Regione del Veneto - U.O. Sistema Statistico Regionale
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Rapporto Statistico 2013
Capitolo 1

La persistenza delle difficolta' (Nota 1)

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I cambiamenti dell'economia nella lunga crisi internazionale

L'attuale fase di evoluzione del ciclo economico è caratterizzata da molti elementi di discontinuità rispetto al passato e alla teoria classica di Schumpeter dei cicli economici. Negli ultimi venti anni si è verificato un cambiamento di sistema socio-economico che si può sintetizzare in due fondamentali elementi: la riduzione delle dimensioni "spazio-tempo" e le innovazioni finanziarie. I progressi nel mondo dell'informazione e della comunicazione hanno permesso un'enorme riduzione delle distanze in termini di tempo e di spazio e una conseguente velocizzazione dei processi. Persone e fatti accaduti in luoghi lontanissimi entrano in contatto e interagiscono, dando vita a conseguenze globali; i grandi mercati borsistici e finanziari sono in grado di spostare in pochi minuti ingentissime quantità di denaro; la crescente mobilità, reale e virtuale favorisce la piena integrazione degli scambi e dei movimenti internazionali di beni, servizi, capitali. L'innovazione finanziaria ha portato all'offerta di nuovi strumenti finanziari di natura complessa, dei quali risulta arduo comprendere appieno il profilo di rischio. Mentre aumenta l'interconnessione tra mercati, eventuali squilibri finanziari divengono più difficili da individuare, crescono i rischi che shock avversi provenienti da ambiti locali o da specifici segmenti del settore finanziario possano diffondersi rapidamente a livello globale.
L'insieme di questi fattori e il ritardo con cui sono emerse le fragilità e le interconnessioni dei mercati finanziari hanno ampliato l'impatto e la persistenza sull'economia reale della crisi finanziaria scoppiata nell'estate del 2007 negli Stati Uniti.
A livello mondiale la decrescita nel 2009 è stata pari a -0,6%; negli Stati Uniti la caduta del prodotto interno lordo trimestrale dal picco di fine 2007 al minimo del 2009, pari al -4,7%, è stata la più cospicua dal dopoguerra; nell'area dell'euro nel secondo trimestre del 2009 il PIL era del 5,6% inferiore ai massimi osservati precedentemente al collasso di Lehman Brothers.
La crisi ha accentuato gli effetti di una trasformazione già in atto, mettendone purtroppo in evidenza più gli aspetti negativi che gli sviluppi proficui. Dopo una timida ripresa nel 2010, un 2011 ancora in decelerazione, i dati del 2012 presentano delle prospettive di crescita globale ancora incerte. Se segnali positivi vengono dal rafforzamento dei Paesi emergenti, dall'accordo raggiunto negli Stati Uniti per evitare il fiscal cliff e dall'allentamento delle tensioni finanziarie nell'Area dell'euro, in Europa la produzione industriale ha continuato a perdere vigore.
Il 2012 vede migliorare lievemente l'economia internazionale nel terzo trimestre e la crescita globale si attesta sul 3,2% per l'intero anno. Le principali fonti di accelerazione sono le economie emergenti che vedono aumentare il proprio output del 5,1% e, tra le economie avanzate, soltanto gli Stati Uniti, dove l'aumento del PIL è del 2,2%. I ritmi moderati della crescita internazionale mantengono sotto tono l'andamento del commercio mondiale. La crescita dell'area asiatica si traduce in un recupero del commercio intra-area, mentre i flussi commerciali diretti verso i paesi occidentali crescono a tassi contenuti. Né la domanda Usa, né tanto meno quella europea, riescono a giocare il ruolo di traino della crescita mondiale.
Nel corso del 2013, sesto anno dall'inizio della grande crisi economica internazionale iniziata nel 2007, la ripresa rimarrebbe fragile soprattutto nell'Area dell'euro e caratterizzata da un'ampia eterogeneità tra aree e paesi. Nonostante dal punto di vista tecnico l'economia mondiale abbia iniziato la fase di ripresa sin dalla primavera del 2009, l'aggiustamento del sistema dagli squilibri ereditati dagli anni duemila non pare essersi tuttora completato. Pertanto, il quadro economico del biennio 2013-2014 non rifletterà solo la risposta dei sistemi economici a fattori di carattere congiunturale, ma risentirà anche del processo di aggiustamento ancora in corso in molti paesi. Rimane ancora alta la probabilità di recessione, soprattutto per l'Area euro; il Fondo Monetario Internazionale ipotizza che l'espansione del prodotto mondiale si intensifichi nel 2014. (Figura 1.1) (Figura 1.2)
Il tasso di crescita del PIL degli Stati Uniti ha un'accelerazione nel terzo trimestre del 2012 salendo al 3,1% sul periodo precedente, grazie soprattutto alla ripresa degli investimenti in edilizia residenziale, all'aumento della spesa pubblica e all'accumulazione delle scorte che hanno più che compensato il calo degli investimenti fissi produttivi e il rallentamento dei consumi privati. Nonostante poi nel quarto trimestre l'economia americana si pieghi sotto i colpi di incertezze fiscali che fanno preoccupare le aziende, tagli alla spesa pubblica e infine un uragano, Sandy, che lascia in eredità danni per decine di miliardi, il risultato annuale complessivo si attesta sul 2,2%. Nei primi mesi del 2013 gli Stati Uniti creano più di 260 mila posti di lavoro e la disoccupazione scende al 7,7%. Non è una buona notizia isolata: l'economia Usa è in via di guarigione, se non ancora in buona salute, grazie a una serie di interventi indirizzati alla crescita, come nel settore manifatturiero, e al contenimento delle spese pubbliche.
Il Giappone cresce sopra la media delle economie avanzate (+1,3%): 2,0% nel 2012, sostenuto dall'aumento dei consumi, grazie ai sussidi pubblici per l'acquisto di vetture eco-friendly. Dopo un quarto trimestre del 2012 negativo, si respira ottimismo per la scelta politica forte e controcorrente del nuovo Governo giapponese guidato dal premier Shinzo Abe, che intende varare a inizio anno aiuti per 5 miliardi di dollari alle imprese e misure che includono anche finanziamenti per l'acquisizione di compagnie estere, per uscire così dal tunnel che l'ultimo Outlook del FMI ha chiamato «il decennio perduto del Giappone». Ancora non è chiara questa posizione con una situazione finanziariamente difficile: il Giappone ha sulle spalle un debito pubblico pari al 244% del PIL e la Banca del Giappone sembra si opponga a una politica monetaria più espansiva.
Nelle principali economie emergenti l'attività economica registra un aumento del 5,1% nel 2012, sebbene continui a rallentare riflettendo l'impatto negativo della congiuntura internazionale, in alcuni casi parzialmente compensato dalla tenuta della domanda interna. In Cina la crescita si attesta al 7,8% nel 2012 trovando supporto nella spesa per consumi e negli investimenti in infrastrutture sostenuti dai piani del governo. Una variazione percentuale del PIL che per le economie avanzate sarebbe considerata eccellente, in Cina è vista con preoccupazione poichè la crescita è stata esponenziale negli ultimi tempi e questo è il valore più basso degli ultimi 13 anni. Ma nonostante la frenata, la Cina si conferma come la seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti. I dati sono impressionanti se paragonati con la stagnazione del vecchio continente. La produzione industriale registra un +10,3%. Schizzano in alto pure le vendite al dettaglio con un +15.2%: a trainare sono stati gli elettrodomestici e il segmento auto. Le compravendite immobiliari, poi, fanno la parte del leone con il loro +30% su base annua. Il piano di stimoli varato da governo in autunno di 126 miliardi di euro incide anche sulla voce "investimenti fissi" che mantiene una crescita annua al 20,6%.
In India la decelerazione dell'attività è stata più marcata, il PIL cresce del 4,5% nel 2012 rispetto al 7,9% del 2011; in Brasile l'espansione del prodotto è rimasta molto contenuta, +1% nel 2012 rispetto il +2,7% del 2011. Nel 2012, meglio dell'India, tra gli emergenti, il Messico, +3,8% e la Russia, +3,6%. (Figura 1.3) (Tabella 1.1)

