In Italia, più che in altri Paesi europei, prevale la cultura della casa di proprietà: l'acquisto di una casa è visto come un traguardo importante, quasi necessario. Si tratta di un grosso impegno finanziario, ma è un passo che si è disposti a fare, in quanto è considerato un buon investimento e soprattutto una garanzia per il presente e per il futuro. Vivere in una casa di proprietà aumenta infatti il senso di sicurezza delle famiglie e delle persone, specie di quelle anziane. Oltre a ciò, se la casa è propria, e non si è in affitto, si è più propensi a prendersene cura, ad apportare migliorie, abbellirla, renderla più confortevole e adattarla alle proprie esigenze.
D'altra parte le politiche abitative italiane sono sempre state prevalentemente orientate alla diffusione della proprietà e non hanno facilitato il mercato dell'affitto; questo a partire dal secondo dopoguerra, quando il sostegno all'acquisto della casa era giustificato come incentivo al risparmio e all'uscita dalle situazioni di povertà abitativa. Negli ultimi anni, poi, le condizioni del mercato immobiliare, ovvero l'innalzamento spropositato dei canoni di affitto e dei prezzi degli alloggi, congiuntamente alla riduzione dei tassi di interesse, hanno spinto sempre più famiglie ad acquistare l'abitazione di residenza, anche indebitandosi per cifre considerevoli e per molti anni.
All'arrivo della crisi internazionale, sfociata nel settembre 2008, la propensione a investire nel mattone degli italiani, generata dall'attitudine al risparmio, rappresenta un punto di forza, ma contemporaneamente subisce alcune modifiche. I dati raccolti dall'Osservatorio sul mercato immobiliare dell'Agenzia del Territorio mostrano nel 2009 una riduzione delle transazioni nazionali del settore residenziale del 10,9%. Le transazioni scendono maggiormente nell'area settentrionale (-13,1% nel Nord Ovest e -11,7% nel Nord Est), seguono il Centro (-9,5%) e il Mezzogiorno (-8,8%). Quasi tutte le regioni centro-settentrionali evidenziano riduzioni a doppia cifra che si traduce per il Veneto nel -11,7%. Nello stesso anno si indebolisce fortemente rispetto al 2008 la domanda di mutui per l'acquisto di abitazioni, oltre che per la prudenza delle famiglie dato il contesto economico congiunturale, anche per l'irrigidimento nelle condizioni di accesso al credito dal lato dell'offerta.
La situazione europea
Nonostante tutto, nel 2009 in l'Italia il 72,5% delle persone vive in abitazioni di proprietà
(Nota 1), valore superiore rispetto a Regno Unito, Francia, Germania. Nell'UE27 i proprietari della casa sono in media il 73,5%, percentuale che sale nei Paesi dell'Est Europa, dove la proprietà risulta più diffusa per effetto della massiccia privatizzazione dell'edilizia abitativa pubblica avvenuta a partire dagli anni '90; tuttavia si tratta nella maggioranza dei casi di abitazioni caratterizzate da standard qualitativi molto bassi.
Nel Veneto la percentuale sfiora l'80%, superata soltanto da quella della Spagna, se si considerano i Paesi dell'Europa occidentale.
(Figura 6.1.1)
Le differenze tra l'Italia e gli altri Paesi dell'Europa occidentale sono dovute anche alle diverse politiche abitative adottate nei vari contesti e soprattutto al ruolo che il settore pubblico svolge nell'incentivare l'offerta di abitazioni a canone accessibile o altre forme di social housing.
Se è vero, infatti, che lo scopo fondamentale di ogni politica abitativa è quello di garantire a tutta la popolazione un alloggio adeguato per qualità, dimensione e costi, d'altra parte, proprio tramite le politiche sulla casa spesso si intendono perseguire anche altri obiettivi qualitativi, definiti secondo un ordine di priorità che può variare da Paese a Paese. Si può voler combattere l'esclusione sociale, sostenere il mix sociale, contribuire all'equilibrio del mercato abitativo, promuovere il risparmio energetico o offrire sufficienti garanzie agli affittuari contro lo sfratto. Il successo di tali politiche dipende dalla combinazione di strumenti diversi.
Il social housing è uno degli strumenti con cui i governi perseguono i propri obiettivi in materia abitativa e le recenti dinamiche economiche e sociali ne hanno fatto un oggetto dell'agenda politica dalla crescente importanza. La funzione specifica affidata al social housing nei diversi Paesi europei può essere definita come quella di soddisfare i bisogni abitativi della popolazione in termini di accesso e permanenza in abitazioni adeguate e a prezzi accessibili. In particolare si rivolge a quei nuclei familiari i cui bisogni abitativi non possono essere soddisfatti alle condizioni di mercato, perché al di sotto di certe soglie di reddito o in condizioni di vulnerabilità. Il ruolo del social housing non guarda però solo alla carenza di alloggi, ma pone attenzione anche alla qualità degli alloggi e dell'ambiente circostante, nell'ottica di evoluzione delle esigenze della popolazione.
