Sintesi
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Un Veneto in equilibrio tra crescita e responsabilità

Sostenibile è quello sviluppo che "soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni. Lo sviluppo sostenibile, lungi dall'essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali." (Nota 1)
Da questa prima definizione comparsa nel 1987 nel Rapporto Brundtland delle Nazioni Unite, il concetto di sostenibilità è stato approfondito e ampliato, fino ad essere elevato a principio ispiratore di politiche indirizzate ad un progresso non solo economico, ma volto anche al miglioramento dell'esistenza delle persone nella sua multidimensionalità, attraverso il soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell'uomo, di natura fisica, intellettuale, emozionale, morale e spirituale.
La sostenibilità è entrata con insistenza nel linguaggio della descrizione, analisi e pianificazione dei sistemi sociali a tutti i livelli di governo, internazionale, nazionale, regionale e locale. E il tema della sostenibilità è anche il fil rouge del Rapporto Statistico 2011, rappresenta la naturale evoluzione del concetto di "fare rete" che aveva caratterizzato l'edizione del 2010 e viene sviluppato attraverso l'analisi dell'interconnessione e della dinamica dei fenomeni ambientali, economici e sociali compatibili con il progresso delle condizioni di vita e la capacità di ottimizzare l'utilizzo delle risorse naturali.
L'equità intergenerazionale
L'elemento centrale nella nozione di sostenibilità rimane comunque la necessità di cercare un'equità di tipo intergenerazionale: le generazioni future hanno gli stessi diritti di quelle attuali. Tale enunciato, prevalentemente di matrice ecologica, ha animato il dibattito internazionale, dando particolare importanza alla razionalizzazione delle risorse e all'impatto ambientale delle azioni umane. La cura dell'ambiente diventa prioritaria in una fase della storia dell'umanità nella quale il comportamento umano rischia di sovvertire l'equilibrio naturale. Anche la recente tragedia giapponese ha dimostrato come eventi naturali quali il terremoto e lo tsunami hanno avuto effetti ancor più devastanti a causa del massivo sfruttamento del territorio da parte dell'uomo. Ma, senza andare troppo lontano, il Veneto stesso ha subito nel Novembre 2010 l'eccezionale evento naturale dell'alluvione, con un impatto pesante sulla popolazione: due morti, un disperso, molti feriti e migliaia di sfollati, nonché ingenti danni alle attività produttive.
Fondamentale per le generazioni future dei Paesi occidentali è anche la questione dell'invecchiamento della popolazione, determinato da un basso numero di nascite e dall'allungamento della durata media della vita. La riduzione della popolazione in età lavorativa è destinata ad incidere negativamente sul potenziale di crescita di lungo termine delle economie europee, mentre l'aumento della speranza di vita condurrà ad un aumento della quota di spesa pubblica rivolta prevalentemente alla popolazione anziana.
A ciò si affianca poi il problema della sostenibilità demografica mondiale: secondo i dati dell'ONU, la popolazione complessiva del pianeta passerà da 6,9 miliardi (2010) a 7,7 nel 2020, a 9,3 nel 2050. La crescita continuerà ad essere profondamente squilibrata e si concentrerà prevalentemente in Asia e in Africa. In valori assoluti, si passerà nel primo caso da 4,16 miliardi di abitanti a 5,14 miliardi nel 2050, con un aumento del 23,5%, in buona parte concentrato in India. In termini relativi, invece, la crescita della popolazione dell'Africa sarà ancora più clamorosa e potrebbe superare il 100%, passando da 1,02 a oltre 2 miliardi nello stesso periodo. A differenza dell'Europa, nei Paesi in via di sviluppo il peso della componente giovane della popolazione sarà sempre più forte, generando così una pressione demografica tale da incentivare ancor più i flussi migratori anche verso il nostro Paese. (Figura 1) e (Figura 2)
L'equità intragenerazionale
Sebbene espresso in maniera meno esplicita, alla definizione di sostenibilità si lega anche la ricerca dell'equità intragenerazionale: all'interno della stessa generazione tra persone appartenenti a diverse realtà politiche, economiche, sociali e geografiche hanno gli stessi diritti. Si pensi ai fatti accaduti nei primi mesi del 2011 in Africa; in questi giorni stiamo vivendo l'assalto alle nostre spiagge da parte di un'umanità in cerca di un modus vivendi conciliabile con la dignità umana; intere popolazioni in fuga in cerca di sicurezze e maggior benessere, e per questo sono disposte a disagi e a rischiare anche la vita.
Le rivolte popolari dei paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo hanno riportato con forza al centro del dibattito internazionale la necessità di uno sviluppo legato al bisogno di libertà, democrazia, giustizia, equità nella distribuzione, in poche parole, rispettosa della qualità della vita.
Ma tali eventi hanno anche provocato una massiccia ondata di immigrazione, composta tanto di profughi quanto di "emigranti economici", che induce a porsi degli interrogativi in merito alla gestione di tale emergenza, al ruolo di coordinamento dell'Unione europea e alla funzione del cosiddetto "spazio Schengen", che prevede la libera circolazione delle persone in 28 Stati europei. Appare, inoltre, legittimo verificare in che misura un fenomeno migratorio di notevole portata possa essere compatibile con l'esigenza di assicurare un adeguato livello di benessere e accesso alle opportunità civili, sociali ed economiche per vaste fasce della popolazione.
Al tempo stesso, nel giro di poche settimane, tali fatti hanno modificato le prospettive del ciclo economico per le possibili conseguenze dei prezzi del petrolio sulla crescita, inflazione e andamento atteso dei tassi d'interesse, mettendo a repentaglio la lenta ripresa in atto.
Gli squilibri del passato...
L'ultimo decennio si è dimostrato poco sostenibile. Troppi squilibri e instabilità hanno portato alla crisi finanziaria del 2008 e alla successiva recessione: la politica monetaria è stata molto rilassata e ha gonfiato i prezzi dei beni, in particolare del mercato immobiliare; la politica fiscale è stata squilibrata con problemi di deficit anche in anni economicamente "forti"; la posizione del debito estero degli Stati Uniti, rispecchiata da una corrispondente posizione di creditori esteri di molti paesi asiatici, è aumentata in modo drammatico. Il sistema finanziario mondiale era molto lontano dalla stabilità e ha aggravato la crisi che aveva scatenato. Il ciclo economico dell'ultimo decennio è stato definito una economia "bolla" (Nota 2) e decisamente oltre il livello sostenibile.
Per tutto il 2010 i Paesi a economia matura si sono trovati di fronte ad una serie di dilemmi generati dalla volontà di dare impulso alla ripresa: le politiche fiscali avrebbero dovuto, da un lato, sostenere la ripresa economica e, dall'altro, avviare politiche di bilancio di riduzione dei disavanzi pubblici a medio e lungo periodo; le politiche monetarie avrebbero dovuto ripristinare condizioni di normalità sui mercati della liquidità e dei titoli pubblici e tassi d'interesse reale a breve almeno in prossimità dello zero, ma allo stesso tempo non rendere troppo oneroso il compito delle politiche di bilancio; infine i governi avrebbero dovuto garantire regole più appropriate per la gestione dei mercati finanziari, per la capitalizzazione dei sistemi bancari, per l'attività di sorveglianza, senza peraltro creare ulteriori e nuovi ostacoli al finanziamento delle imprese.
I risultati del 2010 premiano gli sforzi: il prodotto mondiale cresce del 5%, trascinato dalla ripresa dei flussi commerciali internazionali, +12,4%. Il recupero mostra però due velocità: nelle economie avanzate la crescita resta contenuta e il tasso di disoccupazione è ancora alto, nelle economie emergenti invece l'attività è vivace. L'Unione europea chiude l'anno con una crescita dell'1,8%, così come l'Area Euro, dimostrando un consolidamento della ripresa graduato per i diversi Paesi; in Italia l'aumento del PIL nel 2010 è pari all'1,3%, in Veneto si stima una ripresa dell'economia (Nota 3), in linea con quella del Nord-Est, pari al 2,1%. Il risultato veneto del 2010 sarebbe attribuibile soprattutto al rilancio dell'industria manifatturiera in senso stretto, il cui valore aggiunto crescerebbe di oltre 4 punti percentuali, e al recupero di circa 1,5 punti percentuali sia del terziario che dell'agricoltura. Il settore delle costruzioni si stima ancora in fase discendente.
Tenendo conto del fatto che il ciclo dell'occupazione segue con un certo ritardo temporale quello del prodotto, nel 2010 i mercati del lavoro di quasi tutte le economie europee risentono ancora dell'influenza negativa della crisi, vanificando così molti dei progressi occupazionali raggiunti fino al 2008 e minacciando il benessere delle persone. Ma, sebbene ancora lontani dai benchmark di Lisbona 2010, molti Paesi europei in questi dieci anni hanno migliorato la propria condizione di partenza, avvicinandosi a quelli che già presentavano performance migliori e riducendo il gap con la media europea. Tra questi l'Italia che, pur rimanendo tra gli Stati con i più bassi livelli di impiego e soffrendo anche nell'ultimo anno del calo di occupazione, tra il 2000 e il 2010 registra una crescita rilevante del tasso di occupazione del 6%, passando da un indice del 54,8% al 56,9%. Buoni i risultati ottenuti anche in Veneto che si colloca nel gruppo delle regioni leader a più elevata sostenibilità sociale, caratterizzate principalmente da tassi di disoccupazione bassi, livelli occupazionali alti e minori quote di persone inattive. In dettaglio, il Veneto presenta il quinto tasso di occupazione più alto fra le regioni italiane, pari al 64,5%, e un tasso di disoccupazione del 5,8% che, sebbene sia il più elevato dell'ultimo decennio, rimane tra i minori in Italia e, cosa fondamentale, a differenza di altre regioni, si tratta di disoccupati che cercano lavoro attivamente, mentre gli inattivi e, in particolare, gli inattivi scoraggiati che non cercano lavoro sono in diminuzione.