Figura 1.1

Variazioni percentuali del commercio mondiale di beni e servizi e del Prodotto Interno Lordo - Anni 2008:2014

Figura 1.2

Probabilità di recessione nelle principali aree. Stime

Figura 1.3

Variazioni percentuali del PIL rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Principali aree - I trimestre 2010: IV trimestre 2014

Tabella 1.1

Indicatori economici nei principali paesi industrializzati - Anni 2011:2014
 
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L'Europa

L'Unione europea chiude l'anno in recessione, -0,3% per l'UE27 e -0,6% per l'Area euro. L'andamento è decrescente nel corso dell'anno, mostra una variazione tendenziale positiva soltanto nel primo trimestre del 2012 e poi negativa per i restanti tre trimestri.
In Europa un piccolo impulso positivo viene dato dalle economie dell'area tedesca e del nord: registrano +0,7% la Germania, +0,8% l'Austria, +0,8% la Svezia, +3,2% la Norvegia. La Francia mostra una stasi, 0%, rispetto lo scorso anno e, dall'altra parte, rimane preoccupante l'andamento delle economie periferiche: oltre a Grecia (-6,4%) e Spagna (-1,4%), rimane il trend strutturalmente debole dell'Italia, -2,4%. (Tabella 1.2)
Il quadro dell'economia europea resta caratterizzato da una fase di sostanziale debolezza guidata dalla caduta della domanda interna nei paesi della periferia. Consumi e investimenti sono in calo. L'entità della recessione è in parte attenuata dal fatto che la caduta della domanda interna si sta in una certa misura "scaricando" sull'andamento delle importazioni di questi paesi; il crollo delle importazioni ha guidato il recupero del saldo commerciale dei paesi della periferia; il saldo cumulato sta raggiungendo il pareggio e, sovrapponendosi alla stabilità del surplus tedesco, sta portando l'Area dell'euro a cumulare un saldo commerciale ampiamente in avanzo.
Gli effetti della recessione sono riconoscibili facilmente anche sulla base delle tendenze dei mercati del lavoro. Nei paesi della periferia la domanda di lavoro sta ampiamente decelerando e la disoccupazione è in forte aumento. Le conseguenze di carattere sociale della crisi si stanno acuendo; nei paesi della periferia si stanno ampliando le aree del disagio economico, con un peggioramento degli indicatori di povertà.
In sei anni, fra il 2007 e il 2012 la maggior parte dei paesi dell'Area euro registra contrazioni significative dei livelli produttivi, in diversi casi di entità tale da più che compensare la crescita realizzata nei sei anni precedenti, quando in tutti i paesi dell'area si era registrato un andamento positivo del prodotto. (Figura 1.4)

