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Un Veneto di qualità

La competitività è stato il filo conduttore dell'edizione passata del rapporto statistico, vista sotto l'ottica di un modello di sviluppo regionale che si incardina in una realtà già per sua natura dinamica. Quando si associa tale concetto a quello di produttività, entrano in gioco altri fattori che si esprimono attraverso la "nostra capacità di produrre beni e servizi che superino la prova della concorrenza internazionale mentre i nostri cittadini godono di un tenore di vita, allo stesso tempo crescente e sostenibile" (Nota 1). L'obiettivo di ogni nazione di far crescere il tenore di vita dei propri cittadini è strettamente legato all'incremento della propria produttività, ciò dipende principalmente dalla misura degli investimenti interni in impianti, attrezzature, ricerca e sviluppo, professionalità della forza lavoro, infrastrutture pubbliche, qualità del management privato e delle amministrazioni pubbliche. La competitività estera induce l'adozione di cambiamenti interni, sviluppando nuove possibilità di adattare i sistemi produttivi alle sfide imposte dallo scenario internazionale.
Sull'innalzamento del tasso di occupazione ed in via generale della produttività, con una grande attenzione alla coesione sociale di un territorio, agisce la Strategia europea concordata a Lisbona nel 2000 e rivitalizzata nel 2005, in relazione alla quale annualmente monitoriamo gli indicatori regionali.
(Tabella 1)
Appare quindi chiaro che la disciplina economica ormai da tempo va riempiendosi di contenuti "relazionali", incontrando l'esigenza di capire le interrelazioni tra fenomeni economici e sociali per accrescere la qualità della vita dei cittadini ed in questo senso proliferano gli studi su ciò che può rendere più felice la nostra vita.
Alla ricerca della felicità titola un editoriale del New York Times del mese di maggio, dove si dice che c'è un istinto umano, quasi spirituale a credere che con il denaro non si può "comprare la felicità". Per più di tre decenni, si scrive, la nozione che la crescita economica non porta necessariamente ad una maggiore soddisfazione era una teoria dominante. In termini attuali ad esempio, possedere beni di alta tecnologia non ci rende più felici, perché dopo un po' si vorrebbe qualcosa di più moderno ed avanzato. Secondo uno studio realizzato nel 1974, velocemente diventato un classico delle scienze sociali, pubblicato da Richard Easterlin (Nota 2), allora economista all'Università della Pennsylvania, il reddito relativo, confrontato con quello di coloro che ti circondano, spiega la relazione tra crescita economica e percezione di benessere dei cittadini molto di più del reddito assoluto. "La maledizione dell'umanità" sembra che sia essere "costretti a guardare sempre l'erba del vicino. Siamo consumati dal relativismo". (Nota 3)
Sul New York Times fa notizia sostenere il contrario: il paradosso di Easterlin viene confutato da due giovani ricercatori di un organismo indipendente, che hanno attirato l'attenzione di economisti di tutto il mondo, sostenendo che il denaro invece tende a portare la felicità, anche se non la garantisce. Il messaggio fondamentale è che il reddito è un aspetto centrale: secondo questi ricercatori, negli Stati Uniti, circa il 90% delle persone nelle famiglie che guadagnano almeno 250.000 dollari all'anno si ritiene molto felice, solo il 42% dà questa risposta tra le famiglie che ne guadagnano sotto 30.000. Easterlin, oggi nell'Università della California, pur in accordo con il fatto che le persone nei paesi più ricchi siano più soddisfatti, è scettico nel pensare che il loro benessere economico sia causa della loro soddisfazione. I risultati potrebbero invece riflettere differenze legate alla percezione del proprio status. Egli ne sarebbe più persuaso se la soddisfazione fosse chiaramente cresciuta nei singoli paesi al crescere della ricchezza, ma questo non sempre avviene.
Il dibattito è aperto ed è pressante anche in Europa. E' da tener presente che la crescita economica è misurata attraverso il PIL, creato sulla scia della grande depressione e della seconda guerra mondiale come strumento per fornire ai responsabili politici una misurazione dei risultati e delle attività economiche. Ma l'economia e la società sono oggi tuttavia profondamente diverse rispetto a quando è stato concepito il PIL ed ora questo indice da solo non può riflettere tutti gli aspetti della realtà.
Già Robert Kennedy nel 1968 diceva «non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, né i successi del Paese sulla base del PIL. Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. ...». La percezione dell'inadeguatezza del PIL a fotografare con precisione non solo la ricchezza prodotta in un'area, ma il suo sviluppo e benessere, è diffusa. Nel perseguire i "Millennium Development Goals", gli obiettivi di progresso al 2015 fissati in una solenne assemblea dell'Onu nel 2000, la comunità internazionale ha cominciato a interrogarsi sulle motivazioni dei ritardi nel raggiungimento dei traguardi fissati e a giugno 2007 i rappresentanti di 130 Paesi si sono riuniti su iniziativa dell'Ocse in un Forum Mondiale per discutere come misurare e perseguire il progresso di una collettività umana.
A novembre 2007 il Parlamento europeo ha organizzato due giorni di studio dedicati al tema «Oltre il PIL» con l'obiettivo di comprendere meglio i concetti di progresso, ricchezza e benessere, decidere come misurarli ed evidenziare i vantaggi derivanti dalla loro integrazione nel processo decisionale. È molto complesso misurare correttamente questi elementi per quantificare il benessere di un paese: oggi il passaggio ad un'economia a basse emissioni di inquinanti, la tutela della biodiversità, la promozione dell'uso efficiente delle risorse e la coesione sociale sono altrettanto importanti nella crescita economica.
In definitiva la crescita economica non è detto che renda i paesi più ricchi nel senso puramente materialistico. Essa può facilitare gli investimenti nella ricerca scientifica che portano a vivere di più ed in salute, può permettere di viaggiare, visitare posti mai visti, quando si diventa più ricchi si può decidere di lavorare meno, trascorrere più tempo con gli amici e che la ricchezza resti comunque un buon affare per le persone risulta da questa mappa mondiale.
(Figura 1)
Allora I soldi danno la felicità? Si, ma..., per capirne di più ci siamo messi sulle tracce delle nostre ricchezze non trascurando di carpire le nostre debolezze, in termini di qualità del nostro vivere, delle nostre scelte, dei nostri modi di affrontare e stare in questa società, analizzando anche il contesto economico in cui ci muoviamo, strumentale al nostro tenore di vita.

Inizio Pagina  Rude denaro

Nonostante il quadro delle retribuzioni italiane, e quindi venete, non risulti troppo roseo se confrontato a livello internazionale, (il nostro paese si colloca, secondo la classifica stilata dall'Ocse nel 2007, al 23° posto sui trenta paesi monitorati, risentendo dell'eccessivo peso della componente fiscale), in quanto a denaro i veneti possono dire di passarsela piuttosto bene. Nel 2005 la ricchezza netta pro capite delle famiglie venete era di circa 149.200 euro, superiore di oltre 15.000 euro rispetto a quella media nazionale e sebbene inferiore a quella delle regioni del Nord, tra il 1998 e il 2005 in Veneto la ricchezza è aumentata più velocemente dell'intera ripartizione.
Inoltre il reddito netto familiare veneto, di 29.421 euro nel 2005 (35.552 euro se si considerano anche i fitti imputati), è superiore di quasi 2.000 euro rispetto alla media nazionale e in leggero aumento rispetto a quello registrato l'anno precedente (+120 euro). Le regioni del Sud, che hanno redditi mediamente più bassi, presentano squilibri più accentuati. La situazione del Veneto è invece più favorevole: si osserva infatti una più equa distribuzione delle risorse, con minori squilibri tra ricchi e poveri, in linea con le realtà di Trentino Alto Adige, Valle d'Aosta e Friuli Venezia Giulia.
Inoltre per ogni famiglia disagiata ce ne sono circa due benestanti e i veneti sono consapevoli di questa propria condizione, nel 2007 il numero di famiglie che ritiene più che sufficiente la propria disponibilità economica è superiore in Veneto rispetto all'Italia (+1,9 punti percentuali), viceversa quelle che ritengono di disporre di risorse scarse o del tutto inadeguate sono in quota più contenuta. Ma l'incremento dei prezzi, l'aumento del costo della vita e della pressione fiscale si ripercuotono sulla sensazione di peggioramento delle proprie condizioni se la si confronta rispetto ad un decennio fa, mentre resta costante la percentuale di ottimisti che vedono invece un miglioramento della propria situazione.
L'alto tenore di vita delle nostre famiglie risulta anche dalla considerazione dei beni che dichiarano di possedere: la maggior parte di esse, molto più della media nazionale, posseggono più di un'automobile, nelle nostre case vi è più di un televisore e l'antenna parabolica, il personal computer, il modem e la possibilità di accesso ad internet, indici in decisa crescita rispetto al decennio scorso. Tra l'altro sono proprio i beni durevoli la tipologia di beni la cui richiesta è aumentata maggiormente nel 2006, essi costituiscono il 12,1% della spesa totale ( la spesa totale per consumi finali si è attestata sul +1,4% in linea con il tasso italiano).
Nel 2006, secondo i dati dell'Indagine sui consumi condotta dall'Istat, la spesa media mensile per famiglia è pari a 2.988 euro, circa 252 euro in più rispetto all'anno precedente (+9,2%) e in continuo aumento dal 2003. Tale spesa complessiva risulta più elevata rispetto a quella dell'intero territorio nazionale, pari a 2.461 euro. Si conferma l'aumento delle spese per nuovi elettrodomestici, autovetture e prodotti tecnologici, primi tra tutti telefoni cellulari e personal computer, con accessori annessi.
La spesa media mensile delle famiglie per generi alimentari e bevande è invece sostanzialmente stabile rispetto agli anni precedenti, nel 2006 pari a 444 euro.
La composizione della spesa dipende molto anche dalla dimensione familiare, dal momento che un diverso numero di componenti determina diverse allocazioni del budget a disposizione. In genere, per molti capitoli di consumo si osserva a livello nazionale che i livelli di spesa media aumentano in misura meno che proporzionale rispetto al numero di componenti del nucleo: ciò è dovuto all'effetto delle economie di scala, in grado di aumentare il benessere familiare a parità di reddito o consumi. Inoltre, le famiglie più ampie, oltre a risiedere prevalentemente al Sud, dove la spesa per consumi è più contenuta, presentano livelli di povertà più elevata rispetto a famiglie con minor numero di componenti.
Per specifici capitoli di spesa, come quelle per l'abitazione e per i combustibili, la spesa è addirittura decrescente rispetto all'aumento della numerosità del nucleo: le famiglie più ampie, mediamente meno abbienti, cercano più delle altre di contenere le spese per tali categorie di beni con costi sostanzialmente fissi, tanto da mostrare livelli di spesa più bassi.
In un contesto in cui nell'ultimo decennio si registra un considerevole aumento del numero delle famiglie (Nota 4), quasi 300 mila in più rispetto al 1996, accompagnato però da una diminuzione del numero medio di componenti, che si arresta a 2,49 nel 2006, con una contestuale diminuzione della quota di coppie con figli, le famiglie che decidono di avere figli optano in maggioranza per averne almeno due. Infatti mentre nel contesto nazionale sembrano in aumento le coppie che hanno un solo figlio, a scapito soprattutto delle coppie con tre o più figli, in Veneto si osserva una tendenza inversa: dal 1998 al 2006 sembra in crescita di quasi cinque punti percentuali il numero di coppie con almeno due bambini. Le famiglie con almeno cinque componenti, 6,2% del totale, considerate oggi numerose, sono in netta diminuzione dal 1995 ad oggi nell'intero territorio nazionale, anche se in Veneto si osserva un calo più brusco di 2,4 punti percentuali.
Alla luce di ciò che si è finora detto, parlare di povertà in Veneto può suonare strano, specie quando si hanno in mente situazioni di indigenza estrema. Ma se si parla di difficoltà economica, di affanno, di fatica a tenere il passo di spese e consumi, è più facile riconoscere che il fenomeno interessa anche alcune famiglie venete, più precisamente il 5% nel 2006.
Sono relativamente poche le famiglie povere in Veneto nel 2006, tra le regioni italiane risulta la terza meno povera. La scarsa numerosità delle famiglie povere venete spiega la difficoltà di analizzare più nel dettaglio caratteristiche di questa sotto-popolazione, data l'impossibilità di ottenere stime significative.
Confrontando le regioni in merito alla povertà oggettivamente misurata e a quella percepita dalle famiglie, si nota una sostanziale corrispondenza tra i due punti di vista: in particolare in Veneto la quota di famiglie che si sente povera è quasi identica a quella di famiglie che oggettivamente lo sono.