...e le sfide del futuro
Il concetto di sostenibilità viene ripreso dalla Commissione europea nel Marzo del 2010, quando presenta la strategia "Europa 2020" con lo scopo di guidare l'Europa fuori dalla crisi economica e soprattutto di delineare un nuovo indirizzo e nuovi obiettivi per affrontare con successo le sfide del prossimo decennio. Lo scopo è rilanciare il sistema economico promuovendo una crescita "intelligente, sostenibile e solidale" basata su un maggiore coordinamento delle politiche nazionali ed europee. Con la strategia "Europa 2020" viene proposto un progetto per l'economia sociale di mercato europea con l'individuazione di tre assi prioritari connessi tra loro e che si rafforzano a vicenda:
  1. crescita intelligente - sviluppare un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione;
  2. crescita sostenibile - favorire un'economia più efficiente sotto il profilo dell'impiego delle risorse e competitiva;
  3. crescita inclusiva - promuovere un'economia con un alto tasso di occupazione che sostenga la coesione sociale e territoriale.
    I progressi verso la realizzazione di questi obiettivi saranno valutati sulla base di cinque traguardi principali, che gli Stati membri declineranno in obiettivi nazionali definiti in funzione delle rispettive situazioni di partenza.
(Tabella 1)
Gli obiettivi principali proposti per la realizzazione di una crescita intelligente riguardano la promozione della conoscenza e dell'innovazione e il miglioramento della qualità dell'istruzione attraverso il raggiungimento di una quota di investimenti in ricerca e sviluppo pari al 3% del PIL e di un tasso di abbandono scolastico inferiore al 10%, oltre alla conseguimento di un tasso del 40% di giovani in possesso di laurea.
La spesa in R&S dell'Unione europea a 27 Paesi è stata pari al 2% del Prodotto Interno Lordo nel 2009, in leggera crescita rispetto al dato dell'anno precedente. Questa dinamica non molto sostenuta è trainata dalle performance di alcuni Paesi del Nord Europa: Finlandia, Svezia e Danimarca, rinforzati da una notevole presenza di attività operanti in settori a forte intensità tecnologica, hanno già raggiunto la soglia del 3% fissata come obiettivo per il 2020. Per l'Italia nella bozza del Programma Nazionale di Riforma viene indicato un target da raggiungere per il 2020 pari all'1,53%. Nel 2009 la spesa per R&S su PIL in Italia è stata pari all'1,27%, mentre per il Veneto risultava 1,05% nel 2008, valore più basso rispetto a quello nazionale, ma quasi raddoppiato in 3 anni.
Per quanto riguarda l'abbandono scolastico prematuro, nel 2009 in Italia la percentuale di giovani in età 18-24 anni con titolo di studio inferiore al diploma superiore e che non frequenta altri corsi scolastici o attività formative è pari al 19,2% contro il 25,1% rilevato nel 2000, ma ancora distante dal dato dell'UE27 pari al 14,4%. Minore la quota di abbandoni in Veneto che registra un valore del 17%, ma ancora molto bassa la percentuale di giovani laureati, appena il 17,3% dei 30-34enni contro il dato dell'UE27 pari al 32,3%. In questo scenario si inserisce la riforma del sistema universitario italiano entrata in vigore nel gennaio 2011 (Nota 4), che, nelle intenzioni del legislatore, manterrebbe il nostro paese al passo con l'Europa ed eviterebbe gli sprechi di risorse nelle università puntando ad una governance secondo criteri meritocratici e di trasparenza.
I target fissati per conseguire una crescita sostenibile sono i traguardi "20/20/20" in materia di clima/energia. Da anni l'Europa è in prima linea nella lotta contro i cambiamenti climatici e nel 2008 la Commissione Europea ha approvato un pacchetto di interventi finalizzati alla riduzione dell'inquinamento e alla salvaguardia dell'ambiente.
I tre obiettivi da raggiungere entro il 2020 consistono nella riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra del 20% rispetto ai valori registrati nel 1990, nell'incremento dell'uso delle fonti energetiche rinnovabili, che dovrà coprire il 20% dei consumi finali, e nel miglioramento dell'efficienza energetica, ovvero la riduzione dei consumi del 20%.
Per quanto riguarda il primo target, l'Italia non è ancora in linea con il resto dell'Europa avendo mantenuto pressoché inalterati i propri livelli di emissioni di gas serra, anche se, considerando il 2005 come anno base, la situazione sembra più incoraggiante registrando una riduzione nel 2008 del 5,5% a fronte del 4% europeo. Per il secondo obiettivo, il target italiano da raggiungere entro il 2020 sarà pari al 17%, a partire dal 6,8% del 2008. Infine, per il terzo obiettivo si considera l'intensità energetica del PIL che nel 2008 in Italia è pari a 142,6 tep/milione di Euro, migliore rispetto alla media UE27 (167,1) e allo stesso livello di competitors come Francia, Germania e Spagna; in Veneto, analizzando i dati provenienti da fonte Enea e ISTAT, tale indicatore risulta poco superiore alla media italiana e in linea con le maggiori regioni del Centro-Nord.
La questione energetica risulta, quindi, tanto spinosa quanto attuale. Negli scenari futuri la carta vincente nelle politiche energetiche sarà l'uso cosciente e responsabile di un giusto mix delle fonti disponibili, l'aumento dell'efficienza e, di conseguenza, l'investimento in ricerca e sviluppo.
Infine, la crescita inclusiva prevede due obiettivi: il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro e 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà o esclusione sociale.
Nell'ambito delle politiche del lavoro, nel 2010 il Veneto registra un tasso di occupazione della popolazione 20-64 anni pari al 68,7%, raggiungendo quindi il target fissato dalla strategia di Lisbona che prevedeva per l'Unione europea un livello occupazionale del 69% entro il 2010. Lontana, invece, l'Italia che rileva un tasso del 61%, oltre sette punti percentuali in meno del dato dell'UE27.
Considerati questi dati, il Governo italiano, a fronte del nuovo obiettivo europeo, fissa per l'Italia un target più realistico compreso tra il 67% e il 69%, valore però già raggiunto dal Veneto che può quindi aspirare al target europeo.
Rispetto al tema della povertà, l'impegno dell'Italia è di ridurre nei prossimi dieci anni di almeno 2,2 milioni il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale. La povertà è un fenomeno multidimensionale che considera anche forme di esclusione non necessariamente connesse al reddito, come la precarietà lavorativa e le difficoltà del vivere quotidiano, determinate dall'incapacità della famiglia di accedere a determinati beni e servizi.
Nel 2009 si trovano in questa condizione di difficoltà circa 114 milioni di persone in Europa (il 23,1% dell'intera popolazione) e, di questi, 14,8 milioni vivono in Italia.
Se a livello nazionale quasi un quarto della popolazione vive in situazione di povertà o di esclusione sociale, la percentuale scende per il Veneto al 14,1%, una delle più basse tra le regioni italiane, dopo Trentino Alto Adige, Valle d'Aosta ed Emilia Romagna. Si tratta comunque di 688 mila persone che non riescono a provvedere adeguatamente ai bisogni fondamentali della vita.
Le tre "E"
La strategia Europa 2020 si focalizza sugli obiettivi fondamentali che garantiscano uno sviluppo economico sostenibile, compatibile con l'equità sociale e gli ecosistemi, operante in regime di equilibrio ambientale, nel rispetto della cosiddetta regola dell'equilibrio delle tre "E": Ecologia, Economia, Equità.
Nel presente Rapporto le tre "E" sono state declinate nelle tre dimensioni della sostenibilità: Ambientale, Economica e Sociale.
La sostenibilità ambientale prende in considerazione l'integrità dell'ecosistema terrestre e la qualità dell'ambiente, intesa come bene che concorre a migliorare la qualità della vita e lo sviluppo. E' necessario preservare nel tempo le tre funzioni dell'ambiente: la funzione di fornitore di risorse, la funzione di ricettore di rifiuti e la funzione di fonte diretta di utilità. L'ambiente va valorizzato in quanto "elemento distintivo" del territorio, garantendo al contempo la tutela e il rinnovamento delle risorse naturali e del patrimonio; evitando gli squilibri territoriali nella distribuzione della popolazione, degli insediamenti umani, delle attività economiche, dello sfruttamento del suolo e delle risorse e dell'inquinamento, nonché difendendo la biodiversità, intesa come stock di materiale genetico presente nelle diverse regioni della Terra e la difesa degli ambienti di particolare interresse naturalistico.
La sostenibilità economica consiste nel perseguire l'efficienza economica sia attraverso un'attenta gestione delle materie prime, in modo che non si esauriscano a breve termine e per le generazioni future, sia attraverso uno sviluppo che regoli investimenti e lavoro in vista di un'equità intragenerazionale, sostenibile nel lungo periodo. Ma sostenibilità economica è anche la capacità di un sistema di generare una crescita duratura degli indicatori economici; in particolare, la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento delle popolazioni e di produrre e mantenere all'interno del territorio il massimo del valore aggiunto combinando efficacemente le risorse, al fine di valorizzare la specificità dei prodotti e dei servizi territoriali.
Infine, la sostenibilità sociale si basa sul concetto di equità sociale come principio etico ed economico. L'equità sociale va perseguita sia all'interno dei singoli paesi sia su scala mondiale e dev'essere garantita per le generazioni future, alle quali non va lasciato un pianeta impoverito di risorse. E' quindi la capacità di garantire condizioni di benessere umano equamente distribuite per classi e per genere. (Figura 3)
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La sostenibilità ambientale

Qualcosa nel mondo sta cambiando: ciò che va realmente capito è quanta parte di questo cambiamento sia da imputare all'intervento antropico e quanta alla naturale evoluzione del pianeta. Sicuramente l'ambiente risente delle attività dell'uomo: la questione è definire quanto esse incidano sui cambiamenti del clima cui stiamo assistendo e quanto possa fare l'uomo a questo punto per ridurre l'impatto che la sua esistenza ha sul pianeta.
Diversi sono gli indicatori usati per monitorare lo stato dell'ambiente e l'evoluzione dell'ecosistema. Le analisi vengono solitamente condotte su due versanti, uno inerente le "cause", ovvero le pressioni esercitate sull'ambiente stesso, e uno relativo agli effetti osservabili e alle modificazioni progressive delle caratteristiche del pianeta.
