L'aria
La qualità dell'aria viene costantemente monitorata attraverso la rete regionale di centraline istallate su tutto il territorio da ARPAV. I valori di concentrazione dei diversi inquinanti sono confrontati con i limiti imposti dalla normativa vigente e, sulla base dei risultati, sono tratte le conclusioni sullo stato ambientale dell'aria.
Sono monitorati, tra gli altri, i dati relativi al PM10, all'ozono (O3) e al biossido di azoto (NO2) in diverse zone di background all'interno delle diverse province.
(Tabella 16.2.1)
Il particolato o polveri sottili (PM10) è uno degli inquinanti dei quali si sente maggiormente parlare negli ultimi anni. Si tratta di micro particelle di polveri e fumo che si depositano in prossimità del suolo. Il PM10 è prodotto sia da fonti naturali che antropiche. Per quanto riguarda le prime, si parla per lo più di incendi, erosione del suolo, eruzioni vulcaniche, mentre relativamente alle cause antropiche, derivano dalle attività delle fabbriche, dagli impianti di riscaldamento e dai gas di scarico dei mezzi a motore.
Le zone critiche, come si può dedurre, sono quelle urbane, dove maggiori sono il traffico stradale e la densità abitativa. Dal monitoraggio di alcune centraline particolarmente significative di questi due contesti di background si nota come la media annuale di concentrazione del PM10 nel periodo dal 2005 al 2009 sia tendenzialmente diminuita. Nel 2009 quasi tutte le centraline prese in esame hanno registrato un valore medio di PM10 entro il limite di 40 microgr/m3 previsto dal Decreto 2 aprile 2002, n.60 del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio di concerto con il Ministro della Salute. In alcuni casi il progressivo miglioramento della situazione è stato molto marcato, come nel caso della centralina posta a Verona, Borgo Milano. Nel 2005 indicava una concentrazione media annua di oltre 70 microgr/m3 di PM10 e, nell'arco di 4 anni si è ridotta fino a 40.
(Figura 16.2.1)
Un ulteriore parametro tenuto in considerazione dal DM 60/2002 riguarda i superamenti del valore limite giornaliero di 50 microgr/m3 di PM10 nell'arco dell'anno che non devono eccedere il numero di 35.
Nelle medesime zone di background considerate poco sopra, la situazione risulta piuttosto critica. Solo la centralina situata a Belluno ha registrato nel 2009 un valore inferiore ai 35 superamenti del limite di legge, ovvero 23. In tutti gli altri casi si è sempre al di sopra dei 70 giorni di superamento.
L'aspetto positivo è comunque il trend nel tempo. Considerando sempre il 2005 come anno base, si osserva in tutti i casi, a parte Belluno, una netta diminuzione nei giorni di sforamento dei 50 microgr/m3 di PM10 stabiliti, segno che le politiche di tutela ambientale e la lotta per la riduzione delle emissioni qualche frutto iniziano a darlo.
(Figura 16.2.2)
Oltre al PM10 è costantemente monitorato anche l'ozono, O3, un gas velenoso, presente prevalentemente negli strati alti dell'atmosfera terrestre e che, a quel livello, funge da filtro per i raggi ultravioletti provenienti dal sole. Negli strati più bassi è presente a causa delle attività antropiche e costituisce un inquinante. In attuazione della direttiva 2008/50/CE, sono fissati dei limiti di concentrazione di O3 ritenuti fondamentali per la protezione della salute umana. In particolare sono definite la soglia di informazione, la soglia di allarme e un obiettivo di lungo termine, che corrispondono rispettivamente a concentrazioni di O3 nell'aria pari a 180, 240 e 120 microgr/m3. Ciascuna centralina di monitoraggio registra il numero di superamenti di queste tre soglie. Considerando alcune centraline poste in zone di background urbano e traffico urbano e osservando il numero di superamenti della soglia di allarme di 180 microgr/m3 dal 2007 a 2009, emergono situazioni molto eterogenee. Se in un paio di casi, come a Treviso-via Lancieri e a Venezia-parco Bissuola ci sono state delle notevoli riduzioni degli sforamenti, in tutti gli altri casi, la situazione è altalenante. Questo dipende in gran parte dalle condizioni climatiche che, certamente, influiscono molto sulla concentrazione dell'ozono in atmosfera.
(Figura 16.2.3)
L'acqua
Le acque di balneazione
Da sempre l'acqua è stata un elemento fortemente caratterizzante del territorio veneto. Dai laghi alla fitta rete fluviale, dall'ampia costa bagnata dal mare Adriatico alle acque sotterranee, la regione deve parte della sua ricchezza proprio a questo prezioso elemento naturale. La tutela dell'acqua è pertanto un aspetto fondamentale nella gestione del territorio, e per fare questo, viene costantemente monitorata la qualità delle diverse risorse idriche.
