetti tra 50 e 249 mostrano una crescita proporzionale tra redditività e occupazione, mentre quelle con oltre 250 addetti migliorano ulteriormente l'occupazione.
Dallo studio emerge, in definitiva, che le imprese più performanti sono le imprese di media e grande dimensione, che sono quasi tre mila (20,7% delle imprese osservate) e impiegano il 66,6% degli addetti della nostra coorte (dato 2010), mentre tra le piccole imprese riescono ad emergere solo quelle che riescono ad innovare e investono in ricerca.
Tra tutte, le imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo e operano con l'estero dimostrano un consistente miglioramento della redditività e una buona crescita occupazionale.
Un esempio: le piccole imprese della meccanica strumentale
Nella seconda metà degli anni duemila (2004-2010) nel settore della meccanica strumentale del Veneto le piccole imprese - con fatturato inferiore a 7,5 mln. di euro - hanno tenuto comportamenti competitivi mutevoli di fronte ai continui cambiamenti dello scenario economico, con l'obiettivo di rafforzare la capacità di permanenza sul mercato: schematizzando, si può dire che sia i comportamenti di tipo adattivo (principalmente i percorsi di downgrading volti a semplificare la struttura della catena del valore interna e i conseguenti assetti organizzativi aziendali) sia i percorsi di tipo proattivo (adozione di modelli di business più complessi) hanno conseguito con notevole successo tale obiettivo. La probabilità di sopravvivenza sul mercato è, infatti, sensibilmente aumentata per le imprese che hanno intrapreso tali percorsi di trasformazione del proprio modello di business, soprattutto nel breve termine (sempre al di sopra del 90%), ma anche nel lungo termine. Al contrario, le imprese che hanno mantenuto stabilmente lo stesso approccio competitivo e la medesima struttura della catena del valore interna, senza modificare la propria "value proposition", hanno generalmente evidenziato le maggiori difficoltà a tenere il mercato; le sole eccezioni riguardano: da un lato i modelli con un approccio al mercato centrato su investimenti immateriali e competenze manageriali, in grado di sostenere la concorrenza sui mercati internazionali; dall'altro, il modello della subfornitura "esclusiva" verso un cliente principale.
Le aziende agricole: tra tradizione e nuovi orizzonti
Il comparto agricolo italiano, soprattutto nel corso degli ultimi anni, ha vissuto un periodo molto complesso, condizionato dalla crisi economica, dalla volatilità dei prezzi delle commodity agricole, dai cambiamenti nella Pac (Politica Agricola Comune) e non ultimo dalle nuove sfide legate alla sostenibilità ambientale. Tutto questo, sommato alle esigenze di una rinnovata capacità imprenditoriale e alle necessità legate ad una maggiore redditività dell'agricoltura, ha contribuito alle profonde trasformazioni che si sono registrate fra i vari censimenti dell'agricoltura e che hanno portato in qualche modo l'agricoltura nostrana ad avvicinarsi maggiormente agli standard europei: le aziende agricole italiane, infatti, si stanno avviando chiaramente, seppur a rilento, verso incontrovertibili processi di ingrandimento e specializzazione. Nel 2010 però è ancora l'azienda individuale a conduzione diretta, con terreni di proprietà esclusiva, di piccole dimensioni e fortemente incentrata sulla famiglia del capo azienda ad essere la forma più diffusa; inoltre la metà dei capi azienda veneti ha più di 60 anni e le altre attività remunerative connesse all'azienda sono ancora poco conosciute ed utilizzate.
Se considerato nella sua totalità, il comparto agricolo veneto quindi dimostra trasformazioni in corso lente ma inesorabili, con una progressiva scomparsa delle aziende piccole e non competitive e con timidi affacci di aziende dallo stampo imprenditoriale e specializzato. Ma è analizzando le singole specializzazioni (biologico, prodotti certificati dop ed igp, allevamenti) che queste spinte appaiono sempre più evidenti, sebbene in peso percentuale occupino ancora spazi marginali: questo tipo di aziende rispetto alla media regionale sono più grandi, più giovani, ricorrono più spesso all'affitto dei terreni e a forme societarie di conduzione, sono più inclini alla multifunzionalità e alla sostenibilità ambientale ed infine creano più reddito.
Nel frattempo, lo stesso modello agricolo europeo è in forte evoluzione verso un modello imprenditoriale dove l'innovazione è il paradigma: questo intenso processo è contraddistinto da nuovi metodi di produzione e nuovi tipi di collaborazione, oltre che nuovi prodotti e servizi da offrire ai consumatori: in questi anni, infatti, i mercati sono sempre più orientati verso una inarrestabile globalizzazione e una forte evoluzione della domanda dei compratori a cui bisognerà essere in grado di rispondere soddisfacendone le esigenze, con un occhio di riguardo alla qualità e alla sicurezza delle produzioni; l'ambiente competitivo è ormai transnazionale e richiede capacità imprenditoriale, flessibilità decisionale e velocità di risposta al cambiamento, crescita, innovazione, organizzazione e sviluppo di filiera e di rete.
Negli ultimi trent'anni l'evoluzione dei sistemi di comunicazione di massa su scala mondiale (internet), che hanno velocizzato enormemente lo scambio di informazioni prima ancora che di merci, ha ridotto le distanze ed il sistema produttivo e soprattutto commerciale internazionale dei beni destinati all'alimentazione umana è stato testimone dell'aumento dei consumi, della produzione e degli scambi.
Il Veneto ha saputo rispondere a queste istanze, candidandosi a regione ideale nel concentrare i prodotti agricoli e alimentari di altre regioni e Paesi produttori e può essere definita come una vera e propria piattaforma di rilancio verso l'estero, in questo favorita sia dalla posizione geografica, sia da una lunga tradizione di grandi commercianti che risale alla Repubblica di Venezia, oltre che da altre condizioni favorevoli, ad esempio il fatto che ancora oggi circa il 90% dei trasporti di prodotti agricoli e alimentari avviene su gomma. Gli operatori veneti svolgono quindi una duplice funzione, di re-distribuzione sul territorio regionale e del Nord Italia e di rilancio e smistamento verso i principali mercati di sbocco esteri, sfruttando i corridoi di traffico che puntano verso nord e verso est, sia dei prodotti agricoli e alimentari realizzati in loco, che di quelli provenienti dal resto d'Italia e da altri Paesi nel mondo: queste peculiarità hanno portato la nostra regione a detenere alcuni primati nelle esportazioni agroalimentari, primo su tutti quello del vino che nel 2012 ha battuto ogni record in valore, con oltre 1,4 miliardi di euro.