Tabella 1.2

Indicatori economici nei maggiori paesi dell'Area euro - Anni 2011:2014

Figura 1.4

Variazione percentuale 2007/02 e 2012/07 del Prodotto Interno Lordo per Paese. Area euro
 
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Le condizioni finanziarie e l'indebitamento in Europa

Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia nella sua lectio magistralis a Firenze del 18 gennaio di quest'anno (Nota 2) sostiene che nell'Area dell'euro la crisi ha accentuato alcune criticità già in essere nell'Unione: la debolezza di alcuni paesi membri e l'incompletezza della costruzione europea. Le inadeguate politiche economiche e di bilancio di singoli paesi e i ritardi nell'affrontare i cambiamenti globali, commerciali, tecnologici, demografici, hanno alimentato dubbi sulla sostenibilità dei debiti pubblici e sull'integrità dell'unione monetaria. Nel 2012 continua infatti, nel dibattito giornalistico e politico, l'ipotesi di disgregazione della moneta unica europea.
Se nel 1989 Delors nel suo rapporto sull'unione economica e monetaria affermava che i mercati finanziari non possono da soli fornire i giusti incentivi alla conduzione di politiche di bilancio prudenti, ma faceva affidamento sulle forze di mercato per la convergenza economica tra i paesi membri dell'Area, dal 2009 è risultata chiara la consapevolezza dei rischi dell'uso di una moneta unica senza un governo unico. Infatti, le regole di bilancio non sono state rispettate e la convergenza economica non si è materializzata. Ora si stanno facendo i conti con le conseguenze dei ritardi nel passaggio da una politica monetaria ad una vera politica di bilancio e del debito comune nei paesi dell'Area euro.
Gli accordi raggiunti nel corso dell'ultimo biennio non hanno introdotto obiettivi di bilancio più restrittivi di quelli preesistenti; hanno reso non derogabili gli impegni presi in passato. La nuova governance europea ha accresciuto l'automatismo sia dei controlli di coerenza tra le politiche e gli obiettivi già presenti nel Patto di Stabilità e Crescita, sia delle eventuali sanzioni; ha chiesto ai paesi di fare propri tali obiettivi dandone formale riconoscimento nella legislazione nazionale. La regola, che prescrive una riduzione media annua del rapporto tra il debito e il prodotto pari a un ventesimo dell'eccesso rispetto alla soglia del 60%, è il riferimento operativo per l'applicazione di una prescrizione già presente nel Trattato di Maastricht. Essa non impone obiettivi di bilancio più ambiziosi del pareggio strutturale (ossia al netto degli effetti del ciclo economico e di misure transitorie).
Nell'ultimo anno, il Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy (Nota 3) ha presentato un suo documento di riflessione, elaborato d'intesa con i Presidenti dell'Eurogruppo, della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea, su come realizzare una autentica Unione Economica e Monetaria. Dopo una ampia discussione, il Consiglio Europeo ha invitato i Presidenti a sviluppare una specifica "rotta stradale" (road map) con precise scadenze temporali per arrivare all'ambiziosa meta. Il rapporto finale è stato presentato al Consiglio Europeo del 14 dicembre e con la sua approvazione si è aperta una nuova fase di revisione delle regole e degli strumenti a disposizione della UE per governare la sua economia multinazionale nello scenario globale.
Diventa necessario porsi nuovamente la domanda su quale sia la finalità dell'Unione europea, soprattutto per alimentare il clima di fiducia dei mercati, degli imprenditori ma anche dei semplici cittadini che si chiedono se la UE è un libero mercato, una confederazione, uno stato federale, un super-stato o solo una mostruosa burocrazia delegittimata (Saccomanni).
Il rallentamento ciclico, le misure di risanamento dei conti pubblici e le riforme strutturali stanno determinando una forte correzione degli squilibri esterni di alcuni paesi dell'Area dell'euro. Nonostante i progressi conseguiti a livello europeo e l'attenuazione dei timori di eventi estremi sfavorevoli, le condizioni finanziarie internazionali rimangono fragili. Il principale rischio per la stabilità finanziaria in Europa e in Italia è rappresentato dalla spirale tra bassa crescita economica, crisi del debito sovrano e condizioni del sistema bancario. Gli spread sovrani particolarmente elevati che si registrano in più paesi a causa dei timori di reversibilità dell'euro , se persistenti, deprimerebbero la crescita. (Figura 1.5)
A fine 2012 per l'Unione europea l'indebitamento netto (Nota 4) , corrispondente a 0,9 punti percentuali di PIL nel 2007, raggiunge il valore del 4%, più basso del valore di 4,5% del 2011. Il debito pubblico (Nota 5) , che nel 2007 rappresentava il 59% del PIL per la UE27, arriva a raggiungere nel 2012 gli 86,8 punti percentuali di PIL, valore più elevato di quello del 2011 (83%).
L'indebitamento netto e il debito pubblico calcolati in percentuale sul PIL sono i due indicatori di riferimento per la valutazione dei conti pubblici, in particolare per la gestione di bilancio il primo, per la gestione della finanza pubblica il secondo. (Figura 1.6) (Tabella 1.3)
Nel giudizio degli investitori l'Italia risente dell'alto debito pubblico e, soprattutto, della bassa crescita. Ma il nostro paese presenta elementi di forza quali il basso indebitamento del settore privato, la solidità delle banche, il limitato debito estero.

