Regione del Veneto - U.O. Sistema Statistico Regionale
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Rapporto Statistico 2013
Capitolo 3

Le trasformazioni del sistema economico

I sistemi economici evolvono e si trasformano costantemente. In questo capitolo vengono analizzate le trasformazioni dell'economia veneta attraverso l'analisi delle serie storiche della produzione di ricchezza nel confronto con le altre regioni italiane e lo studio dello sviluppo del valore aggiunto settoriale affrontato attraverso l'analisi shift&share, una tecnica che consente la scomposizione della crescita del valore aggiunto in componenti che raccolgano i contributi dei diversi fattori di sviluppo, così da permettere una migliore interpretazione della dinamica della ricchezza prodotta. Vengono di seguito analizzate alcune componenti ritenute responsabili delle più consistenti trasformazioni nell'economia dell'ultimo decennio: le imprese che sono i diretti attori e utenti nella produzione di ricchezza; la globalizzazione che attraverso lo sviluppo dei flussi commerciali e produttivi si è tradotta in un fattore motivante per la competitività del territorio; la Ricerca&Sviluppo che è stata un'importante leva di attivazione delle trasformazioni ed ha un forte ruolo di alimentatore nel processo strategico imprenditoriale.
 
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3.1 Il Veneto nel confronto temporale e territoriale (Nota 1)