Proposte turistiche in continuo sviluppo
Per una sorta di intreccio virtuoso, gli operatori veneti dell'agricoltura contribuiscono alla valorizzazione anche del settore turistico, si pensi ad esempio alle strade del vino e dei prodotti tipici.
Il Veneto offre ai visitatori e ai residenti un panorama completo, da ammirare, vivere e gustare, che costituisce la ricchezza e la forza della nostra terra. Una sinergia tra soggetti pubblici e privati è fondamentale per evidenziare tutti gli aspetti produttivi che ci rendono immediatamente riconoscibili, ed ecco il fiorire di sistemi che si propongono al mercato sotto la stessa bandiera, valorizzando comunque le peculiarità di ciascun partecipante: il turismo congressuale, le ville venete, e, come già detto, le strade del vino e dei prodotti tipici ne forniscono alcuni esempi. E la gamma di proposte è in continuo sviluppo per rispondere alle esigenze di un pubblico sempre più vasto e alla ricerca dell'offerta che soddisfi nel migliore dei modi le proprie aspettative.
Indipendentemente dal periodo sfavorevole di crisi, il turismo veneto aveva registrato nel 2011 numeri da record. Nel 2012 le grandi potenzialità dell'offerta turistica veneta, valorizzata dalle capacità imprenditoriali degli operatori e da uno strutturato e sinergico piano di promozione, hanno permesso al Veneto di mantenere il flusso record di visitatori, attestatosi sui 15,8 milioni di arrivi (+0,3%). La riduzione della permanenza nelle località di villeggiatura, in corso ormai da diversi anni, fa segnare ai pernottamenti un -1,7%, mantenendo comunque la ragguardevole cifra di circa 62,4 milioni di presenze.
La tenuta del turismo veneto è dovuta a un interesse crescente da parte della clientela estera che sopperisce la riduzione delle vacanze sul nostro territorio dei nostri connazionali. Aumentano i consensi dei mercati tradizionali, in primis quello tedesco, mentre continua la scalata delle cosiddette aree BRIC (Nota 4), che oggi assumono la veste di nuove frontiere sulle quali conformare nuove strategie promozionali.
Dal punto di vista economico, nel 2012 la spesa dei turisti internazionali in Veneto ha superato per la prima volta la soglia dei 5 miliardi di euro, con un incremento del 5,3% rispetto all'anno precedente e del 2,6% rispetto al 2007 che aveva registrato la migliore performance pre crisi. Si può dunque ritenere definitivamente recuperato il calo nel fatturato turistico internazionale che aveva raggiunto il suo punto di minimo nel 2010, con 4,3 miliardi di euro.
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Il sociale

Le famiglie: tra difficoltà e nuovi stili di vita
Che il presente rappresenti un momento di trasformazioni anche sociali è indubbio: nel giro di pochi mesi è mutata non solo la consapevolezza generale della particolarità del momento storico, ma anche la necessità e la sensibilità di adeguare comportamenti, stili di vita, scelte personali e collettive alla nuova situazione.
Nel 2011 si è svolto il 15° Censimento della popolazione e delle abitazioni che ha ridisegnato la mappa demografica del Paese, evidenziando i cambiamenti avvenuti negli ultimi dieci anni e fornendo risposte non solo al "quanti siamo", ma altresì al "chi siamo" e al "dove e come" scegliamo di vivere. Scelte che sempre più spesso sono legate alle contingenze di lavoro e reddito, ma anche al clima sociale, all'intreccio di soddisfazione per il presente e di fiducia nel futuro.
Al 9 ottobre 2011, in Veneto risiedono 4.857.210 abitanti, il 7,3% in più rispetto al 2001, uno dei maggiori incrementi registrati in Italia (4,3%). In questi dieci anni, è soprattutto il contributo della popolazione straniera a incidere positivamente sulla variazione complessiva dei residenti, attenuando le diminuzioni o accentuando i guadagni: in Veneto la presenza straniera aumenta di 304.254 unità, arrivando a costituire il 9,4% della popolazione (457.328 persone, un aumento del 198,8%), mentre gli italiani sono solo 25.262 in più (lo 0,6%).
L'aggravarsi della crisi economica ha favorito il diffondersi di un clima di sfiducia e insoddisfazione generale, che attraversa tutti i segmenti della popolazione, le aree del Paese e le diverse classi sociali. Gli italiani, più degli europei, si dichiarano preoccupati per la situazione economica-occupazionale del Paese, delusi dalle istituzioni, scontenti per le misure che riguardano il sistema di inclusione e protezione sociale, diffidenti anche verso il prossimo.
Nel 2012 diminuisce in Veneto, così come in tutta Italia, il livello di soddisfazione dei cittadini per la vita in generale: peggiora soprattutto il giudizio sulla situazione economica personale e familiare, mentre regge, mantenendosi su livelli molto alti, la soddisfazione per le relazioni familiari e amicali.
Sempre più in difficoltà le famiglie, che vedono diminuire il proprio reddito, pari nel 2010 a 37.353 euro all'anno, il 5,3% in meno rispetto al 2007: il 67% delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese, il 27% non riesce a far fronte a una spesa imprevista di 700-800 euro e il 34% non può permettersi anche una sola settimana di vacanza. E' in aumento anche la quota di famiglie impossibilitate a sostenere spese primarie, come riuscire a mangiare con regolarità in modo adeguato o riscaldare sufficientemente la casa, o che accumulano arretrati di pagamento, specie per il mutuo e l'affitto. Per far quadrare il bilancio, poi, le famiglie sono sempre più costrette a usare anche i risparmi messi da parte e, quando ciò non è sufficiente, devono intaccare il proprio patrimonio.
La riduzione del reddito talvolta è tale da esporre il 15,9% della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale, valore che in un confronto nazionale ed europeo si mantiene ancora contenuto (Italia 28,2%, UE27 24,2%), ma in crescita. In Italia, soprattutto al Sud, l'effetto della crisi si fa sentire con più forza, tanto che nel solo ultimo anno il numero di persone in grave difficoltà aumenta di circa 2,4 milioni.