Le acque di balneazione sono controllate attraverso 167 punti di controllo, dove sono rilevate le caratteristiche chimico-fisiche e quelle microbiologiche.
Nel 2009 quasi l'86% dei punti di controllo è risultato idoneo alla balneazione. Al di là dei valori complessivi, che sono influenzati dal notevole peso, in termini di punti di controllo, del mare Adriatico e del lago di Garda, va segnalato come la situazione sia migliorata nel tempo presso i laghi di Santa Croce e del Mis che, partiti da una situazione negativa nel 2005, hanno raggiunto la piena balneabilità nel 2008, poi confermata anche per il 2009.
(Figura 16.2.4)
Le acque sotterranee
La normativa italiana, così come quella comunitaria, definisce lo stato ambientale di un corpo idrico sotterraneo in base allo stato quantitativo e a quello chimico. Qui si fa riferimento al solo aspetto chimico-qualitativo.
L'indice dello stato chimico delle acque sotterranee (SCAS) esprime la qualità chimica delle acque di falda, sintetizzando i valori di sette parametri di base
(Nota 3) e di altri inquinanti organici e inorganici.
Nel 2008, così come in passato, le contaminazioni riscontrate più frequentemente sono quelle derivanti dai nitrati, seguite dai pesticidi e dai composti organo alogenati.
Solo il 14% del totale dei campioni presenta contaminanti di origine antropica (classe 4), mentre il 31% contaminanti di origine naturale (classe 0). Il 41,4% dei campioni è rappresentativo di acque di buona/ottima qualità (classi 1 e 2), mentre il 14% è caratterizzato da livelli di contaminazione in soglia di attenzione (classe 3 dell'abrogato dlgs. 152/99).
(Figura 16.2.5)
Dal confronto dello stato chimico 2008 con quello 2007 emerge una situazione sostanzialmente stazionaria; per l'87% dei punti di monitoraggio la classe chimica è rimasta invariata, per il 5% è migliorata e per l'8% è peggiorata.
Le acque potabili
Ci sono due aspetti molto importanti legati all'utilizzo delle acque da parte dell'uomo, quello qualitativo e quello quantitativo. Il primo riguarda lo stato chimico dell'acqua destinata al consumo umano, mentre il secondo il livello di preservazione delle risorse idriche e quindi la sostenibilità dell'uso che ne viene fatto.
Per quanto riguarda il primo aspetto, quello qualitativo, una grande importanza viene data alle concentrazioni di nitrati, vista la loro pericolosità per la salute dell'uomo.
Il loro monitoraggio su tutto il territorio regionale avviene in modo sistematico. Secondo la normativa di riferimento (D.Lgs. 31/01) la concentrazione dei nitrati delle acque all'uscita del rubinetto non deve superare i 50mg/l. La valutazione per l'anno 2009 in Veneto mostra una situazione positiva in quanto tutte le medie calcolate non superano mai il livello limite previsto.
Analizzando il trend nel tempo, nel periodo 2006-2009 la situazione è migliorata: infatti i comuni le cui acque potabili presentano concentrazioni di nitrati inferiori a 5mg/l sono cresciuti dal 31 al 41% del totale dei comuni monitorati.
(Figura 16.2.6)
Per quanto riguarda l'altro aspetto relativo alle acque potabili, quello quantitativo, è utilizzato un indicatore detto "livello piezometrico" per misurare la sostenibilità nell'uso di tali risorse. Esso misura l'immagazinamento e lo svuotamento delle falde sotterranee.
Al fine di preservare le scorte idriche di una falda, è indispensabile che il livello del corpo idrico sia tale per cui la media annua di lungo periodo delle estrazioni non esaurisca le risorse disponibili. Un livello piezometrico positivo o stazionario indica che l'uso della risorsa idrica è sostenibile e che, quindi, lo stato quantitativo del corpo idrico è buono.
Analizzando i dati, nel periodo 1999-2009, il livello piezometrico risulta stazionario in 89 dei 119 punti monitorati, è addirittura positivo in 18 e negativo in 12. Questi numeri denotano uno stato quantitativo generale buono/stazionario.
Osservando la localizzazione dei punti il cui trend è positivo, si nota che questi sono piuttosto concentrati nella provincia di Venezia. Questo è il risultato di una serie di misure specifiche intraprese per ridurre gli sprechi nelle falde da parte della provincia.
Suolo
Il tema della gestione del suolo è trasversale a vari ambiti delle politiche regionali ed è stato fatto oggetto di attenzione via via crescente nel tempo a causa dell'acquisita consapevolezza circa i rischi di una non razionale utilizzazione di questa risorsa.