Inizio Pagina  Qualità dell'abitare

L'abitazione costituisce per una famiglia uno dei beni primari, in particolare è tipico delle famiglie dell'Europa mediterranea, e dell'Italia, il desiderio di avere una casa di proprietà e la disponibilità ad investire, e rischiare, molto pur di conquistare una dimora propria. La casa è il luogo privilegiato dove si svolge la maggior parte delle attività della famiglia, si potrebbe quasi dire che non c'è famiglia - in senso di relazioni - se non c'è casa, dal momento che i rapporti familiari solidi e concreti ci sono laddove c'è un luogo, anche fisico, per coltivarli. In Veneto sono più numerose e in aumento rispetto all'intero territorio nazionale le famiglie con casa di proprietà (72,2%), che nel 17,6% dei casi sono gravate da mutuo.
Strutturalmente dal 2000 è evidente una ricomposizione del portafoglio familiare principalmente verso le voci relative alle spese per l'abitazione, oltre a quelle per le comunicazioni, evidenziando una maggiore attenzione verso questo fondamentale aspetto del vivere quotidiano.
Dall'analisi dimensionale (Nota 5) delle nuove unità abitative censite nel 2006 emerge che la tipologia più diffusa nel Veneto è la piccola (30%), seguita dalla media (26%). Pur trattandosi delle abitazioni meno affollate (2,6 persone ogni 100 m2) d'Italia, seconde per poco solo a quelle friulane, queste sono percepite sempre più piccole, ma in condizioni migliori rispetto a dieci anni prima.
Per quanto riguarda le caratteristiche delle abitazioni, la mancanza delle dotazioni di base (acqua calda, gabinetto interno, vasca da bagno o doccia, riscaldamento) riguarda una quota modestissima di famiglie.
Il livello di fornitura dei servizi base, ovvero acqua, gas ed energia elettrica, è molto buono. Nel 2007 soltanto l'8,5% delle famiglie venete (13,2% il dato Italia) denuncia irregolarità nell'erogazione dell'acqua. L'83% (74% il dato Italia) risulta fornito di gas attraverso l'allacciamento alla rete di distribuzione, per il 10% (19% il dato Italia) dei casi il gas viene acquistato in bombole e in 6 casi su 100 è installato un bombolone esterno con rifornimento periodico.
Con riferimento alle abitazioni allacciate alla rete di distribuzione del gas, si rileva da parte delle famiglie un buon grado di soddisfazione per alcuni fattori di qualità del servizio di fornitura: in particolare, l'89% è soddisfatto per il servizio nel complesso, il 93% per la sicurezza della rete esterna ed il 95% per la sicurezza dell'impianto domestico. Percentuali analoghe si riscontrano anche nel giudizio espresso sulla qualità del servizio di fornitura di energia elettrica.
Informazioni sulle abitudini e sulle scelte degli individui che occupano le abitazioni, in quanto parzialmente legati ai loro comportamenti, possono venire dai dati sui consumi di gas, energia elettrica e acqua per uso domestico. Nel periodo 2000:2006 i consumi pro capite di gas metano per uso domestico e per riscaldamento a livello medio regionale hanno un andamento piuttosto costante nel tempo, sempre nettamente superiori al dato Italia, con rilevanti differenze fra le province. Inferiori al dato Italia risultano, invece, nello stesso periodo, i consumi medi regionali di energia elettrica per uso domestico. Inferiori al dato Italia, ma soprattutto in calo i consumi di acqua per uso domestico, segnale di una maggiore sensibilità e responsabilità nell'utilizzo di una risorsa preziosa qual è l'acqua potabile.
Per ciò che riguarda il risparmio energetico, si possono produrre molti buoni frutti già con l'adozione, all'interno delle proprie mura domestiche, di alcune semplici buone pratiche come l'acquisto di prodotti ad alta efficienza energetica, il controllo della temperatura e dell'illuminazione delle stanze, l'isolamento dell'abitazione, l'utilizzo degli elettrodomestici in determinate fasce orarie e da una recente indagine risulta una certa attenzione da parte dei veneti nell'adozione di tali comportamenti.
Da segnalare inoltre, la virtuosità del Veneto in tema di produzione e differenziazione di rifiuti urbani: 495 kg/abitante di rifiuto urbano prodotto (pari a 1,36 kg/ab*giorno) nel 2006, uno dei valori più bassi in Italia, e primo posto nel Paese per raccolta differenziata dei rifiuti urbani, con una percentuale del 49%, ben oltre l'obiettivo del 40% fissato per il 31 dicembre 2007 dalla Legge n. 296 del 27/12/06.

Inizio Pagina  Da casa al lavoro, a scuola, al supermercato

Secondo una recente indagine effettuata dal Censis e riportata nel 41° Rapporto, tra le ragioni che portano al pendolarismo, ed al conseguente aumento di traffico, ci sono proprio le esigenze abitative, oltre alle asimmetrie territoriali tra domanda e offerta di lavoro, alla prospettiva di un miglioramento della propria condizione occupazionale e alle esigenze di completamento degli studi da parte dei giovani.
La scelta della propria abitazione in un comune diverso da quello ove è ubicata la sede di lavoro è dettata soprattutto o dall'andamento dei prezzi degli immobili o dall'opzione per una migliore qualità del vivere (per esempio, si può preferire la vita in campagna o in un piccolo paese alla vita in un grosso centro urbano).
Il Veneto risulta essere la seconda regione, dopo la Lombardia, per tasso di pendolarismo; l'area compresa fra Treviso, Padova e Vicenza detiene il primato, seconda solo all'hinterland milanese, per quota di popolazione residente che si sposta quotidianamente al di fuori del proprio comune per lavoro o studio (circa il 30%).
E negli spostamenti quotidiani si conferma il ruolo predominante dell'auto: lo confermano i dati di Isfort, secondo cui nel 2006 in Veneto l'81% delle famiglie possiede almeno un'auto (77% dato Italia), l'81% degli intervistati utilizza mezzi di trasporto a motore per gli spostamenti (78 dato Italia), l'81% dei quali sono auto private (73% dato Italia) che vengono utilizzate tutti i giorni dal 53% della popolazione (50% dato Italia).
La nota positiva è data dal fatto che sono sempre più numerosi i veicoli circolanti di tipologia meno inquinante. Nel 2006 in Veneto il 63% del parco veicolare era alimentato a benzina e l'82% delle autovetture erano catalitiche (77% dato Italia).
A conferma della preferenza per il mezzo privato, risulta che in Veneto utilizza mezzi di trasporto l'84% di chi va a scuola, di cui il 42,7% l'auto privata come passeggero, e addirittura il 91% di chi va al lavoro, di cui il 72% l'auto privata come conducente.
In Veneto va sempre più consolidandosi l'abitudine dei cittadini ad acquistare presso i locali della grande distribuzione, spesso situati fuori dal centro città e raggiungibili più facilmente con l'auto. Infatti non è solo il prezzo a determinare le preferenze dei consumatori nelle scelte di acquisto, ma sembra sempre maggiore l'influenza esercitata anche da altri fattori, tra cui oltre alla qualità del servizio, la facilità di accesso al punto vendita e il risparmio di tempo.
Essendo il traffico veicolare una delle più importanti fonti di inquinamento atmosferico, ovvia conseguenza della concentrazione di traffico leggero e pesante sul sistema viario veneto è la scarsa qualità dell'aria, caratteristica che accomuna il Veneto alle altre regioni del Nord Italia. La nostra regione, infatti, si colloca in una delle aree più inquinate d'Europa, il bacino aerologico adriatico-padano (BAP). Questa area, omogenea dal punto di vista morfologico e climatico, è caratterizzata da un'alta concentrazione di traffico, di attività produttive, di insediamenti e di popolazione, nonché da condizioni meteorologiche ricorrenti di elevata stabilità e scarsa circolazione che favoriscono la stagnazione degli inquinanti.

Inizio Pagina  Soddisfatti sul posto di lavoro

Ci sentiamo sufficientemente soddisfatti di come abbiamo trascorso la nostra giornata? Complessivamente emerge una disparità territoriale per ciò che riguarda la soddisfazione per il proprio lavoro: siamo più appagati nel Nord, molto meno nel Sud (nel 73% dei casi) e nelle Isole, il 68,3% degli occupati. Del resto nel Mezzogiorno si registra in generale una minore soddisfazione, rispetto alle regioni del Nord, in ogni aspetto della vita quotidiana: meno soddisfatti per la loro condizione economica, ma anche per la salute, le relazioni familiari e amicali nonché per il tempo libero trascorso; un fenomeno in parte spiegabile da fattori legati alla mancanza di opportunità di lavoro e di maggiori condizioni di disagio sofferte.
Oggettivamente il Veneto si pone costantemente su livelli occupazionali significativamente superiori alla media nazionale e nel 2007 la quota di popolazione fra i 15 e i 64 anni che risulta occupata è pari al 65,8%, superiore anche al dato medio europeo calcolato per i 27 Paesi pari a 65,4% e in aumento rispetto all'anno precedente (+0,3 punti percentuali).
Ciò avviene in un contesto tendenziale positivo, 16% in più nel 2007 il numero di occupati nel mercato del lavoro veneto rispetto al 1997, e un contributo rilevante proviene dalla componente straniera, che nel 2007 in Italia incide per il 66% sul totale dei nuovi occupati, dato che riflette probabilmente in parte anche l'effetto dell'allargamento dell'Unione Europea e l'ingresso facilitato nel mercato lavorativo di rumeni e bulgari.
Sia in Italia che in Veneto aumentano anche i tassi di occupazione, sebbene ancora distanti dagli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona che prevede per l'Unione Europea di raggiungere un livello occupazionale del 70% entro il 2010.
Vogliamo però porre l'accento sul fatto che qualifiche più alte generano maggiore soddisfazione: in linea con la media nazionale, nella nostra regione si registrano le più alte quote di appagamento nelle persone che occupano posizioni dirigenziali, imprenditoriali e da liberi professionisti, meno felici gli operai.
Un clima lavorativo tendenzialmente migliore si può pensare aleggi quindi nel mondo imprenditoriale veneto che va arricchendosi di più elevate professionalità se assumiamo che a queste si associ una maggiore soddisfazione nel lavoro. Soprattutto nel settore dei servizi si registra nel 2007 l'aumento della richiesta di personale di alto livello (Nota 6), ossia di professioni high skill: nel 14,2% dei casi si domandavano professioni tecniche, per quasi il 4% intellettuali e scienziati ad elevata specializzazione e nello 0,2% dei casi dirigenti. Si tratta di figure professionali alle quali si richiede come titolo di studio la laurea o per lo meno il diploma e si attribuivano le percentuali più alte di assunzioni a tempo indeterminato (quasi il 58% dei casi). Il 7,8% degli impieghi era quindi di laureati, due punti percentuali in più rispetto al 2004, per lo più preparati in campo economico. Laureati che vengono impiegati principalmente nel settore dei servizi e che occupano appunto soprattutto qualifiche professionali tecniche o ad elevata specializzazione: a quasi il 50% dei laureati si offrivano professioni tecniche e al 37,6% qualifiche intellettuali, scientifiche e altamente specialistiche, entrambi valori al di sopra di quelli nazionali. Per quanto riguarda le figure professionali, le imprese indirizzavano principalmente le loro richieste verso persone qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (nel 23,2% dei casi). Alla ricerca della propria affermazione e soddisfazione personale va tra l'altro chi decide di creare una nuova impresa. Nella graduatoria delle motivazioni più rilevanti per il nuovo imprenditore, spinto soprattutto dal desiderio di avere una maggiore autonomia professionale ed economica (l'83,2% dei neo imprenditori veneti lo fa infatti perché desidera mettersi in proprio, il 75,8% per la prospettiva di ulteriori guadagni, ed il 64,7% per il desiderio di una nuova sfida), vi sono anche fattori più legati alla sfera individuale, primo tra tutti la volontà di sfuggire ad una situazione lavorativa poco soddisfacente, 49,4%, e il fatto di voler realizzare un'idea innovativa, 37%. La necessità di evitare la disoccupazione, 28,5%, sembra una motivazione meno forte per far nascere nuove imprese, contrariamente a quanto accade in ambito nazionale, 47%, a conferma di una maggiore vitalità e maturità dell'ambiente imprenditoriale veneto.
Non possiamo vantare grandi performance in termini di formazione lungo tutto l'arco della vita, fattore che può determinare di sicuro un clima migliore in ambito lavorativo attraverso lo stimolo intellettuale che può procurare, come tra l'altro misurato dal Consiglio europeo con l'adozione di una soglia pari al 12,5% della popolazione adulta in età 25-64 anni che partecipa all'apprendimento permanente da raggiungere entro il 2010, visto che rispetto all'UE25 che si attesta nel 2006 su un valore pari al 10,2%, l'Italia ed il Veneto nel 2007 registrano un tasso rispettivamente del 6,2% e del 6,6%. I Paesi nordici, a distanza di quattro anni dal termine fissato per il raggiungimento dell'obiettivo, si trovano già molto al di sopra del target: prima in graduatoria la Svezia, dove si stima che il 32% della popolazione di 25-64 anni frequenti un corso di studio o di formazione professionale.