Il famoso "modello veneto" può definirsi superato? Dall'analisi della serie storica delle principali variabili economiche il Veneto emerge come una regione benestante, con un reddito pro capite superiore sia alla media italiana che europea e con una crescita media del PIL più dinamica rispetto a quella dell'Italia, ma rallentata nella fase di passaggio al nuovo millennio, quando si lascia alle spalle il dinamismo economico che lo ha caratterizzato negli anni Novanta e che ha permesso a questa regione di essere annoverata tra le potenze industriali dell'epoca.
La storia economica del Veneto viene studiata nell'intero periodo 1995:2011 (Nota 2) e nei suoi sottoinsiemi 1995:2000, anni di pieno benessere, 2000:2007, quando l'andamento del PIL comincia a oscillare e, infine, 2007:2011, gli anni della grande crisi.
Considerato l'intero periodo 1995:2011 il PIL veneto cresce in media dello 0,9% all'anno come in Italia. A questo risultato si arriva dopo il forte incremento medio annuo degli anni 1995:2000, pari al 2,4% (1,9% per l'intera Italia) al quale contribuisce particolarmente l'exploit del 2000: la variazione percentuale 2000/1999 è pari a +5%. Gli anni 2000:2007 vedono una crescita del PIL pari all'1,3% (come il dato nazionale): dopo la debolezza del 2002 (-0,8%) si assiste ad una buona ripresa soprattutto nel 2004, +2,7%, fino alla variazione percentuale 2007/06, +2%. Infine gli ultimi anni 2007:2011 vedono una riduzione della ricchezza dell'1,4%: la caduta 2009/2008 del 5,5% incide fortemente sull'intero periodo.
Come descritto nel primo capitolo del presente rapporto, il valore reale del PIL veneto, dopo aver toccato il suo apice nel 2007, torna nel 2011 a valori simili a quelli del 2004. In realtà, solo nella provincia autonoma di Bolzano il PIL ritorna nel 2011 su livelli pre-crisi (2007), mentre nel resto del Paese il recupero è solo parziale: per l'intero Nord il livello del 2011 è analogo a quello del 2005, per il Centro a quello del 2004 e per il Mezzogiorno è sceso a quello del 2000 (Nota 3) .
Nel confronto territoriale il Veneto risulta in tutti i periodi tra le regioni con lo sviluppo più elevato, tranne che nel periodo di crisi quando la caduta più intensa rispetto ad altre regioni del nord economicamente forti, come Lombardia ed Emilia Romagna, è da spiegarsi con la sua economia ancora fortemente legata alla manifattura e agli scambi internazionali, così da risentire maggiormente della recessione globale. (Figura 3.1.1)
Andiamo ad effettuare la stessa analisi a livello di macro settore. Il comparto agricolo veneto, che nel 2011 rappresenta il 2% della ricchezza reale prodotta in Veneto, nel periodo 1995:2011 mostra una variazione dello 0,2%, data da un notevole sviluppo nel periodo 1995:2000 (+2,6% contro il +2,1% della media italiana), una decrescita negli anni 2000:2007 pari a -1,5% (-0,5% per l'Italia) e una stasi nel periodo 2007:2011 in cui gli altri settori hanno sofferto di più (0,1%, contro il -0,5% per l'Italia). Nel confronto con le altre regioni strutturalmente simili al Veneto, solo la Lombardia ottiene performance migliori in questo settore (che per essa è meno rilevante, rappresentando solo l'1,2% del valore aggiunto totale). (Figura 3.1.2) (Figura 3.1.3)
L'industria in senso stretto, ovvero il comparto industriale al netto dell'edilizia, è un settore importante per l'economia veneta in quanto produce il 27,2% dell'intero valore aggiunto. Nel periodo 1995:2011 la sua crescita annua è dello 0,7% e rappresenta una delle migliori performance nel panorama italiano, superata soltanto da Abruzzo e Molise e migliore rispetto al tasso negativo delle maggiori regioni industrializzate del Nord.
Il periodo migliore per l'industria veneta è sicuramente quello antecedente il 2000 quando si registra un tasso di crescita annuale pari all'1,9% mentre la media nazionale è di 0,9% e i tassi delle regioni competitor sono più bassi. Anche nel periodo 2000:2007 il manifatturiero veneto si dimostra competitivo, +1,1% annuale (0,8% la media nazionale): nonostante la crisi del 2002/03, la ripresa degli anni 2006 e 2007 si mostra consistente. Infine negli anni 2007:2011 la decrescita viene contenuta al -1,5% annuale, contro il -2,8% nazionale, il -2,5% della Lombardia, il -2,3% del Piemonte, il -3,7% del Friuli Venezia Giulia e il -2,5% dell'Emilia Romagna. I dati sembrano voler dimostrare che esiste uno zoccolo duro di imprese manifatturiere in grado di reagire alla crisi e supportare l'economia anche nei momenti difficili. In questa fase in cui le economie avanzate puntano sulla terziarizzazione non bisogna dimenticare il ruolo dell'industria.
È tornata la consapevolezza nei Paesi avanzati dell'importanza cruciale delle attività manifatturiere per una crescita economica duratura e sostenibile. Passata la moda della finanza degli anni passati, anche gli Stati Uniti di Barack Obama tracciano la strada per un ritorno di un ruolo cruciale dell'industria negli equilibri complessivi dell'economia, tanto che le ultime statistiche hanno evidenziato un sorprendente aumento dell'occupazione nelle fabbriche USA.
Anche la Commissione europea lo sostiene: "Il mercato unico, con 500 milioni di consumatori, 220 milioni di lavoratori e 20 milioni di imprenditori è uno strumento essenziale per la competitività dell'Europa industriale. Un posto di lavoro su quattro dipende dall'industria manifatturiera ed almeno un altro posto su quattro rientra nella sfera dei servizi legati all'industria in quanto fornitori o clienti. L'80% di tutte le iniziative di ricerca e sviluppo condotte nel settore privato è attribuibile all'industria - essa è un motore dell'innovazione e contribuisce a trovare soluzioni alle sfide cui le nostre società sono confrontate." (Nota 4) (Figura 3.1.4)
Il settore delle costruzioni rappresenta il 6,1% dell'intero valore aggiunto in termini reali. Nel periodo 1995:2011 la sua crescita annua è dello 0,8% (0,3% a livello nazionale). In Veneto lo sviluppo di questo comparto parte con più ritardo rispetto alle altre regioni italiane: negli anni 1995:2000 si registra uno 0,4% annuo (1,1% per l'Italia), mentre nel periodo 2000:2007 l'aumento annuo è del 4,8% (2,5% per l'Italia). Il 2002 e il 2005 sono gli anni di maggiore incremento e il 2006 è l'anno in cui il valore aggiunto, in termini reali, raggiunge il suo apice: 9.396 milioni di euro a prezzi 2005. Gli anni 2007:2011 rappresentano una fase discendente, con una variazione media annua del -5,3% (-4,3% a livello nazionale), anche se bisogna sottolineare la frenata alla caduta del 2011, quando si registra un -0,3% rispetto all'anno precedente, probabilmente anche grazie all'introduzione del "Piano Casa" (Nota 5) introdotto con legge della Regione del Veneto che permette interventi di ampliamento e/o demolizione e ricostruzione con ampliamento, in deroga ai regolamenti comunali, provinciali e regionali. (Figura 3.1.5)
I servizi rappresentano il settore economico più importante per il Veneto: il 65% dell'intero valore aggiunto. L'intero periodo di analisi, 1995:2011, vede un tasso di crescita media annua dell'1,2%, pari a quello nazionale. Il periodo di massimo sviluppo è quello dal 1995 al 2000, +2,6% annua (2,2% per l'Italia), seguito da una crescita dell'1,3% negli anni 2000:2007 (1,4% per l'Italia) e una variazione negativa, -0,9% negli anni di crisi 2007:2011 (-0,3% per l'Italia). Nel risultato dell'ultimo periodo ha inciso notevolmente la caduta del 2008 e del 2009, ma si è assistito poi alla ripresa del 2010, +1,4%, e alla stabilità del 2011, +0,4%. Il valore massimo prodotto dal comparto è stato nel 2007 e non si è ancora recuperata la caduta della crisi: nel 2011 si ritorna ai valori del 2004. (Figura 3.1.6)
Le componenti della domanda veneta, consumi e investimenti (Nota 6) , nell'intero periodo 1995:2010 registrano variazioni percentuali medie annue rispettivamente dell'1,4% e dell'1,2%. Negli anni l'andamento è simile, tranne che nel periodo 2007:2010 quando a fronte di un intenso calo degli investimenti, pari a -3,9% (-4,6% per l'Italia), i consumi tutto sommato tengono, -0,2% (-0,3% per l'Italia).
Nel complesso delle regioni italiane gli effetti della recessione degli anni 2007:2010 si sono manifestati in misura differente in termini di componenti della domanda: gli investimenti registrano una contrazione generalizzata, mentre i consumi mantengono in alcuni casi una tendenza positiva. In particolare, i consumi finali interni registrano una sostanziale tenuta nel Nord-ovest e nel Nord-est, con incrementi appena significativi nelle province autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente +1,1% e +0,4%) e in Emilia Romagna (+0,4%), mentre la dinamica risulta lievemente negativa nel Centro, con cali più significativi in Umbria e Marche. La contrazione dei consumi finali è particolarmente marcata nel Mezzogiorno (-1,3%), segnando, in particolare, diminuzioni in Campania e in Sicilia.
Gli investimenti fissi lordi hanno segnato una flessione di forte intensità in tutte le ripartizioni, con diminuzioni medie annue comprese tra il 3,7% del Nord-est e il 5,5% del Centro.
Al Nord la contrazione più marcata si riscontra in Lombardia, mentre al Centro la caduta più decisa riguarda Toscana e Marche. Nel Mezzogiorno, dove gli investimenti nel periodo hanno segnato una flessione media annua del 5,2%, cadute particolarmente ampie hanno interessato Molise, Sardegna e Campania.
Alcune regioni hanno segnato, tuttavia, un andamento positivo della spesa per investimenti: si tratta di Umbria, Abruzzo, Puglia e Valle d'Aosta. (Figura 3.1.7) (Figura 3.1.8)

Figura 3.1.1

Variazioni percentuali medie annue del Prodotto Interno Lordo per regione (valori concatenati, anno base 2005) - Anni 1995:2011

Figura 3.1.2

Variazione percentuale annuale del Prodotto Interno Lordo e del Valore Aggiunto settoriale. Veneto - Anni 1995:2011

Figura 3.1.3

Variazioni percentuali medie annue del Valore Aggiunto in agricoltura per regione (valori concatenati, anno base 2005) - Anni 1995:2011

Figura 3.1.4

Variazioni percentuali medie annue del Valore Aggiunto nell'industria in senso stretto(*) per regione (valori concatenati, anno base 2005) - Anni 1995:2011

Figura 3.1.5

Variazioni percentuali medie annue del Valore Aggiunto nelle costruzioni per regione (valori concatenati, anno base 2005) - Anni 1995:2011

Figura 3.1.6

Variazioni percentuali medie annue del Valore Aggiunto nei servizi per regione (valori concatenati, anno base 2005) - Anni 1995:2011