Un primo indicatore molto generale relativo all'utilizzo della risorsa suolo è costituito dalla percentuale di superficie urbana, cioè quella porzione del territorio occupata da insediamenti abitativi, produttivi, viabilistici e di altro tipo. Questo indicatore viene costruito in base a rilievi aerofotografici. La situazione a livello regionale è rappresentata dalla mappa che segue, che evidenzia come le provincie maggiormente urbanizzate sono quelle di Padova (19,4% di superficie urbanizzata) e di Treviso (17,6%).
Dall'analisi dell'evoluzione temporale nel periodo 1983-2006 di questo indicatore, si può rilevare che le aree che presentano maggiore variazione percentuale sono quelle della provincia di Verona (+25,6%) e della provincia di Venezia (+21,9%), trascinata quest'ultima dallo sviluppo delle località balneari.
A questo
urban sprawl, che porta sempre più alla città diffusa, fa da contraltare la riduzione della superficie agricola utilizzabile (SAU).
(Figura 16.2.7)
Per analizzare l'utilizzo del suolo, in questo rapporto, che non è un lavoro specificatamente dedicato a questo tema, si sono scelti alcuni ambiti di indagine ritenuti particolarmente significativi quali le attività estrattive e le attività industriali a rischio di incidente rilevante.
L'attività estrattiva dei materiali di cava è finalizzata alla lavorazione e alla vendita dei materiali estratti e viene considerata sia una opportunità di approvvigionamento e di lavoro, sia un rischio per la tutela dell'ambiente e del paesaggio. Nel corso del tempo la Regione ha affinato i propri strumenti di regolazione, monitoraggio e controllo delle attività estrattive che insistono nel territorio veneto, riscontrando una diminuzione delle cave produttive, che sono scese dalle 367 del 1990 alle 233 del 2009.
Dall'esame dei dati relativi alla produzione di materiale da cava e alle riserve da estrarre, emerge che la provincia di Treviso da sola rappresenta oltre il 40% del bacino estrattivo veneto. Inoltre si rileva che la provincia di Rovigo non è interessata dall'attività estrattiva e che la provincia di Venezia è interessata in modo molto marginale, come la provincia di Padova che nel passato è stata maggiormente coinvolta soprattutto per l'area collinare.
(Tabella 16.2.2)
Nella figura che segue viene rappresentata la suddivisione percentuale per tipologia di materiale estratto su base regionale.
(Figura 16.2.8)
Il secondo aspetto relativo alla gestione del suolo che qui si vuole esaminare è quello concernente le attività industriali a rischio di incidente rilevante, aspetto che non sempre viene adeguatamente considerato.
Come talvolta si riscontra, la normativa comunitaria e nazionale ha subito una significativa evoluzione a seguito di eventi verificatisi, nel caso specifico i grossi incidenti di Seveso e di Tolosa. La materia è regolamentata dalle direttive comunitarie 82/501/CEE, 96/82/CE e 2003/105/CE, alle quali hanno fatto seguito gli atti di recepimento nell'ordinamento italiano rappresentati dal DPR 17.5.1988 n. 175, dal D.lgs. 17.8.1999 n. 334 e dal D.lgs. 21.9.2005 n. 238. Queste fonti normative hanno dettato la disciplina relativa agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, ossia nei quali sono detenute, oltre determinate soglie, sostanze potenzialmente pericolose, in stoccaggio o per essere utilizzate nel ciclo produttivo.
Nell'Inventario nazionale degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti, tenuto dai competenti uffici ministeriali, sono stati censiti nel territorio veneto 100 stabilimenti, distribuiti nelle diverse province come riportato nella seguente figura.
(Figura 16.2.9)
La maggiore concentrazione di stabilimenti si riscontra nel comune di Venezia e precisamente nel polo industriale di Porto Marghera, che da solo ospita 17 stabilimenti a rischio di incidente rilevante.
Lo stesso Inventario contiene una classificazione tipologica degli stabilimenti che, per quanto riguarda il territorio veneto, è riportata nella grafico seguente.
(Figura 16.2.10)
La conoscenza di questi dati è la base di partenza per le attività di monitoraggio spettanti agli enti preposti e finalizzate alla verifica del rispetto delle disposizioni in materia e all'informazione verso la cittadinanza, diventata obbligo a seguito dell'emanazione del D.lgs. 19.8.2005, n. 195 "Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale".
I rifiuti
Nel 2009 sono state prodotte in Veneto 2.371.588 t di rifiuti urbani, con una riduzione complessiva dell'1,8% rispetto al 2008. Per quanto riguarda la produzione pro capite, essa è diminuita del 2,6%, portandosi a circa 483 Kg/ab*anno (1,32 Kg/ab*giorno), valore simile a quello del 2005. Questo valore è tra i più bassi a livello nazionale, nonostante il Veneto abbia un PIL elevato e oltre 60 milioni di presenze turistiche.