In questo senso la situazione nei diversi Paesi europei appare abbastanza diversificata. Ad esempio, nei Paesi Bassi gli alloggi con affitto sociale rappresentano il 32% del patrimonio abitativo totale e il 75% delle case in affitto. In Austria la percentuale di case a canone sociale è del 23% e per Danimarca, Svezia, Regno Unito e Francia scende ulteriormente, ma rimane comunque su valori del 18% dello stock abitativo; in Italia, invece, l'edilizia sociale risulta molto limitata e pari soltanto al 5%.
(Figura 6.1.2)
Tuttavia, non è sufficiente il confronto dei soli valori percentuali per spiegare il complesso panorama del social housing europeo. Le politiche di edilizia sociale si differenziano su molti aspetti, a partire dagli obiettivi, dai beneficiari, dal ruolo del settore pubblico e dalle fonti di finanziamento
(Nota 2).
Dal punto di vista dei beneficiari si possono distinguere tre modelli. Il modello "universalistico" considera il bene abitativo come una responsabilità pubblica e tutte le famiglie possono potenzialmente accedere al social housing; è il caso, ad esempio di Svezia, Danimarca e Paesi Bassi. Nel modello "targeted generalista", adottato tra l'altro in Italia e in Germania, l'accesso è limitato alle famiglie che non superano un certo reddito, mentre il modello "targeted residuale", previsto, ad esempio, in Francia e Regno Unito, si indirizza a una categoria di beneficiari ancora più ristretta, tipicamente i nuclei familiari più disagiati, come i disabili, gli anziani e i disoccupati. I Paesi del modello "universalistico" tendono ad avere una minore percentuale di stock in proprietà rispetto ai contesti che hanno un approccio di tipo "targeted". Inoltre, negli Stati che adottano il modello residuale la dimensione del mercato privato degli affitti è maggiore rispetto a quelli di tipo generalista e prevale sull'affitto di tipo sociale.
Ma ciò che più differenzia i modelli europei è il ruolo dello Stato. Nei Paesi Bassi, ad esempio, il settore del social housing è completamente affidato ad
housing associations, associazioni private senza scopo di lucro, finanziariamente indipendenti dal governo centrale. Tali associazioni devono essere comunque riconosciute dallo Stato, che ne garantisce la finalità sociale. Anche nel Regno Unito sono presenti le
housing associations, ma a differenza del caso olandese, operano assieme agli enti locali. Una peculiarità del Regno Unito è il cosiddetto
right to buy, ossia il diritto da parte dei locatari degli enti locali di acquistare l'alloggio in cui risiedono dopo un determinato periodo.
Nonostante queste importanti differenze, i cambiamenti intercorsi negli ultimi decenni nei modelli europei di social housing hanno seguito direzioni comuni: decentramento delle politiche abitative verso i livelli di governo più vicini ai cittadini, riduzione del finanziamento pubblico e privatizzazione dello stock abitativo. Anche l'Italia ha seguito questo percorso e con il tempo si è passati dall'idea di edilizia residenziale pubblica al concetto di edilizia residenziale sociale, volendo sottolineare il coinvolgimento di altri attori e l'introduzione di forme innovative. In particolare si è iniziato a parlare di edilizia sovvenzionata, agevolata e convenzionata.
Nel caso di edilizia sovvenzionata l'ente pubblico edifica direttamente il fabbricato mediante finanziamenti esclusivamente o prevalentemente pubblici. L'edilizia agevolata è invece realizzata dal settore privato, ossia cooperative, imprese private o fondazioni, che fruiscono di credito agevolato, finanziamenti pubblici o esenzioni fiscali; offre alloggi a prezzi convenzionati agli utenti che non superano determinati tetti di reddito. Infine, tramite l'edilizia convenzionata, la forma più recente di edilizia pubblica, si stabiliscono degli accordi fra pubblico e privato, che, in cambio di agevolazioni per la realizzazione di alloggi, non di finanziamenti, si impegna ad applicare canoni di affitto o prezzi di vendita convenzionati con il Comune.
Proprietà e affitto in Italia
Il modo di abitare delle famiglie italiane ha subito profonde trasformazioni nel corso degli ultimi decenni. Osservando i dati censuari dell'Istat emerge che in Italia nel 1971 solo il 50,8% delle abitazioni occupate è detenuto in proprietà o in usufrutto, mentre nel 2001 a distanza di trent'anni, le case in affitto scendono al 20% e quelle in proprietà raggiungono la quota di 71,4%. La rimanente quota, cioè l'8,6% nel 2001, riguarda abitazioni occupate a uso gratuito o a titolo di prestazione di servizio.
In Veneto la tendenza è la stessa, ma la percentuale di proprietà è sempre più elevata rispetto alla media nazionale: se nel 1971 la proprietà riguarda poco più della metà delle abitazioni (56,3%), nel 2001 arriva a interessare oltre i due terzi.