Figura 1.5

Spread: differenza tra Btp italiani e Bund tedeschi (x 100) - Gen. 2011:Feb. 2013

Figura 1.6

Deficit e debito pubblico in percentuale del PIL nelle maggiori economie dell'Area euro - Anni 2007: 2013

Tabella 1.3

Indicatori di sostenibilità finanziaria (in percentuale del PIL) per alcuni Paesi - Anno 2011
 
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Le materie prime e i tassi di cambio

Il 2012 si può suddividere in due periodi nell'analisi delle materie prime: la tarda primavera, quando alcuni fattori ribassisti, quali l'acutizzarsi della crisi in Europa e la frenata della crescita cinese, portano ad un forte arretramento dei prezzi in generale; e le settimane finali del terzo trimestre in cui le quotazioni si portano sui livelli di inizio anno grazie all'atteggiamento più espansivo dei policy makers. In definitiva, nel 2012 si assiste ad una relativa tenuta delle materie prime. Da diversi mesi l'andamento della domanda di petrolio risulta stagnante, mentre dal lato dell'offerta prevalgono condizioni abbastanza favorevoli. Questo avrebbe potuto giustificare una caduta delle quotazioni del greggio piuttosto marcata, cosa che non è avvenuta probabilmente per due ragioni. La prima è di natura geopolitica: le quotazioni incorporano un premio per il rischio di una scarsità futura, ampliatosi a seguito delle tensioni politiche che hanno investito il mondo arabo. La seconda riguarda aspetti legati ai mercati finanziari, e in particolare sulla elevata correlazione esistente fra il prezzo del petrolio e i principali indici azionari: la liquidità immessa sui mercati dalle banche centrali si riverserebbe infatti su tutti i mercati contemporaneamente, spiegando in tal modo sia il recente recupero delle borse che la tenuta delle quotazioni del greggio.
In generale, l'impressione è che nel corso degli ultimi anni le tendenze dei mercati delle materie prime siano dominate, più che dall'elasticità della domanda di materie prime rispetto alla crescita del PIL, da altri fattori quali le fluttuazioni cicliche della domanda, pressioni derivanti dalla finanziarizzazione dei mercati, tensioni politiche nell'area del Medio Oriente. Anche le stesse commodities agricole, che potrebbero più di altre rispondere alle pressioni demografiche, mostrano di riflettere principalmente le oscillazioni dei prezzi del petrolio. In conclusione, dopo il rialzo strutturale osservato nel corso degli anni duemila, non è detto che una nuova fase di crescita dell'economia globale comporti un altro gradino dei prezzi delle materie prime (Nota 6) .
L'indice delle commodities Thomson Reuters-Jefferies Crb chiude l'anno in calo del 3%, anche se 13 delle 19 materie prime più trattate sui mercati americani rincarano: alle performance positive di preziosi, metalli industriali e grandi commodities agricole fa da contraltare il pesante deprezzamento di prodotti coloniali e simili, con picchi di quasi il 40% in meno per il caffé arabica e di oltre il -30% per il succo d'arancia. Male anche il cotone (-18,1%) e lo zucchero (-16,3%), mentre si è salvato il cacao (+6%). (Figura 1.7)
Nel corso del 2012 si assiste ad una flessione dell'euro rispetto al dollaro. Nei primi mesi del 2013 invece l'euro raggiunge nuovi massimi contro il dollaro, a un passo da 1,35: si tratta dei livelli più elevati da almeno 14 mesi rispetto al biglietto verde, indebolito dalla fiducia dei consumatori calata più del previsto. Continua così il paradosso dell'euro, la valuta dell'economia più debole al mondo che continua a rafforzarsi, fiaccando ulteriormente le esportazioni del Vecchio Continente. Il fenomeno, come noto, è legato all'escalation delle guerre valutarie, con la recente discesa in campo del Giappone nel club di chi stampa moneta per riacquistare competitività. Dopo il picco dei primi di febbraio si assiste al ribasso dell'euro (Nota 7) .