Con la perdita del potere d'acquisto diminuiscono i livelli di consumo, che segnano oggi la performance peggiore dal 1997: nel 2011 le famiglie venete spendono in media 2.903 euro al mese, il 7,5% in meno rispetto a quindici anni fa e il 12% in meno rispetto al 2007, periodo di massima espansione economica nella nostra regione. Nel tempo cambia la struttura dei consumi, per l'evoluzione dei bisogni delle famiglie ma soprattutto in risposta alle diverse condizioni economiche: l'abitazione e l'acquisto di generi alimentari assorbono complessivamente quasi il 46% della spesa delle famiglie venete e incidono ancora di più nel bilancio delle famiglie con minori possibilità economiche, alle quali resta poco da dedicare a beni e servizi non strettamente necessari, cui è più facile rinunciare. Il livello di spesa delle famiglie più ricche è 4,5 volte superiore a quello delle famiglie più disagiate e la diversa disponibilità economica si traduce in una differente struttura della spesa per consumi: rimangono differenze importanti anche nell'accesso ad alcuni diritti fondamentali, come potersi curare o istruirsi. Le famiglie con reddito più basso riescono a destinare alla cura della salute solo il 3% della propria spesa, contro il 5% di chi sta economicamente meglio; sono costrette quasi a eliminare le visite mediche, le analisi cliniche e gli esami radiologici, mantenendo solo la spesa incomprimibile per i medicinali, a conferma di come le disuguaglianze socio-economiche si traducono in disuguaglianze in salute.
Tuttavia, se da un lato le famiglie si trovano ad affrontare sacrifici e limitazioni, dall'altro dimostrano la capacità di adattarsi, di differenziare rispetto al passato obiettivi e percorsi personali, anche reinterpretando la propria visione del mondo. Le famiglie riorganizzano la spesa, adottano comportamenti più attenti e sostenibili, anche riportando i consumi a logiche a-competitive di bisogno e non di status, eliminano sprechi ed eccessi considerati normali nei periodi di crescita economica: sobrietà, esigenza e riscoperta di un valore. La grande distribuzione si conferma il luogo principale dove comprare a scapito dei negozi tradizionali. Sono sempre di più i cittadini che fanno shopping on-line, spesso beneficiando di vantaggiosi risparmi rispetto all'acquisto tradizionale. Seppur lontani dalla media europea i veneti che comprano on-line sono il 32,5% di chi accede a internet, più che a livello nazionale (28,2%).
I progetti degli stranieri, nonostante le criticità
La presenza straniera, che in questa situazione di crisi rischia di essere vissuta in termini di conflitto, è a tutt'oggi considerata in modo ambivalente tra eccessiva e valevole di diritti e riconoscimenti.
Nel corso del 2012 si è molto enfatizzato, soprattutto nella comunicazione giornalistica nazionale, un presunto fenomeno di fuga degli stranieri dall'Italia, che i commentatori hanno correlato all'incedere della crisi economica e al venir meno per gli stranieri del motivo principale del loro insediamento, il lavoro.
Per il Veneto, nel 2011, diminuiscono le iscrizioni in anagrafe da parte di stranieri provenienti dall'estero (32.244, il 19% in meno rispetto al 2010) e nel contempo aumentano gli stranieri che decidono di lasciare l'Italia per recarsi in altri Paesi (nel 2009-2011 il flusso in uscita raggiunge mediamente le 5 mila persone, quando fino a qualche anno fa restava sotto le 2 mila). Ciò tuttavia, la quota di nuovi ingressi rimane quasi sette volte le uscite, determinando un saldo positivo che va ad aumentare il numero di stranieri residenti in Veneto e la popolazione nel suo complesso. E' comunque un saldo in calo, la cui diminuzione è dovuta più alla flessione degli ingressi dall'estero che a un rinforzo consistente dell'esodo. Ad ogni modo, la tumultuosa crescita dell'immigrazione straniera che ha caratterizzato gli anni pre-crisi sembra lasciare il passo a flussi più contenuti, ma non arrestati, tenuto conto che la crisi internazionale interessa fortemente anche i Paesi più poveri, da cui in genere provengono queste persone.
Muoversi per cercare migliori opportunità anche per affrontare la crisi sembra essere una strategia messa in atto non solo verso l'estero, ma altresì all'interno dei confini nazionali. Forse a causa dei minori legami familiari, amicali o di comunità, che fungono in genere da rete di protezione contro eventuali difficoltà economiche o di altro tipo, gli stranieri mostrano una maggiore flessibilità a trasferirsi più spesso degli italiani.
Proprio gli stranieri, che subiscono in modo acuto il dramma della crescente disoccupazione, sono tuttavia i più ottimisti. Si tratta di una convinzione che si allarga anche ai figli, segno di una proiezione di benessere intergenerazionale in ascesa, alla cui base c'è il darsi da fare e l'impegnarsi anche tramite l'istruzione scolastica. Anche per questo, la maggioranza degli stranieri esprime il desiderio di rimanere in Italia nei prossimi dieci, di ristrutturare o acquistare una casa proprio nella città in cui vive, tutti segni che suggeriscono una volontà di stabilirsi, di insediarsi, di fare comunità, di pensare a una famiglia.
Chi si insedia per necessità in un Paese straniero conosce bene le difficoltà e sovente la gravità delle condizioni dei familiari che rimangono in patria. Spesso si emigra grazie al supporto familiare anche economico e l'emigrare rappresenta un investimento nell'ambito di un progetto di uscita dalla povertà che è collettivo e familiare molto più spesso che individuale. Il far "fortuna" del migrante perciò riguarda innanzitutto riuscire a inviare soldi a casa. Dal 2005 al 2011 l'ammontare delle rimesse verso l'estero è sempre in crescita, il 2012 segna invece una battuta d'arresto piuttosto consistente: dal Veneto escono 423,3 milioni di euro, oltre il 15% in meno rispetto all'anno precedente, un dato sconcertante se si calcola che mediamente uno straniero dalla nostra regione riusciva a inviare a casa più di mille euro nel 2007, mentre nel 2012 la stima è di 813 euro.
Quale futuro per i giovani...