Per gli anni più recenti, in attesa del dato censuario al 2011, si fa riferimento ai dati relativi all'indagine Istat sul "Reddito e condizioni di vita" al 2004 e al 2009, in base ai quali la percentuale di case in proprietà o usufrutto cresce ulteriormente e rimane sempre più alta rispetto a quella nazionale, fino a interessare quasi i quattro quinti delle abitazioni.
(Tabella 6.1.1)
Più precisamente, nel 2009 il 4% delle famiglie vive in una casa di cui conserva l'usufrutto avendone ceduto la proprietà, mentre il 73,1% ne è proprietaria, incidenza che pone il Veneto al quarto posto della graduatoria regionale. La diffusione della proprietà è comunque molto eterogenea sul territorio italiano, in Campania non supera il 56%, in Molise sfiora il 76%, e sembra non seguire logiche ripartizionali: per sottolineare solo alcuni esempi, il Veneto si trova ai livelli di regioni come Marche e Abruzzo, mentre il Trentino Alto Adige è preceduto dalla Sicilia e seguito dalla Liguria.
(Figura 6.1.3)
Proseguendo ulteriormente nell'analisi, il 17% delle famiglie venete è gravato dal peso di un mutuo. Le differenze fra le regioni italiane sono molto marcate e in questo caso seguono una chiara logica territoriale: le famiglie del sud sono meno propense a indebitarsi per l'acquisto dell'abitazione (lo fanno solo nell'8% dei casi, il 6% in Calabria e in Campania), al contrario delle famiglie del nord ovest, soprattutto in Valle d'Aosta (23%) e in Lombardia (22%).
Incrociando l'informazione sul mutuo e sul titolo di godimento, è possibile evidenziare anche altre peculiarità regionali. Ad esempio, in Campania e in Molise vengono accesi meno mutui, ma se in Campania la percentuale di famiglie con case di proprietà è la più bassa d'Italia, in Molise è la più alta. Le famiglie del Trentino Alto Adige, invece, presentano atteggiamenti opposti: minore propensione ad acquistare l'abitazione e maggiore propensione a indebitarsi. In Veneto si registrano valori superiori al livello medio per entrambi gli aspetti considerati.
(Figura 6.1.4)
Parallelamente, tra le famiglie venete solo il 16% risulta in affitto, circa tre punti percentuali al di sotto della media nazionale. Se da un lato una così diffusa proprietà è segnale di benessere, dall'altro la limitata disponibilità di abitazioni in affitto può avere alcune ripercussioni negative. Vengono penalizzate soprattutto le fasce deboli della popolazione: i giovani, gli anziani, le famiglie monoreddito, gli immigrati, i lavoratori precari, in generale le famiglie con minori possibilità economiche che, non potendo avvalersi del credito bancario per l'acquisto della casa per la mancanza di sufficienti garanzie economiche, si trovano a sostenere affitti troppo impegnativi in rapporto alle loro disponibilità; nello stesso tempo, pur faticando ad accedere al mercato della casa, il più delle volte non hanno un reddito così basso da poter accedere all'edilizia residenziale pubblica. La situazione si è sicuramente aggravata negli ultimi anni, visto che i prezzi degli immobili sono cresciuti senza che vi fosse un proporzionale aumento nel reddito delle famiglie.
La questione abitativa è, poi, tra i principali motivi che inducono i giovani italiani a rimanere nella casa dei genitori più a lungo rispetto ai coetanei europei, rinviando il progetto di costruirsi una vita autonoma e di formarsi una propria famiglia.
Inoltre, l'eccessiva diffusione della proprietà non agevola la mobilità abitativa e quindi la mobilità sul territorio delle persone e dei lavoratori, con effetti negativi sul mercato del lavoro, che invece richiederebbe maggiore flessibilità. In parte ne risentono anche gli spostamenti per motivi di studio dei giovani universitari fuori sede, per i quali la ricerca di alloggi a costi contenuti si dimostra problematica, specie nelle grandi città, e può diventare un impedimento a iscriversi all'università o a frequentare la sede che si ritiene più opportuna. Questa situazione rischia anche di alimentare il mercato degli affitti in nero.
Sia in Veneto che in Italia l'affitto interessa in misura maggiore le aree ad alto grado di urbanizzazione e le persone che vivono da sole. A volte può essere un'alternativa preferibile all'acquisto dell'abitazione o una soluzione temporanea, specie in alcune fasi della vita, quando la carriera lavorativa è agli inizi ed è richiesta una maggiore mobilità sul territorio. Tuttavia, come confermato da un'indagine sulle famiglie che vivono in affitto, realizzata da Censis-Sunia-CGIL nel 2007
(Nota 3) a livello nazionale, per la maggior parte degli inquilini (66%) il fatto di abitare in affitto non è una scelta, piuttosto una necessità dovuta all'impossibilità di acquistare una casa. Infatti, il possesso dell'abitazione di residenza è fortemente collegato alle disponibilità economiche delle famiglie, tanto che tra le famiglie con reddito basso, ossia con poco più di 16.000 euro in media all'anno, la percentuale di case di proprietà scende al 54% e l'affitto sale al 32,4%
(Tabella 6.1.2).