Figura 1.7

Prezzo del petrolio Brent ($/barile) e cambio dollaro-euro - Gen. 2007:Feb. 2013
 
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L'Italia

L'economia italiana sta attraversando una fase di profonda difficoltà, in cui le debolezze strutturali sono acuite dallo sfavorevole momento congiunturale. Nell'arco di un quinquennio essa ha dovuto far fronte alla crisi finanziaria, all'instabilità del mercato del debito sovrano, a due profonde recessioni. Dall'avvio della crisi, il PIL è sceso di 7 punti percentuali, il numero di occupati di 600.000 unità.
Nel 2012 in Italia si registra un PIL pari a 1.565.916 milioni di euro correnti, con una riduzione in termini reali del 2,4% rispetto all'anno precedente, contro un incremento pari allo 0,4% del 2011 e quindi in netto rallentamento rispetto alla crescita dell'1,7% manifestatasi nel 2010. La caduta dell'ultimo anno ha quasi annullato la risalita dei due anni precedenti, facendo scendere il PIL reale leggermente al di sotto del livello registrato nel 2009. (Figura 1.8)
La decrescita del PIL nel 2012 è accompagnata da una diminuzione delle importazioni di beni e servizi che accentua la contrazione delle risorse disponibili. Dal lato degli impieghi si registra una contrazione sia dei consumi finali nazionali (-3,9%), sia degli investimenti fissi lordi (-8,0%). Un contributo negativo alla variazione del PIL particolarmente ampio (-4,8 punti percentuali) viene dalla domanda nazionale, mentre la variazione delle scorte ha sottratto 0,6 punti percentuali. All'opposto, la domanda estera netta fornisce un apporto positivo di 3 punti percentuali.
Nel 2012 la spesa per consumi finali delle famiglie residenti mostra una contrazione pari al -4,3%, dopo essere risultata quasi stabile nel 2011 (+0,1%). Il calo dei consumi delle famiglie residenti è particolarmente marcato per i beni (-7,0%), mentre la spesa per i servizi registra una diminuzione dell'1,4%. In termini di funzioni di consumo, le contrazioni più accentuate riguardano la spesa per vestiario e calzature (-10,2%) e quella per i trasporti (-8,5%).
La spesa delle Amministrazioni pubbliche e quella delle Istituzioni sociali private (Isp) mostrano, rispettivamente, diminuzioni in volume del 2,9% e dell'1,0%.
Gli investimenti fissi lordi nel 2012 registrano una marcata flessione in volume (-8,0%), dopo quella, più contenuta, che aveva caratterizzato il 2011 (-1,8%). La riduzione riguarda tutte le componenti, con cali del 12,2% per gli investimenti in mezzi di trasporto, del 10,6% per quelli in macchinari e attrezzature e del 6,2% per gli investimenti in costruzioni.
Le esportazioni di beni e servizi aumentano, in volume, del 2,3%, mentre le importazioni sono scese del 7,7%.
A livello settoriale, il valore aggiunto registra un calo rispetto all'anno precedente in tutti i principali comparti, con diminuzioni del 4,4% nell'agricoltura, silvicoltura e pesca, del 3,5% nell'industria in senso stretto, del 6,4% nelle costruzioni e dell'1,2% nei servizi.
Anche quest'anno sarà un anno difficile. Si prevede che il prodotto possa ridursi in media dell'1,5%. La recessione potrebbe avere fine nella seconda parte del 2013.
L'estero ha riconosciuto i passi avanti compiuti nel 2012 dall'Italia in direzione della sostenibilità finanziaria, sul fronte del sistema pensionistico, sull'efficienza del sistema tributario e la lotta all'evasione fiscale; la sistematica rivisitazione di tutte le voci della spesa pubblica, alla ricerca di ridondanze e risparmi; la razionalizzazione di norme. Le istituzioni e prassi tengono però imbrigliate le energie del Paese, comprimono la competitività delle imprese, mortificano le attese dei più giovani.
Sul fronte debiti, l'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, misurato in rapporto al Pil, è pari al -3,0%, in miglioramento rispetto al -3,8% del 2011. In valore assoluto l'indebitamento netto diminuisce di circa 60.016 milioni.
Il saldo primario (indebitamento netto al netto della spesa per interessi) è risultato positivo e pari al 2,5% del PIL, in miglioramento di 1,3 punti percentuali rispetto al 2011.
Il saldo di parte corrente (risparmio o disavanzo delle Amministrazioni pubbliche) è pari a -6.019 milioni di euro, a fronte dei -23.018 milioni del 2011. Il miglioramento è da imputare a un aumento delle entrate correnti di oltre 22 miliardi di euro, nettamente superiore a quello delle uscite correnti (circa 5,3 miliardi di euro).
Le entrate totali delle AP, pari al 48,1% del PIL, aumentano del 2,4% rispetto all'anno precedente. Le entrate correnti registrano un incremento del 3,1%, attestandosi al 47,7% del PIL. In particolare, le imposte indirette crescono del 5,2%, trainate prevalentemente dal gettito dell'Imposta Municipale Unica (IMU) e dall'aumento delle accise sugli oli minerali.
Il Ministero dell'economia ha diffuso i dati relativi alle entrate IMU per l'anno 2012. Lo Stato italiano ha incassato complessivamente 23,7 miliardi di euro. Il gettito sulle prime case ammonta a circa 4 miliardi di euro, quello relativo ad immobili diversi dalla prima casa (Nota 8) è stato di 19,7 miliardi di euro. L'importo medio versato per la prima casa è stato di 225 euro per contribuente (Nota 9) .
Il Veneto ha contribuito per 322,5 milioni di euro alle entrate IMU della prima casa, ossia all'8% delle entrate nazionali per la prima casa, con un versamento medio per contribuente pari a 196 euro. Relativamente agli altri immobili, diversi dalla prima casa, in Veneto sono stati versati 1,6 miliardi di euro, l'8,4% delle entrate nazionali, con un versamento medio per contribuente pari a 906 euro. (Figura 1.9) (Figura 1.10) (Figura 1.11)
Le imposte dirette sono risultate in crescita del 5,2%, essenzialmente per effetto dell'aumento dell'Irpef, della relativa addizionale regionale e dell'imposta sostitutiva su ritenute, interessi e altri redditi di capitale, che riflette le modifiche al regime di tassazione delle rendite finanziarie. I contributi sociali effettivi hanno segnato una sostanziale stabilità (-0,1%).
La pressione fiscale complessiva (ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al PIL) risulta pari al 44,0%, in aumento di 1,4 punti percentuali rispetto al 2011.
La contrazione delle entrate in conto capitale (-44,0%) è da ascrivere principalmente alla riduzione delle imposte in conto capitale (-80,3%), dovuta al venir meno dei versamenti una tantum dell'imposta sostitutiva sul riallineamento dei valori contabili ai principi internazionali IAS (Nota 10) che avevano sostenuto il gettito nel 2011.
Le uscite totali delle AP, pari al 51,2% del Pil, aumentano dello 0,6% rispetto al 2011: al loro interno le uscite correnti crescono dello 0,7%. In particolare, i redditi da lavoro dipendente diminuiscono del 2,3%, a seguito di una riduzione delle unità di lavoro delle Amministrazioni pubbliche e del permanere del blocco dei rinnovi contrattuali. In presenza delle misure di contenimento della spesa pubblica, i consumi intermedi si riducono del 2,4%, a fronte della crescita dell'1,2% del 2011.
Le prestazioni sociali in denaro aumentano del 2,4%, in linea con la crescita della spesa per pensioni e rendite; la dinamica di queste ultime è sostenuta dall'effetto dell'indicizzazione ai prezzi.
Gli interessi passivi sono aumentati del 10,7%.
Nell'ambito delle uscite in conto capitale, gli investimenti fissi lordi diminuiscono del 6,3%.
Per il 2013 la ripresa è minacciata dalla imprevedibilità del quadro politico interno e dal riemergere di turbolenze finanziarie nell'area dell'euro, che potrebbero incidere sulla fiducia degli operatori e sull'attività di investimento. Al fine di preservare la prospettiva della ripresa congiunturale, sono necessari interventi a sostegno dell'attività d'impresa. Le misure in discussione relative al pagamento da parte della pubblica amministrazione dei debiti nei confronti dei fornitori, se attuate con prontezza, forniranno un contributo fondamentale.
Nel marzo di quest'anno anche l'Ue apre alla possibilità di conteggiare in maniera flessibile il "peso" dei pagamenti arretrati della pubblica amministrazione italiana nei confronti di imprese e fornitori su deficit e debito pubblico. L'Italia, secondo le indicazioni provenienti da Bruxelles, deve preparare un piano di rientro per i debiti pregressi contratti dalla pubblica amministrazione con le imprese e la Commissione Ue è pronta a collaborare per attuarlo. Il pagamento dei debiti commerciali, spiegano all'esecutivo comunitario, potrebbe rientrare tra i «fattori attenuanti» nella valutazione da parte di Bruxelles del rispetto degli impegni presi sul deficit e potrebbe dare respiro a molte imprese italiane, in particolare quelle del comparto edilizia particolarmente gravate dal problema.
Per il triennio 2013-15 secondo le stime della Commissione europea diffuse all'inizio di novembre, l'indebitamento netto dell'Italia si collocherebbe su un livello lievemente più elevato (2,1% del PIL). Il calo dei rendimenti, sia a pronti sia a termine, sui titoli di Stato italiani, la compressione dello spread sovrano rispetto alla Germania e la ripresa degli acquisti di titoli di Stato da parte di operatori esteri denotano un ritorno di fiducia nella sostenibilità dei conti pubblici italiani.