Del primo tipo di analisi fanno parte le fonti di pressione ambientale, quali lo sfruttamento delle risorse naturali, l'uso del suolo, i prelievi di acqua, la produzione di rifiuti, l'emissione di sostanze inquinanti. Nel secondo tipo, invece, rientrano gli impatti sull'ambiente veri e propri, ossia il livello di inquinamento misurato nelle diverse aree, i cambiamenti climatici, le condizioni di vita delle specie animali e vegetali del pianeta.
Lo stato di salute del Veneto: in miglioramento
Lo "stato di salute" dell'ambiente nel Veneto viene continuamente monitorato sotto diversi aspetti e dall'esame della dinamica dei valori rilevati emergono sostanziali miglioramenti.
La qualità dell'aria è in lieve miglioramento: tra gli altri parametri analizzati, c'è la concentrazione di polveri sottili, per le quali nel 2009 sono stati registrati valori medi al di sotto dei 40 ?g/m3, previsti dal Decreto n.60/2002, in quasi tutte le centraline prese in esame. Più critico è, invece, l'aspetto legato al numero dei superamenti del valore limite giornaliero di 50 ?g/m3, che non devono eccedere i 35 giorni all'anno. Solo la centralina situata a Belluno ha registrato, nel 2009, un valore entro i 35 superamenti del limite di legge. L'aspetto positivo è comunque il trend nel tempo. Considerando il 2005 come anno base, si osserva in quasi tutti i casi una netta diminuzione dei giorni di "sforamento" del limite di 50 ?g/m3 di PM10, segno che le politiche di tutela ambientale e la lotta per la riduzione delle emissioni iniziano a dare qualche frutto.
D'altra parte, un elemento che caratterizza fortemente il territorio veneto è da sempre l'acqua. Dai laghi alla fitta rete fluviale, dall'ampia costa bagnata dal mare Adriatico alle acque sotterranee, la regione deve parte della sua ricchezza proprio a questo prezioso elemento naturale. La tutela dell'acqua è pertanto un aspetto fondamentale nella gestione del territorio, e per questo motivo, viene costantemente monitorata la qualità delle diverse risorse idriche.
Le acque di balneazione sono controllate attraverso 167 punti di controllo, dove sono rilevate le caratteristiche chimico-fisiche e quelle microbiologiche. Nel 2009 quasi l'86% dei punti di controllo è risultato idoneo alla balneazione, con miglioramenti nel tempo presso i laghi di Santa Croce e del Mis che, partiti da una situazione negativa nel 2005, hanno raggiunto la piena balneabilità nel 2008 e poi confermata anche per il 2009.
Anche per quanto riguarda l'acqua potabile, i sistematici monitoraggi registrano il pieno rispetto della normativa e un costante miglioramento qualitativo. Dal punto di vista quantitativo, ossia delle riserve d'acqua, misurate dall'indicatore del cosiddetto "livello piezometrico", la situazione è molto confortante poiché esso si mantiene costante nel tempo e, in 18 punti tra i 119 monitorati, è addirittura in crescita.
Importante anche la consizione del nostro suolo, a cui nel tempo è stata data sempre più attenzione a causa dell'acquisita consapevolezza circa i rischi di una non razionale utilizzazione di questa risorsa. Un primo indicatore molto generale relativo all'utilizzo della "risorsa suolo" è costituito dalla percentuale di superficie urbana. A livello regionale le province maggiormente urbanizzate sono quelle di Padova (19,4% di superficie urbanizzata) e di Treviso (17,6%). Dall'analisi dell'evoluzione temporale di tale indicatore nel periodo 1983-2006, si può rilevare che le aree che presentano maggiore variazione percentuale sono quelle della provincia di Verona (+25,6%) e di Venezia (+21,9%), trascinata quest'ultima dallo sviluppo delle località balneari.
Collegata all'uso del suolo anche l'attività estrattiva, oggetto di una stringente disciplina regionale, che dal 1990 al 2009 ha visto una riduzione delle cave produttive da 367 a 233. Infine, le attività industriali a rischio di incidente rilevante: attualmente in Veneto sono censiti 100 stabilimenti a rischio, specialmente concentrati nella provincia di Venezia.
Ma parlando di ambiente non si può non trattare il tema dei rifiuti. Nel 2009 in Veneto diminuisce sia la quantità complessiva di rifiuti urbani, circa il 2% in meno dell'anno precedente, sia la produzione pro capite (-2,6%), registrando così uno dei valori più bassi a livello nazionale, nonostante il Veneto abbia un PIL elevato e oltre 60 milioni di presenze turistiche. Anche il fondamentale aspetto della gestione dei rifiuti evidenzia la buona situazione raggiunta sia in termini di raccolta differenziata, con una media regionale nel 2009 del 56,3% - raddoppiata rispetto al 2000 e che pone la nostra regione al primo posto in Italia -, sia in termini di riciclaggio dei rifiuti, in particolare ai fini della produzione di energia.
L'alluvione dei Santi
L'alluvione vissuta in Veneto tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2010 dimostra l'importanza della sostenibilità ambientale. In quei giorni, i valori pluviometrici hanno registrato massimi locali estremamente elevati, superiori anche a 500 mm di pioggia nei bacini dell'alto Piave e dell'alto Brenta-Bacchiglione. Anche i valori medi areali di precipitazione su diverse zone sono stati molto significativi, a testimonianza del fatto che precipitazioni particolarmente abbondanti hanno interessato aree vaste e non solo singole località. Nel confronto con alcuni dati storici, l'evento occorso si può considerare tra i 2 o 3 eventi più intensi ed abbondanti che hanno colpito le zone prealpine e pedemontane del Veneto negli ultimi 50 anni. Inoltre, circa le altezze idrometriche, alcuni valori sul livello dei fiumi hanno superato i massimi storici registrati, come il valore di 7,15 metri misurato sul fiume Bacchiglione a Pontelongo, ben 1 metro e 21 centimetri sopra al livello rilevato durante la disastrosa alluvione del 1966. In breve, le rotte arginali dei fiumi, i dissesti idrogeologici con trasporto di materiale solido a valle e i conseguenti allagamenti di circa 140 km2 di territorio, alcuni dei quali durati più di una settimana, hanno duramente provato persone, famiglie, imprese e amministrazioni.
Fortunatamente, l'allerta della Protezione Civile e la grande solidarietà e disponibilità di chi si è speso nei primi aiuti hanno permesso in seguito di riportare la situazione il più velocemente possibile alla normalità. Grande la generosità di enti, imprese e cittadini, anche dal resto dell'Italia, che hanno permesso di raccogliere oltre 5 milioni di euro.
Dai campi la risposta alle nuove sfide...
Nell'ambito del quadro della strategia Europa 2020, si inserisce anche la revisione della politica agricola comune (PAC). Gli obiettivi da perseguire puntano a preservare il potenziale di produzione alimentare, sostenere le comunità agricole, mantenere la vitalità delle comunità rurali.
Le proposte finora presentate per la stesura della nuova PAC confermano, quindi, che l'agricoltura è una componente essenziale dell'economia e della società europea anche se non sta attraversando un facile momento. Molti territori sono a rischio a causa del dissesto idrogeologico provocato dall'incuria e dall'abbandono della terra, soprattutto nelle zone svantaggiate di collina e di montagna; inoltre, i redditi agricoli del nostro paese nell'ultimo anno sono in diminuzione a fronte, invece, dell'aumento dei redditi europei, indicando il faticoso momento vissuto dall'agricoltura italiana che continua a soffrire a causa della volatilità dei prezzi, dell'instabilità dei mercati e di investimenti economici che ancora non trovano riscontro in termini di valore aggiunto sulle produzioni.
Tuttavia, il Veneto è stato caratterizzato nel 2010 da una significativa ripresa del valore della produzione agricola: si stima che tale valore abbia raggiunto i 4,8 miliardi di euro, con una crescita su base annuale di circa il 7%. La ripresa non è stata determinata da un aumento quantitativo delle produzioni bensì da un consistente recupero delle quotazioni di molti prodotti agricoli che nel 2009 avevano subito un forte calo dei prezzi. Fondamentali gli aumenti dei prezzi che si sono riscontrati nelle più importanti piazze regionali di contrattazione per le principali colture cerealicole e industriali, con la sola eccezione del riso e del frumento duro, oltre che nel comparto ortofrutticolo.
Nonostante la crisi economica, il comparto enologico si conferma il settore trainante dell'economia agricola regionale con un lieve incremento delle produzioni e delle superfici, oltre ad una significativa ripresa nelle quotazioni delle uve da vino (+14%), rafforzando la leadership del Veneto nella graduatoria nazionale, per il mercato sia nazionale che estero.
...nelle mani degli imprenditori agricoli
E' innegabile che l'agricoltura incide fortemente sulle risorse territoriali/ambientali: essa plasma il paesaggio, la cultura e la storia di una terra e il nostro territorio è fortemente influenzato dalle attività agricole che vi sono esercitate. Risiede proprio nelle mani degli imprenditori agricoli la sfida di salvaguardarlo e valorizzarlo senza perdere in termini di redditività e produttività.
Tra le tendenze in atto già da qualche anno si riscontra la riduzione dell'uso di fertilizzanti e fitofarmaci. Di converso i fertilizzanti consentiti in agricoltura biologica hanno subito un aumento (+4,4%), a dimostrazione del successo dei programmi comunitari a sostegno dell'agricoltura ecocompatibile e biologica. L'agricoltura biologica, infatti, è un sistema di produzione agricola che ha come scopo principale il rispetto dell'ambiente, degli equilibri naturali e della biodiversità, proteggendo allo stesso tempo la salute dell'operatore e del consumatore, oltre ad ottenere riflessi positivi nella gestione ambientale delle aziende. Negli ultimi anni, nonostante l'attuale periodo di crisi, i consumi di prodotti biologici sono aumentati in modo più che proporzionale rispetto al consumo dei prodotti convenzionali con tassi di crescita dei consumi positivi. In particolare, è il Nord Est a segnalare la crescita più significativa rispetto al 2009, superando il +20%. Tuttavia, rispetto al contesto nazionale, la nostra regione dimostra ancora uno scarso sviluppo del settore.