In particolare difficoltà poi si trovano i giovani; essere giovani significa essere in divenire, alla ricerca di un baricentro su cui costruire se stessi, evitando cadute minacciose o almeno cercando di imparare da esse. Impegnato nell'opera di conoscenza di sé e di scoperta delle proprie potenzialità, il giovane è altresì cittadino di un mondo che lo interpella, che ha bisogno anche del suo contributo. Nonostante la generale sfiducia nelle istituzioni, i giovani continuano a dimostrare interesse per il proprio territorio, impegnandosi più spesso nel volontariato, ancora poco nella vita politica.
I giovani confidano ancora in un futuro dove la propria situazione socio-economica potrà essere migliore, rispetto ad ora e a quella della famiglia di origine. Tale fiducia può rappresentare la leva su cui investire per contribuire alla società civile e per costruire la propria indipendenza. Dipenderà dalle energie personali delle giovani generazioni, ma anche dalle opportunità che la società potrà offrire loro.
È certamente il lavoro uno dei temi centrali per le nuove generazioni, veicolo di autonomia quando c'è, ostacolo alla propria realizzazione se manca o è precario. A livello nazionale oggi il tasso di disoccupazione per i giovani 25-34 è del 14,9% e addirittura del 35,3% per i ragazzi 15-24enni, il valore più alto di quest'ultimo ventennio e al di sopra del dato medio europeo che si ferma al 22,8%. Fortunatamente, la situazione dei giovani veneti è tra le più favorevoli in Italia: con un tasso di disoccupazione del 23,7%, comunque in forte aumento rispetto all'8% di dieci anni fa, il Veneto si classifica come la seconda regione per i livelli di disoccupazione più bassi. Largamente inferiore, rispetto alla media italiana, anche la quota di ragazzi veneti in cerca di lavoro da più di un anno: il 6,1% delle forze lavoro contro il 17,2% nazionale.
Tra chi fatica a trovare un'occupazione, i più colpiti risultano i ragazzi con un basso titolo di studio: il loro tasso di disoccupazione dal 2008 al 2012 cresce di quasi 10 punti, raggiungendo nell'ultimo anno quota 17,2%, rispetto all'11,3% dei laureati. Se dunque un titolo di studio elevato non è garanzia di un lavoro qualificato e stabile, rappresenta comunque uno strumento importante che i giovani hanno a disposizione all'ingresso di un mercato del lavoro molto incerto e precario. Anche per questo, oltre che per la mancanza di lavoro, il 54% dei laureati triennali sceglie di proseguire gli studi con il successivo biennio specialistico.
Più basse in Italia che altrove, inoltre, le opportunità di mobilità sociale: rimane forte il condizionamento della famiglia di origine, determinando disuguaglianze nelle opportunità degli individui. I giovani sembrano ereditare privilegi e svantaggi dei loro padri, il background familiare influenza le scelte scolastiche, gli ambienti formativi frequentati e, quindi, le possibilità di successo personale nella vita.
Le difficoltà economiche che sta attraversando il nostro Paese complicano ulteriormente la conquista della piena autonomia per i giovani.
Per essere generativi occorre saper porre una sana distanza dalla propria famiglia di origine, che consenta la propria particolare realizzazione in autonomia e il personale contributo alla società. Sono 881.389 alla fine del 2011 i giovani di 18-34 anni residenti in Veneto, in calo del 23,4% rispetto al 1998 e rappresentano oggi il 18,2% della popolazione. Più di metà dei giovani veneti dichiara di vivere ancora in casa con i genitori, (58,3% in Italia), nonostante si ritenga che l'età giusta per lasciare il nido materno sia la soglia dei 25 anni. Le fatiche a lasciare la casa d'origine fanno riferimento alla complessità di raggiungere una stabilità lavorativa, fonte di incertezza e precarietà nei progetti di vita, ma anche alle difficoltà di sostenere i costi di una casa, motivi in aumento rispetto a dieci anni prima.
Chi rimane ancora in casa fatica nell'indipendenza economica e per questo non sempre può contribuire alle spese familiari. Molti sono ancora studenti, spesso sono disoccupati, ma ci sono anche ragazzi che non lavorano, non studiano e non si formano (Neet): nel 2012 rappresentano il 16% dei veneti 15-24enni contro il dato di sette anni prima pari al 9,5%.
Quando si decide di separarsi dalla famiglia di origine, questo avviene nella maggior parte dei casi per matrimonio o convivenza (53,8%), anche se in forte calo rispetto a dieci anni prima.
... sperimentare qualcosa di diverso
In questa fase di cambiamento economico, oggi più di un tempo si affaccia la prospettiva di andare a lavorare e di vivere altrove, non tanto come soluzione temporanea, ma come progetto definitivo o per lo meno di medio o lungo periodo. Nell'ultimo decennio aumentano i giovani che lasciano l'Italia per l'estero, trasferendo la propria residenza, quindi ipotizzando una permanenza di lungo periodo. Negli ultimi cinque anni i trasferimenti riguardano all'anno più di 1.600 giovani veneti di 18-35 anni (contro una media di mille nei primi anni del Duemila). Vanno prevalentemente in Regno Unito (18% nel 2011) e Germania (12%), ma nel tempo cambiano anche le destinazioni: se fino a qualche anno fa erano maggiormente diretti in Gran Bretagna, ora diventano attrattive altre mete, anche extra-europee, come il Brasile e gli Stati Uniti.
La giovinezza rimane comunque il tempo della vita in cui le capacità sono messe alla prova, in cui si sperimenta. Nonostante le difficoltà nel mercato del lavoro e nella conquista dell'autonomia, c'è ancora chi investe su idee e nuove forme di imprenditorialità. Nel 2012 le persone con meno di 30 anni titolari di un'impresa in Veneto sono 13.879, il 5,2% del totale dei titolari. Il futuro dei giovani, con sfide e successi, dipende anche dalla capacità del sistema di indirizzarli verso l'imprenditorialità, di coltivarne l'entusiasmo, l'ottimismo e la motivazione del fare da sé e del fare con gli altri.