Figura 1.8

Variazioni percentuali di PIL, consumi finali e investimenti sul rispettivo periodo dell'anno precedente. Italia - I trim 09:IV trim 12

Figura 1.9

IMU: versamento medio per la prima casa per contribuente (euro) per comune. Italia - Anno 2012

Figura 1.10

IMU: versamento medio per la prima casa per contribuente (euro) per comune. Veneto - Anno 2012

Figura 1.11

IMU: versamento medio per immobili diversi dalla prima casa per contribuente (euro) per comune. Veneto - Anno 2012
 
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L'attività industriale

Nel corso del 2012 l'attività industriale cala, cosicchè, dopo la stasi del 2011 e nonostante gli aumenti del 2010, non si sono raggiunti i valori del 2008 pre crisi. L'indice della produzione industriale nella media del 2012 segna una diminuzione del 6,7% rispetto all'anno precedente ed è il peggior dato dal 2009. La produzione industriale diminuisce rispetto a tutte le tipologie di bene: -6,3% per i beni di consumo, -5,3% per i beni strumentali, -8,4% per i beni intermedi e -3,4 per l'energia.
L'indice del fatturato ha un andamento similare: diminuisce del 4,3% nel 2012. Bisogna però riconoscere che a fronte di una decrescita del -7,6% del mercato interno, il fatturato estero continua a trainare: + 2,6%.
La variazione dell'indice degli ordinativi nel 2012 è pari a 9,8%, valore dato dal -13,8% degli ordinativi interni e - 3,3% degli ordinativi esteri. (Figura 1.12)

Figura 1.12

Indici destagionalizzati della produzione industriale, del fatturato e degli ordinativi(anno base 2010=100). Italia - Gen. 2010:Gen. 2013
 
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La stretta creditizia

In concomitanza con la fase ciclica negativa, nel 2012 prosegue l'indebolimento della domanda di finanziamenti da parte delle imprese, che si era manifestato già nel secondo semestre dell'anno precedente. I dati di Banca d'Italia mostrano che la flessione delle richieste di credito ha interessato tutte le principali aree del paese, sebbene sia stata più consistente nelle regioni del Mezzogiorno. La minore domanda di prestiti ha interessato tutti i comparti produttivi, anche se è stata più accentuata in quello delle costruzioni.
Le tensioni nelle condizioni di offerta hanno continuato a manifestarsi soprattutto attraverso l'aumento degli spread praticati dagli intermediari. Rispetto al semestre precedente, nella prima parte del 2012 hanno continuato a svolgere un ruolo di rilievo le richieste di garanzia e le condizioni attinenti al rating dell'impresa che richiede l'affidamento. Si è invece attenuata la restrizione sulle quantità di credito offerto.
La domanda di prestiti da parte delle famiglie aumenta leggermente fino ad agosto 2012 per poi scendere. In particolare i mutui per l'acquisto di abitazioni da parte delle famiglie, già in contrazione nella seconda parte del 2011, mostra una flessione ancora più marcata nel primo semestre del 2012 in tutte le principali aree territoriali del paese. (Figura 1.13)