Caratteri positivi assume anche la produzione di energie rinnovabili quando le risorse utilizzate sono prodotte secondo criteri di sostenibilità ambientale. Questo risultato dovrà essere raggiunto senza arrecare effetti negativi alla produzione interna di prodotti alimentari, rispettando le buone pratiche agricole, attuando modalità di approvvigionamento locale della biomassa senza aumentare la pressione ambientale sul suolo e sulle risorse idriche, nel rispetto della biodiversità delle foreste e del terreno coltivabile. I servizi energetici offerti dall'attività agricola, dalle foreste e dalle formazioni "fuori foresta" stanno acquistando un crescente peso economico legato all'aumento della domanda di energia ecosostenibile prodotta da combustibili derivati da biomasse legnose, da colture dedicate o da sottoprodotti e scarti dell'attività agricola.
Infine, l'Italia da tempo ha imboccato la strada delle certificazioni di qualità per i propri prodotti derivanti dalle produzioni agricole, al punto da essere di gran lunga il primo stato europeo per numero di denominazioni (Dop, Igp, Stg) davanti a Francia e Spagna. La moderna agricoltura è stata però indirizzata verso un'offerta di prodotti standardizzati, omogenei, pensati per consumatori sempre più orientati a comprare solo con gli occhi. L'attuale sistema agro-alimentare è quindi volto all'utilizzo di una gamma sempre più limitata di piante e animali specializzati, caratterizzati da rese elevatissime. Tutto ciò va in contrasto con la salvaguardia della biodiversità rurale, che si porrebbe l'obiettivo di diversificare le produzioni mantenendo il numero più elevato possibile di popolazioni connesse al patrimonio genetico autoctono, sia in campo vegetale che animale, coltivati o allevati, trasformati e utilizzati con metodi tradizionali del passato. Certamente tale salvaguardia dev'essere concepita non fine a se stessa né motivata dalla nostalgia per i tempi passati, ma deve indirizzarsi a vantaggio dei produttori, trasformatori e consumatori.
Il ruolo chiave delle foreste
La sostenibilità ambientale passa anche per la montagna. Le foreste sono parte integrante dello sviluppo sostenibile globale: non solo le attività economiche legate alle foreste influiscono sulle condizioni di vita di centinaia di migliaia di persone, ma le foreste giocano anche un ruolo fondamentale nel proteggere la biodiversità e nell'attenuare gli effetti del cambiamento climatico.
Obiettivo prioritario delle politiche forestali è assicurare e potenziare la gestione sostenibile e la multifunzionalità delle foreste, assicurando il mantenimento della presenza dell'uomo sul territorio montano, considerata da sempre premessa indispensabile per la salvaguardia dell'ambiente dai più comuni pericoli di degrado e garanzia del perdurare delle tradizioni culturali del patrimonio storico e paesaggistico.
Il coltivatore di montagna effettuava, assieme a opere di produzione, interventi di difesa del territorio spesso impercettibilmente collegati tra loro. L'abbandono da parte del coltivatore agricolo e forestale ha comportato il deterioramento puntiforme delle opere, un tempo oggetto di continua manutenzione, creando condizioni generali di precaria stabilità con forte perdita della biodiversità causata da un'estrema semplificazione dei paesaggi agrari e forestali. In questo scenario, le Nazioni Unite hanno proclamato il 2011 "Anno Internazionale delle Foreste", allo scopo di sostenere l'impegno di favorire una gestione, una conservazione e uno sviluppo sostenibile per le foreste di tutto il mondo.
Nella nostra regione le superfici forestali occupano circa il 23% del territorio regionale, con una incidenza maggiore nelle zone montane e collinari dove tale percentuale può raggiungere il 60%.
E' ben noto a tutti come la montagna sia un ambito limitante per le attività umane. In montagna la vita quotidiana è più difficile rispetto alla pianura: i collegamenti viari sono più ardui, i servizi erogati alla collettività sono più onerosi, le attività legate al primario sono poco produttive e scarsamente meccanizzabili.
Dal censimento della popolazione del 1951, le aree montane hanno subito una continua riduzione della popolazione e di conseguenza un forte abbandono delle attività agricole e una riduzione della superficie agraria utilizzata (SUA) di oltre il 36% nel periodo 1970-2000.
La politica montana avviata dal dopoguerra ha sempre cercato di compensare queste difficoltà fornendo un sostegno economico e sociale affinché il livello di vita nelle aree montane fosse paragonabile a quello della pianura. In effetti la montagna, pur vedendosi riconosciuto negli ultimi anni una qualifica di risorsa per tutta la collettività, indubbiamente soffre di uno svantaggio geografico permanente che determina un differenziale di costi.
Muoversi rispettando l'ambiente
Con la locuzione "mobilità sostenibile" s'intende un sistema di trasporto urbano che, pur garantendo a tutti il diritto a muoversi e fornendo un adeguato servizio di trasporto, non gravi troppo sull'ambiente, consentendo quindi di mantenere sotto controllo l'inquinamento atmosferico, acustico nonché la congestione dovuta al traffico veicolare. Tale concetto si inserisce nella tendenza all'utilizzo di mezzi sempre più rispettosi dell'ambiente e anche in una maggiore coscienza del cittadino nell'utilizzo del mezzo pubblico piuttosto che privato, ove possibile.
Negli ultimi anni alcuni fattori hanno influenzato il livello dei traffici: il perdurare della crisi economica ha ridotto i consumi di mobilità sia delle persone che delle merci, mentre il caro carburante può rilanciare il trasporto pubblico. Ma il problema non è solo lasciare il mezzo privato a favore del pubblico, ma anche riequilibrare il peso ruota-ferro nei trasporti pubblici. Se l'obiettivo è quello di incentivare cambiamenti ragionati nelle abitudini quotidiane e scelte alternative all'automobile privata, è necessario che l'offerta di trasporto pubblico sia competitiva e di qualità.
Ogni anno, dal 2008 al 2010, va diminuendo il numero medio di spostamenti giornalieri, la distanza percorsa e il tempo dedicato alla mobilità quotidiana; restano nettamente predominanti gli spostamenti con mezzo di trasporto a motore. Ogni giorno si percorrono mediamente 36,4 km e si impiegano 62 minuti, utilizzando nel 78% dei casi un mezzo a motore.
Nel 2009 i mezzi pubblici dei comuni capoluogo del Veneto hanno trasportato complessivamente 252 viaggiatori per ogni abitante, con un leggero incremento rispetto all'anno precedente.
Dal lato della domanda di trasporto privato, per la prima volta dopo molti anni nel 2009 il parco veicoli risulta in leggero calo, mentre continua inarrestabile la crescita della dotazione di motocicli: nel 2009 sono 86 ogni 1.000 abitanti (4 in più rispetto al 2008) per un totale di 420.000 unità.
In Veneto le auto rispondenti alla normativa di emissione di sostanze inquinanti "Euro4" ed "Euro 5" rappresentano nel 2009 il 35% del totale, per il 49% appartengono alle normative "Euro2" e "Euro3", mentre le "Euro0" rappresentano solo il 9%.
Ma quali sono gli stili, quale la qualità e quali le propensioni della mobilità dei cittadini veneti?
Nel 2009 il 73,6% della popolazione in età compresa tra i 14 e gli 80 anni dichiara di essere un utilizzatore abituale dell'auto; a grande distanza segue il ricorso abituale della bicicletta (27,8%), mentre molte meno sono le persone che prendono l'autobus (8,7%).
I veneti sono più soddisfatti dell'uso dei propri mezzi (moto, auto e bicicletta), ma negli ultimi anni, e soprattutto al confronto con le altre regioni, il vero dato distintivo del Veneto sembra essere il consenso elevato che viene riconosciuto al trasporto collettivo: il 40% degli intervistati veneti afferma di voler utilizzare maggiormente i mezzi pubblici in futuro, mentre il 35% vorrebbe ridurre l'uso delle "quattro ruote". Nell'80% dei casi è il fattore "accessibilità/comodità" a incidere sulla scelta di non utilizzare i mezzi pubblici.
L'intensificarsi del traffico nelle città, a causa della preferenza dell'auto rispetto ai mezzi pubblici, le scarse o scorrette informazioni sulle modalità di spostamento sostenibile, quali car pooling, car sharing o bike sharing, comporta che siano ancora troppi i cittadini bloccati in coda per andare al lavoro.
Fortunatamente i comuni dimostrano un interesse sempre maggiore alla promozione di una mobilità sostenibile non solo per le persone, ma anche per le merci, testimoniato dall'adozione di Piani Urbani di Mobilità. Padova e Vicenza sono i primi comuni ad aver avviato un progetto per la razionalizzazione della distribuzione delle merci con l'obiettivo di ridurre i viaggi per il trasporto delle stesse, tramite un maggior riempimento dei veicoli, peraltro alimentati principalmente a metano.
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La sostenibilità economica

La razionalizzazione dei conti pubblici
L'uscita dalla contrazione del ciclo economico a partire dalla metà del 2009 e la ripresa in corso inducono a volgere ora l'attenzione sull'eredità che la recessione ha lasciato alle finanze pubbliche e la costruzione dei consolidamenti necessari per raggiungere una posizione sostenibile.
A livello europeo, le difficoltà della Grecia, esplose nella primavera del 2010, hanno esposto l'urgenza di affrontare la sfida di bilancio dell'area dell'euro e dell'intera Unione, l'elevato e crescente debito pubblico e le preoccupazioni relative alla solvibilità dei governi.
La Commissione europea nel presentare la strategia "Europa 2020" a marzo 2010, per uscire dalla crisi e affrontare le sfide del prossimo decennio, indica come priorità immediata "...portare avanti la riforma del sistema finanziario, garantire il risanamento del bilancio ai fini di una crescita a lungo termine e intensificare il coordinamento con l'Unione economica e monetaria..." (Nota 5).
Nell'Unione europea l'indebitamento netto, corrispondente a 0,9 punti percentuali di PIL nel 2007, ha avuto un pesante peggioramento nel 2009, pari al 6,8%, pesa il 6,4% del PIL nel 2010 e si stima un valore di 6,5% per il 2011. Il debito pubblico, che nel 2007 rappresentava il 59% del PIL per la UE27, è arrivato a raggiungere i 74,4 punti percentuali di PIL nel 2009, l'80% nel 2010 e si stima una percentuale dell'83,8% per il 2011.