Figura 3.1.7

Variazioni percentuali medie annue dei consumi finali interni per regione (valori concatenati, anno base 2005) - Anni 1995:2010

Figura 3.1.8

Variazioni percentuali medie annue degli investimenti fissi lordi per regione (valori concatenati, anno base 2005) - Anni 1995:2010
 
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3.2 Le componenti dell'evoluzione del ciclo economico: l'analisi shift&share (Nota 7)

Per seguire l'evoluzione del ciclo economico e distinguere il contributo delle varie componenti si è affrontata l'analisi shift&share, tecnica che consente la scomposizione della crescita di una grandezza di interesse, in questo caso il valore aggiunto, in componenti che raccolgano i contributi dei diversi fattori di sviluppo, così da permettere una migliore interpretazione della dinamica della ricchezza prodotta.
La tecnica affrontata permette di isolare l'effetto di tre componenti: la componente tendenziale, quella strutturale e quella locale. La prima esprime una misura della crescita del valore aggiunto dell'intero territorio di riferimento, cioè della nazione; la seconda esprime il contributo fornito dalle specializzazioni produttive regionali, nella quale influisce la presenza sul territorio di settori che crescono più o meno rapidamente. La terza componente esprime la differenza di crescita tra la regione e la nazione al netto degli effetti della composizione settoriale della regione, ossia rappresenta una misura della capacità di crescita autonoma dell'area: contribuiscono ad esempio alla crescita della componente locale caratteristiche del territorio legate alla sfera tecnologica, infrastrutturale e logistica, all'approfondimento della cultura del management nelle imprese, al know-how distrettuale, alla disponibilità di materie prime o semplicemente alle peculiarità riguardanti la produttività delle forze lavoro attive sul territorio.
Questo tipo di analisi fornisce quindi una nuova chiave di lettura della crescita del valore aggiunto, che isola il contributo strutturale delle diverse specializzazioni produttive, da quelli che sono i rimanenti fattori locali di sviluppo, quelli legati alla dinamicità propria del territorio. Infatti, la presenza di specializzazioni produttive favorevoli, espressioni delle realtà più dinamiche dell'economia, costituisce un fattore di progresso autonomo e, almeno concettualmente, separabile dai fattori intrinseci e di competitività. (Figura 3.2.1)
La variazione studiata è quella del 2010 sul 2000 (Nota 8) , cioè quella che si riferisce agli ultimi dieci anni disponibili dalla statistica ufficiale per il valore aggiunto regionale, periodo interessato da una chiara ristrutturazione dell'economia in funzione del settore terziario e in cui hanno agito sulle dinamiche economiche numerosi fenomeni, primo fra tutti la globalizzazione dei mercati, che ha visto l'ingresso di nuovi attori e l'allargamento del raggio d'azione delle imprese come condizione necessaria al successo.
Le regioni che hanno fatto registrare l'incremento maggiore del valore aggiunto dal 2000 al 2010 sono la Valle d'Aosta, il Lazio, il Trentino Alto Adige e la Lombardia. Di queste regioni sono Lazio e Valle d'Aosta i territori che più hanno risentito favorevolmente del contributo della componente strutturale alla crescita del valore aggiunto, ossia le regioni nelle quali è stato manifesto l'effetto dovuto alla presenza sul territorio di specializzazioni produttive maggiormente in crescita. Allo stesso modo Calabria e Sardegna, regioni in cui è alto il peso del terziario, specialmente nella componente turistica, hanno beneficiato di una composizione strutturale della produzione favorevole, pur non avendo mostrato una crescita particolarmente più alta della media nazionale nel decennio di osservazione.
Per contro, la composizione strutturale delle attività produttive ha sfavorito in modo particolare il Veneto, la Lombardia, l'Emilia Romagna, l'Abruzzo, le Marche, il Piemonte e la Toscana, regioni che risentono del freno costituito da una composizione strutturale penalizzante, in quanto ricche di attività in quei settori economici rivelatisi meno dinamici e meno in crescita di altri nel periodo di riferimento. Non a caso sono le aree del Paese dove la base manifatturiera è ancora rilevante ed è stata la meno dinamica come evidenziato anche nel paragrafo precedente. Il Veneto, nonostante le considerazioni appena fatte, presenta una crescita del valore aggiunto nel decennio di poco inferiore rispetto alla media nazionale, mostrando quindi di disporre di una componente locale positiva, dietro alla quale si cela un sistema produttivo stabile, in grado di mantenere il territorio ad un livello di sviluppo economico relativamente solido rispetto all'andamento nazionale, alimentando così un segnale di forte produttività del territorio. (Figura 3.2.2)
All'analisi dell'ultimo decennio è stata affiancata la medesima analisi riferita agli anni colpiti dalla crisi economica iniziata nel 2008, così da confrontare il comportamento delle componenti locale e strutturale nel lungo periodo e in una fase di recessione.
L'andamento del valore aggiunto relativo all'ultimo triennio mostra una situazione inversa rispetto a quella relativa al lungo periodo: l'aggregato risente di una forte contrazione della componente tendenziale, che esprime una decrescita generalizzata della produzione di valore in tutto il territorio nazionale. Questo comporta essenzialmente la contrazione del valore aggiunto in quasi tutte le regioni italiane; i contributi delle altre due componenti alla crescita rimangono nella maggior parte dei casi coerenti con quelli dell'intero decennio analizzato precedentemente, se non per alcuni casi, ad esempio, relativi a territori che tendenzialmente beneficiano di una componente locale positiva e che nel triennio 2008:2010 hanno avuto un contributo negativo di questa sulla dinamica complessiva. Emilia Romagna e Lazio nell'ultimo triennio subiscono un indebolimento della componente locale; al contrario, Abruzzo e Puglia beneficiano di una componente locale in forte ripresa rispetto all'andamento nazionale. In Veneto la componente locale continua a dare un contributo positivo, dimostrando che nei momenti difficili la rete territoriale risulta d'aiuto. (Figura 3.2.3)
Entrando nel merito della composizione strutturale del tessuto produttivo del Veneto, i comparti dei trasporti, delle attività immobiliari e degli altri servizi all'impresa e alla persona, oltre a coprire una consistente quota sul totale del valore aggiunto regionale, sono tra i settori cresciuti maggiormente dal 2000 al 2010 e continuano il proprio sviluppo anche nel periodo 2008:2010.
La crescita consolidata dei servizi all'impresa testimonia la centralità di queste attività nell'economia regionale, fondamentali per la propria trasversalità e il supporto allo sviluppo innovativo dell'intera economia.
Gli altri settori del terziario, il commercio, l'ICT, l'alloggio e ristorazione e l'intermediazione monetaria e finanziaria, crescono nell'intero decennio, ma non mantengono l'equilibrio nel triennio 2008:2010.
La rappresentazione ci permette di osservare che il comparto agricolo è in contrazione in tutto il decennio di osservazione, a testimonianza della ristrutturazione che ancora sta riguardando il sistema produttivo regionale e non solo.
In linea con quanto descritto nei precedenti capitoli, in cui abbiamo visto come il comparto industriale sia il più colpito dalle difficoltà congiunturali degli ultimi anni, pochi sono i settori industriali il cui valore aggiunto è cresciuto tra il 2008 e il 2010: l'unico settore prettamente manifatturiero è l'industria alimentare, cresciuta di oltre due punti percentuali tra il 2008 e il 2010 e alimentata, come approfondito nei capitoli seguenti, dalla produzione vitivinicola. L'estrazione di minerali e la fornitura di acqua, due settori non manifatturieri con un peso abbastanza ridotto sul totale dell'industria in senso stretto, sono cresciuti nel medesimo periodo entrambi di oltre 10 punti percentuali.
L'industria metallurgica e il settore delle costruzioni sono i settori che più hanno risentito della crisi iniziata nel 2008: nei primi anni del 2000 erano tra i settori manifatturieri più dinamici e nel periodo 2008:2010 hanno fatto registrare delle forti riduzioni, rispettivamente -14,6% e -9,4%. Lo stesso andamento in calo nell'ultimo triennio rispetto agli anni precedenti, anche se meno marcato, viene osservato per la meccanica, l'ottica ed elettronica, diminuite complessivamente di oltre 6 punti percentuali tra il 2008 e il 2010.
La fabbricazione dei mezzi di trasporto, l'industria chimica e quella tessile e della concia sono le attività manifatturiere che hanno visto ridurre la propria produzione di valore aggiunto nell'intero decennio 2000:2010.

