Vai all'indice Indice capitoli             Vai alla pagina iniziale Home  
Il Veneto, i competitor e le regioni europee

Com'è divenuto oramai consuetudine, anche in questa edizione del Rapporto Statistico viene dedicato un capitolo al confronto tra il Veneto e altre realtà regionali italiane ed europee e raggruppamenti di raffronto come Italia e Unione Europea. In modo particolare la nostra regione viene comparata con Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Baden-Württemberg, Bayern, Cataluña e Rhône-Alpes, considerate sue competitor in quanto tutte regioni che possiedono economie evolute, ad alto reddito e con dinamiche sociali generalmente somiglianti. Il capitolo, però, è arricchito di un nuovo ingrediente: all'interno del variegato panorama costituito dalle regioni europee si è cercato di offrire una fotografia che faccia emergere similitudini e differenze secondo alcune caratteristiche socio-economiche analizzate. L'obiettivo è sempre di tentare di cogliere elementi in grado di valutare il livello di qualità della vita, aspetto multidimensionale, difficilmente quantificabile attraverso un'unica misura. Esso è condizionato oltre che da aspetti oggettivi, anche dalle percezioni delle persone e quindi da giudizi soggettivi. Anche considerando solo i fattori più oggettivamente misurabili, essi rappresentano molteplici sfaccettature all'interno del concetto di qualità, difficili da sintetizzare in un unico indicatore di benessere collettivo.
In quest'ottica sono stati individuati sei settori di interesse, ritenuti in grado di delineare un quadro sulla qualità della vita di una regione: il settore economico, il lavoro e l'istruzione, l'innovazione, l'attrattività turistica, la popolazione e lo stato di salute. Per ciascuno di questi settori si sono considerati alcuni indicatori elementari, successivamente rielaborati in misure sintetiche (fattori) attraverso una procedura fattoriale. A partire dai fattori sintetici individuati e grazie all'utilizzo di una procedura statistica denominata cluster analysis, le regioni europee sono state accorpate in gruppi tipologici omogenei al loro interno e caratterizzati da alcuni aspetti prevalenti che li contraddistinguono dagli altri.
La prima parte del capitolo riporta le conclusioni della cluster analysis: oltre a presentare la mappa delle regioni europee suddivise nei sei raggruppamenti individuati con la procedura di clusterizzazione, per ogni gruppo tipologico vengono poi proposte una descrizione delle sue principali peculiarità e una mappa del fattore caratterizzante, indicatore composito ottenuto attraverso la combinazione di più variabili.
Nella seconda parte del capitolo, invece, viene presentata una serie di schede relative ad indicatori utilizzati anche nella cluster e ritenuti significativi. In ognuna delle schede-indicatori viene messo a confronto il Veneto con le regioni competitor, con l'Italia e con l'Unione Europea.
Per ogni indicatore scelto vengono proposti tre grafici, relativi il primo alla serie storica degli ultimi cinque anni, il secondo al valore dell'ultimo anno disponibile e il terzo, un po' più articolato, alla variazione percentuale nel quinquennio di riferimento, alla variazione percentuale nell'ultimo anno e al valore dell'ultimo anno.
Avvertenze
Per quanto riguarda l'analisi fattoriale e la cluster analysis, gli indicatori impiegati sono stati calcolati a partire dai dati di Eurostat ed Espon. Tre fattori hanno influenzato i risultati dell'analisi: la presenza di dati regionali mancanti, al posto dei quali è stata imputata la media della nazione di appartenenza, la differenza fra regioni e fra indicatori nella disponibilità temporale dei dati, per cui per ciascuna regione europea è stato considerato l'anno disponibile più recente, e la carenza di informazioni riscontrata per alcuni dei settori di interesse.
Per quanto riguarda l'elaborazione delle schede-indicatori, i dati su cui si basa l'analisi sono principalmente di fonte Eurostat. Per ogni argomento si è cercato di rappresentare la tendenza del fenomeno attraverso lo studio della serie storica, ma non è stato possibile riprodurre sempre gli stessi anni; vengono perciò presentati gli ultimi aggiornamenti disponibili. Per il Veneto sono disponibili dati più aggiornati per quasi tutti gli argomenti, ma per operare i dovuti confronti sono stati proposti i valori temporalmente omogenei per l'insieme di regioni analizzate. Si noteranno infatti alcune differenze tra i dati presentati nella prima parte di questo rapporto e quelli esposti nella seguente trattazione: questo è dovuto alla necessità di renderli omogenei tra loro e con alcune definizioni di Eurostat che non sempre coincidono esattamente con quelle ufficiali utilizzate a livello nazionale.