Le difficili dinamiche nel lavoro: Veneto, una regione ancora forte nonostante tutto
A soffrire della difficile situazione lavorativa non sono solo i giovani. Le molteplici trasformazioni socio-economiche che hanno investito il nostro Paese nell'ultimo secolo hanno portato a conseguenze profonde nel mercato del lavoro. L'attuale livello di disoccupazione italiano è il più alto di questo secolo, ma rimane comunque più basso di quanto registrato dalla fine degli anni '80 a tutti gli anni '90, quando molte erano le difficoltà dei figli del baby boom a trovare un impiego, si soffriva per la crisi valutaria del '92, cresceva la volontà delle donne ad entrare nel mercato lavorativo e si passava da un sistema prettamente industriale a uno fondato sui servizi.
Molte sono le riforme intervenute negli anni fino ad oggi, in particolare dal "Pacchetto Treu" del 1997 alla "Legge Biagi" del 2003, l'Italia ha avuto un sussulto, realizzando un'ottima performance per quanto riguarda l'abbassamento generale del livello di disoccupazione. Ottime le performance della nostra regione che dalla fine degli anni Novanta alla crisi economica attuale ha registrato tassi sempre più bassi, passando dal 6,4% del 1997 al 3,5% del 2008. Dall'autunno del 2008, invece, la crisi irrompe anche nel nostro Paese vanificando molti dei risultati ottenuti; sebbene ciò, in questi anni difficili il Veneto si conferma tra le regioni leader e nel 2012 registra il quarto tasso di occupazione più alto (69,3%), raggiungendo già il target fissato a livello nazionale per il 2020 (67%-69%) e facendo ben sperare per quello europeo di arrivare ad occupare il 75% della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni, e il secondo tasso di disoccupazione più basso sia totale (6,6%) che giovananile (23,7%). Minori in Veneto, rispetto alle altre regioni italiane, anche gli "scoraggiati", ossia quelle persone che pur essendo disponibili a lavorare, nell'ultimo mese hanno smesso di cercare un lavoro, e i sottoccupati, ossia i lavoratori in part time che vorrebbero lavorare un numero maggiore di ore e che sarebbero disponibili a farlo subito.
In Italia, inoltre, si registra un intreccio particolarmente complesso tra le trasformazioni demografiche e il mercato del lavoro. La combinazione di longevità in aumento e la minore fertilità porta ad una diminuzione della popolazione in età lavorativa e, conseguentemente, dell'offerta di lavoro potenziale e della crescita economica. Da tempo i governi europei sono impegnati a perseguire l'innalzamento della soglia di età di uscita dal lavoro e a realizzare un aumento significativo del tasso di occupazione degli anziani. A tale scopo, la strategia di Lisbona fissava entro il 2010 l'obiettivo del 50% per il tasso di occupazione della popolazione in età 55-64 anni. Vicina al target l'UE27 che passa dal 36,3% del 2001 al 48,9% del 2012; bene anche in Italia che, partendo da livelli più contenuti, passa dal 27,6% al 40,4%, e ancora meglio in Veneto dove il tasso aumenta di oltre 18 punti, dal 24,4% al 42,8%.
E' così che tra l'emergenza dell'invecchiamento e la crisi si evidenzia la necessità di un'azione politica tesa a promuovere anche una gestione più prudente dei risparmi pensionistici. Un passo avanti in tale senso è stato fatto con la riforma previdenziale del decreto Monti del 2011 che mira ad aumentare l'età di pensionamento media nei prossimi decenni. Inoltre, tra le priorità del governo tecnico di Monti la flessibilità del mercato lavorativo, sia in entrata e che in uscita, una riforma strutturale del sistema degli ammortizzatori sociali e la piena inclusione di donne e giovani, questi ultimi colpiti particolarmente dalla crisi, come abbiamo visto nel precedente paragrafo. Priorità che trovano maggiore struttura nell'ambiziosa "riforma Fornero" (Nota 5) volta a rinnovare e riorganizzare il mercato del lavoro italiano, che ha dimostrato di non essere più adeguato ai tempi.
Settori e professioni: lo specchio di una nuova società
Non tutti i settori e professioni, però, sono stati colpiti nello stesso modo. La crisi ha toccato in particolare i settori che già prima si trovavano in difficoltà e in particolar modo l'industria: in Veneto dal 2008 al 2012 gli occupati nel settore dell'industria in senso stretto sono diminuiti dell'11,5% e meno 7,2% sono i lavoratori nel campo delle costruzioni. Bene, invece, le attività ricettive e ristorazione e del commercio che incrementano in modo significativo il numero di occupati anche nel periodo di recessione economica: aspetto positivo soprattutto per una regione come il Veneto, dove il turismo è da sempre fiore all'occhiello. Ma il settore che ha registrato il maggiore aumento dei lavoratori è quello dei servizi collettivi e personali: sotto questa voce ricadono servizi come le organizzazioni associative, i servizi per la persona e le attività delle famiglie come datori di lavoro per il personale domestico. In questi anni, infatti, sono cresciute principalmente le professioni nei servizi di istruzione, sanitari e alle persone. A questo gruppo appartiene il personale nelle attività domestiche, nel quale rientrano le cosiddette "colf" e badanti. L'aumento del numero di questi occupati rispecchia il trend strutturale in atto ormai da alcuni anni e che risponde ai mutamenti della società italiana: da una parte l'invecchiamento della popolazione, che comporta una crescita delle esigenze legate alla cura degli anziani, dall'altra la femminilizzazione del mercato del lavoro, che implica una minore disponibilità rispetto al passato di svolgere lavori legati alla cura della casa e della famiglia, per i quali si ricorre sempre più a un lavoro formale. Si tratta spesso di lavori occupati da straniere che tra l'altro hanno visto la loro regolarizzazione nella sanatoria del 2009.
Istruzione... motore dello sviluppo
Strettamente connessa all'occupazione è la valorizzazione del capitale umano: investire in istruzione non solo è sinonimo di maggiori benefici per i giovani e le loro famiglie, ma è anche alla base del rilancio dell'economia del Paese ed è il motore dello sviluppo.
Nel 2012 il 47,6% dei veneti possiede almeno un diploma superiore contro il 35,4% del 2001; in particolare, la quota di laureati aumenta di quattro punti percentuali, mentre quella dei diplomati passa dal 25,9% al 37,1%.