Figura 3.2.1

Crescita del valore aggiunto: componente locale e componente strutturale dell'andamento del valore aggiunto per regione - Anni 2000:2010

Figura 3.2.2

Crescita del valore aggiunto: componente locale e componente strutturale dell'andamento del valore aggiunto per regione - Anni 2008:2010

Figura 3.2.3

Variazione percentuale 2010/08 e variazione percentuale 2010/00 del valore aggiunto per settore di attività e quota dei settori sul totale del valore aggiunto. Veneto - Anno 2010(*)
 
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3.3 Le spinte al cambiamento: i flussi commerciali

L'apertura verso i mercati esteri viene considerata uno degli assi portanti dell'economia regionale. I cambiamenti avvenuti negli ultimi vent'anni che hanno maggiormente influenzato la struttura e il funzionamento delle imprese sono stati la riduzione delle barriere commerciali e la rivoluzione della logistica e delle comunicazioni. Le imprese hanno così cominciato a operare in maniera assai più integrata su scala mondiale, mentre quelle che operavano a livello esclusivamente locale si sono trovate in profonda difficoltà. Questa analisi intende descrivere i cambiamenti intervenuti negli scambi internazionali che hanno e continuano a determinare una trasformazione nelle strategie attuate dalle imprese del territorio per cogliere le nuove opportunità determinate dallo sviluppo della globalizzazione dei mercati.
Nel tempo si è assistito a profondi mutamenti nelle dinamiche dei flussi commerciali internazionali sia a livello settoriale che geografico. L'espansione commerciale si è associata alla forte crescita delle esportazioni di manufatti in particolare delle produzioni a elevato contenuto tecnologico e di conoscenza. Inoltre, la forte intensificazione dei processi di frammentazione dei cicli produttivi fra più paesi ha determinato una rilevante crescita degli scambi di prodotti intermedi (Nota 9) e di beni strumentali (Nota 10). (Figura 3.3.1)
Dal punto di vista merceologico, i contributi più rilevanti alla crescita del commercio mondiale dei primi anni del nuovo Millennio sono da attribuire agli scambi commerciali di produzioni chimiche, farmaceutiche e raffinazioni petrolifere (22,1%), materie prime (14,1%), sospinte dalla sostenuta dinamica delle relative quotazioni internazionali, mezzi di trasporto (10,5%), in gran parte dovuta alla vendita di autoveicoli (7,9%), produzioni elettroniche (9,6%), beni del comparto dell'agroalimentare (8,3%), produzioni meccaniche (7,9%) e lavorazioni metallurgiche (7,7%). Per quanto riguarda il tasso di crescita medio annuo del periodo preso in considerazione, i settori che hanno registrato una dinamica superiore a quella media sono il comparto delle materie prime, che ha raggiunto la quota del 19% del commercio mondiale di beni, il settore chimico-farmaceutico, il settore della siderurgia e le produzioni agroalimentari. (Figura 3.3.2)
La significativa crescita di alcune economie emergenti ha determinato uno spostamento dell'asse commerciale mondiale che ha generato un nuovo equilibrio della distribuzione della ricchezza globale. La formazione e la diffusione delle reti internazionali di produzione hanno consentito ad alcune delle nuove economie emergenti di aumentare notevolmente il contenuto tecnologico delle proprie esportazioni. Questo processo ha determinato un progressivo avvicinamento del grado di affinità delle esportazioni con quelle dei paesi avanzati, guadagnando segmenti a maggior valore aggiunto delle merci esportate.
Tra il 2000 e il 2011, il principale contributo alla crescita delle importazioni mondiali è da ascrivere ai paesi appartenenti all'Unione europea (35,9%), anche se il peso delle loro importazioni diminuisce di circa cinque punti percentuali, passando dal 37,5% del 2000 al 32,8% del 2011. La seconda area geografica per contributo alla crescita delle importazioni è l'Asia orientale (26,7%), che nel 2011 sfiora la quota del 28% sul totale dell'import mondiale, seguita dal Nord America (10,8%), che come l'Ue registra un calo della propria quota, pari a circa otto punti percentuali. Il contributo alla crescita delle importazioni mondiali dei mercati europei non appartenenti all'Ue si attesta attorno ai setti punti percentuali, mentre è di poco superiore al 5% per l'America Latina e il Medio Oriente. L'importanza del ruolo delle nuove economie nell'ambito degli scambi internazionali trova un'ulteriore conferma nel calcolo del tasso medio di crescita annuo dell'import: tutte le aree geografiche, ad eccezione del Nord America e dell'Unione europea, registrano incrementi annui superiori alla media mondiale, con una punta del +19,3% ascrivibile ai mercati dell'Asia centrale.
A livello nazionale, le tre regioni che hanno contribuito maggiormente alla crescita del fatturato estero in questi ultimi dodici anni, spiegando oltre il 55% dell'aumento delle esportazioni nazionali, sono la Lombardia (+27,7%), l'Emilia Romagna (+16,4%) e il Veneto (+11,5%). L'incremento delle vendite estere di queste tre regioni, le prime tre per valore di export, però presenta delle dinamiche leggermente differenti: la crescita media annua della Lombardia è in linea con il dato medio nazionale, l'Emilia Romagna registra un tasso di crescita annuo superiore, mentre quello realizzato dalle imprese venete esportatrici è di poco inferiore al tasso medio nazionale. Anche queste tre regioni leader hanno risentito della crisi internazionale nel periodo 2008:2012, mantenendo però sempre una variazione media annua positiva.
Gli incrementi medi più elevati sono stati realizzati dalle due regioni insulari, le cui esportazioni hanno beneficiato dell'aumento del prezzo delle materie prime. (Figura 3.3.3)