In Italia, nel 2010 il debito pubblico tocca il 119% in rapporto al PIL, ma l'indebitamento netto in rapporto al PIL migliora, assestandosi al 4,6%.
In Europa è evidente la preoccupazione per la vulnerabilità dei conti pubblici statali anche in relazione all'invecchiamento della popolazione. Nei prossimi decenni, fattori quali i bassi tassi di fecondità, il prolungarsi delle aspettative di vita e una pesante contrazione della popolazione in età lavorativa, solo parzialmente controbilanciata dall'aumento atteso dei flussi migratori, modificheranno in maniera radicale la struttura per età della popolazione europea e tutto ciò produrrà conseguenze non irrilevanti sulla finanza pubblica e sull'assetto socio-economico.
Per affrontare questa sfida e tenendo conto della centralità del tema della sostenibilità a lungo termine nella riforma del Patto di stabilità e crescita operata nel 2005, la Commissione Europea (Nota 6) ha elaborato proiezioni di bilancio a lungo termine a livello di UE, considerando l'impatto della cosiddetta spesa "age-related", ossia la spesa pubblica legata all'età che include quella per pensioni, sanità, cure di lungo termine e sussidi di disoccupazione. Secondo queste proiezioni, nell'ipotesi che vengano mantenute le attuali politiche, la spesa legata all'invecchiamento aumenterà nei prossimi cinquant'anni di 4,6 punti percentuali di PIL per l'intera Unione europea, del 5,1% nell'Unione Monetaria. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze italiano (Nota 7) ha calcolato per l'Italia un analogo impatto dell'invecchiamento della popolazione sulla spesa pubblica, concludendo che la spesa dovuta all'invecchiamento in rapporto al PIL dovrebbe aumentare di 2,1 punti percentuali, a fronte di una diminuzione della spesa totale di 3,2 punti percentuali di PIL.
In Italia, accanto alle misure di consolidamento della finanza pubblica, ci si attende un miglioramento dei conti pubblici dall'attuazione del federalismo fiscale. Tale modello di federalismo dovrebbe rappresentare un volàno nella razionalizzazione della spesa, mediante l'applicazione dei costi standard, l'avvio di uno snellimento degli apparati burocratici locali e l'attuazione del decentramento funzionale per talune Regioni e Province autonome. Esso dovrebbe inoltre migliorare le entrate attivando un contrasto all'evasione fiscale tramite la compartecipazione-cointeressenza dei governi locali.
I nuovi equilibri nella struttura geografica degli scambi internazionali
A sostegno della stabilità economica dell'Unione europea, la Strategia Europa 2020 pone il commercio estero quale componente essenziale per il raggiungimento degli obiettivi. L'Unione europea è strettamente interconnessa con il resto del mondo e deve sfruttare tale vantaggio per aumentare la propria competitività di fronte alla crescente concorrenza delle altre economie sviluppate e di quelle emergenti.
Nel 2010 alla crescita dell'interscambio mondiale hanno contribuito sia le esportazioni dei paesi più industrializzati, il cui volume è cresciuto di circa otto punti percentuali, che il fatturato estero delle nuove economie, che ha registrato un incremento vicino ai dodici punti percentuali.
In Italia, nel 2010 si sono registrati incrementi significativi sia per le esportazioni (+15,7%) che per le importazioni nazionali (+22,6%). Il Veneto consolida la seconda posizione della graduatoria regionale per valore complessivo di export (45,6 miliardi di euro, con una quota del 13,5% sul totale nazionale). Dopo la caduta del 21,5% del 2009, la performance dell'export veneto (+16,3% rispetto al 2009) è stata superiore a quella nazionale. Il principale settore dell'export veneto rimane quello della meccanica (18,9% dell'export regionale), seguito a breve distanza dal comparto della moda (18%). Alcune produzioni del made in Italy come i mobili, i gioielli e gli articoli sportivi hanno raggiunto la quota del 13,4% del fatturato estero regionale, mentre i prodotti del comparto della metallurgia rappresentano poco più dell'11% delle esportazioni venete.
L'analisi dell'andamento delle esportazioni per area di sbocco mette in evidenza come l'incremento tendenziale delle esportazioni venete abbia interessato maggiormente i flussi diretti verso i paesi extra Ue (+20% rispetto al 2009 e una quota regionale del 40%), con variazioni particolarmente significative verso gli Stati Uniti (+30,9%), la Cina (+49,8%), la Russia (+18,6%), Hong Kong (+34,0%), la Svizzera (+25,9%) e la Turchia (+24,4%). Nonostante le economie emergenti dei paesi BRIC (Nota 8) rappresentino ancora per il Veneto una quota piuttosto esigua di mercato, le esportazioni venete verso quell'area manifestano incrementi consistenti: +32,2% nel 2010. Si nota che sono due i settori merceologici che hanno trainato la crescita dell'export veneto in quest'area: la meccanica, che ha generato circa il 32% della crescita, e il comparto della moda, con flussi diretti principalmente verso la Russia.
Nei prossimi anni l'area di sviluppo del commercio internazionale sarà quella dei paesi emergenti, soprattutto quelli appartenenti o vicini all'area del BRIC. In questi paesi si registreranno trend demografici favorevoli, consistenti aumenti del reddito disponibile e i consumatori di questi nuovi mercati saranno in media più giovani di quelli dei paesi occidentali. La domanda interna di questi paesi tenderà a crescere velocemente e l'espansione della classe media potrebbe costituire un traino al mercato mondiale dei beni di lusso.
Il ruolo delle PMI nella ripresa economica
Nella definizione della Strategia Europa 2020, la Commissione europea dà precise indicazioni su come uscire dalla crisi internazionale, e individuando tra le priorità, la "crescita sostenibile", designa le piccole e medie imprese (PMI), quali destinatarie principali di politiche su cui costruire un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse, sostenibile e competitiva.
Due concetti che fino a qualche decennio fa risultavano incompatibili, competitività e sostenibilità, ora si rafforzano a vicenda. Sviluppo sostenibile per un'impresa significa conciliare la qualità della vita delle persone con lo sviluppo economico e con il profitto. Ne segue, da parte dell'azienda, l'impegno a garantire la rinnovabilità delle risorse utilizzate, il rispetto dell'ambiente e la considerazione dell'equilibrio delle dinamiche sociali mondiali.
Nell'opinione delle imprese profitto ed etica possono essere coniugati se l'etica diviene una guida alla quale ispirare le scelte aziendali. Da queste riflessioni nasce la nuova visione organica del rapporto tra business e società, basato sull'integrazione sociale del ruolo dell'impresa, pianificato e rendicontato con gli strumenti della Responsabilità Sociale d'Impresa (RSI). Ovviamente nessuna azienda è in grado di risolvere tutti i problemi della società, né di sostenere i costi necessari per farlo, ma tutte dovrebbero selezionare e affrontare con responsabilità sociale i temi che più si intersecano con la propria specifica area di business. Tradizionalmente considerata prerogativa delle imprese di grandi dimensioni, la Responsabilità Sociale d'Impresa è diventata centrale anche per le PMI e costituisce un obiettivo fondamentale ai fini di migliorare il sistema economico italiano ed europeo (Nota 9).
Le piccole e medie imprese in Veneto nel 2008 sono 406.011, escluso il settore agricolo, e raggiungono una quota pari al 99,8% dell'intero sistema imprenditoriale; le grandi imprese, nonostante non superino le 800 unità, coprono comunque il 18,7% dell'occupazione privata veneta. Oltre il 92% delle PMI non supera i 10 addetti e i 2 milioni annui di fatturato e per questo rientra nella categoria delle microimprese, tipologia imprenditoriale che dà occupazione al 42,4% di tutti gli occupati in Veneto.
Le piccole imprese venete sono 26.793, il 6,6% delle PMI, di cui la metà non supera comunque i 2 milioni euro di fatturato annuo, avendo però più di 10 addetti; il 23,5% degli occupati in Veneto svolge la propria attività in una piccola impresa. Soltanto l'1% delle attività produttive appartiene alla classe delle medie imprese, per una quota di addetti del 15,3% sul totale addetti veneti.
Un turismo più competitivo, ma rispettoso
La sostenibilità del turismo (Nota 10), come esplicitato nella Strategia Europa 2020, mira a stimolare "l'utilizzo responsabile delle risorse naturali, la considerazione dell'impatto ambientale delle attività (produzione di rifiuti, pressione esercitata su acqua, suolo e biodiversità, ecc.), l'impiego di energie pulite, la protezione del patrimonio e la salvaguardia dell'integrità naturale e culturale delle destinazioni turistiche, la qualità dell'accoglienza".
La Regione Veneto ha messo in moto politiche in linea con l'Italia e con l'Europa: ha adottato il Piano regionale di sviluppo del turismo sostenibile e competitivo, incentivando Enti Locali e strutture ricettive ad acquisire le certificazioni ambientali, e ha aderito a molteplici progetti di promozione e sviluppo del turismo sostenibile, responsabile e di qualità (Nota 11), proponendosi anche come Regione pilota per la sperimentazione in Europa delle pratiche di turismo sostenibile. Inoltre, proprio nel maggio di quest'anno è stato presentato in Consiglio regionale il Progetto di Legge n. 170 "Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto" che individua gli obiettivi e le strategie di medio e lungo periodo per lo sviluppo economico del settore, attento ad un'equilibrata valutazione dell'uso del territorio da parte degli enti locali competenti.