Inizio Pagina  Più produttività migliore occupazione

Non possiamo dire nulla su quali possano essere i settori o gli ambienti lavorativi che possono soddisfarci di più, per la mancanza di dati a riguardo, ma possiamo dire che innalzare la produttività oltrechè forgiare l'economia con linfa vitale, può essere la strada verso un maggior benessere lavorativo, soprattutto attraverso azioni di miglioramento qualitativo dei posti di lavoro. In questo senso la ripresa della produttività del lavoro è stata piuttosto forte in Veneto dal 2003 in poi: la ricchezza prodotta per unità di lavoro nel 2006 di 51,9 mila euro è tra i valori regionali più elevati e il ritmo di crescita è stato superiore a quello nazionale, a parità di andamento delle unità di lavoro.
Tale recupero appare netto soprattutto nel settore dell'industria in senso stretto, dove, nonostante l'aumento dell'occupazione, si nota l'assottigliarsi del divario tra il livello della produttività regionale e quello nazionale tradizionalmente più elevato. Se ne trae un segnale della trasformazione dell'industria manifatturiera tradizionale veneta che sta privilegiando sempre più prodotti di alta qualità a più elevato valore aggiunto. Per gli altri settori, che mostrano livelli di produttività superiori a quelli nazionali, si evidenzia il calo nell'agricoltura e la timida ripresa nei servizi che dal 2002 vedono allargarsi la forbice con l'Italia.

Inizio Pagina  Nel sistema economico che continua a rinnovarsi

Già da qualche anno analizziamo quella che abbiamo definito come una trasformazione economico-settoriale a favore dei servizi. Ma nel sistema veneto, l'industria fa ancora una parte da leone. Nel 2007 si è stimata per il Veneto una crescita complessiva del PIL pari a un +1,8% (Nota 7), risultato migliore di quello nazionale, e una prospettiva di +0,7% per il 2008, a valle di una ripresa avviatasi nell'estate 2005, e protrattasi per tutto il 2006, quando il Veneto ha raggiunto il tasso di crescita più alto degli ultimi sei anni, +2,5%. Nel 2006 l'apporto determinante alla crescita del valore aggiunto è stato proprio quello dell'industria, che in Veneto rappresenta ancora il 35,1% dell'intera ricchezza regionale e che lo stesso anno ha mostrato una decisa ripresa, +3,1%, dopo anni di stasi. Comunque il settore dei servizi, che rappresenta il 62,2% del PIL regionale e nel 2005 aveva mostrato una quasi immobilità, nel corso del 2006 si è positivamente evoluto, +2%, sostenuto soprattutto dal commercio che ha avuto un'ottima performance, +2,9%. L'unico comparto con variazione di segno negativo nella produzione di valore aggiunto regionale è l'agricoltura che continua la sua discesa dal picco positivo riportato nel 2004. Nel 2007 si è invece stimato una ripresa dell'agricoltura, una stabilità nel settore delle costruzioni ed una buona performance sia nell'industria che nei servizi.

Inizio Pagina  UE in crescita, il contesto internazionale resta difficile

Possiamo constatare che il sistema veneto va allineandosi alla dinamicità europea più che alla situazione italiana che in molti casi manifesta segnali contrastanti su conti pubblici, pressione fiscale, investimenti ed altro ancora. L'UE nel 2007 ha manifestato una performance economica molto positiva, registrando un tasso di crescita attorno al 2,8. In generale tale crescita viene trainata dal dinamismo degli investimenti soprattutto nei nuovi stati membri, favoriti dagli investimenti diretti esteri e dall'utilizzo dei fondi strutturali comunitari. Anche nello specifico dell'area euro, il 2007 si è chiuso con il risultato positivo del +2,6% del PIL, seppur in moderato rallentamento rispetto all'anno precedente e in decelerazione negli ultimi mesi.
Ma la situazione internazionale permane difficile, nel 2007 l'economia mondiale ha manifestato dei segnali di rallentamento del ciclo espansivo che la caratterizzava da almeno un decennio. In un contesto già appesantito dalla frenata dell'economia americana e dalle connesse difficoltà del sistema creditizio, nuove ondate di turbolenza hanno investito i mercati delle materie prime, il dollaro, quasi tutte le piazze finanziarie. Il riflesso di questi eventi si nota sull'erosione del potere d'acquisto dovuto agli aumenti dei prezzi dell'energia e dei prodotti agro-alimentari e sulla maggiore prudenza di famiglie e imprese di fronte a una situazione congiunturale più incerta. Negli ultimi mesi il prezzo del petrolio si è mantenuto su livelli elevati, raggiungendo e sfondando a inizio 2008 la soglia dei 100 dollari al barile, più volte sfiorata nella parte finale del 2007 e continuando ad aumentare superando i 120 dollari al barile. L'impatto del rincaro del greggio in Europa è attenuato dal continuo apprezzamento dell'euro, anche se ne risentono gli effetti sui prezzi di benzina e gasolio. In Italia, negli ultimi tre anni il prezzo industriale di benzina e gasolio, al netto della componente fiscale, è stato costantemente superiore a quello degli altri paesi dell'Area Euro.

Inizio Pagina  L'impresa internazionale

La sfida lanciata dalla crescita della competizione internazionale ha inevitabilmente avuto un effetto rilevante sulle imprese del settore industriale regionale. La necessità di contenere i costi di produzione, pur innalzando la qualità dei prodotti, cosa che ha consentito la sostanziale tenuta del valore aggiunto prodotto cui prima si accennava, ha comportato un generale processo di ristrutturazione dell'intero apparato produttivo regionale: se dal 2000 al 2005 le unità locali del terziario hanno avuto una notevole espansione, quelle del settore manifatturiero (Nota 8) sono diminuite del -20,5% (16.031 unità). La riorganizzazione del settore manifatturiero ha comportato anche una riduzione degli addetti di poco inferiore alle 40.000 unità, -6,1%. Al contrario è risultato in crescita il fatturato aziendale che nel corso dei sei anni esaminati ha registrato un aumento del 6,8%.
La proiezione internazionale delle attività industriali ha comunque delineato uno dei fattori fondamentali della competitività e della crescita economica, soprattutto per una realtà produttiva come quella veneta, che da secoli sviluppa rilevanti relazioni commerciali con le altre aree dell'economia mondiale. Nel 2006 il Veneto rimane la prima regione italiana per apertura commerciale agli scambi internazionali: la sua propensione all'export, misurata dal rapporto tra valore delle esportazioni e PIL regionale è pari al 33,3%. Nel corso del 2007, nonostante la significativa rivalutazione dell'euro nei confronti del dollaro e la conseguente erosione dei margini di competitività di prezzo, le esportazioni italiane sono cresciute a un ritmo dell'8% (+9,7%) (Nota 9) confermando il favorevole andamento dell'anno precedente (+10,7%). +8,4 (Nota 10) punti percentuali la crescita dell'export veneto, un dato quasi in linea con la media nazionale.
Tale apertura non è un fatto recente, considerato che è da più di vent'anni che l'economia veneta vede crescere le esportazioni ad una velocità superiore rispetto alla media nazionale. Assumendo una relazione positiva fra apertura ai mercati esteri e migliori performance delle imprese, emerge da diversi studi un deciso vantaggio delle imprese esportatrici in termini di dimensione, di intensità di capitale fisico e umano e di livello tecnologico. Sul piano della redditività, esse tendono a registrare un gap positivo di produttività e un costo unitario del lavoro più basso. Negli ultimi anni il peso della componente estera dell'intero fatturato del settore manifatturiero veneto tende a crescere: si passa dal 38,6% del 2000 al 39,3% del 2005. Tale tendenza è dovuta in gran parte all'internazionalizzazione dei mercati: in molti comparti del manifatturiero veneto il fatturato estero costituisce infatti almeno il 45% del fatturato complessivo.
Nel periodo 2001-2007 il numero delle imprese a partecipazione estera con sede in Veneto, pur con una consistenza inferiore al peso che la regione ha rispetto al contesto nazionale con riferimento ad altre variabili economiche (Nota 11), è cresciuto del 16,2%, a fronte di un incremento dell'1,6% a livello nazionale; nello stesso periodo, il numero dei dipendenti delle imprese venete a partecipazione estera è cresciuto dello 0,7%, mentre a livello nazionale si è registrato un calo del 6,1%. Nell'industria manifatturiera, le imprese a partecipazione estera sono aumentate del 6,6% in Veneto, a fronte di una riduzione del 3,7% a livello nazionale. Negativo invece l'andamento dell'occupazione delle imprese manifatturiere a partecipazione estera, che ha registrato nel periodo considerato una contrazione dell'11,9%; tale dato si conferma peraltro migliore rispetto a quello nazionale (-17,9%).
Rispetto alla consistenza complessiva delle partecipazioni italiane all'estero, il Veneto rappresenta il 18,1 % delle imprese multinazionali italiane, il 14,2% delle imprese partecipate all'estero, l'11,1% dei dipendenti e il 6,4% del fatturato. Il Veneto è secondo solo alla Lombardia per numero di imprese con partecipazioni all'estero e per numero di imprese partecipate all'estero, mentre scende al terzo posto (superata dal Piemonte) per numero di addetti all'estero e al quarto (preceduta anche dal Lazio) per fatturato.
Occorre peraltro sottolineare come un'analisi basata sulle partecipazioni dirette all'estero delle imprese colga solo una parte - certamente la più rilevante per "spessore" strategico - di quell'ampia varietà di accordi non equity (Nota 12) con cui le imprese danno impulso al proprio coinvolgimento estero. Sono infatti escluse le cosiddette forme "leggere" di internazionalizzazione, basate su accordi e partnership con imprese estere che non implicano lo scambio di quote azionarie tra le imprese coinvolte, le quali rappresentano certamente una modalità importante di internazionalizzazione per le imprese italiane in genere e venete in particolare, sia per decentrare in paesi a basso costo del lavoro parte della lavorazione dei prodotti, sia per accedere a canali distributivi sui mercati di sbocco.
Probabilmente queste sono forme molto diffuse nel Veneto, dato che il tessuto produttivo regionale è contraddistinto dalla presenza di numerose piccole e medie imprese (PMI) sul proprio territorio che spesso sono leader mondiali nei settori in cui è richiesta maggiore tradizione e qualità. Le PMI svolgono infatti un importante ruolo di traino per l'economia regionale e contribuiscono alla crescita economica assorbendo più del 70% del valore aggiunto dell'industria veneta.
Analizzando tra l'altro i dati riguardanti la produttività per addetto delle PMI osserviamo che il valore medio regionale, pari a circa 34 mila euro, supera di circa 2.000 euro quello nazionale e negli ultimi due anni, come per le altre principali regioni, la produttività per addetto è tornata a crescere, riguadagnando i valori record del 2002.