La capacità di adattamento delle imprese esportatrici venete alle mutate condizioni di domanda mondiale è favorita dai continui sforzi di diversificazione degli sbocchi commerciali. Le performance delle vendite all'estero degli ultimi anni sono legate alla buona proiezione sui mercati più dinamici. Tra il 2000 e il 2012, al progressivo calo della specializzazione verso l'area UE, si è associata una presenza crescente nei mercati delle economie emergenti. Infatti, se da un lato il contributo alla crescita delle esportazioni venete degli ultimi dodici anni è ancora fortemente legato alle vendite verso i mercati maturi, nel periodo preso in esame circa il 55% del nuovo export generato è ascrivibile ai mercati Ue, dall'altro sono i mercati delle nuove economie emergenti a registrare i tassi medi di crescita più elevati.
L'export veneto verso tutte le aree geografiche delle nuove economie, con l'unica eccezione dell'America Latina, registra dei tassi di crescita annui superiori alla media regionale, con punte nell'Asia centrale (+13,2%), nell'Europa orientale (+8,2%) e in Medio Oriente (+6,5%). Nell'ultimo lustro le esportazioni venete in America Latina, pur mostrando nel lungo periodo una crescita inferiore alla media, hanno beneficiato di un'ampia ripresa, registrando uno dei tassi di crescita medi più elevati (+4,5% annuo). (Figura 3.3.4)
La maggiore propensione a servire i mercati più dinamici si è associata al posizionamento sulla fascia medio-alta della gamma produttiva esportata, in particolare nella filiera della meccanica di precisione (Nota 11) , da molti anni uno dei fiori all'occhiello della produzione regionale ad elevato contenuto tecnologico. Osservando la dinamica delle esportazioni del settore manifatturiero e aggregando i settori in base alla classificazione basata sul contenuto tecnologico dei beni, si rileva che il comparto dei beni a media-alta tecnologia è diventato quello più rappresentativo dell'export regionale, assorbendo più del 39% dell'intero valore del fatturato estero regionale. Negli ultimi dodici anni oltre la metà dell'incremento dell'export generato dalle imprese presenti in Veneto è ascrivibile a questa tipologia di beni. All'aumento delle esportazioni di questa tipologia di bene influiscono in maniera significativa i prodotti del settore della meccanica, degli apparecchi elettrici e del comparto dell'ottica. In questi ultimi anni, la meccanica strumentale veneta è riuscita, grazie all'alto grado di automazione dei processi produttivi e all'elevata capacità di innovare i prodotti, a compensare in modo soddisfacente la minore domanda dai mercati avanzati con la più favorevole evoluzione nella richiesta di macchinari da parte dei Paesi emergenti. In aumento anche l'altra componente dei beni a contenuto intermedio: la quota dell'export del settore a contenuto tecnologico medio-basso è passata dal 15,9% del 2000 al 19,2% del 2012. Questo comparto, spinto dell'export delle lavorazioni in metallo, ha contribuito all'incremento dell'export regionale degli ultimi dodici anni con una quota di poco superiore al 30%, registrando un tasso di crescita annua pari al 4,2%.
La quota di export dei beni a basso contenuto tecnologico ha perso in dodici anni più di cinque punti percentuali, passando dal 41,2% del 2000 al 36% del 2012. Il suo contributo alla crescita delle esportazioni venete, nel periodo preso in esame, è stato del 17,4%. Se da un lato si segnala l'exploit del comparto agroalimentare, trainato dall'export del vino, e la tenuta del settore moda, dall'altro si registra la netta flessione delle produzioni legate all'arredamento, con un contributo negativo alle esportazioni degli ultimi dodici anni di circa sette punti percentuali.
Il contributo alla crescita negativo dei beni ad alta tecnologia è dovuto alla forte contrazione delle esportazioni del settore dell'aeronautica e dell'aerospaziale: i contributi positivi dei settori dell'elettronica e della farmaceutica non sono riusciti a compensare il calo del fatturato estero del comparto delle produzioni aerospaziali. (Figura 3.3.5)
Risulta in forte aumento la specializzazione in alcune produzioni caratterizzate da una più elevata crescita della domanda mondiale, come quelle del comparto della meccanica e del settore della metallurgia. Le vendite estere di macchinari rappresentano il primo settore dell'export regionale (19,5%) e hanno contributo al 27,5% delle esportazioni originate negli ultimi dodici anni. La quota dell'export delle lavorazioni in metallo è cresciuta di circa cinque punti percentuali, passando dal 7,6% del 2000 al 12,4% del 2012, ed ha contribuito per il 26% all'export generato nei dodici anni presi in considerazione. Il comparto dei metalli è diventato il terzo settore dell'export regionale, registrando un tasso di crescita medio annuo tra i più elevati. Positiva e superiore alla media è stata anche l'evoluzione delle esportazioni dei prodotti del comparto agroalimentare, le cui imprese stanno accrescendo velocemente la propria proiezione internazionale per ovviare al prolungato deterioramento dei consumi interni. Negli ultimi dodici anni le esportazioni del settore sono cresciute mediamente di sette punti percentuali ogni anno e hanno generato il 17% dell'incremento totale del fatturato estero regionale.
La composizione delle vendite all'estero delle imprese venete, nel confronto con la struttura del commercio mondiale, continua a essere influenzata da alcuni settori caratterizzati da minori tassi di crescita della domanda mondiale. Per esempio, le esportazioni regionali del comparto moda e dell'arredamento, che risentono della sempre più agguerrita concorrenza dei paesi a basso costo di manodopera, continuano a essere rilevanti nella composizione dell'export regionale. Negli ultimi dodici anni le vendite estere di beni del settore moda, secondo settore dell'export regionale, hanno però registrato una crescita media annua inferiore al punto percentuale, che ha determinato una leggera riduzione del peso di questo comparto. Il successo nei mercati internazionali di queste produzioni dovrà quindi essere collegato al binomio marchio-design, che diventa fondamentale nelle sfide competitive lanciate dai nuovi paesi emergenti. (Figura 3.3.6)