Inoltre, nel più ampio contesto della Strategia Europa 2020, la valorizzazione del capitale umano ha un ulteriore funzione: favorire la compatibilità tra crescita e inclusione sociale. Infatti, la scelta dei due target in materia di istruzione, combattere l'abbandono scolastico prematuro, che deve ridursi al 10% entro il 2020, e innalzare la quota di giovani 30-34enni laureati ad almeno il 40% in questi dieci anni, rispecchia questa funzione. In Italia, sebbene presenti performance in netto miglioramento in questi anni, si registra una quota di laureati 30-34enne pari al 21,7% a fronte del dato dell'UE27 pari al 35,8%, e un tasso di abbandono, ovvero la quota di coloro che ha un titolo di studio inferiore al diploma superiore e non frequenta altri corsi scolastici o svolge attività formative superiori ai 2 anni, del 17,6% contro il dato europeo di 12,8%. Bene in Veneto dove sempre meno sono i ragazzi che abbandonano prematuramente la scuola, il 14,2% contro il 18,1% del 2004, e la quota di laureati 30-34enni cresce dal 16,1% del 2005 al 21,4%. Questi dati mettono in luce la nostra regione poiché, da un lato, il progressivo aumento negli anni dei laureati ci fa ben sperare per il raggiungimento del target fissato a livello nazionale, dall'altro nel 2012 il Veneto raggiunge già l'obiettivo di ridurre i livelli di abbandono prematuro: infatti, poiché le regioni italiane partono da livelli più bassi, il nostro governo ha fissato dei target più realistici per l'Italia da raggiungere entro il 2020, ovvero il 26-27% per l'istruzione terziaria e il 15-16% per gli abbandoni scolastici.
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L'ambiente

Dal globale al locale
Nel dicembre 2012 si è svolta a Doha, in Qatar, la diciottesima Conferenza delle parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc) (Nota 6) che aveva, tra i diversi obiettivi, quelli di gettare le basi per il proseguimento del Protocollo di Kyoto, la cosiddetta fase 2, e consolidare gli accordi sulla cooperazione di lungo periodo e quelli relativi agli aiuti da dare ai paesi in via di sviluppo. Il primo obiettivo, protocollo di Kyoto, ha visto l'adozione di un emendamento specifico per l'istituzione di una fase 2 dello stesso a partire dal 1 gennaio 2013. Sul fronte del sostegno ai paesi in via di sviluppo, i Paesi industrializzati hanno confermato il proprio impegno a contribuire economicamente al fine di raggiungere uno stanziamento complessivo pari a 100 miliardi di dollari all'anno destinati alla mitigazione e all'adattamento dal 2020 in poi. Passando dalla dimensione globale a quella europea, dove è particolarmente forte l'impegno verso la salvaguardia dell'ambiente, la Commissione europea ha varato lo scorso 29 novembre 2012 la proposta di decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio inerente il Settimo Programma d'azione per l'ambiente, valido fino al 2020 e denominato "Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta".
Sono molteplici gli aspetti caratterizzanti le interazioni tra la civiltà e l'ambiente: produrre ricchezza richiede energia, l'energia richiede risorse e, infine, la ricchezza produce rifiuti. Le azioni intraprese dall'Unione Europea in tal senso vanno ad incidere proprio su questo processo in un'ottica di diminuzione sia dei consumi energetici che degli "scarti". La trasformazione dei processi produttivi e la stessa creazione di beni più ecocompatibili sta portando a miglioramenti, seppure lenti, per quanto riguarda le immissioni di sostanze inquinanti nell'aria, nell'acqua e sul suolo. Parallelamente l'altro importante filone che si sta perseguendo è quello della riduzione dei rifiuti, da una parte grazie alla maggiore efficienza nel comparto produttivo e dall'altra riutilizzando i rifiuti a loro volta come nuova risorsa. Più in generale, sono molte le azioni intraprese nel campo ambientale, e che coinvolgono una molteplicità di aspetti e attori: dal monitoraggio via via più sistematico e preciso del territorio in cui viviamo alle attività pianificatorie per ridurre gli impatti ambientali dell'attività antropica. I principali aspetti trattati in questo rapporto riguardano l'aria, l'acqua, i rifiuti e l'energia, con particolare riferimento al loro stato attuale e alle trasformazioni occorse negli anni e tuttora in atto in Veneto.
Aria, acqua, rifiuti e energia: 4 facce dello stesso tetraedro
L'Italia ha definito gli obiettivi strategici inerenti la qualità dell'aria attraverso il D.Lgs. n. 155 del 2010, di attuazione della Direttiva 2008/50/CE, e il recente D.Lgs. n. 250/2012 di modifica ed integrazione del suddetto 155/2010. Il Veneto, a sua volta, ha avviato il processo di aggiornamento del vigente Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell'Atmosfera per allinearsi alla nuova Direttiva europea e al relativo D.Lgs. 155/2010.
Per quanto riguarda il monitoraggio delle polveri sottili (PM10), il trend dal 2007 mostra un andamento in lieve decrescita fino al 2010 nella maggior parte delle centraline considerate, a cui fa, però, da contraltare un valore in rialzo nel 2011. Questo fenomeno trova una parziale spiegazione tenendo presente che il problema delle polveri sottili, al di là della quantità che ne viene immessa nell'atmosfera, è anche quello del ristagno delle stesse e, questo, è strettamente legato alle condizioni climatiche circostanti. Il clima della pianura padana di per sé favorisce la permanenza delle particelle di PM10 nell'aria, e, a questo, va aggiunta una situazione particolare nel 2011 che ha visto, contrariamente allo standard, un periodo invernale caratterizzato dai mesi di febbraio, novembre e dicembre con alta pressione e aria piuttosto ristagnante, che non ha certo favorito la dispersione delle polveri. L'ozono (O3), da parte sua, presenta un andamento decisamente altalenante dal 2007 al 2011. Anche in questo caso l'influenza delle condizioni climatiche è piuttosto forte: in estate la forte radiazione solare, la temperatura elevata, la presenza di alta pressione e bassa ventilazione, sono tutti fenomeni che favoriscono il ristagno e l'accumulo delle sostanze inquinanti che danno origine alla formazione di O3.