Inizio Pagina  Nello spirito innovativo

Soprattutto a causa della ridotta dimensione d'impresa, l'attività di ricerca, svolta attraverso risorse interne all'impresa, è sia in Italia che in Veneto ancora limitata. Non è ancora stato raggiunto l'obiettivo di Lisbona che prevede che i due terzi della spesa in R&S sia a carico del settore privato, cosa che è già una realtà in alcuni paesi del nord Europa. Ma è da dire che nel 2005 (Nota 13) le imprese venete hanno dimostrato un notevole impulso negli investimenti in questo campo: +6,6% della spesa e + 12,5% degli addetti.
I processi produttivi e riorganizzativi si intrecciano fortemente con la componente tecnologica. Dagli anni 50, la meccanizzazione, sia industriale che agricola, ha determinato un incremento della produttività con conseguente aumento del benessere e delle attività di servizio; ora, dopo aver superato la fase dell'elettronica, si sta percorrendo la strada della tecnologia dell'informazione e delle altre discipline innovative, quali le nanotecnologie, le biotecnologie, ecc. Oramai la stragrande maggioranza delle imprese venete fa grande uso delle tecnologie dell'informazione: il personal computer è ormai diffuso presso la quasi totalità di imprese con oltre i 10 addetti; la diffusione della banda larga copre il 72% delle imprese, oltre la metà possiede un sito internet e un quarto degli addetti utilizza un pc connesso con la connessione a internet.
Ma anche in termini di produzione di beni tecnologici, l'analisi contenuta in questo rapporto ci restituisce l'immagine di un Veneto che va sempre più misurandosi con questa realtà produttiva.
Nel 2007, le imprese attive ad alto contenuto tecnologico, in riferimento alla classificazione OCSE (2003) (Nota 14), rappresentano il 9,4% dell'high tech nazionale.
I settori a bassa tecnologia (Nota 15), tradizionalmente a grande intensità di manodopera, hanno subito negli ultimi anni la concorrenza di paesi dove il costo del lavoro è 20 o addirittura 50 volte meno caro, ma sono in grado comunque di avvalersi di aspetti tecnologici che sfuggono alla classificazione OCSE. Il campo tessile/abbigliamento sta infatti giocando la carta della qualità: produzioni qualitativamente superiori, innovative sia sotto un profilo meramente tecnico, di prestazione del tessuto, sia sotto un profilo più legato a fattori immateriali quali l'immagine e la moda. La produzione di articoli sportivi cerca di valorizzare la comodità, oltre che uno stile di vita. Il comparto dei mobili e oreficeria sta puntando sul design, sull'impiego di materiali nuovi o l'accostamento inusuale del vecchio rivisitato. Il 20,3% di tutto il comparto manifatturiero riguardano nel Veneto le imprese dei settori a medio ed alto livello tecnologico, 18,5% in Italia.
Nello specifico dell'high tech sono preponderanti le imprese appartenenti al comparto delle apparecchiature medicali, di precisione ed ottiche, che da solo costituisce quasi l'80% del totale delle imprese ad alta tecnologia nel Veneto e che rappresenta il 9,4% dell'intero settore nazionale, seguito da quello relativo agli apparecchi radio e TV (12%). Contestualmente si nota dal 2000 al 2007 in Veneto una leggera riduzione della quota delle imprese di basso e medio-basso contenuto tecnologico, a favore di una crescita della quota relativa alle aziende di prodotti di media tecnologia.
In termini di scambi di tecnologia e servizi innovativi con l'estero, nel Veneto, a fronte di una diminuzione sia di incassi che di pagamenti registrati attraverso la bilancia tecnologica dei pagamenti (BTP), il saldo complessivo è ancora negativo per circa 51 milioni di euro, ma più che dimezzato rispetto al 2005. E' interessante sottolineare come il saldo sia positivo per servizi con contenuto tecnologico, ossia quelli di maggiore oggetto e fonte d'innovazione, per i quali gli incassi sono cresciuti di oltre il 50% rispetto al valore dell'anno precedente. Tale andamento viene confermato dall'indice di copertura della BTP, che equivale al rapporto tra incassi e pagamenti, che nel Veneto per questo sevizio assume un valore pari a 2,7, ossia il Veneto vende tali servizi più di due volte e mezza di quanto non ne acquisti dall'estero. In particolare, a questi incassi hanno contribuito maggiormente gli studi tecnici e di engineering forniti e l'invio di tecnici esperti all'estero. A differenza dell'anno precedente, invece, il commercio in tecnologia registra un saldo negativo, a causa sia di un aumento dei pagamenti, per acquisto e diritto di sfruttamento di brevetti, che di un calo generalizzato di incassi, con conseguente peggioramento dell'indice di copertura che dal 2,6 del 2005 passa allo 0,4 del 2006.
Andando ad esaminare cosa è stato maggiormente richiesto nel 2006 tra tutti i servizi che il Veneto ha fornito all'estero, quantificabili attraverso gli incassi ricevuti, risulta che il 63% degli incassi sono dovuti alla fornitura di servizi con contenuto tecnologico, in misura superiore rispetto all'Italia, circa 56%, mentre quasi tutte le altre tipologie di servizio rappresentano quote d'incasso che va dall'11 al 13%.
Il Veneto invece ha richiesto maggiormente all'estero nel 2006 il servizio delle transazioni di marchi di fabbrica e disegni, che da solo ha coinvolto quasi il 50% del totale dei pagamenti del Veneto, valore questo che differenzia molto la nostra regione dal resto dell'Italia dove il peso di questo settore è stato decisamente più limitato, 23%.

Inizio Pagina  "L'intelligenza delle filiere"

(Nota 16) Il riposizionamento settoriale a favore dei servizi deriva molto in realtà dai settori tradizionali che si ristrutturano al loro interno; spesso tale processo rappresenta la fuoriuscita dei servizi specializzati, "delle idee", dai confini aziendali, per porsi al servizio del sistema imprenditoriale.
Tra il 2000 e il 2005 si registra una crescita sia delle unità locali, +7,8%, che degli addetti dei servizi, +14,7%. Inoltre, la crescita del fatturato delle aziende dei servizi, +21,1%, ha superato di ben otto punti percentuali quella del comparto industriale ed ha costituito, per la prima volta, più del 50% del fatturato complessivo delle aziende venete.
E' da dire che la maggior parte di questo si concentra nel settore dei servizi tradizionali (Nota 17), ma dal 2000 al 2005 si assiste a una rapida espansione delle imprese attive dei servizi di mercato (Nota 18), +44,7%, dovuta soprattutto al boom del settore immobiliare. Tale sviluppo prosegue anche nel biennio successivo, con tassi di crescita annui che si aggirano tra i 5 e i 6 punti percentuali: nel 2007 le imprese di servizi di mercato hanno superato la soglia delle 51 mila unità e costituiscono il 22% del totale delle imprese di servizi del Veneto.
Anche il fatturato aziendale dei servizi di mercato pur rappresentando solo il 10% del fatturato complessivo del settore, risulta negli ultimi anni in costante crescita la parte generata dalle aziende di servizi che si rivolgono alle imprese. Per quanto riguarda il valore aggiunto, la quota prodotta dai servizi di mercato, 20% del totale, è rimasta pressoché invariata.
Negli ultimi otto anni le imprese che si occupano di servizi tecnologici hanno conosciuto tassi di crescita più che apprezzabili, +32,1%, superando nell'ultimo anno la soglia delle 8 mila unità. Nel settore dei servizi tecnologici si registra una consistente crescita del peso del valore aggiunto aziendale prodotto dal settore, +2%, resta costante invece il fatturato, +0,6%. In crescita anche il fatturato medio per addetto, +26 mila euro, che nel 2005 supera i 120 mila euro.

Inizio Pagina  Impresa sostenibile e multifunzionale

L'adozione di un sistema di gestione per la qualità rappresenta una scelta strategica per l'impresa; lo scopo primario è quello di soddisfare le esigenze e le aspettative dei propri clienti, attraverso un'organizzazione più efficiente, ottenendo vantaggi in termini di competitività e qualità dei prodotti nella tutela del territorio. Le certificazioni di sistemi di gestione accreditate da Sincert (Nota 19) coprono tutti i settori merceologici e le certificazioni ad oggi rilasciate sotto accreditamento riguardano decine di migliaia di siti produttivi. I dati disponibili sui sistemi di gestione per la qualità delle imprese confermano che è in atto una crescita costante dei siti produttivi (Nota 20) con una certificazione di qualità. Infatti, negli ultimi due anni la presenza di siti produttivi veneti con certificazione si è andata progressivamente rafforzando,+21,3%, raggiungendo le 13.399 unità alla fine del 2007, pari al 10,3% del totale nazionale, che rappresentano il 2,4% del totale delle unità locali regionali.
Normative sempre più stringenti impongono alle imprese l'introduzione di un sistema di gestione ambientale e l'adozione di pratiche di certificazione per la validazione degli interventi effettuati e dei risultati ottenuti in campo ambientale. Ai fini dell'ottenimento di questa certificazione vengono richiesti sforzi organizzativi e gestionali maggiori e, in taluni casi, un programma di investimenti in nuove tecnologie piuttosto consistente.
I dati confermano la crescente importanza delle certificazioni riguardanti l'ambiente: negli ultimi anni l'incidenza dei siti produttivi con certificazione ambientale sul totale dei siti certificati risulta in costante crescita su tutto il territorio nazionale e per il Veneto il peso dei siti produttivi con certificazione ambientale passa dall'1,5% del 2000 al 7,2% del 2007.
Tra l'altro nella gestione dei rifiuti speciali si registra nel Veneto un netto aumento della percentuale di rifiuti recuperati sul totale prodotto, 42% nel 2003 e 63% nel 2005, diventando il recupero la forma principale di gestione dei rifiuti speciali, anche se lo smaltimento in discarica dei rifiuti speciali è ancora piuttosto diffuso.
Il mondo agricolo è per sua natura intriso di elementi che si snodano tra la dimensione economica ed ambientale. Molteplici sono le iniziative in atto da parte delle aziende agricole per ritagliarsi la propria fetta di mercato, ma molto rimane ancora da fare e i margini di miglioramento sono ancora decisamente grandi. Se è vero che le aziende di "piccola" dimensione stanno velocemente sparendo dalla scena economico-produttiva, che la dimensione media per azienda è in lento ma costante aumento, e la competizione proveniente dai paesi europei ed extra-europei induce una guerra al ribasso dei prezzi, è vero anche che le nostre aziende si trovano costrette a fornire risposte efficaci in tempi estremamente rapidi.
Alla creazione del valore aggiunto prodotto dall'intero sistema economico regionale l'agricoltura veneta contribuisce in misura abbastanza ridotta. L'importanza, però, dell'agricoltura non è così marginale come potrebbe sembrare soprattutto se si considera la crescente integrazione tra il settore agricolo "tradizionale" e quello alimentare e le interazioni sempre più strette tra attività agricole, territorio ed ecosistema naturale. Notoriamente le maggiori dimensioni e le migliori performance economiche sono attribuibili alla realtà agricola del Nord Italia: tra le regioni emerge, sia nel valore della produzione che nel valore aggiunto, la Lombardia, ma rispetto al livello di produzione per unità lavorativa vi è l'ottima collocazione del Veneto al secondo posto (40.428 euro) seguito a ruota dal Piemonte.
La soluzione a redditi agricoli in calo, costi intermedi in aumento, manodopera in declino, imprevedibilità climatiche, contraffazioni alimentari, competitività estera, risiede nella capacità delle stesse aziende di spendersi in multifunzionalità, tutela del paesaggio e della tipicità, conservazione delle tradizioni, produzione di fonti di energia alternativa, fornitura di prodotti di elevata qualità, rintracciabilità di filiera, sicurezza alimentare, certificazioni.
Nel campo dell'offerta rivolta ad un consumatore che si rivela sempre più parsimonioso e attento alla qualità, diverse sono le strategie che si stanno adottando: dai farmer markets (Nota 21), ai distributori di latte crudo, alla vendita dei prodotti in azienda; lo slogan sembra essere abbastanza evidente e cioè accorciare la filiera e quindi il prezzo per il consumatore finale.
Questo processo a quanto pare, sebbene riscuota consensi sia da parte dei produttori che dei consumatori, non sarà di immediata acquisizione e diffusione. Nel corso del 2005, secondo una indagine riguardante le aziende agricole, nella nostra regione solo il 5% di esse ha venduto oltre il 50% della propria produzione direttamente ai consumatori, attestandosi per il momento a fenomeno di nicchia.
Altrettanto si può dire, per quanto riguarda la multifunzionalità che è riconosciuta a livello comunitario e nazionale come uno dei fattori di forza dell'agricoltura sul quale far leva nelle aree rurali per il raggiungimento di un modello di sviluppo equo e sostenibile. All'agricoltura è stato infatti riconosciuto il ruolo di produzione di beni non solo alimentari ma anche immateriali, legati agli aspetti ambientali, alla conservazione del territorio e del paesaggio, alla storia, alle tradizioni e alla cultura delle aree rurali. Questo riconoscimento consolida il ruolo delle imprese agricole all'interno del dibattito iniziato dopo la definizione delle strategie europee nei Consigli di Lisbona e di Goteborg e quindi il contributo che le stesse possono dare per la creazione di nuova occupazione, dello sviluppo del capitale umano, della salvaguardia ambientale. Di tutte le attività connesse all'agricoltura, in ultima analisi ancora poco sfruttate e non del tutto in grado di raggiungere una popolarità o una massa critica di interesse, a riscuotere il maggior successo è sicuramente il solo fenomeno dell'agriturismo che nella sola nostra regione coinvolge ormai oltre un migliaio di aziende agricole, fruttandoci il terzo posto nella graduatoria italiana, alle spalle di Trentino Alto-Adige e Toscana.
Di grande interesse poi il versante delle produzioni di qualità, le aziende venete coinvolte nell'agricoltura biologica sono circa un migliaio con quasi 18.000 ettari di superficie agricola utilizzata, che però coprono appena il 2% della totalità della SAU regionale. Anche sul versante delle produzioni tipiche il Veneto, sebbene risulti la seconda regione italiana col maggior numero di certificazioni di qualità, copre appena il 5% del fatturato nazionale del settore (Nota 22).
Con 23 prodotti a denominazione DOP o IGP già riconosciuti, 3 in prossimo riconoscimento (Casatella Trevigiana, Radicchio di Chioggia, Radicchio di Verona), 8 in attesa di riconoscimento a Bruxelles e le 28 denominazioni d'origine dei vini (25 DOC e 3 DOCG), il Veneto si situa nei primi posti in Italia per prodotti di qualità