Figura 3.3.1

Variazioni percentuali medie annue degli scambi commerciali mondiali(*) per settore - Anni 2000:2011

Figura 3.3.2

Variazioni percentuali medie annue delle importazioni mondiali per area geografica - Anni 2000:2011

Figura 3.3.3

Variazioni percentuali medie annue delle esportazioni per regione - Anni 2000:2012

Figura 3.3.4

Variazioni percentuali medie annue delle esportazioni venete per area geografica - Anni 2000:2012

Figura 3.3.5

Variazioni export veneto per livello tecnologico del bene: tasso di crescita medio annuo percentuale 2012/2000, contributo alla crescita percentuale 2012/2000 (*) e quota percentuale 2012

Figura 3.3.6

Variazioni percentuali medie annue delle esportazioni venete per settore - Anni 2000:2012
 
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3.4 Gli agenti delle trasformazioni: le imprese

La dinamica delle imprese attive venete dell'ultimo triennio conferma che è ancora in pieno svolgimento la trasformazione del sistema produttivo regionale: il terziario continua a ricoprire il proprio ruolo di traino per l'economia veneta; le imprese dei servizi infatti rappresentano complessivamente oltre il 54% del sistema produttivo regionale (oltre il 65% se non consideriamo il comparto agricolo). Le imprese che soffrono di più la recessione nel periodo 2009:2010 sono sicuramente le manifatturiere, -1,9%, seguite da quelle nell'ambito dell'edilizia che si riducono dell' 1,7%. Segue il comparto dei trasporti, -1,8%, e il commercio, -0,2%. Gli altri settori rimangono in crescita, in particolare i "servizi alle imprese" (+1,9% nel triennio), le aziende del terzo settore "servizi sociali e personali" (+1,5%), quelle che ruotano attorno al turismo, "alberghi e ristoranti" (+1,4%) e le banche e società finanziarie (+1,2%). (Figura 3.4.1)
Le difficoltà coinvolgono tutte le attività della manifattura veneta: la metallurgia, la moda, l'industria del legno, della stampa, dei mobili, gioielli e articoli sportivi, che insieme coprono oltre il 70% della manifattura veneta; tutte hanno chiuso il periodo 2009:2012 con variazioni medie annue negative di almeno 2 o 3 punti percentuali.
L'industria alimentare è quella che riesce a reagire meglio tra tutti i settori industriali rimanendo abbastanza stabile nel triennio considerato (-0,5%). (Figura 3.4.2)
Le imprese nate nel 2005 e ancora attive nel 2010: come si sono trasformate?
Studiare un panel di imprese nate in uno stesso anno, nel 2005 nel nostro caso, e ancora attive è utile per capirne le performance e le trasformazioni nel tempo.
Analizzando la percentuale di imprese con dipendenti ancora in attività nel 2010 a cinque anni dalla nascita avvenuta nel 2005, risulta che il Veneto è tra le regioni con uno dei tassi di sopravvivenza più elevati, 55,1%, rispetto alla media nazionale di 49,9%.
Per il Veneto tale percentuale è maggiore rispetto alla media nazionale nel settore dell'industria in senso stretto, 55,1%, nei servizi escluso il commercio, 56,1%, mentre è minore nei comparti di maggiore turn over: le costruzioni, 48,6% e il commercio, 51,4%. La sopravvivenza ad un anno dalla nascita è generalmente molto elevata; si vuole sottolineare che i tassi delle aziende nate nel 2009 sono relativamente più bassi, prova ulteriore della situazione congiunturale particolarmente sfavorevole nella quale si trovano a muovere i primi passi.
Nel confronto provinciale, i tassi di sopravvivenza non si discostano in modo significativo da quello medio veneto, solo le province di Padova e Belluno si differenziano positivamente. (Tabella 3.4.1)
La dimensione media delle imprese con dipendenti, sia nell'anno di nascita che negli anni successivi, costituisce un importante indicatore di performance in grado di rilevare la crescita delle imprese in termini di occupazione.
Le imprese con dipendenti, che a distanza di cinque anni dalla nascita sopravvivono, presentano un aumento della dimensione media dal valore iniziale di 1,4 addetti nel 2005 a quello di 2,3 nel 2010 (Nota 12) .
Nell'industria in senso stretto si osserva una dimensione più elevata alla nascita e una crescita maggiore nei cinque anni di sopravvivenza analizzati (da 2,0 a 4,2 addetti medi). Si deve evidenziare che, complessivamente, nel 2009 la crescita dimensionale ha subito un rallentamento rispetto al 2008, continuata nel 2010; tale fenomeno assume maggiore intensità nell'industria e nelle costruzioni, mentre è per ora meno evidente per il commercio. (Figura 3.4.3) (Tabella 3.4.2)
Dal punto di vista dell'occupazione, l'aumento del numero medio di addetti per impresa sopravvissuta non compensa la mortalità d'impresa intervenuta nel periodo. Le imprese nate nel 2005 possedevano 34.116 addetti, di esse le sole sopravvissute nel 2010 occupano circa 30.854 addetti; vengono persi, in questo panel di imprese, 3.262 posti di lavoro pari al 9,6% del personale nell'anno di nascita, nonostante le imprese sopravviventi abbiano guadagnato 12.313 addetti, pari al 66,4% della propria dotazione iniziale. Ciò dimostra la struttura forte di chi sopravvive nel quinquennio. L'unico comparto che presenta un aumento dell'occupazione rispetto all'anno di nascita è l'industria in senso stretto (+21,7%); tutti gli altri settori registrano un saldo negativo rispetto al 2005. E' pur vero che la perdita di addetti coincide per tutti i settori, ad esclusione del commercio, con la crisi internazionale sfociata nel 2008.
Questi dati sembrano confermare che il settore manifatturiero veneto, pur colpito duramente dall'attuale fase congiunturale, possiede una base imprenditoriale che tiene e addirittura riesce ad espandersi affrontando le incertezze. (Tabella 3.4.3)