Il Veneto, da sempre apprezzato per la varietà dell'offerta turistica e per la cultura dell'ospitalità che lo caratterizza, è una regione che si dimostra sempre attenta alle esigenze di una domanda che sta cambiando e che impone un continuo rinnovamento dell'offerta. Alle mete tradizionali si affiancano quelle di un turismo alternativo, alla scoperta di ambienti, ville o edifici storici, tradizioni locali e produzioni tipiche dell'artigianato e dell'agroalimentare. Segmenti turistici in forte crescita si dimostrano quelli che coniugano il viaggio allo sport, come il cicloturismo, il mototurismo, il turismo golfistico, quello equestre, ma anche l'offerta benessere, il turismo congressuale, ecc. E' proprio tale varietà di offerta che attrae nel 2010 un numero di turisti nuovamente in crescita dopo la frenata conseguente alla crisi economica e finanziaria iniziata a fine 2008. Numericamente nel 2010 si contano oltre 14 milioni e mezzo turisti, 600mila in più rispetto all'anno precedente (+4,6%), ripresa a cui corrisponde un aumento più blando delle presenze (+0,6%), giunte a oltre 60 milioni e 800 mila, segno della riduzione della permanenza media nelle località di villeggiatura (4,2 giorni). Un segnale positivo è stato dato dal comprensorio che nel 2009 aveva mostrato le maggiori difficoltà, costituito dalle città d'arte, che riprendono il trend in forte crescita mostrato negli anni precedenti (+9,8% degli arrivi e +4,5% delle presenze).
La green economy...
Il tessuto imprenditoriale veneto ha iniziato il lento recupero che, auspicabilmente, lo riporterà alla situazione degli anni precedenti alla crisi: nel 2010 le imprese attive venete, 457.225, rimangono pressoché costanti, -0,2% rispetto all'anno precedente. Escludendo il settore primario, la variazione delle imprese attive tra il 2009 e il 2010 è positiva, +0,3%. I due settori che nel corso del 2009 avevano riportato le maggiori contrazioni conseguenti alle difficoltà dei mercati, l'agricoltura e l'industria, non riescono a recuperare il terreno perso nemmeno nel corso del 2010: il settore primario ha perso nell'ultimo anno il 2,8% delle imprese attive, l'industria in senso stretto l'1,5% e le costruzioni lo 0,9%. Allo stesso tempo è stata evidente la vitalità del terziario: le imprese del comparto sono cresciute nel 2010 dell'1,3%, proseguendo nella direzione del consolidamento all'interno del tessuto produttivo veneto dei servizi, che raggiungono nel 2010 una quota del 53,3% delle attività produttive.
Se un comportamento responsabile da parte delle aziende è essenziale per infondere fiducia nell'economia di mercato, è necessario individuare anche delle strategie precise d'investimento e occupazione. Qual è la soluzione? Ban Ki-Moon, segretario generale dell'ONU, scrive che "la risposta consiste nel trovare soluzioni comuni alle difficili sfide che ci attendono. Quando si tratta di due tra le più gravi - la crisi finanziaria e il cambiamento climatico - la risposta è la "green economy".
La "green economy" è infatti un modello di sviluppo che si concentra sulla creazione di posti di lavoro, la promozione della crescita economica sostenibile, la prevenzione dell'inquinamento ambientale e del riscaldamento globale mediante un uso efficiente delle risorse a disposizione, naturali e non. Parte integrante della "green economy" sono quegli elementi dei settori economici tradizionali che puntano a diminuire i propri usi energetici da fonti d'energia tradizionali, al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nella biosfera.
Considerando l'incrocio tra i consumi energetici utilizzati nel processo produttivo e le emissioni atmosferiche, la produzione di rifiuti e la quota di questi avviata al recupero, è stato possibile classificare i settori manifatturieri nazionali in base al proprio impatto e sviluppo "verde" (Nota 12). Rispetto a questa classificazione, le imprese venete che ricevono una valutazione abbastanza buona sia dal punto di vista della pressione ambientale che della propensione alla sostenibilità rappresenterebbero il 62,1% delle imprese in Veneto.
L'impresa che contribuisce alla compatibilità ambientale si garantisce una maggiore sopravvivenza e sviluppo nel lungo periodo e può sfruttare i vantaggi dell'eco-efficienza ai fini della propria competitività. Per questo è crescente la sensibilità delle imprese alla certificazione ambientale. Nel Veneto, a dicembre 2010 si contano 82 siti e 60 organizzazioni registrati EMAS (Nota 13); nello stesso anno i siti produttivi certificati rispetto alla norma ISO 14001 (Nota 14) in Italia sono 12.371 ed in Veneto 1.032.
... e i green jobs
Green economy corrisponde anche ad un nuovo stile di vita che cambia le abitudini delle persone e che permetterà la creazione di nuove figure professionali. Nascono così i green jobs, ovvero quelle professionalità, quei mestieri in grado di contribuire alla promozione e alla tutela della qualità ambientale. Nel solo settore delle energie rinnovabili le proiezioni comunitarie prevedono la creazione di un milione di nuovi posti di lavoro nel prossimo decennio.
Dalle elaborazioni Isfol, in Italia i lavoratori "verdi" sono in aumento del 41% negli ultimi quindici anni e sono impiegati soprattutto nell'ambito delle risorse agroforestali (il 36% del totale), dei rifiuti (24%) e del turismo ambientale (14,5%).
Anche le aziende venete si stanno lentamente aprendo all'economia verde e dal 2005 al 2009 si stima che in Veneto il numero di occupati nei settori verdi cresce di quasi il 5%. In quattro anni aumentano in particolare i lavoratori impiegati nei settori della gestione dell'inquinamento e della gestione delle risorse, a discapito di quello relativo alle tecnologie e prodotti puliti. Il settore della gestione dell'inquinamento rimane il più consistente e nel 2009 assorbe il 57,6% degli occupati nei settori green del Veneto. Diverse le vocazioni delle province venete: il comparto dell'energia riveste un peso maggiore e superiore alla media regionale nella provincia di Venezia (il 37% dei lavoratori impiegati nei settori green di Venezia) e di Verona (30%), mentre Treviso e Vicenza sembrano più attente alle gestione dell'inquinamento. Padova e Rovigo sono, invece, maggiormente interessate alla gestione delle risorse (riciclo dei materiali, fornitura e depurazione delle acque e risparmio energetico).
Per quanto riguarda le professioni verdi, poi, incrociando gli occupati nei settori verdi con le professioni green o potenzialmente green, si ottiene una stima del numero di lavoratori che svolgono una professione legata direttamente o indirettamente all'ambiente e che lavorano proprio in un settore verde. In Veneto nel 2009 tale stima è pari a quasi 109mila persone (escludendo il settore primario), in aumento di oltre l'8% rispetto al 2005 e che rappresentano più del 5% del totale degli occupati. L'incidenza più alta dei potenziali green jobs si registra a Belluno, pari al 7,8% degli occupati; segue Padova con il 7% che segna anche la crescita maggiore dal 2005.
Si tratta quasi esclusivamente di uomini e per lo più giovani: nel complesso lavorano per l'economia sostenibile il 6,4% dei 15-29enni e il 5,5% dei 30-39ennni a fronte del 4,6% degli over 40, segno dell'apertura del mercato lavorativo veneto e della volontà di creare un sistema economico sempre più sostenibile.
I consum-attori
Anche il consumatore diventa parte attiva nello sviluppo della green economy: si stanno diffondendo nuovi modelli di consumo, che puntano alla qualità e alla sostenibilità, spesso anche in appoggio a circuiti di filiera corta, i quali prevedono lo scambio diretto tra produttore e consumatore, rendendo possibile un consumo massimamente ecologico.
Un esempio di consumo responsabile sono i Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), che nascono con la finalità di permettere l'acquisto da piccoli produttori locali rispettosi delle persone e dell'ambiente, evitando qualsiasi intermediazione e godendo dei vantaggi dell'organizzarsi in gruppo, in termini di spesa economica, di abbattimento dei costi di ricerca dei produttori e di risparmio di tempo. I gruppi di acquisto solidale in Veneto che aderiscono alla rete nazionale dei GAS sono 68 a gennaio 2011, concentrati soprattutto nelle province di Vicenza e Verona, a seguire Padova, Venezia e Treviso.
Ci sono inoltre i mercati degli agricoltori, detti anche farmers' markets, che da qualche anno arrivano anche nei centri urbani, attraverso i quali i produttori hanno la possibilità di organizzarsi per vendere direttamente ai consumatori i propri prodotti, freschi o trasformati realizzati presso l'azienda stessa.
Infine la rete distributiva che promuove il commercio equo e solidale dei prodotti registrata nell'Elenco regionale delle organizzazioni del commercio equo e solidale (L. R. 22 gennaio 2010, n. 6, artt. 4 e 9) conta 20 organizzazioni che gestiscono botteghe del commercio equo in Veneto a dicembre 2010, principalmente concentrate nelle province di Verona, Vicenza e Venezia.
Il consumatore d'oggi ha la consapevolezza di avere una responsabilità sociale e ciò diventa particolarmente interessante in un'economia come quella veneta, dove il commercio è il primo dei settori produttivi del terziario: nel 2010 il numero di imprese attive commerciali è il 43,1% delle imprese dei servizi e il 23% di tutte le attività produttive venete. Il valore aggiunto ai prezzi base del settore commerciale in Veneto rappresenta più dell'11% del valore aggiunto complessivamente prodotto in Veneto e la quota degli occupati nel comparto supera il 14% del totale degli occupati veneti.
L'innovazione a garanzia di uno sviluppo più efficiente
«L'età della pietra non finì perché l'uomo rimase senza pietre e l'età del ferro non finì perché rimase senza ferro ... Finirono perché l'uomo seppe escogitare qualcosa di nuovo, di meglio...». Così scrive l'economista indiano Indur Goklany (Nota 15). La storia dell'umanità è costantemente segnata dal progresso, da innovazioni in grado di cambiare la società in tutti i suoi aspetti, dall'andamento demografico ai cicli economici, senza tralasciare gli interessi culturali.
In questo momento storico l'innovazione rappresenta una strategia fondamentale per avviare le economie mature verso la ripresa e per lasciarsi definitivamente alle spalle il difficile momento di crisi che ha inciso negativamente sugli investimenti e sulla competitività. Per inaugurare un nuovo ciclo di crescita, è però fondamentale che le politiche di innovazione siano basate su requisiti di sostenibilità in chiave strategica, supportate cioè da risorse adeguate e ponderate in un orizzonte di lungo periodo. Nella stessa Strategia Europa 2020 l'asse prioritario "crescita intelligente" promuove la conoscenza e l'innovazione come motori della nostra futura crescita. L'Europa promuove l'innovazione e il trasferimento delle conoscenze in tutta l'Unione, l'utilizzo ottimale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e incentiva la trasformazione in nuovi prodotti e servizi delle idee innovative. Si riconosce che per affrontare le sfide a cui oggi la nostra società va incontro, dall'efficienza energetica alle trasformazioni demografiche, dovranno essere rafforzati gli investimenti in ricerca e innovazione, così da garantire un futuro più efficiente e più sostenibile, tanto per la società quanto per il nostro territorio.