Inizio Pagina  Dal campo alla tavola

L'alimentazione e le problematiche ad essa connesse fanno ormai parte dell'interesse e delle preoccupazioni della vita quotidiana dei cittadini europei: la sicurezza dei beni di consumo destinati all'alimentazione umana ha assunto i contorni di un obiettivo strategico di primaria importanza all'interno dell'Unione Europea.
La tutela della sicurezza dei prodotti alimentari nel nostro paese è affidata principalmente all'attività di controllo ufficiale svolta dal Ministero della Salute e dalle Regioni attraverso le loro strutture territoriali. Nel controllo vengono considerate tutte le fasi dalla produzione, alla trasformazione, magazzinaggio, trasporto, commercio e somministrazione, e consiste in ispezioni, prelievi dei campioni, analisi di laboratorio dei campioni prelevati, controllo dell'igiene del personale addetto, esame del materiale scritto e dei documenti di vario genere ed esame dei sistemi di verifica adottati dall'impresa e dei relativi risultati.  Nel corso del 2006 gli stabilimenti che trattano prodotti di origine animale coinvolti nel controllo sono stati quasi l'80% di quelli presenti sul territorio veneto, con un numero medio per unità di circa 4 tipologie diverse di ispezioni (personale, ambiente, ecc.): la frequenza delle infrazioni è risultata inferiore all'1% e di queste la quasi totalità, riguardanti principalmente problemi di igiene ed etichettatura, è sfociata in provvedimenti di natura amministrativa. Analogamente i campioni alimentari prelevati presso queste strutture rispecchiano un andamento molto simile per quanto riguarda le irregolarità riscontrate.
Nell'ambito della ristorazione e degli stabilimenti che trattano prodotti di origine non animale, nelle quasi 17.000 unità controllate, si riscontra che la maggior parte delle infrazioni rilevate sono di natura igienica (adeguata formazione del personale, HACCP, ecc.), i provvedimenti intrapresi sono stati di tipo amministrativo.
La sicurezza alimentare non si configura solo come semplice rispetto delle normative, ma consiste soprattutto nell'offrire al consumatore garanzie che gli consentano di alimentarsi senza preoccupazione con prodotti in cui l'equilibrio finale fra qualità, sapore e prezzo, sia la risultante di un processo produttivo condotto nel rispetto della salute e dell'ambiente.
Ed è proprio nel libro bianco della sicurezza alimentare che si ribadisce quanto sia fondamentale basarsi su un "approccio completo e integrato" e ciò significa che bisogna considerare l'intera catena alimentare, "dal campo alla tavola" (Nota 23).

Inizio Pagina  Mens sana in corpore sano

Dalle nostre scelte e dall'abitudine a consumare certi alimenti quotidianamente, oltrechè dai controlli nella filiera, deriva il nostro stato di salute fisica. I comportamenti alimentari sono di importanza fondamentale per il raggiungimento e il mantenimento di un buono stato di salute: una alimentazione razionale, adatta a mantenere lo stato di buona salute ed una buona efficienza dell'organismo, deve innanzitutto assicurare un apporto abituale di energia adeguato al reale fabbisogno energetico. Quest'ultimo è determinato da fattori ben definiti (età, sesso, taglia fisica, peso corporeo, attività fisica svolta) che condizionano il maggiore o minore dispendio di energia dell'organismo.
Dai pochi dati disponibili a questo proposito sembra che i veneti dedichino una certa attenzione alle proprie abitudini alimentari. Per quanto riguarda il consumo di verdura, la percentuale di persone di più tre anni che ne consuma almeno una volta al giorno nel Veneto è superiore rispetto alla media nazionale di ben 7 punti percentuali e costantemente superiore per ogni fascia d'età.
La quota parte di popolazione di tre anni e più che dichiara di fare una colazione adeguata presenta valori più alti nel Veneto rispetto all'Italia a partire dai 35 anni.
L'inattività fisica è uno dei principali fattori di rischio per numerose malattie croniche e la sedentarietà può essere una delle concause di malattie cardiovascolari, diabete, cancro e problemi muscolo-scheletrici. Il fenomeno dell'inattività fisica è piuttosto consistente e riguarda circa 1.740.000 veneti e 27.808.000 italiani, anche se la percentuale di persone che non svolgono nessuna attività fisico-sportiva è del 39% nel Veneto ed inferiore alla media italiana di circa 10 punti percentuali.
L'inattività aumenta chiaramente con il crescere dell'età: nel Veneto si va dal 20,6% della popolazione di 3-14 anni al 59,6% di coloro che hanno più di 74 anni.
Ma per fortuna oltre la metà dei cittadini veneti rientra nei limiti della normalità nel proprio peso, infatti circa il 53% risulta essere normopeso. Una quota piuttosto consistente e pari ad oltre un terzo dei veneti è purtroppo in sovrappeso, ma i giovani di 18-24 anni lo sono meno rispetto ai propri coetanei italiani.
Negli ultimi anni si registra la tendenza di una vita media sempre più lunga, nel 2007 è di 84,6 anni la speranza di vita (Nota 24) per le femmine e 78,9 per i maschi, ed in migliori condizioni di salute: dal 2000 al 2005 i veneti hanno guadagnato circa 4 anni di vita in buono stato di salute, raggiungendo 53,7 anni per i maschi e 51,3 per le femmine.
Nel 2005 le persone che nel Veneto dichiarano di stare bene o molto bene (Nota 25) sono il 65%, pari a circa 3.024.000 individui. La percentuale dell'Italia è molto vicina: 65,7% (38 milioni circa). Tale percezione testimonia l'effettivo stato di benessere psicofisico di un individuo, filtrato però da fattori soggettivi di percezione, che possono evidenziare modalità e livelli di tolleranza diversi nell'affrontare la malattia o il disagio.
Rispetto alla precedente indagine del 2000, tale quota è aumentata in Italia e in Veneto di circa cinque punti percentuali.
Il titolo di studio appare spesso legato allo status socio-economico degli individui: a livelli di studio più elevati corrisponde in genere una qualità della vita, anche in termini di salute, superiore. L'attenzione all'igiene, i contatti con l'assistenza sanitaria e le possibilità di spesa per le cure risultano non di rado più elevati per questi individui rispetto alla popolazione con titoli di studio inferiori.
"Mens sana in corpore sano" sostenevano i nostri antenati latini (Nota 26). In effetti oltre al fisico, una persona si percepisce in salute anche quando raggiunge un equilibrio psicologico che gli permette di vivere in armonia non solo con se stesso ma anche nelle relazioni con gli altri. La popolazione veneta dimostra di non avvertire grossi disagi psicologici.
Nel 2007 il Censis ci fornisce un indicatore sintetico sullo stato di salute (Nota 27), che consente un confronto tra regioni e che evidenzia, sulla base di fattori oggettivi e soggettivi dello stato di salute della popolazione e dell'offerta sanitaria, la migliore situazione nelle regioni del Nord-est, cui si aggiunge la Lombardia.

Inizio Pagina  Tempo di libertà, tempo di vacanze

Lo sport non è solo salute, esso oggi è divenuto fondamentale soprattutto attraverso la propria capacità di aggregazione di giovani e meno giovani. Con il miglioramento del benessere economico sono cresciute nelle persone l'attenzione verso la propria salute e la ricerca del divertimento. Di rilievo la categoria delle persone che pur non praticando uno sport specifico, svolgono però una qualche attività fisica nel tempo libero (ad esempio il jogging nel parco, la passeggiata in bicicletta ecc.) non finalizzata al raggiungimento di un risultato o di un traguardo, bensì alla semplice ricerca di relax e benessere psico-fisico. Nel nord, ed in particolare nel Veneto, questo tipo di attività è molto più diffuso rispetto al resto dell'Italia, toccando nella regione una punta del 34,6%.
Il Veneto, tra l'altro, per soddisfare queste esigenze, dispone di una dotazione impiantistica che è possibile senza dubbio definire di buon livello sia per quantità che per qualità.
Ma cos'altro facciamo durante il nostro tempo libero? Quanto tempo occupiamo in attività culturali? I dati sulla spesa per consumi culturali degli ultimi anni non dà chiari segni su quale sia la tendenza.
Certo è che ci piace andare al cinema, nel 2007 nel Veneto si è dedicato a questo svago circa il 50% della popolazione; la visita a musei e mostre risulta esercitare una migliore attrazione per i veneti (34%) rispetto agli italiani (27,9%), anche grazie all'ampia offerta delle nostre città d'arte. Da evidenziare che comunque il livello di fruizione del patrimonio museale appare ancora modesto se confrontato con quello degli altri paesi europei, soprattutto rispetto alle potenzialità e alle opportunità del nostro paese.
Nella graduatoria degli intrattenimenti più diffusi tra gli abitanti del Veneto, troviamo dopo quelli sopraindicati gli spettacoli sportivi, che hanno coinvolto il 29,1% dei residenti con più di 6 anni, il teatro (19,1%) ed infine i concerti di musica classica (11,8%).
La propensione alla lettura di libri nel complesso appare modesta in Italia rispetto a quella dei cittadini degli altri paesi europei, ma si diversifica nelle varie zone della penisola, con una quota di lettori che se al sud si aggira attorno al 30%, al nord sale più del 50%, 49,3% nel Veneto. Le motivazioni addotte da coloro che dichiarano di non leggere libri sono più legate al fatto che la lettura non li appassiona e che preferiscono altri svaghi, più che a mancanza di tempo.
La vacanza resta uno dei nostri svaghi preferiti. Il turismo nel Veneto è tra l'altro una delle principali risorse avendo ospitato nel 2007 più di 14 milioni di turisti, totalizzando oltre 61 milioni di pernottamenti.
Nel 2005 vengono individuate circa 27 mila unità locali nel settore turistico che contano 111 mila addetti e che producono un fatturato lordo prossimo ai 5 miliardi di euro; tali quantità si riferiscono alla generica sezione di attività economica "alberghi e ristoranti" e rappresentano una stima che comunque ben approssima le cifre del settore turistico (Nota 28).
Nel corso degli anni si sono modificati i costumi ed il modo di vivere la vacanza, tanto che trascorrere almeno un periodo di vacanza nel corso dell'anno diventa un aspetto determinante nello stile di vita degli italiani: già nel 1985 il fenomeno coinvolge il 46% della popolazione italiana e in particolare ancor maggiore è la quota di veneti che vanno in vacanza, il 50,7%.
Il Veneto può godere di una ricca offerta alberghiera, che conta oltre 3.200 strutture e si distribuisce per un terzo nelle città d'arte, un terzo in località di mare, mentre il rimanente si equiripartisce tra lago, monti e terme. La qualità del servizio, sinonimo di modernità, avanguardia, tecnologia oltre che igiene e pulizia, è sempre più ricercata dai turisti, che oltre al riposo, al divertimento e all'emozione di scoprire posti nuovi, si aspettano di trovare nel luogo di villeggiatura sistemazioni confortevoli, ospiti accoglienti, trasporti rapidi e sicuri e informazioni alla mano. La varietà e la qualità del sistema ricettivo veneto ottiene continuamente riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale. I numeri lo dimostrano: in Veneto ci sono circa 18 strutture alberghiere ogni 100 Kmq, il numero medio di posti letto è pari a 64,1, gli esercizi di alta categoria (alberghi a 4 e 5 stelle) sono il 14,4% del totale alberghi.
Tra le forme alternative di ricettività che affiancano quelle più tradizionali del comparto alberghiero, abbiamo visto che una tipologia di struttura ricettiva che accoglie sempre maggiori consensi è l'agriturismo che si presenta come l'opportunità migliore di vivere il territorio rurale nelle sue numerose varietà, i sapori della terra e il contatto con la natura. Un'altra tipologia di ospitalità di grande attrazione, che interessa tutti i segmenti dell'offerta - mare, montagna, lago, città d'arte e terme - è costituita dai campeggi e villaggi turistici. La più elevata concentrazione italiana di campeggi è nel Veneto, che con quasi 190 unità accoglie il 10% delle strutture dell'intera penisola.
Nel 2006 i veneti sono al 6° posto nella graduatoria delle regioni italiane per quota di residenti che hanno trascorso una vacanza di almeno quattro notti. La situazione del Veneto risulta molto simile a quella delle altre regioni del nord, con circa 60 villeggianti ogni 100 residenti, valore superiore alla corrispondente quota nazionale di quasi 10 punti percentuali. Per il restante 40% dei veneti il non essersi concessi nemmeno un viaggio è legato in prevalenza a motivi economici.
Si tende a porre attenzione alla spesa oltrechè alla comodità di gestione della propria vacanza, gli alberghi a tre stelle infatti vedono sia per i veneti che per gli italiani i maggiori flussi in termini di presenze turistiche, nel caso specifico dei veneti vi è anche un maggiore e consistente utilizzo di alloggi in affitto, quasi il 22%, che consentono una gestione familiare più simile a quella che avviene entro le mura domestiche.
Per i soggiorni in Veneto, come per quelli trascorsi in altre località italiane, c'è una maggior propensione dei veneti, rispetto agli italiani nel complesso, ad utilizzare strutture extralberghiere che nel 2007 accolgono il 51,5% dei visitatori veneti e totalizzano il 75,6% dei pernottamenti; in testa alle preferenze appaiono gli affittacamere ed i campeggi.
Considerando l'aspetto finanziario in relazione a quanto si spende andando oltre frontiera, il Veneto appare tra le regioni che spendono di meno - circa 653 € in media a viaggiatore contro i 763 € degli italiani in genere. Questo è imputabile fondamentalmente alla durata del viaggio, in media 8,2 giorni per i veneti contro i 9,3 giorni dei viaggi degli italiani. In effetti la vicinanza della nostra regione ad alcuni confini nazionali può indurre i residenti a trascorrere all'estero periodi più brevi.
E' molto edificante poter constatare che parte del tempo libero delle persone viene dedicato ad attività di solidarietà civile, partecipazione sociale, mutua assistenza, tutti fenomeni riconducibili al "terzo settore" e che nella nostra regione assumono connotati storici e ben radicati nel tessuto sociale.
E' infatti anche e soprattutto in Veneto che nell'arco dei secoli questi concetti hanno preso forma.
L'ultima rilevazione censuaria effettuata sul territorio nazionale allo scopo di quantificare tipologie e consistenza delle organizzazioni di volontariato iscritte ai registi regionali porta la data del 2003.
Notevolissimo è stato l'incremento negli 8 anni precedenti in tutte le regioni, basti pensare che a livello nazionale è stato superiore al 150%.
Nel Veneto le organizzazioni presenti (nota con tipologie) sul territorio registrate sono 2.018 e assorbono quasi il 10% del totale nazionale.
La diffusione nelle varie regioni italiane conteggia, in media, 3,6 organizzazioni ogni diecimila abitanti (nel 1995 erano 1,5) con la punta più elevata raggiunta dal Trentino-Alto Adige e pari a 17,9.
La nostra regione guadagna un piazzamento a metà classifica con 4,3 organizzazioni ogni diecimila abitanti ed una distribuzione per provincia che vede storicamente capeggiare Verona e Padova.
E' decisamente importante l'impegno che dà la gente veneta alla solidarietà civile e la tendenza è in continua crescita; secondo una recente indagine campionaria Istat, riferita al 2007, il fenomeno della partecipazione sociale di volontari in associazioni riconosciute è infatti particolarmente diffuso nella nostra regione: il Veneto si piazza subito dopo il Trentino Alto-Adige nella graduatoria nazionale delle persone che svolgono attivamente servizio, interessando quasi il 14% della popolazione con oltre 14 anni.