Figura 3.4.1

Variazione percentuale media annua del periodo 2009:2012 delle imprese attive venete per categoria economica

Figura 3.4.2

Variazione percentuale media annua del periodo 2009:2012 delle imprese attive venete manifatturiere per categoria economica

Tabella 3.4.1

Tassi di sopravvivenza delle imprese nate nel 2005, 2006, 2007, 2008, 2009 negli anni 2006:2010 per macrosettore. Veneto

Figura 3.4.3

Tassi di sopravvivenza e dimensione media delle imprese nate nel 2005 e sopravviventi nel 2010 per settore di attività economica. Veneto

Tabella 3.4.2

Dimensione media delle imprese che sopravvivono: nate nel 2005 e sopravviventi nel 2010 per settore di attività economica. Veneto

Tabella 3.4.3

Addetti delle imprese nate nel 2005 e di quelle sopravviventi a cinque anni, per settore di attività economica (numero e variazioni percentuali). Veneto
 
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3.5 Le leve di attivazione della trasformazione: la Ricerca & Sviluppo

In questo momento storico la ricerca rappresenta un moltiplicatore di produttività e come tale una leva strategica fondamentale per avviare le economie mature verso la ripresa. La fase attuale non è soltanto di crisi ciclica ma di mutamento sistemico, e a maggior ragione saranno i "salti tecnologici" a poter dare slancio alla ripresa e allo sviluppo di un diverso assetto economico. Puntare sull'innovazione è una vera strategia contro la crisi, guardando anche al problema macroscopico della scarsità di alcune risorse non rinnovabili sul piano mondiale e alla pressione che ciò sta generando sui prezzi e sulla disponibilità di alcuni beni.
Nella stessa Strategia Europa 2020 l'asse prioritario "crescita intelligente" promuove la conoscenza e l'innovazione come motori della nostra futura crescita. L'Europa promuove l'innovazione e il trasferimento delle conoscenze in tutta l'Unione, l'utilizzo ottimale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e incentiva la trasformazione in nuovi prodotti e servizi delle idee innovative. Si riconosce che per affrontare le sfide a cui oggi la nostra società va incontro, dall'efficienza energetica alle trasformazioni demografiche, dovranno essere rafforzati gli investimenti in ricerca e innovazione, così da garantire un futuro più efficiente e più sostenibile, tanto per la società quanto per il nostro territorio.
Da una recente analisi svolta nell'ambito della Commissione europea (Nota 13) risulta che nonostante il perdurare della crisi economica e finanziaria, le grandi imprese con sede nell'UE continuano a ricorrere alla R&S per mantenere il loro vantaggio concorrenziale. Gli investimenti in R&S sono aumentati del 9% nel 2011, rispetto al 6,1% del 2010. Questo incremento corrisponde al risultato raggiunto dalle aziende statunitensi (9%), è superiore alla media mondiale (7,6%) e supera di gran lunga il dato relativo alle imprese giapponesi (1,7%). I settori ad alta intensità di R&S hanno evidenziato una crescita occupazionale superiore alla media. Máire Geoghegan-Quinn, Commissaria europea per la Ricerca, l'innovazione e la scienza, ha dichiarato: "La conoscenza è la linfa della competitività europea, quindi l'aumento degli investimenti in R&S da parte delle imprese dell'UE rappresenta una chiamata alle armi nella nostra battaglia per la crescita e l'occupazione. Ora dobbiamo combinare l'ambizione del settore privato con un aumento degli investimenti in R&S a livello nazionale ed europeo. I leader dell'UE dovrebbero inviare un segnale forte attraverso l'approvazione di un bilancio ambizioso per il progetto 'Orizzonte 2020', il nostro futuro programma di ricerca e innovazione."
Nell'Unione europea le cifre relative all'aumento della R&S nel 2011 sono in larga misura legate al settore automobilistico (crescita pari a 16,2%), che rappresenta la quota più consistente di investimenti in R&S nell'UE (25%). Le imprese con sede in Germania, che rappresentano circa un terzo degli investimenti complessivi in R&S nel settore privato nell'UE, hanno registrato un aumento degli investimenti in R&S pari al 9,5%. Le aziende nel Regno Unito e in Francia, che rappresentano anch'esse una larga fetta della ricerca nel settore privato, hanno registrato una crescita rispettivamente del 13,1% e del 7,6%.
L'Unione europea sta dunque avanzando a poco a poco verso la propria meta, ovvero investire il 3% del PIL in R&S: nel 2010 la spesa in R&S dell'Unione raggiunge il 2,01%.
In Italia nel 2010 è stato destinato all'attività di ricerca l'1,26% del Prodotto Interno Lordo, valore che porta la nostra nazione sempre più vicina all'obiettivo nazionale fissato per il 2020, pari all'1,53%.
In Veneto invece gli effetti della crisi si sono fatti sentire: ma più che le aziende, sono state le Università e le istituzioni pubbliche a tagliare le attività ritenute aggiuntive rispetto agli standard minimi e quindi ridurre la spesa in ricerca. L'incidenza della spesa in ricerca sul PIL in Veneto nel 2010 è pari a 1,04%, leggermente più bassa dell'anno 2009, l'1,08%.
Il comparto privato veneto, al quale sono riconducibili i 2/3 della spesa in ricerca, nel 2010 mantiene il livello degli investimenti dell'anno precedente (-0,2%); il settore pubblico, invece che rappresenta l'8% dell'intera spesa ha subito una variazione negativa, -11,8%, mentre l'università che pesa per ¼ dell'importo totale, registra una diminuzione del 2,7%.
Nel 2010 la spesa complessiva per ricerca e sviluppo in Veneto ammonta a 1.502 milioni di euro, collocando la nostra regione al quinto posto nella graduatoria delle regioni italiane, dopo Lombardia, Lazio, Piemonte ed Emilia Romagna. Complessivamente in Veneto gli addetti alla ricerca e sviluppo, in equivalenti a tempo pieno, sono 21.326 e in rapporto alla popolazione sono 4,3 ogni 1.000 abitanti, valore appena superiore al dato medio nazionale di 3,7 addetti ogni 1.000 abitanti. (Figura 3.5.1) (Figura 3.5.2)