Nel 2008 la spesa per ricerca e sviluppo in Veneto ammonta a 1.542 milioni di euro, collocando la nostra regione al quinto posto nella graduatoria delle regioni italiane, dopo Lombardia, Lazio, Piemonte ed Emilia Romagna. La spesa veneta in R&S del 2008 ha fatto registrare una variazione positiva del 24,1% rispetto all'anno precedente, a fronte di una crescita nazionale annua del 5,9%. La forte diffusione degli investimenti in ricerca anche nelle piccole e medie imprese ha contribuito all'incremento della spesa totale per R&S soprattutto in quei contesti in cui le PMI sono il cuore del tessuto produttivo: è così che l'andamento più che positivo della spesa complessiva veneta è stato trainato dall'importante contributo delle attività imprenditoriali, cresciute nell'ultimo anno del 36,4%.
La spinta verso l'innovazione ha coinvolto negli ultimi anni anche la Pubblica Amministrazione, che sta compiendo un grande sforzo di sburocratizzazione dei servizi e dei processi pubblici. In Italia, le disposizioni informatiche di base sono garantite in modo diffuso fra tutte le amministrazioni (Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane): nel 2009 quasi il 100% è dotato di accesso ad internet, il 98% di sistemi di posta elettronica e il 91% dispone di un sito internet. In Veneto la situazione è anche migliore: 100% di amministrazioni con internet, 99% con posta elettronica, 98% con sito internet. Buona anche la disponibilità on line di alcuni servizi, anche se con diversi livelli di interattività: in Veneto l'85% degli enti locali offre sul proprio sito web una sezione dedicata al pagamento dell'imposta comunale sugli immobili, il 65% la tassa sui rifiuti solidi urbani e il 64% la dichiarazione di inizio delle attività produttive.
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La sostenibilità sociale

La dimensione e le caratteristiche della popolazione influenzano nel lungo periodo la sostenibilità dello sviluppo. Secondo le più recenti proiezioni dell'Eurostat, nel 2060 l'intera popolazione dell'Unione europea dovrebbe risultare numericamente pressoché uguale a oggi, pur con diversità da Paese a Paese; tuttavia sarà nettamente più anziana. Proprio l'invecchiamento della popolazione è una delle principali sfide che l'Unione europea deve affrontare, soprattutto con l'avvicinarsi all'età della pensione della folta schiera dei figli del baby-boom. Se oggi si contano quattro persone in età lavorativa per ogni persona oltre i 65 anni, nel 2060 il rapporto sarà solo di due a uno.
Nella strategia comunitaria sono cinque gli orientamenti a lungo termine, giudicati prioritari per far fronte all'invecchiamento e per cogliere in questa sfida un'opportunità di crescita: favorire il rinnovamento demografico, promuovere l'occupazione, rendere l'Europa più produttiva e dinamica, accogliere e integrare i migranti, garantire finanze pubbliche sostenibili.
Il sostegno alla natalità, e quindi al rinnovamento demografico, passa attraverso politiche di supporto alle famiglie e di conciliazione tra lavoro e vita privata. L'aumento dell'occupazione deve coinvolgere tutte le fasce d'età, anche i lavoratori più anziani, per i quali vanno create condizioni lavorative adeguate e flessibili, tali da favorire la scelta di posticipare la pensione e di rimanere ancora attivi nel mercato del lavoro. L'invecchiamento attivo è il fine ultimo di questa strategia volta a migliorare la qualità di vita degli anziani: restare attivi nel mondo del lavoro, partecipare alla vita sociale e mantenersi in buona salute psico-fisica. In questo contesto, per una maggiore sensibilizzazione al tema, la Commissione Europea propone di proclamare il 2012 "Anno europeo per invecchiare attivamente e della solidarietà tra le generazioni", al fine di evidenziare il contributo che tanto i giovani quanto gli anziani possono fornire alla società.
Anziani: segmento vulnerabile
Il numero di ultra 65enni in Veneto, oggi più di 975 mila pari al 20% della popolazione, crescerà del 45% da qui a vent'anni, e la variazione prevista sale addirittura al 67% per la fascia di età dei molto anziani, ossia dagli 80 anni in poi.
Destano attenzione alcuni importanti conseguenze sociali ed economiche del fenomeno dell'invecchiamento. I territori in calo demografico e in cui la popolazione è prevalentemente anziana dovranno rivedere l'offerta di beni e servizi pubblici di base come la salute, il trasporto e la proposta residenziale; senza contare i cambiamenti negli equilibri familiari e l'aumento di potenziali anziani soli.
Dal punto di vista economico gli anziani rappresentano un segmento vulnerabile della popolazione. In Veneto il 16,5% degli anziani è a rischio di povertà, più della popolazione complessiva (9,7%); maggiormente esposte le donne anziane, che incontrano serie difficoltà economiche date le pensioni mediamente più basse: circa 1 su 5 è a rischio di povertà.
Mediamente un anziano veneto vive con una pensione di 11.300 euro, neanche mille euro al mese, poco meno della situazione nazionale.
Oltre alla questione previdenziale, l'invecchiamento sta richiamando l'attenzione sul tema della sostenibilità della spesa pubblica sanitaria, specie per l'assistenza di lungo periodo: se è vero che la vita media si allunga, è vero anche che nell'ultima parte della vita l'anziano non sarà autosufficiente, anzi il periodo compreso tra l'insorgere della non autosufficienza e il decesso è destinato nel tempo a dilatarsi. Ad esempio, in Veneto il 68% delle persone di oltre 75 anni è affetto da almeno due malattie croniche degenerative, mentre per le persone di età 65-74 anni la prevalenza della multi cronicità è del 46%.
L'evoluzione della spesa sanitaria dipenderà quindi non solo dall'invecchiamento, ma anche dall'incidenza della disabilità tra gli anziani, dal disequilibrio tra cure formali e informali, oltre che dalla tipologia di servizi che il sistema intende mettere a disposizione: residenziale, semiresidenziale o domiciliare, di natura economica o in forma di servizi.
In Veneto la rete assistenziale rivolta agli anziani non autosufficienti è frutto di politiche che negli anni hanno prodotto una molteplicità di interventi in relazione alla complessità del bisogno sociale e sanitario. Inoltre, considerando l'importanza di mantenere l'anziano nel proprio ambiente familiare, abitativo e sociale, l'orientamento delle politiche regionali sta assecondando la permanenza della persona anziana presso il proprio domicilio, riservando l'accoglienza residenziale alle persone non altrimenti assistibili.
Nel 2010 il Fondo regionale per la non autosufficienza ammonta a oltre 704 milioni di euro, in aumento rispetto all'anno precedente del 3,5%. Anche se la maggior parte delle risorse è destinato alla residenzialità per gli anziani (65%), le politiche regionali hanno inteso potenziare negli anni più recenti il finanziamento della domiciliarità, che oggi copre il 13% delle risorse.
Integrare i migranti
Il contributo della componente migratoria, sia in termini di ingressi dall'estero che di nuove nascite, è importante per ristabilire l'equilibrio demografico in un Paese, come il nostro, dove la fascia giovane della popolazione è in diminuzione. In Veneto l'immigrazione è un fenomeno decisamente consistente: ben l'11,3% degli immigrati nel nostro Paese ha scelto, infatti, il Veneto per stabilire la propria dimora, tanto da risultare la terza regione per attrazione dall'estero. Oggi gli stranieri residenti in Veneto sono 480.616 e rappresentano il 9,8% della popolazione, contro il 7% a livello nazionale e secondo le previsioni Istat nel 2030 supereranno il milione, diventando il 19% della popolazione complessiva.
Una delle peculiarità del fenomeno è la molteplicità dei Paesi di provenienza. Il Veneto si configura come un puzzle di differenti etnie che affonda le radici nella storia: nel corso degli anni si è assistito, infatti, a mutamenti nelle correnti migratorie, in termini sia di quantità che di nazionalità dei flussi. Oggi troviamo rappresentati tutti e cinque i continenti per un totale di 169 nazionalità.
Alla migrazione volontaria si affianca una migrazione più forzata, costituita da persone costrette a fuggire dalle proprie terre di origine a causa di persecuzioni, rivalità etniche o conflitti armati. Recentemente l'Italia è chiamata a gestire l'immigrazione d'emergenza di cittadini dei Paesi del Nord-Africa che, assieme ad altri del mondo arabo, stanno fuggendo da una situazione politica e sociale di forte difficoltà. Il nostro Paese si impegna a dare accoglienza e un'adeguata ospitalità nei vari centri distribuiti su tutta la penisola: la ripartizione dei profughi tra le regioni avviene in base all'ammontare della popolazione residente, ciò vuol dire che ogni 1.000 profughi 93 sono accolti in Veneto. Sulla base dei dati forniti dalla Protezione Civile della Regione Veneto, in continuo aggiornamento, da metà aprile al 16 maggio 2011 si sono susseguite più ondate di arrivi, per un totale di circa 700 persone.
Tra gli stranieri che arrivano nel nostro territorio, non tanto per scelta quanto per necessità, ci sono anche molti minori che spesso giungono in Italia da soli, senza la vicinanza di un familiare. I minori migranti sono i nuovi protagonisti dei processi migratori, il loro numero è drammaticamente aumentato e costituiscono un segmento importante della popolazione alla ricerca di protezione e asilo. In Veneto mediamente la quota di minori non accompagnati segnalati al Comitato per i Minori Stranieri risulta tra il 4 e il 5% del totale delle segnalazioni, circa 300 all'anno; nei primi sei mesi del 2010 se ne contano 267, quasi la metà nella sola provincia di Venezia.