Inizio Pagina  Educare per costruire il nostro futuro

In questi ultimi anni è avvenuto un mutamento radicale nella cura ed educazione dei figli. Abbiamo una famiglia diversificata, cambiano le esigenze con importanti riflessi sulla programmazione dei servizi per la persona. Il Veneto si pone tra i primi posti a livello nazionale nel campo dei servizi alla prima infanzia. A queste esigenze si è risposto in modo da corrispondere all'Obiettivo del Consiglio europeo di Lisbona del 2000 di innalzare entro il 2010 l'offerta di servizi fino alla soglia della copertura del 33 per cento del fabbisogno: dal 2001 al 2007, il numero di posti disponibili in servizi alla prima infanzia (Nota 29) è infatti quasi triplicato, aumentando del 298% e passando da 8.813 posti del 2001 ai 26.299 di oggi. Questo dato confrontato con la popolazione nella fascia di età interessata evidenzia un grado di copertura regionale nel 2007 del 19,1%, con un trend di crescita molto sostenuto negli ultimi anni. La crescente domanda di servizi per l'infanzia risulta anche dal numero dei bambini iscritti alle scuole per l'infanzia che dall'anno scolastico 1994/95 è cresciuto di oltre l'11%.
La realtà scolastica italiana, in particolar modo veneta, va modificandosi molto in relazione alla crescente presenza straniera. Nell'anno scolastico 2006/07 tutti gli studenti stranieri inseriti nelle scuole italiane sono oltre 500.000, ossia il 5,6% della popolazione scolastica nazionale. Le scuole venete accolgono il 12,3% degli studenti stranieri in Italia e questi incidono per il 9% sul contingente veneto. Questa quota è una delle maggiori in Italia: l'Emilia Romagna è al primo posto con il 10,7% dei propri studenti.
I segmenti scolastici con l'incidenza più elevata sono quelli della scuola dell'obbligo, circa l'11% nella nostra regione, sia per la scuola primaria che per quella secondaria di I grado; non pochi pure i bambini inseriti nelle scuole dell'infanzia, il 9,1% della popolazione autoctona, già quattro punti percentuali in più rispetto a quattro anni prima. Famiglie straniere quindi che uniformano le proprie scelte a quelle tipiche del territorio a cui oggi appartengono: la crescente presenza a scuola di bambini stranieri prima dell'obbligo può tra l'altro essere un segno evidente della ricerca da parte della famiglia di un inserimento lavorativo anche della donna; d'altro canto si tratta in parte della seconda generazione di stranieri, ovvero bambini nati in Italia da genitori immigrati già residenti da tempo e quindi con un percorso di vita lavorativo e di educazione dei figli che ricalca naturalmente quello della popolazione locale.
In tutti gli ordini di scuola un ruolo fondamentale è attribuito alla promozione del successo formativo attraverso la riduzione del fenomeno della dispersione, intendendo con tale termine l'insieme dei fattori che prolungano o interrompono il normale percorso scolastico, determinando, dove presente, una scarsa efficienza del sistema.
Come nella primaria, anche nella scuola secondaria di primo grado il momento dell'avvio del percorso risulta il più critico per le non ammissioni alla classe successiva degli allievi; è importante notare come però in un solo anno si registri una significativa riduzione delle non ammissioni anche per gli iscritti del primo anno: infatti, in Veneto dal 4% di non ammessi del 2003/04 si passa al 2,6% nell'anno successivo.