A livello provinciale la produzione pro capite oscilla tra il valore massimo della provincia di Venezia (620 Kg/ab*anno) e quello minimo della provincia di Treviso (377 Kg/ab*anno).
(Figura 16.2.11)
Il Veneto ha raggiunto nel 2009 il 56,3% di raccolta differenziata, con un aumento di 2,4 punti percentuali rispetto al 2008. Tale percentuale consente alla nostra regione di superare, ormai da tre anni, l'obiettivo del 50% stabilito dalla legge 296/2006 per l'anno 2009 e di collocarsi ai primi posti tra le regioni italiane per la percentuale di raccolta differenziata. Da notare che la contestuale diminuzione del rifiuto totale, unita alla crescita della raccolta differenziata ha portato anche alla diminuzione del rifiuto residuo (-6,8%) che ammonta a 1.037.560 t.
(Figura 16.2.12)
Scendendo al dettaglio provinciale, quasi tutte le province superano già l'obiettivo del 50%. In particolare la Provincia di Treviso, con il 71% di raccolta differenziata, si conferma al primo posto nella classifica regionale, superando anche l'ultimo obiettivo previsto dal D.Lgs. 152/06 per il 2012.
(Figura 16.2.13)
Approfondendo ulteriormente fino al dettaglio comunale, il 55% dei comuni del Veneto (46% della popolazione), ha già raggiunto nel 2009 l'obiettivo massimo del 65% di raccolta differenziata, grazie all'impegno della popolazione, sollecitata da molteplici campagne di sensibilizzazione, e all'attività degli enti locali e delle aziende che svolgono il servizio.
Un aspetto interessante è quello relativo ai sistemi di raccolta, che hanno visto consolidarsi la raccolta separata della frazione organica: infatti, in 519 comuni su 581, viene effettuata la raccolta secco-umido e sono i cittadini stessi a separare in casa l'umido, il secco recuperabile e il secco non riciclabile. La modalità di raccolta più diffusa è quella "porta a porta", che coinvolge 433 dei 519 comuni interessati.
A livello di infrastrutture per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, il Veneto garantisce un servizio di buona qualità grazie ad un sistema molto articolato di impianti. Da una parte, infatti, c'è il recupero della frazione organica, garantito da 18 impianti di compostaggio e digestione anaerobica, di medie e grandi dimensioni, e da una cinquantina di piccoli impianti di trattamento del verde, e la cui potenzialità complessiva è pari a circa 971.000 t/anno, ampiamente sufficiente a soddisfare il fabbisogno regionale di trattamento dell'organico. Dall'altra parte c'è il trattamento delle frazioni secche dei rifiuti, garantito da circa 40 impianti principali a cui si aggiungono circa 150 impianti di piccole dimensioni. L'efficienza nel recupero dei rifiuti risulta così molto elevata, arrivando a toccare il 92% per la plastica e addirittura il 99% per il metallo.
A tale proposito la Regione Veneto, nel 2006, ha stipulato uno specifico Accordo di Programma con CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) al fine di migliorare sempre più i risultati relativi al recupero dei rifiuti di imballaggio sul territorio regionale.
Fra i diversi tipi di trattamento a cui vengono sottoposti i rifiuti, c'è quello meccanico-biologico, finalizzato a trasformarli in combustibile derivato (CDR). Nel 2009 sono state avviate a tale trattamento 514.000 tonnellate, il 21,7% del rifiuto urbano totale, e si sono ricavate da queste 153.000 t di CDR.
Una conseguenza molto positiva della politica attuata nella gestione dei rifiuti è l'abbattimento dello smaltimento in discarica. Dal 2002 al 2009 si osserva infatti un calo del 49,4% nell'utilizzo di questa pratica.
Dal punto di vista economico và osservato che i costi di gestione, nel 2009, si attestano al di sotto dei 125 €/ab all'anno, valore più basso rispetto all'ultimo rilevato a livello nazionale, nel 2007, che superava i 130 €/ab all'anno.
Un ultimo aspetto molto interessante è quello legato al recupero dei rifiuti per la produzione di energia. Nel 2008 sono state avviate ad operazione di recupero energetico 183 mila t di rifiuti.
L'attività di recupero energetico è effettuata dalle attività produttive che utilizzano rifiuti come combustibile alternativo o in compresenza ai combustibili tradizionali. Per quanto concerne le attività produttive che hanno utilizzato i rifiuti come combustibile, la principale industria utilizzatrice di rifiuti è quella della produzione del cemento, seguita da quella del legno e della produzione di energia elettrica (quale, ad esempio, la centrale ENEL di Fusina che utilizza il CDR in co-combustione).
(Figura 16.2.14)