Abbattere le disuguaglianze tra le famiglie
La ricchezza contribuisce a far progredire una società, ma questo sviluppo si fa sostenibile nella misura in cui garantisce una crescita quanto più equa tra la popolazione. L'Italia si colloca non molto distante dalla media europea, con un PIL pro capite nel 2008 di 26.000 euro in parità di potere d'acquisto e un indice di disuguaglianza di 5,2, vale a dire che il 20% più ricco della popolazione detiene una quota complessiva di reddito che è cinque volte superiore a quella a disposizione del 20% più povero. In Veneto il livello di disparità dei redditi sembra più contenuto che altrove (indice di disuguaglianza 3,9) e le famiglie hanno una disponibilità economica, pari a poco più di 3.100 euro al mese, che, se confrontata con le altre regioni, consente di mantenere un buon livello di qualità di vita e di resistere agli scossoni causati dalla recente crisi economica, anche grazie alla compresenza diffusa di due o più redditi. Il 46% delle famiglie, infatti, conta su due redditi e il 17% su tre o più, quando per le regioni del Sud le percentuali sono rispettivamente 37% e 15%. Inoltre all'interno della famiglia il rapporto tra numero di percettori e persone a carico è più equilibrato rispetto alla famiglia media meridionale.
Poter contare su un reddito stabile, proporzionato alla dimensione della famiglia e adeguato allo stile di vita desiderato, dà sicurezza alla famiglia e trasmette desiderio di progettualità anche alle generazioni successive. Non tutte le famiglie, però, riescono a garantirsi standard di vita accettabili con la stessa tranquillità e i problemi che incontrano cambiano nel corso degli anni e con l'evoluzione del ciclo di vita della famiglia. Più in difficoltà le famiglie di monogenitori e gli anziani soli, andamenti altalenanti invece per i single e le coppie giovani, a causa di una stabilità economica non ancora raggiunta, influenzata anche dagli andamenti del mercato occupazionale. La presenza di figli comporta maggiori fatiche, soprattutto se iniziano a essere più di due, viceversa a godere di una maggiore tranquillità economica sono le coppie mature senza più figli in casa. Nel complesso, la percezione dei veneti della propria situazione economica non è ottimale, a differenza del grado di soddisfazione per le relazioni interpersonali e il proprio stato di salute.
In concomitanza con la crisi, anche i consumi delle famiglie sono calati, nell'ultimo anno di 4,7 punti percentuali in termini reali per il Veneto, attestandosi su una spesa media mensile di circa 2.800 euro, comunque superiore alla media nazionale (circa 2.400 euro). Si è imposta la necessità di compiere delle scelte di priorità nell'allocazione del budget, considerando i vincoli dettati da alcune spese irrinunciabili. Tra queste, l'abitazione rappresenta il costo principale e assorbe una quota consistente della spesa di una famiglia, pari al 16% del reddito complessivo.
Il mercato del lavoro, tra sostegni e opportunità
Per uscire dalla recessione e crescere nella prosperità economica, occorre offrire uno stile di vita più sostenibile ad ogni cittadino e, per fare ciò, è necessario garantire pari opportunità a tutti anche nel lavoro: l'aumento della partecipazione delle donne, dei giovani, degli anziani e degli immigrati al mercato del lavoro riveste un ruolo chiave.
La situazione in Veneto è migliore di quella italiana: per quanto riguarda l'occupazione femminile il tasso è pari al 53,3% contro il 46,1%. Buona anche la performance dell'occupazione della popolazione 55-64enne che in dieci anni aumenta nella nostra regione di 10 punti e si attesta nel 2010 al 35,4%. Ancora troppe, invece, le difficoltà incontrate dai giovani e i gaps fra stranieri e italiani nel mercato lavorativo, soprattutto per quanto riguarda il tasso di disoccupazione e le condizioni contrattuali. Per quanto siano migliori, infatti, le condizioni rilevate in Veneto rispetto alla altre regioni italiane, la disoccupazione giovanile cresce, risultando disoccupato quasi un ragazzo su cinque fra i 15-24enni; meno sono i giovani assunti a tempo indeterminato e molti quelli sotto inquadrati rispetto al titolo di studio raggiunto. Ancora, pochi gli immigrati assunti con un contratto a tempo indeterminato rispetto agli autoctoni, molti i sotto inquadrati e decisamente più elevato il tasso di disoccupazione che in Veneto risulta pari all'11,5% per gli immigrati contro il 3,9% per gli italiani.
A sostenere le famiglie, la cassa integrazione guadagni (cig) che svolge sempre più un ruolo di appoggio assicurando un reddito alle persone sospese dal lavoro o che lavorano a orario ridotto, impedendo la perdita del capitale professionale delle imprese ed evitando effetti depressivi sui consumi. Nel 2010 le ore autorizzate in Italia sono 1,2 miliardi, circa il 32% in più dell'anno precedente e il valore più alto nella storia italiana. In Veneto sono state quasi 125 milioni, il 54,3% in più di quelle concesse nel 2009, il risultato peggiore registrato almeno dagli inizi degli anni '90. A differenza di quanto rilevato tra il 2008 e il 2009, come per l'Italia, nella nostra regione nell'ultimo anno la richiesta di cig ordinaria (cigo) subisce una decisa riduzione, mentre per la straordinaria (cigs) si registra l'attesa accelerazione, determinata anche dal passaggio di diverse aziende dalla cigo alla cigs.
Va sottolineato, comunque, che una grande quantità di ore richieste non viene veramente utilizzata, a segnale di un'operazione precauzionale delle aziende. È evidente che le ore autorizzate possono venire usate e rendicontate in un ampio lasso di tempo e quindi anche a una certa distanza dal momento dell'autorizzazione, ma è comunque opportuno notare la differenza nel tasso di utilizzo in Italia negli ultimi anni: i dati sul tiraggio della cig nel 2010 fissano al 48,2% la quota di effettivo utilizzo delle ore autorizzate rispetto a quelle richieste dalle aziende, per un totale quindi di 580 milioni di ore, contro il 65,4% registrato nel 2009 (circa 598 milioni) e il 76,5% del 2008 (174 milioni).
L'importanza di essere istruiti
Anche in occasione del rilancio della strategia europea si ribadisce il ruolo fondamentale dei sistemi di istruzione e di formazione e il miglioramento della qualità di essi, così da garantire maggiori benefici e possibilità a giovani e adulti.
Tra gli obiettivi strategici europei, oltre ai precisi target prefissati, vi è anche la volontà di migliorare le competenze di base nella lettura, nella matematica e nelle scienze, cercando di limitare la quota di alunni aventi risultati insufficienti in questi campi al di sotto del 15 % entro il 2020. I risultati in Veneto sono soddisfacenti e già al 2009 gli obiettivi sono raggiunti nel campo della lettura (sono, infatti, insufficienti il 14,5% dei quindicenni scolarizzati) e delle scienze (11,7%); poco distante anche in matematica (15,9%). Lontana, invece, l'Italia che registra quote sopra al 20% in tutti e tre gli ambiti.
Lo status sociale della famiglia assume ancora grande rilievo nel determinare le scelte, il percorso, l'apprendimento e il futuro delle giovani generazioni. All'aumentare del titolo di studio dei genitori e della loro posizione professionale, diminuisce la percentuale di giovani che scelgono una scuola professionale o tecnica e aumenta la preferenza verso i licei; in Veneto, i giovani che provengono da famiglie con bassi profili scelgono per il 33% una scuola professionale e solo il 14% un liceo. Viceversa, per i veneti che hanno alle spalle famiglie con profili più alti, la quota di chi sceglie un liceo raggiunge il 60%. Inoltre, indipendentemente dal tipo di scuola frequentata, i ragazzi con famiglie di basso profilo per oltre il 64% dei casi va a lavorare dopo il diploma, mentre i ragazzi di famiglie più agiate vanno all'università.
In complesso, il successo scolastico in Veneto è maggiore rispetto a quello medio nazionale: il 74,3% degli iscritti al primo anno raggiunge il diploma di maturità contro il dato italiano minore del 71%. Ma le cose cambiano a seconda della scuola scelta: migliori i risultati ottenuti dai liceali, mentre gli iscritti agli istituti professionali faticano non poco.
Fondamentale anche la formazione permanente degli adulti che deve toccare il 15% entro il 2020, mentre in Italia e in Veneto si mantiene da anni intorno al 6%, e la formazione in campo ambientale, nuovo baluardo dell'economia moderna. Il Veneto assorbe il 12,1% dell'offerta ambientale nazionale, la seconda quota più alta fra le regioni; prima in graduatoria la Toscana con il 14,7%.
Dare valore alle nostre radici
Il 17 marzo 2011 si è celebrato l'anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia, un avvenimento importante per ricordare la nostra storia, per valorizzare la nostra arte e la nostra cultura: avviene in un periodo cruciale dove è necessario che lo sguardo non solo punti a illuminare il passato, ma sia proteso al futuro, e in specie alla dimensione comunitaria come prospettiva di crescita e di sviluppo per il nostro Paese. Il 2011 è anche l'anno del XV° Censimento della popolazione, prova che la statistica ha accompagnato e supportato il Paese fin dalla sua nascita.
Interrogarsi sul destino demografico della nostra società ha ridestato la curiosità di conoscere le nostre radici. Attraverso i dati dei censimenti, dal 1871 a oggi, si scoprono profonde trasformazioni non solo amministrative e territoriali, ma anche demografiche e socio-economiche. Il Veneto si annette al Regno di Italia nel 1866 e conta poco meno di 2.200.000 persone e 500 mila famiglie. Alla crescita della popolazione e del numero di famiglie, si affiancano cambiamenti nella composizione per età e nelle tipologie familiari. Le conquiste nel campo dell'istruzione si rivelano decisive non solo per lo sviluppo economico, ma anche per il miglioramento del tenore di vita: il Veneto, dall'Unità oggi, cambia il suo volto da popolo di analfabeti e contadini a regione economicamente e culturalmente protesa allo scenario europeo.

Figura 1

Crescita della popolazione futura nel 2030 nell'area europea e mediterranea

Figura 2

Invecchiamento della popolazione nei Paesi del mondo

Tabella 1

Il valore attuale degli indicatori individuati dalla Strategia Europa 2020 con i rispettivi target europei e italiani da raggiungere entro il 2020. Veneto, Italia, UE27

Figura 3

Le dimensioni della sostenibilità declinate rispetto ai contenuti del Rapporto Statistico 2011
 

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