Figura 1.13

Andamento dei prestiti bancari di famiglie e imprese (var.% sul rispettivo mese dell'anno precedente). Veneto e Italia - Lug. 2012:Dic. 2012
 
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Il clima di fiducia in Italia

L'indice composito del clima di fiducia delle imprese che ingloba l'opinione degli imprenditori di tutti i settori, dopo l'ottimismo segnalato nel 2010 e nei primi mesi del 2011, si deteriora per tutto il 2012, ad eccezione di qualche mese estivo.
La fiducia delle imprese manifatturiere diminuisce, ma nella seconda parte dell'anno e nei primi mesi del 2013 si stabilizza; la fiducia dei costruttori ha toccato il fondo nel 2010, mentre nel 2012 rimane abbastanza costante fino ad un'ulteriore decrescita verso la fine dell'anno; il clima di fiducia delle imprese dei servizi di mercato e del commercio al dettaglio peggiora progressivamente nel corso dell'anno. (Figura 1.14) (Figura 1.15)
Anche il clima di opinione delle famiglie progressivamente si deprime nel corso dell'anno. Fra i fattori che concorrono a questo risultato vi sono elementi oggettivi, legati alle prospettive sull'andamento dell'economia, della finanza e alle conseguenze delle politiche fiscali. I consumatori mostrano maggiore pessimismo per la componente economica generale piuttosto che rispetto alla situazione personale.
(Figura 1.16)

Figura 1.14

Saldo mensile del clima di fiducia delle imprese totali, delle imprese manifatturiere e di costruzioni (dati destagionalizzati, 2005=100). Italia - Mar. 2009:Mar. 2013

Figura 1.15

Saldo mensile del clima di fiducia delle imprese dei servizi di mercato e del commercio al dettaglio (dati destagionalizzati, 2005=100). Italia - Mar. 2009:Mar. 2013

Figura 1.16

Saldo mensile del clima di fiducia dei consumatori (dati destagionalizzati, 1980=100). Italia - Mar. 2009:Mar. 2013
 
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L'economia veneta

I dati ufficiali di contabilità regionale si fermano all'anno 2011, quindi per l'analisi sul 2012 faremo riferimento alle stime e alle previsioni dell'Istituto di ricerca Prometeia.
Nel contesto di incertezza del panorama nazionale il Veneto nel 2011 vede una crescita di 1 punto percentuale di PIL. La domanda interna è fiacca, sostenuta per lo più dai consumi delle famiglie, +0,4%, mentre gli investimenti sono in frenata, -1,8%.
L'aumento del PIL del 2011, sebbene di poco, risulta superiore a quello nazionale grazie alla struttura produttiva fortemente export-led di questa regione che ha sostenuto la produzione. Infatti, il risultato del 2011 è attribuibile soprattutto all'aumento dell'industria manifatturiera in senso stretto, il cui valore aggiunto cresce di 3,5 punti percentuali. Il terziario registra una crescita dello 0,4%, l'agricoltura dell'1,3%, mentre il settore delle costruzioni è ancora in fase discendente, -0,3.
Nelle stime del 2012 anche il Veneto risente della recessione in maniera analoga al livello nazionale: la variazione percentuale del -1,9% del PIL risulta leggermente migliore del -2,4% nazionale. Il valore aggiunto dei servizi mostra una stasi (-0,6%), contro -3,3% dell'industria in senso stretto, il -5,6 delle costruzioni e la variazione percentuale positiva, 0,5%, dell'agricoltura. Tra le componenti della domanda si stima un -4% dei consumi delle famiglie e -8,5% degli investimenti.
Il 2013 rappresenterà ancora un anno di stagnazione per poi lasciare il passo alla ripresa che dovrebbe avviarsi nel 2014 riportando una crescita attorno all'1,7%. (Tabella 1.4) (Figura 1.17) (Figura 1.18) (Figura 1.19)
Nonostante le difficoltà congiunturali, il Veneto rimane la terza regione in Italia per la produzione di ricchezza, dopo Lombardia e Lazio: il 9,4% del Prodotto Interno Lordo nazionale è realizzato in Veneto. Il PIL per abitante veneto stimato nel 2012 risulta di 29.636 euro, superiore del 15% rispetto a quello nazionale.
Dal punto di vista del mercato del lavoro il Veneto registra un valore occupazionale in linea con quello dell'anno precedente, pari al 65%, e un tasso di disoccupazione del 6,6%, il più alto del decennio, ma nel confronto fra regioni, si conferma ancora una volta tra le regioni leader con il quarto tasso di occupazione più alto e il secondo tasso di disoccupazione più basso.

Tabella 1.4

Quadro macroeconomico (variazioni percentuali su valori concatenati con anno di riferimento 2005). Veneto e Italia - Anni 2010:2013

Figura 1.17

Stima della variazione % 2012/11 del Prodotto Interno Lordo (prezzi 2005)

Figura 1.18

Variazione % 2012/11 del valore aggiunto per settore di attività economica. Veneto e Italia

Figura 1.19

Variazioni % annue della spesa delle famiglie italiane per tipologia di bene e della spesa totale delle famiglie venete - Anni 2008:2012
 
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Quanto tempo è stato perso?