L'altro grande argomento connesso all'ambiente è l'acqua, che comprende una moltitudine di aspetti diversi: dalla disponibilità delle risorse idriche per l'uso potabile alla qualità delle stesse, dalla balneabilità dei corpi idrici alla vita della flora e della fauna acquatica. L'uso sostenibile di questa risorsa limitata sta diventando un problema sempre più pressante poiché si sta ampliando il divario tra la domanda e l'offerta. Si sta recependo l'importanza di una politica di gestione delle risorse idriche più razionale e il 2013 è stato proclamato "anno internazionale della cooperazione nel campo dell'acqua" da parte dell'ONU. Il Parlamento e il Consiglio Europeo hanno approvato nel 2000 la Direttiva Quadro Europea sull'acqua (la DQE-Acqua 2000/60/CE del 23/10/2000), il cui obiettivo principale è stato quello di fissare al 2015 il raggiungimento in tutti gli Stati dell'Unione di uno stato ecologico "buono" delle risorse idriche.
In Veneto la situazione della qualità delle acque risulta positiva: la maggior parte dei punti di rilevamento delle acque di balneazione rientra nella classe "eccellente". Considerazione analoga vale relativamente alle acque destinate ad uso potabile, infatti, in tutta la regione, le mediane dei valori di concentrazione dei nitrati si mantengono al di sotto della soglia dei 50 mg/l prevista dal D.lgs. 31/2001 per la protezione della salute umana. Per quanto riguarda, invece, lo sfruttamento delle risorse idriche, in Veneto, nel 2008, si sono prelevati 730 milioni di metri cubi di acqua, l'8% rispetto al totale nazionale, che colloca la regione al quarto posto tra quelle con maggiore richiesta di acqua. Questo dato assoluto si controbilancia, però, analizzando il prelievo medio pro capite: con 149,4 metri cubi nel 2008 il Veneto si è mantenuto al di sotto del valore medio del resto della penisola pari a 151,7 metri cubi pro capite.
Sempre più attuale, poi, la questione dei rifiuti anche per via della forte enfasi data dalle criticità ad essa connesse. In Veneto si è investito molto su questo settore e i risultati sono tangibili. Si può chiaramente osservare la trasformazione negli ultimi 10-15 anni. Se il livello dei rifiuti prodotti non è ancora sceso, a parte l'ultimo anno (2011), più per effetto della crisi che per altro, i dati mostrano un forte cambiamento in tutto il processo di gestione degli stessi. I comuni che svolgono la raccolta differenziata sono più che raddoppiati dal 1999 al 2011 e c'è stato un autentico boom (quasi il 300% in più) di quelli che svolgono la raccolta porta a porta. Il risultato in termini di raccolta differenziata è che nel 2011 si è raggiunta un percentuale di questa pari al 60,5% su scala regionale a fronte del 28,4% del 2000. Tale risultato ha consentito di superare l'obiettivo del 60% previsto dal D.Lgs. 152/2006 e che era da raggiungere entro il 31 dicembre 2011. Al di là dei numeri è importante notare come si sia ridotta drasticamente la quantità di rifiuti avviata in discarica (nel 2011 è stata pari all'8,2% del totale a fronte dell'oltre 39% nel 2000) a favore del recupero delle frazioni secca e organica, passate, rispettivamente, dal 19,5% al 33,4% e dal 15% al 27%.
Ultimo fondamentale tema legato all'ambiente e qui trattato è quello dell'energia che rappresenta una delle principali sfide per l'Europa. L'affidabilità dell'approvvigionamento, il contenimento dei costi e il rispetto dell'ambiente riducendo le emissioni di gas serra sono le priorità da affrontare. In questo scenario l'efficienza energetica ha un ruolo centrale e rappresenta uno strumento chiave per conseguire gli obiettivi europei in materia di energia e clima. L'efficienza energetica passa attraverso un uso migliore delle risorse, ma anche l'incremento dell'utilizzo delle fonti rinnovabili. In questo senso gli obiettivi della Comunità europea sono chiari, infatti, entro il 2020 si dovrà:
  1. ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990;
  2. raggiungere un target del 20% di energia consumata proveniente da fonti rinnovabili;
  3. aumentare l'efficienza delle prestazioni energetiche del 20%
A ciascuno Stato membro è assegnato un obiettivo specifico, anche sulla base della situazione di partenza, e il raggiungimento dei singoli obiettivi da parte di tutti dovrebbe garantire di pervenire al target europeo del 20%. Per l'Italia l'obiettivo relativo alle fonti rinnovabili è del 17% e, al 2011, la quota raggiunta si attesta all'11,5%, valore in netto progresso rispetto al 4,9% del 2004, ma che indica quanto lavoro ci sia ancora da fare.
Le regioni, con il loro contributo, giocano un ruolo fondamentale al perseguimento dell'obiettivo. A tal fine il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 15/3/2012, noto come Decreto Burden Sharing, suddivide l'obiettivo nazionale inerente le fonti rinnovabili tra le singole regioni per i settori elettrico e del riscaldamento/raffrescamento, ma escludendo quello dei trasporti, di esclusiva competenza dello Stato centrale. L'obiettivo fissato per il Veneto dal decreto Burden Sharing prevede il raggiungimento entro il 2020 di una quota di consumo finale lordo proveniente da fonti rinnovabili rispetto a quello complessivo pari al 10,3%. Attualmente i dati disponibili su scala regionale permettono di avere una panoramica precisa ed aggiornata solo relativamente al settore elettrico. Scorporando l'obiettivo generale del Veneto nei diversi settori si ricava, per quello elettrico, un target del 15,1%. L'andamento di tale indicatore mostra una trasformazione piuttosto repentina: dal 2005 al 2010 il trend è rimasto altalenante per poi subire un forte scossone nel 2011, passando dal 13,6% al 17,1%, raggiungendo e superando l'obiettivo per l'anno 2020.
In linea generale, permane una certa criticità legata alla dipendenza del Veneto quanto all'approvvigionamento energetico, ma si intravede uno spiraglio grazie alle attività in atto e orientate verso l'innovazione dei processi produttivi, maggiormente orientati verso l'utilizzo delle fonti rinnovabili. Un segnale forte arriva dall'importante impulso dato dal fotovoltaico che ha avuto una crescita pressoché esponenziale, anche se, tuttavia, rimane da valutarne gli effetti nel medio periodo, in quanto, va tenuto a mente il fatto che, quest'autentica esplosione è il risultato anche della campagna incentivante a livello nazionale.