Inizio Pagina  Essere giovani oggi

Per comprendere entità e soddisfazione delle relazioni familiari, è importante richiamare il contesto culturale dei rapporti intergenerazionali. Il rapporto tra genitori e figli ha una natura diversa nell'Europa mediterranea, e quindi anche in Italia, rispetto agli altri paesi occidentali. Viene data molta importanza ai rapporti tra i membri all'interno del nucleo familiare, sia nelle fasi della vita più giovani che in quelle più avanzate. Ciò si può constatare non solo facendo riferimento al crescente numero di giovani che rimanda il momento in cui lasciare la casa dei genitori, ma anche osservando che, una volta usciti di casa, la tendenza è quella di stabilire la nuova abitazione in prossimità della famiglia di origine, mantenendo così con essa un rapporto continuativo e di interscambio.
Certo la famiglia rappresenta il luogo fondamentale dove si forma la personalità dell'individuo e le sue relazioni, ma la scuola assume un ruolo di primaria importanza. In questo ambito i responsabili delle politiche scolastiche dei paesi membri dell'Unione Europea pongono degli obiettivi strategici per lo sviluppo dei sistemi educativi europei da raggiungere entro per il 2010: ridurre gli abbandoni scolastici prematuri, aumentare i laureati in matematica, scienze e tecnologie almeno del 15%, dimezzando tra l'altro anche lo squilibrio di genere, garantire il completamento del ciclo di istruzione superiore ad almeno l'85% della popolazione ventiduenne.
Negli anni sono aumentati notevolmente i livelli di scolarizzazione delle fasce più giovani di popolazione e la propensione delle famiglie a investire sul futuro dei ragazzi dedicando attenzione all'accrescimento dei loro saperi e delle loro competenze.
La partecipazione alla scuola secondaria di secondo grado è in aumento ed in Veneto nell'anno 2007 la quota di giovani di età fra i 14 e i 18 anni che è iscritta alla scuola superiore risulta pari all'89,4%: un valore di sei punti percentuali più elevato rispetto a quello di sette anni prima, anche se sempre inferiore ai valori medi italiani.
L'avvio del percorso educativo alle scuole secondarie di II grado è il più critico, come confermano anche i dati forniti da Istat relativi agli abbandoni: in Italia la percentuale di studenti che interrompono la frequenza scolastica alla fine del primo anno e non si iscrivono all'anno scolastico successivo sul totale degli iscritti al primo anno delle scuole secondarie superiori sono nel 2006 l'11%. Migliore la situazione della nostra regione: il Veneto è la terza regione per minor numero di abbandoni, con il 7,6% sul totale iscritti al primo anno. E' da considerare, però, che l'interruzione scolastica, soprattutto al primo anno del corso di studi, non comporta sempre necessariamente l'abbandono definitivo della scuola, ma anzi può riflettere una scelta sbagliata dell'indirizzo di studi che viene allora modificata.
Nel 2007 in Veneto quasi l'83% dei giovani in età 20-24 anni ha comunque conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore, solo due punti percentuali in meno del target fissato dal Consiglio dell'Unione europea da raggiungere entro il 2010. In soli tre anni la nostra regione ha visto crescere tale quota di sei punti percentuali, posizionandosi così nel 2007 al terzo posto nella graduatoria regionale per i più alti livelli di scolarizzazione superiore. Meno buona la situazione dell'Italia che, sebbene in soli tre anni è stata protagonista di un aumento di oltre tre punti percentuali, nel 2007 raggiunge un tasso pari al 75,7%.
Dall'indagine PISA (Programme for International Student Assessment) (Nota 30) del 2006 (Nota 31), che consente di verificare in quale misura i giovani quindicenni scolarizzati abbiano acquisito determinate competenze essenziali, si evidenziano risultati soddisfacenti per la nostra regione e una condizione di difficoltà, invece, in cui versa il nostro Paese che ottiene punteggi al di sotto della media OCSE in tutte le prove, portando alla luce una minore competitività scientifico culturale dei giovani italiani.
Il risultato del Veneto in scienze è notevolmente superiore sia alla media italiana che a quella dei Paesi OCSE, buone le performance dei nostri ragazzi nell'ambito della spiegazione dei fenomeni in modo scientifico.
In quanto a formazione universitaria, se si considerano i dati di lunga tendenza, si nota sia un'offerta di formazione universitaria sempre più ricca e distribuita su tutto il nostro territorio sia una maggiore partecipazione nel sistema universitario: infatti, rispetto all'anno accademico 1999/2000 la percentuale di ragazzi che si immatricolano negli atenei veneti, ossia i nuovi ingressi nel sistema, sulla popolazione residente di diciannove anni cresce dal 38,7% al quasi 45% registrato nel 2006/2007. In questi ultimi anni, però, si evidenzia una diminuzione delle immatricolazioni, risultato che sembra indicare l'esaurirsi del primo effetto positivo generato dal nuovo Ordinamento degli studi avviato all'inizio degli anni 2000.
Completare il ciclo di studi e conseguire la laurea è fondamentale nella società attuale, sempre più dinamica, tecnologica e innovativa, un valore aggiunto che contribuisce ad una qualità della vita più elevata.
Per quanto riguarda i livelli più alti dell'istruzione, seppur ancora lievemente inferiore al valore medio nazionale, nel giro di due anni la percentuale di laureati nella popolazione veneta di almeno 15 anni è cresciuta al pari della media nazionale; se nel 2004 il 7,7% della popolazione veneta con 15 anni e più e l'8,6% di quella nazionale vantavano come titolo di studio almeno la laurea, nel 2006 la corrispondente quota sale all'8,8% in Veneto e al 9,7% in Italia.
Nella nostra regione migliora la capacità di successo nel completare tale percorso di studio: in cinque anni il Veneto fotografa una crescita di oltre il 69% del contingente di laureati, da poco meno di 12.660 del 2001 a oltre i 21.430 del 2006, provvedendo quindi alla formazione di oltre il 7% del totale laureati in Italia.
Se si considera la fascia di età 20-29 anni, si evidenzia che sia a livello nazionale che nel Veneto i laureati nelle discipline scientifiche e tecnologiche sono in costante crescita, come secondo le indicazioni derivanti dalle linee strategiche europee.
Studiare fa bene ed è conveniente, in particolare ne beneficiano significativamente quanti giungono a concludere gli studi universitari; considerando le prospettive assegnate a quanti si immettono nel mondo del lavoro a livelli diversi di formazione, è interessante evidenziare qualche dato: nel 2007 in Italia il tasso di occupazione per la fascia d'età 35-44 anni si attesta per i laureati su un valore pari all'89,1% mentre per i diplomati sull'82,7%, un gap ancora più accentuato se consideriamo gli adulti tra i 45 e i 54 anni per i quali i tassi occupazionali dei laureati sono pari al 92,8%, quasi dieci punti percentuali in più del dato dei diplomati. E ancora più elevati sono i livelli occupazionali di coloro tra i 45 e 54 anni che possiedono la laurea nel Nord-Est dove il tasso è pari al 94,3% contro l'89,1% dei diplomati.
Inoltre, sebbene i guadagni di un laureato, soprattutto inizialmente, non siano proprio così elevati se si considerano tutti gli anni spesi nello studio e l'età quando escono dall'ambiente accademico per fare il loro vero ingresso nel mondo del lavoro, risulta che a poco più di tre anni dal conseguimento del titolo, un laureato che svolge un lavoro continuativo e a tempo pieno guadagna in media nel 2004 1.257 euro al mese, mentre il reddito medio mensile di un diplomato è pari a 942 euro.
Secondo l'indagine sulla condizione occupazionale dei laureati svolta dal Consorzio Interuniversitario Almalaurea nel 2007 (Nota 32), se emerge che il trattamento retributivo non è proprio dei migliori, in compenso risulta nel complesso buona la valutazione espressa dai laureati occupati sulle proprie condizioni lavorative.
In linea con il dato nazionale, su una scala da 1 a 10, la soddisfazione per il proprio impiego dei laureati che lavorano in Veneto nel 2007, ad un anno dalla laurea, si attesta su un valore pari a 7,2 punti, opinione più o meno condivisa da uomini e donne.
Ma la situazione dei giovani resta ancora critica: infatti, se da un lato in Italia è evidente la diminuzione consistente del tasso di disoccupazione giovanile, dall'altra si registrano ancora valori piuttosto elevati, nel 2007 20 ragazzi tra i 15 e i 24 anni su 100 delle corrispondenti forze lavoro cercano un'occupazione; migliore la situazione del Veneto che si distingue per essere la seconda regione con il tasso di disoccupazione giovanile più basso nella graduatoria regionale con un valore pari all'8,4%.
A distanza di anni, inoltre per i laureati, nel Veneto più frequentemente il lavoro precario si trasforma in un'occupazione stabile: infatti, a livello nazionale dopo cinque anni trova un impiego fisso il 70,2% dei laureati occupati, quattro punti percentuali in meno rispetto al dato veneto. Occorre evidenziare tra l'altro che nel 2007 crescono i rapporti a tempo indeterminato. L'indebolimento della precarietà potrà avere effetti positivi sugli stili di vita, particolarmente dei giovani, che, come si è osservato nel corso degli anni, tendono a ritardare la loro uscita dalla famiglia di origine, anche per motivi economici, e di conseguenza a formare una famiglia propria sempre più tardi.
In Italia la crescente scarsità di popolazione in età attiva, soprattutto quella giovanile, è motivo di richiesta di immigrati; tale dinamica si osserva anche in Veneto dove l'8,5% della popolazione fra i 15 e i 64 anni è costituito da stranieri e la quota sale ad oltre il 13% se si considerano solo i cittadini tra i 18 e i 30 anni, fascia di età nella quale spesso si realizza l'ingresso nel mondo del lavoro.
La distribuzione per età della popolazione residente in Veneto, difatti, evidenzia l'invecchiamento della popolazione e l'esiguità della componente più giovane, mentre gli oltre trecentomila stranieri residenti sono per il 77% in età lavorativa, spesso più disponibili alla mobilità e ad affrontare tipologie professionali di più basso profilo, sempre più escluse dai target occupazionali dell'offerta di lavoro veneta, e la cui domanda viene soddisfatta proprio dai cittadini stranieri.
Ma cosa fanno i giovani durante il loro tempo libero. Lo sport certamente favorisce la socializzazione ed è per loro soprattutto un modo salutare per superare le difficili fasi della crescita.
I dati sulla pratica sportiva giovanile in Veneto mostrano, per il 2005, che il 67,4% degli studenti delle scuole medie e superiori praticano sport con un picco del 77,5% per quelli di età fino ai 14 anni, per poi decrescere progressivamente al 61,7% tra i 15 ed i 18 anni e al 49,3% oltre i 19 anni. Su questa dinamica una forte influenza è esercitata dalle ragazze per le quali è molto pronunciata la tendenza all'abbandono dello sport. Infatti se a 14 anni quasi il 75% di esse pratica sport, a 19 tale percentuale si riduce al 30%, mentre i maschi continuano a praticare sport nel 64,6% dei casi, perdendo solo 15,7 punti percentuali. Le differenze tra i sessi rispetto alla pratica sportiva si cominciano ad evidenziare proprio a partire dall'età dell'adolescenza.
E' importante in queste delicate fasi di crescita riuscire infatti a sottrarre i giovani alle frequenti situazioni di rischio che essi si trovano ad affrontare. E' da ricordare infatti che in Europa gli incidenti stradali sono la prima causa di morte per i giovani dai 5 ai 29 anni, così in Veneto la fascia d'età tra i 18 e i 29 anni nel 2006 ha lasciato sulle strade 127 vittime; inoltre sempre più frequentemente i fatti di cronaca hanno per protagonisti individui giovani o giovanissimi.
Nel 2005 i minori denunciati (Nota 33) in Veneto sono 1.858 e di questi il 35,5% non è imputabile perché ha un'età inferiore ai 14 anni. In Veneto, tuttavia, il quoziente di delittuosità giovanile risulta il più basso tra le regioni italiane: su 100.000 giovani residenti in Veneto di età 10-17 anni si registrano 548 denunce, contro le 882 in Italia.

Inizio Pagina  La forza motrice della società

Nel 2006 sono oltre 2 milioni le donne di più di 15 anni in Veneto, circa 100.000 in meno i maschi. Anche se le donne possono sperare di vivere fino a 84,6 anni, circa 5 più degli uomini, questi godono di migliori condizioni di salute come dimostrano dati sia oggettivi che di percezione. Sono infatti prevalentemente loro ad essere colpite da malattie croniche, tenendo anche conto della loro maggiore longevità: in Veneto la componente femminile libera da malattie croniche è di circa 9 punti inferiore alla quota maschile (rispettivamente il 48,4% contro il 57%). D'altra parte è anche più elevata la percentuale di donne che non svolgono alcuna attività fisica, 41,6%, rispetto al 35,4% dei maschi, cosa che probabilmente le aiuterebbe a star meglio.
Sia per numero che per funzione sociale, le donne, soprattutto mamme, sono alla base di questa società. Considerando gli adolescenti veneti di età 11, 13 e 15 anni, infatti secondo un'indagine del 2002 dell'Organizzazione Mondiale della Sanità emerge che l'85,9% dei figli di 11 anni riesce a comunicare facilmente e ad avere un buon dialogo con la madre, più bassa è la percentuale se si considera il padre (64,7%). Peggiorano le relazioni con l'aumentare dell'età del figlio, ma la mamma resta sempre la mamma: i figli di 15 anni hanno per il 66% un buon rapporto con la madre, mentre meno della metà (40,2%) con il padre.
Il Veneto è protagonista di una crescita più marcata della fecondità di quella media italiana, in aumento di 0,31 nel 2007 rispetto al 1995. Tale ripresa può essere attribuita anche alla decisione posticipata di avere figli da parte delle donne venete, che hanno procrastinato le nascite in attesa di trovare un equilibrio da un punto di vista di relazione di coppia, di lavoro e abitativo: le curve dei tassi specifici di fecondità per età delle donne venete residenti evidenziano, infatti, nel 2005 una posticipazione rispetto a 10 anni prima dell'età in cui le donne hanno figli.
Ciò testimonia un profondo cambiamento nei costumi riproduttivi: le donne venete fanno meno figli rispetto a trent'anni fa - basti pensare che il numero medio di figli per donna nel 1970 era 2,39 - e li fanno ad un'età sempre più avanzata.
È complesso trovare le motivazioni corrette per le quali le donne decidono di avere meno figli rispetto al passato. Certamente la posticipazione di tale evento ha l'effetto di diminuire il numero totale di nati, data l'impossibilità fisiologica di procreare oltre una certa età e constatato che, dopo i 35 anni, i rischi connessi con la gravidanza aumentano notevolmente. Se da un punto di vista biologico si potrebbe avanzare l'ipotesi dell'affievolimento dell'istinto di sopravvivenza della specie e del senso della continuità biologica, è anche indubbia la presenza di una trasformazione dei modelli culturali.
Se si guarda al numero medio di figli desiderato, secondo gli ultimi dati disponibili del 2003 si constata che sia gli uomini che le donne in Veneto ne vorrebbero almeno 2 (2,1 per la precisione, valore esattamente uguale al valore italiano). Tale desiderio espresso, ma alla fine non realizzato, è in parte frutto di un modello culturale di famiglia tradizionale che vorrebbe la classica famiglia con due figli (magari un maschio e una femmina) e in parte frutto di una reale aspirazione che però non riesce a concretizzarsi.
E' necessario volgere maggiori sforzi per una migliore conciliazione della vita professionale con la vita privata e familiare, sfruttando così meglio il potenziale rappresentato dalle donne e ridurre i differenziali retributivi di genere. Una più ampia partecipazione nel mercato del lavoro viene favorita dall'aumento dell'utilizzo dei contratti part-time: anche nel 2007 il Veneto si conferma regione ad elevato uso della modalità di lavoro parziale, risultando la quarta tra le regioni italiane con una percentuale pari a quasi il 15%, oltre un punto percentuale in più del dato medio nazionale, mentre il 32% delle donne occupate sono a part-time, oltre cinque punti percentuali al di sopra del valore italiano.
La soddisfazione per la dimensione lavorativa, forse proprio per il fatto di poter godere di più tempo libero, è un po' più diffusa tra le donne occupate che tra gli uomini. Le donne lavoratrici italiane sono piuttosto contente di quello che fanno nel 78,1% dei casi, oltre due punti percentuali in più della componente maschile; valori più alti in Veneto dove il sesso femminile sfiora il 79% e quello maschile il 78%, questo nonostante i notevoli differenziali occupazionali: infatti, a fronte di un tasso occupazionale maschile in Veneto pari a 77,2% nel 2007, quello femminile è pari al 54%.
Purtroppo a parità di livello di preparazione, permane ancora una significativa differenza nel trattamento retributivo fra i generi: in generale, i neolaureati maschi che lavorano in Veneto nel 2007 percepiscono oltre 250 euro in più rispetto alle neolaureate femmine. Lo squilibrio più elevato si ha per gli architetti: dove una donna porta a casa uno stipendio inferiore a quello di un uomo di quasi 400 euro; seguono i farmacisti dove il gap si attesta su un valore di oltre 350 euro. Nel complesso, lo svantaggio è in parte dovuto anche dalle scelte stereotipate prese dalle ragazze, spesso orientate più verso un'istruzione di tipo umanistico, campi in cui dopo i guadagni non sono molto alti.