Siamo ancora lontani dai valori economici pre crisi. In termini reali il valore del PIL veneto più elevato è stato raggiunto nel 2007: 141.628 milioni di euro e nelle previsioni al 2014 potrebbe arrivare a 132.769 milioni di euro, ossia tornare ai livelli del 2004.
La recessione in corso è prevalentemente dovuta all'andamento della domanda interna, e dei consumi in particolare. Il peggioramento del mercato del lavoro, degli ordinativi delle imprese, della fiducia degli operatori, il clima di accresciute incertezze, le tensioni sui mercati finanziari e creditizi e le misure di aggiustamento dei conti pubblici influiscono sui comportamenti dei consumatori/operatori provocando un rinvio o ridimensionamento dei piani di spesa e di investimento.
Tutti i valori economici mostrano a partire dall'anno della crisi una decrescita che riporta a valori di parecchi anni fa. Nonostante il Veneto si trovi in una posizione privilegiata rispetto alla media delle regioni italiane, non è esente da questo fenomeno.
Il PIL per abitante (Nota 11) , che è una misura comunemente usata per misurare il grado di benessere di un'area in base alla quantità di ricchezza prodotta dal suo sistema economico, è decisamente crollato a partire dal 2007 sia in Veneto che a livello nazionale. Pur mantenendo un livello ben superiore alla media italiana si prevede che nel 2014 il PIL pro capite veneto in termini reali salga leggermente rispetto al dato 2013, ma si posizioni sui valori del 1996, ben 19 anni prima. (Figura 1.20)
Il reddito disponibile (Nota 12) è invece una misura sintetica del benessere economico di cui possono godere i residenti di un territorio, considerati nella veste di consumatori e risparmiatori. Esso infatti comprende tutti i flussi, in entrata e in uscita, di pertinenza dei soggetti residenti, anche se realizzati al di fuori del territorio, mentre esclude le risorse conseguite nel territorio da soggetti che risiedono altrove. Il reddito disponibile pro capite delle famiglie venete nel 2012 è stimato essere 19,7 mila euro, più elevato rispetto alla media nazionale di 17,8 mila euro, ma in termini reali è discendente rispetto al livello massimo raggiunto nel 1989. Nelle previsioni al 2014 esso scenderà a valori che aveva nei primi anni '80, nonostante un lieve ripresa rispetto al 2013.
I consumi pro capite delle famiglie, evidentemente collegati al livello di reddito, mostrano lo stesso andamento: decremento a partire dal 2007, breve ripresa nel 2010 quando s'intravedeva la fine del tunnel e poi ulteriore discesa. I livelli previsti nel 2014 sono quelli di metà anni '90.
Nel contempo dal 2009 si sta assottigliando il risparmio familiare che ricomincerebbe a crescere soltanto nel 2014 (Figura 1.21).
Tra le altre componenti che concorrono alla formazione del PIL sono stati analizzati gli investimenti fissi lordi che rappresentano il valore dei beni durevoli destinati acquistati dalle unità produttive residenti, per essere utilizzati nel processo produttivo, nonché il valore dei servizi incorporati nei beni d'investimento acquistati.
Gli investimenti per lavoratore (Nota 13) nel 2014 tornerebbero in Veneto al valore del 1995. (Figura 1.22)
Risulta indicativo come la produttività (Nota 14) dopo una diminuzione nel 2009, si sia ripresa e pur non avendo raggiunto l'apice del 2007, sia in accelerazione. Dato il quadro economico generale non positivo questa tendenza sembra poter essere letta come una tenuta del lavoro, sostenuto dagli ammortizzatori sociali, a fronte di una decrescita del valore aggiunto. (Figura 1.23)

Figura 1.20

Prodotto Interno Lordo pro capite (euro annuo 2005). Veneto e Italia - Anni 1980:2014

Figura 1.21

Spese per consumi finali e reddito disponibile delle famiglie (euro anno 2005 pro capite). Veneto - Anni 1980:2014

Figura 1.22

Investimenti fissi lordi per unità di lavoro (euro anno 2005). Veneto e Italia - Anni 1980:2014

Figura 1.23

Valore aggiunto per unità di lavoro (euro anno 2005). Veneto e Italia - Anni 1980:2014
 
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I prezzi in Veneto

La crisi non frena l'inflazione: in Italia nel 2012 sale al 3% segnando il leggero recupero di questa variabile dopo un 2011 pari al 2,8%. C'è da dire che negli ultimi mesi dell'anno si sta assestando, seguendo una tendenza guidata dall'esaurimento delle spinte che nei mesi scorsi erano state innescate dall'andamento delle quotazioni delle materie prime e dagli aumenti delle imposte indirette e delle accise. Attenuatisi questi fattori, la dinamica dei prezzi ha iniziato a convergere sui più bassi valori dell'inflazione di fondo.
L'inflazione media rilevata in Veneto è pari a 2,9%, leggermente inferiore a quella nazionale; i capoluoghi di provincia che si sono distinti per un tasso superiore sono Venezia e Vicenza (Nota 15) .
Con riferimento ai capitoli di spesa il Veneto mostra un andamento simile a quello nazionale: i contributi alla crescita media dell'ultimo anno più rilevanti riguardano principalmente l'abitazione, acqua, elettricità e combustibili ed i trasporti.