Figura 3.5.1

Incidenza della spesa in R&S sul PIL (percentuale). Veneto - Anni 2000:2010

Figura 3.5.2

Spesa in R&S per settore istituzionale (milioni di euro). Veneto - Anni 2009:2010
 
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3.6 Alcune riflessioni

L'analisi svolta nel capitolo fornisce alcune indicazioni sulla peculiarità del sistema produttivo veneto. La metamorfosi da un'economia prevalentemente agricola come quella precedente la seconda grande guerra, all'elevata industrializzazione post bellica, fino alla tendenza alla terziarizzazione iniziata negli anni '80, ci permette di capire la flessibilità del sistema veneto che continua a riadeguarsi ai mutati assetti strutturali e alle diverse condizioni di contesto economico nazionale e mondiale.
L'apparato industriale veneto, pur duramente colpito dalla recessione internazionale, rimane comunque una dorsale importante sia in termini di forza lavoro, sia in termini di produzione di ricchezza incrementata dagli importanti scambi internazionali di merci prodotte in Veneto. Inoltre bisogna osservare che il settore dei servizi, oltre all'importante componente legata al turismo, è composto in prevalenza da imprese che si occupano di servizi a supporto dell'industria.
Essendo una regione a così forte vocazione internazionale, diventa importante per il Veneto seguire le raccomandazioni della Commissione europea individuate attraverso l'iniziativa faro sull'industria che promuove una "politica industriale integrata per l'era della globalizzazione". Tale politica dovrebbe migliorare il contesto in cui opera l'industria attraverso un'ottimizzazione dell'accesso ai finanziamenti per le imprese, rafforzando e sviluppando il mercato unico, difendendo attivamente i diritti di proprietà intellettuale, migliorando le infrastrutture, attivando nuove politiche dell'innovazione industriale, regolamentando gli scambi ed accordi internazionali, garantendo l'accesso alle materie prime ed ai prodotti d'importanza critica; tutto ciò senza dimenticare la sostenibilità ambientale, quindi affrontando i problemi delle industrie ad alta intensità energetica, e quella sociale, con l'allargamento della responsabilità sociale d'impresa.
La manifattura veneta è comunque cambiata nel tempo: da metà anni 2000 si è assistito in Veneto ad una differenziazione delle attività produttive, con cambiamenti nel peso relativo dei settori, in linea con il processo di trasformazione della produzione veneta che vede alcuni settori tradizionali di grande peso lasciare spazio a settori nuovi, a più alta intensità tecnologica e contenuto di conoscenza.
E' così che notiamo come soprattutto la manifattura più tradizionale a basso contenuto tecnologico (Nota 14) sia oggetto di un lento ma continuo ridimensionamento, passando dal 9,4% delle imprese venete nel 2005 al 6,4% nel 2011, mentre i settori manifatturieri caratterizzati da un'offerta specializzata crescono, in evidente controtendenza rispetto all'andamento generale del manifatturiero, dall'1,8% delle imprese venete nel 2005 al 2,9% nel 2011. Il peso di tali settori "strategici" nel tessuto produttivo regionale è superiore rispetto al dato medio nazionale, che vede nel medesimo anno le attività manifatturiere caratterizzate da un'offerta specializzata coprire il 2,1% delle imprese attive italiane.
Inoltre i settori dell'industria tradizionale in Veneto producono spesso beni di fascia medio-alta di antica tradizione ed artigianalità ma innovativi nel design e nelle tecnologie di avanguardia (Nota 15) . Questi prodotti stanno trovando importanti mercati all'estero e soprattutto nei Paesi emergenti o di recente sviluppo che trovano nel possedere un made in Italy un nuovo "status quo".
Il terziario naturalmente rimane strategico, specialmente nel periodi recessivi del ciclo economico. Anche qui si trovano grandi differenze tra gli esercizi commerciali che hanno pesantemente risentito della crisi dei consumi degli ultimi anni e altri comparti. Ad esempio il terziario ad alto contenuto di conoscenza (Nota 16) sta raggiungendo negli anni una più elevata quota di imprese attive a discapito degli altri settori: in Veneto, infatti, partono da una quota di imprese attive dell'11,8% nel 2005 e arrivano nel 2011 a sfiorarne il 14%. In Italia nello stesso anno sono il 12,4% delle imprese a svolgere attività di servizi ad alto contenuto di conoscenza.
In tutti i settori l'innovazione svolge un ruolo fondamentale di volano nel determinare aumenti di produttività, una maggiore efficienza nell'uso dell'energia e dei materiali oltre che nei processi produttivi e nei servizi, il miglioramento dei prodotti sia materiali che immateriali.
L'innovazione può stimolare uno sviluppo e una commercializzazione molto più celeri dei beni e dei servizi, oltre a garantire maggiore competitività in tutti i campi.
Sia dalle analisi relative ai settori economici e che a quelle sul sociale si avverte la necessità di coordinare in modo più efficace i sistemi d'istruzione, le attività di R&S e le iniziative a favore dell'innovazione, di garantire una maggiore coerenza nella cooperazione scientifica, tecnologica e innovativa, di adottare un approccio globale alle sfide sociali, di stabilire condizioni di parità per chi opera nei campi delle attività di R&S e dell'innovazione, di offrire un migliore accesso ai finanziamenti e ai capitali di ventura e di prestare la giusta attenzione sia alla concorrenzialità che alle sfide sociali.