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La governance

Veneto: una nuova mappa del territorio per una maggiore ottimizzazione delle risorse pubbliche
L'attuale congiuntura socio - economica impone scelte importanti anche a livello di governance. Da tempo, sia a livello nazionale che a livello regionale, si sta procedendo su una strada di riforme e trasformazioni che porteranno a ridisegnare l'intero territorio in un'ottica di ottimizzazione delle risorse pubbliche. In questo contesto, si inserisce il piano di riordino territoriale della Regione Veneto che sta procedendo in due direzioni distinte, ma che si parlano tra loro, ossia l'associazionismo intercomunale per la gestione delle funzioni fondamentali e la semplificazione dei livelli di governo presenti sul territorio.
Al momento, la geografia del Veneto risulta molto frastagliata e definita da una varietà di livelli di governo collegati spesso a logiche monofunzionali: solo per citare qualche esempio, si contano 25 Intese Programmatiche d'Area (IPA), 19 Comunità montane, 21 Aziende Ulss, 51 Distretti socio sanitari, 82 distretti di polizia Locale e via dicendo. È quindi in corso uno studio per valutare la razionalizzazione dei livelli di governance, in un'ottica di semplificazione e di ricomposizione secondo una logica plurifunzionale tale da consentire una più efficace politica decisionale a vantaggio dei cittadini e dei servizi loro offerti. Il piano di riordino territoriale dovrà basarsi sulla Legge regionale 18/2012 e sulle relative aree omogenee individuate, ossia l'area del Veneto centrale, quella del basso Veneto, l'area ad elevata urbanizzazione e quella dell'area montana e parzialmente montana.
Per quanto riguarda la ricerca della dimensione territoriale ottimale e omogenea per la gestione associata, è stata condotta un'analisi sui bilanci delle Amministrazioni comunali venete (consuntivo 2009) che prende in considerazione la spesa corrente totale e quella di cinque funzioni fondamentali (amministrazione di gestione e controllo, polizia locale, settore sociale, viabilità e trasporti, istruzione pubblica); lo scopo era di capire se una gestione "economica" della spesa potesse essere collegata a parametri socio economici del territorio. Mediamente, le Amministrazioni comunali sostengono una spesa di circa 720€ per ogni abitante, con valori superiori per i comuni montani, i capoluoghi di provincia e l'area del Polesine.
I livelli e le tipologie di spesa dei comuni dipendono, poi, dal numero di abitanti che insistono sul territorio, perché diverse risultano le esigenze e i servizi offerti. In generale, i comuni molto piccoli e i comuni molto grandi presentano spese più elevate anche se per motivi diversi: i comuni con oltre 50.000 abitanti, ad esempio, offrono più servizi e fungono da polo per i comuni limitrofi, mentre i piccoli comuni sono costretti a sostenere spese maggiori per garantire alcuni servizi essenziali. Si può dire che le classi demografiche centrali, fra i 10.000 e i 20.000 abitanti, risultano le più economiche.
Al fine di individuare la dimensione ottimale con riferimento ad ambiti territoriali adeguati per l'esercizio di funzioni e servizi da parte dei Comuni, nel mese di settembre 2012 ha preso avvio un procedimento di concertazione che ha coinvolto tutti i comuni veneti, invitati a formulare una proposta associativa da realizzarsi secondo i criteri indicati dalla legge regionale. Entro la metà del mese di febbraio 2013 risultano pervenute alla Direzione Enti Locali 114 comunicazioni di riscontro all'invito regionale, di cui 23 sono state giudicate formalmente ammissibili, per un totale di 92 comuni (75 dei quali soggetti all'obbligo associativo). Le proposte pervenute prediligono la convenzione piuttosto che il modello più strutturato dell'unione; non sono stati comunque proposti nuovi ambiti territoriali rispetto alle attuali Unioni di Comuni, limitandosi alla conferma delle attuali dimensioni associative.
Verso l'efficienza e l'equità nella spesa degli enti locali: i fabbisogni standard
La legge delega in materia di federalismo fiscale (Legge 5 maggio 2009, n. 42) e le disposizioni attuative riguardanti la determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali (Comuni, Province e Città metropolitane) emanate con il Decreto legislativo 26 novembre 2010 n. 216, offrono all'Italia un'importante opportunità di ammodernamento delle relazioni finanziarie intergovernative e di "efficientamento" delle spese degli enti locali. Il processo di riforma consentirà di erogare i trasferimenti perequativi agli enti locali in base ai fabbisogni standard abbandonando il criterio della spesa storica che è alla base sia di inefficienze nella distribuzione dei trasferimenti intergovernativi sia di cattiva gestione della spesa da parte dei governi locali.
SOSE S.p.A. nel corso del biennio 2011-2012 ha individuato la metodologia per misurare il posizionamento degli enti locali in base all'efficienza nella spesa e al livello quantitativo delle prestazioni offerte.
In merito alle funzioni generali di amministrazione e di polizia locale (Nota 7), complessivamente i Comuni della Regione Veneto mostrano un fabbisogno standard superiore alla spesa storica del 5,65%; semplificando, si può ritenere un segnale di complessiva "buona" amministrazione. In generale, risulta che i piccoli comuni del Veneto, con popolazione fino a 2.000 abitanti, presentano mediamente un fabbisogno inferiore rispetto alla spesa storica mentre i comuni del Veneto sopra 3.000 abitanti mostrano mediamente un fabbisogno maggiore rispetto alla spesa storica. Va evidenziato che i comuni di piccola dimensione presentano rilevanti diseconomie di scala.
L'analisi congiunta dei differenziali tra spesa storica e fabbisogno standard e tra output effettivo (output storico) e livelli quantitativi delle prestazioni (output standard) dà luogo ad una mappa. Tale mappa di posizionamento dei Comuni del Veneto rispetto ai fabbisogni standard e ai livelli quantitativi delle prestazioni, evidenzia una percentuale consistente di comuni che possono migliorare le loro performance.
I comuni "virtuosi" possono essere considerati come "benchmark" per l'individuazione di best-practice sia per il livello di offerta di servizi, che è superiore rispetto alla domanda stimata con l'analisi dei livelli quantitativi delle prestazioni, sia per il livello di efficienza della spesa - la spesa storica è infatti inferiore rispetto al fabbisogno standard.
Copertina Rapporto Statistico 2013