Inizio Pagina  Le diverse facce dell'anzianità

Il Veneto è in linea con le tendenze demografiche nazionali: il processo di invecchiamento della popolazione, seppure più lento rispetto alla situazione italiana, vede nel 2006 una quota pari a quasi 139 anziani di età superiore ai 65 anni ogni 100 giovani in età 0-14, con un incremento rispetto al 2001 di 2,7 punti percentuali. E il fenomeno sembra essere in continua ascesa, registrando un costante e progressivo sbilanciamento nella composizione della popolazione complessiva. Nell'ultimo ventennio gli anziani in Veneto sono aumentati in modo considerevole, infatti mentre al censimento del 1981 rappresentavano il 13% della popolazione, oggi ne costituiscono oltre il 19%. In particolare si è assistito ad un aumento consistente degli ultraottantenni. Aumentano le persone anziane sole, che in Veneto nel 2005-2006 sono il 13,6% delle famiglie; tra le donne sole, il 69,6% ha almeno 60 anni. Tale crescita, inoltre, sembra destinata a mantenersi: infatti, secondo quanto ipotizzano le previsioni sulla popolazione, entro il 2025 gli anziani nella nostra regione potrebbero aumentare fino a incidere per il 26% della popolazione.
La continua diminuzione della popolazione in età attiva, a fronte dello squilibrio tra chi produce o potenzialmente lo farà e chi beneficia dell'attività svolta in passato, comporta la necessità di assumere misure adeguate per attrarre e trattenere nel mercato del lavoro il maggior numero di persone. Occorre fornire incentivi ai lavoratori anziani perché restino attivi più a lungo e siano dissuasi dal ritirarsi troppo presto dalla vita lavorativa
Critica la situazione in Italia, dove nel 2007 appena 34 persone in età 55-64 anni su 100 risultano occupate; ancora più basso il dato veneto che si attesta su un valore pari al 31%, comunque in rialzo di due punti percentuali rispetto al dato dell'anno precedente. Più vicini al target, fissato dal Consiglio europeo di Stoccolma di raggiungere un tasso almeno del 50% entro il 2010, molti dei Paesi europei, primo fra questi la Svezia dove il 70% delle persone in età 55-64 anni ancora lavorano.
D'altro canto l'invecchiamento della popolazione rappresenta la principale criticità in tema di gestione della spesa per protezione sociale, in particolar modo per quanto riguarda il sistema pensionistico. Nel Veneto per il 2005 il rapporto tra anziani e popolazione attiva è meno squilibrato rispetto al resto del Paese, qui a 100 lavoratori corrispondono 62 pensionati, 71 nella media italiana. Ma il peso è ancora maggiore se si considera che il 24,2% dei pensionati beneficia di 2 pensioni, il 6,1% ne riceve 3 e l'1,3% addirittura 4 o più (Nota 34).
L'insorgenza nell'anziano di una condizione di dipendenza si ripercuote fortemente oltrechè sulla persona e sulle sue possibilità di essere attivo nella società, anche sulla sua famiglia e sulle sue dinamiche.
Oggi le famiglie venete comprendenti componenti anziani sono frequentemente costituite dai coniugi conviventi e dai figli, spesso già adulti e impegnati nella creazione di una loro nuova famiglia. L'aumento generalizzato della durata della vita consente alla coppia anziana di vivere più a lungo insieme e dunque l'eventuale presa in carico del familiare dipendente direttamente da parte del partner. Questa possibilità ricorre più frequentemente nel caso in cui l'anziano malato sia il marito, perché le donne spesso sono già vedove nel momento in cui insorge un problema di salute invalidante. In molti casi, invece, subentrano i figli nel ruolo di caregiver, trovandosi però a sostenere contemporaneamente il carico di cura sia rispetto ai genitori che ai propri figli. Il calo del numero di figli per donna che si è verificato a partire dagli anni '60, ha come diretta conseguenza la presenza di un numero ridotto di figli per genitore anziano, e dunque la scarsa disponibilità di figure di riferimento in caso di problemi di salute. I figli si trovano dunque spesso da soli a gestire l'assistenza al genitore non autosufficiente, in particolare se sono di genere femminile. Le donne infatti sopra i 50 anni sono sempre più coinvolte nell'affrontare e gestire il lavoro di cura sia verso le generazioni che le precedono sia verso quelle che le seguono, nel continuo tentativo di contemperare gli impegni familiari con quelli di lavoro.
In Veneto sono circa 169.000 le famiglie con almeno una persona disabile, tale dato fa molto riflettere infatti, anche se al di sotto della media nazionale, quasi una famiglia su 10 appartiene a questa categoria. Se poi pensiamo che l'83,2% delle famiglie venete con disabili ha un disabile anziano ci possiamo ancor più rendere conto di quanto diffusa sia la problematica, il dato ci colloca al di sopra della media nazionale, in posizione intermedia tra Lombardia e Toscana, e purtroppo è molto probabilmente destinato a salire: secondo alcune stime previsionali la presenza nella popolazione anziana veneta di persone completamente non autosufficienti potrebbe aumentare nel medio-lungo periodo portandosi da 103.226 persone nel 2005 a 172.180 nel 2025.



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Note

  1. Laura D'Andrea Tyson, presidente del Council of Economic Advisors dell'Amministrazione Clinton del 1994.
  2. Nel 1974 Richard Easterlin, attualmente professore di Economia all'Università della Southern California e membro dell'Accademia Nazionale delle Scienze, ricercando le ragioni per la limitata diffusione della moderna crescita economica evidenziò per dimostrare con il «paradosso della felicità» (noto ancor oggi come «Easterlin Paradox») che nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza. Questo paradosso, secondo Easterlin, si può spiegare osservando che, quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino ad un certo punto, poi comincia a diminuire, mostrando una 'curva ad U' rovesciata.
  3. Andrew Oswald, economista dell'Università di Warwick in Inghilterra.
  4. Con 'famiglia' si intende, secondo la definizione data dall'Istat, un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune (anche se non sono ancora iscritte nell'anagrafe della popolazione residente del comune medesimo). Una famiglia può essere costituita anche da una sola persona.
  5. Le classi dimensionali delle abitazioni sono le seguenti: monolocali (fino a 45 m2), piccola (tra 45 e 60 m2), medio-piccola (tra 60 e 90 m2), media (tra 90 e 120 m2), grande (maggiore di 120 m2).
  6. Si tratta dei dati sui fabbisogni occupazionali previsti dalle imprese di fonte Unioncamere-Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior 2007.
  7. Stime e previsioni disponibili ad aprile 2008
  8. Dati desunti dall'indagine Istat sulla Struttura e la competitività del sistema delle imprese in Italia. I dati sono stati raccolti attraverso due distinte rilevazioni statistiche che hanno interessato complessivamente circa 53.000 imprese rispondenti: quella sulle piccole e medie imprese e sull'esercizio di arti e professioni e la rilevazione sul sistema dei conti delle imprese. La prima, di natura campionaria, osserva le imprese con 1-99 addetti mentre la seconda ha carattere censuario e rileva le imprese con almeno 100 addetti.
    Entrambe, congiuntamente all'utilizzo di dati di fonte amministrativa, concorrono a tracciare il quadro strutturale dei risultati economici delle imprese italiane secondo i criteri stabiliti dal Regolamento sulle statistiche strutturali sulle imprese n. 58/97 (SBS) emanato dall'Unione europea. In particolare, i dati si riferiscono alle imprese che operano nei settori dell'industria e dei servizi - ad esclusione del comparto dell'intermediazione monetaria e finanziaria e delle attività di organizzazioni associative - disaggregati per settore di attività economica, dimensione aziendale e localizzazione delle attività.
  9. Confronto effettuato sul dato provvisorio 2006.
  10. Confronto effettuato sul dato provvisorio 2006.
  11. In termini occupazionali, in occasione del Censimento Istat del 2001 l'incidenza del Veneto sul numero totale di dipendenti in Italia nei settori considerati dalla banca dati Reprint era risultata complessivamente pari all'11,2%. In termini di export, nel 2007 l'incidenza del Veneto sul totale nazionale è risultata pari al 13,3%.
  12. Senza partecipazione al capitale di rischio.
  13. Ultimo anno disponibile.
  14. Essa associa le varie voci del settore manifatturiero a ciascun livello tecnologico (alto, medio-alto, medio-basso, basso) basandosi sui valori mediani della distribuzione della spesa in ricerca e sviluppo in rapporto al valore aggiunto in ciascun settore in dodici Paesi membri nel 1999.
  15. Industria tradizionale del made in Italy, abbigliamento, mobili, agroalimentare.
  16. Definizione del settore dei servizi mutuata da Enzo Rullani.
  17. Commercio, alberghi e ristoranti.
  18. Trasporti, attività imprenditoriali e settore immobiliare.
  19. Sistema Nazionale per l'Accreditamento degli Organismi di Certificazione e Ispezione. E' stato costituito nel 1991, in forma di Associazione senza scopo di lucro, legalmente riconosciuta dallo Stato Italiano con Decreto Ministeriale del 16 Giugno 1995.
  20. Le certificazioni rilasciate possono riguardare sia le organizzazioni nel loro complesso sia singoli siti produttivi di esse. I dati qui presentati vanno pertanto letti tenendo conto del fatto che possono riguardare più siti di una stessa organizzazione.
  21. Si tratta dei mercati riservati all'esercizio della vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli alla cittadinanza.
  22. ISMEA - 2004.
  23. Con l'entrata in vigore dei regolamenti comunitari che costituiscono il cosiddetto 'pacchetto igiene', nato per semplificare e aggiornare la legislazione del settore dell'igiene dei prodotti alimentari e per estendere a tutte le fasi di produzione le garanzie di sicurezza della politica sanitaria europea, è stato emanato il regolamento (CE) n. 882/04 relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere animale.
  24. La speranza di vita di una popolazione ad una certa età x, è definita dal numero medio di anni che restano da vivere ai sopravviventi all'età x, calcolata in base all'esperienza in atto della sopravvivenza nella popolazione di riferimento.
    Viene generalmente assunto come indicatore sintetico di livello di salute di una comunità, misuratore degli effetti congiunti dell'intero sistema di fattori (determinanti o di rischio) che influiscono sulla salute delle persone che vivono e lavorano nel territorio.
  25. L'Istat introduce il questionario dell'indagine statistica multiscopo sulle famiglie 'Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari 2004-2005' con la domanda 'Come va in generale la sua salute ?'. Le cinque modalità di risposta previste sono 'Molto bene', 'Bene', 'Discretamente', 'Male' e 'Molto male'.
  26. La citazione appartiene a Giovenale (Satire, X, 356).
  27. L'indicatore di salute è stato costruito tenendo conto di diversi aspetti: la speranza di vita, la mortalità, gli stili di vita, l'autopercezione dello stato di salute, la prevenzione e la morbosità.
  28. Il settore 'alberghi e ristoranti' comprende alberghi, hotel, pensioni e simili, ostelli per la gioventù, rifugi di montagna, campeggi ed altri alloggi per brevi soggiorni; ristorazione; bar e caffetterie; birrerie, pub, enoteche ed altri esercizi simili senza cucina; mense; catering e banqueting.
  29. Asilo nido, nido integrato, micronido, centro infanzia, nido famiglia, nido aziendale.
  30. PISA è un'indagine internazionale promossa dall'OCSE e si svolge con cadenza triennale; nel 2006 ha visto la partecipazione di 57 Paesi (30 dell'OCSE e 27 Paesi partner). Si tratta di un'indagine rivolta a misurare le competenze acquisite dagli studenti quindicenni scolarizzati in quattro aree: tre propriamente disciplinari - letteratura, matematica e scienze - e la quarta riguarda la capacità di 'problem solving', ossia la capacità di mettere in atto processi cognitivi per affrontare e risolvere situazioni reali; è un'indagine di tipo campionario e Il campione italiano nel 2006 è costituito da 806 scuole per oltre 21.770 studenti che rappresentano circa mezzo milione di quindicenni secolarizzati. Il campione veneto è costituito da 53 unità scolastiche per un ammontare di 1.530 studenti a rappresentare poco più di 40.000 studenti quindicenni della regione.
  31. Si fa riferimento a dati ricavati da un primo rapporto elaborato dall'Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, il cui scopo è eminentemente divulgativo.
  32. Si tratta di un'indagine campionaria rivolta ai laureati di 45 atenei italiani fra cui quelli veneti.
  33. I dati sulla criminalità raccolti ed elaborati da Istat sono riferiti ai reati e non ai soggetti che li compiono, quindi uno stesso soggetto potrebbe comparire più volte nell'elenco. Inoltre, se un soggetto compie più reati riuniti in un'unica denuncia, verrà rilevato solo il reato giudicato più importante.
    Si specifica, inoltre, che il numero di denunce risente della propensione alla denuncia della popolazione di un dato territorio.
  34. Le prestazioni pensionistiche possono essere classificate in base alle seguenti tipologie: Ivs (invalidità, vecchiaia, superstiti); Indennitarie; Assistenziali (invalidi civili, non vedenti civili, non udenti civili, invalidi civili (indennità di accompagnamento), non vedenti civili (indennità di accompagnamento), non udenti civili (indennità di accompagnamento), pensioni o assegni sociali, pensioni di guerra).


Tabella 1
Tabella con indicatori di Lisbona 2007.
Figura 1
Measuring Satisfaction.

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