Inizio Pagina  I risultati della cluster analysis

Dall'analisi statistica condotta è risultata una mappatura del territorio europeo sostanzialmente in linea sia con le aspettative derivanti dalla conoscenza del territorio oggetto di studio sia con quanto riportato dalla Commissione delle Comunità Europee nella sua "Quarta relazione sulla coesione economica e sociale".
L'Europa a 27 membri che conosciamo oggi è il risultato del processo di allargamento iniziato nel maggio 2004 con l'adesione di dieci nuovi Stati membri e conclusosi il primo gennaio 2007 con l'adesione di Romania e Bulgaria. A causa soprattutto delle differenze interne che caratterizzano questi territori, i nuovi ingressi hanno reso più impegnativo il raggiungimento degli obiettivi fissati originariamente nel 2000 dalla Strategia di Lisbona e rivisti nel 2005 come strategia per una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro, e una maggiore coesione sociale. Esistono infatti grandi disparità socioeconomiche tra gli Stati membri e tra le regioni. Queste disparità di reddito e di sviluppo sorgono da lacune strutturali registrate in alcuni fattori chiave di competitività quali gli investimenti in infrastrutture materiali, l'innovazione, le risorse umane e lo sviluppo sostenibile, con il risultato che alcune regioni crescono a velocità doppia rispetto a quella media del gruppo e altre che si sviluppano a tassi inferiori all'1% medio annuo. La sfida della politica di coesione consiste nell'investire nei fattori di competitività, per permettere agli Stati membri e alle regioni di superare i loro rispettivi problemi strutturali. E, secondo quanto riportato dalla Commissione Europea nella quarta relazione, risulta che "grazie ad un approccio rigoroso, la politica di coesione è riuscita ad influenzare i livelli di vita e di opportunità in tutta l'Unione". Progressi sono stati compiuti, ed in particolar modo dai nuovi Paesi membri, in termini di Pil, di Pil pro capite, di sostegno agli investimenti, di crescita e creazione di posti di lavoro, di produttività, di sostegno alla capacità d'innovazione, di investimento in capitale umano. E' indubbio, comunque, che malgrado questi progressi, le differenze in termini assoluti fra Paesi e regioni rimangono ancora importanti. Ciò è dovuto in parte all'allargamento e in parte al fatto che la crescita, nelle prime fasi dello sviluppo, tende a concentrarsi nelle zone più dinamiche dei Paesi.
Dall'analisi condotta si sono individuati sei gruppi di regioni che non stupiscono per la loro composizione. Essi testimoniano le differenze tra paesi e regioni e danno evidenza di disparità e ritardi più evidenti per i Paesi di nuova adesione e per quelli dell'Europa meridionale.
Tutte le regioni con maggiore solidità economica e sociale appartengono al primo gruppo originario di Paesi membri dell'Unione Europea, all'ex UE15; i dieci Stati che hanno aderito nel 2004 hanno compiuto progressi tali che li hanno portati al pari del resto del Sud Europa; tra le ultime adesioni, Romania e parte della Bulgaria si dimostrano in ritardo di sviluppo ma con buone potenzialità da far sfruttare nel futuro, grazie anche al sostegno finanziario delle politiche di coesione comunitarie. (Figura 14.1)

Inizio Pagina  Le regioni della solidità economica

Il primo gruppo tipologico, contando 111 regioni, è quello più numeroso e comprende territori di Paesi appartenenti al primo gruppo originario dell'Unione Europea, l'UE15. In particolare, del gruppo fanno parte Olanda, Lussemburgo, Danimarca e alcune regioni di Irlanda, Gran Bretagna, Belgio, della Francia, dell'Austria, della Spagna e della Germania e alcune regioni scandinave. Tra le regioni d'Italia, che risulta divisa in due gruppi, figurano il Veneto e le restanti regioni del Nord, Valle d'Aosta e Trentino escluse, oltre a Toscana, Umbria e Lazio. Si nota come siano comprese in questo raggruppamento tutte le regioni competitor del Veneto e molte regioni con la capitale di Stato, anche se il resto del Paese non appartiene allo stesso gruppo, a testimonianza della tendenza ad emergere di nuovi centri urbani di crescita.
Si tratta di regioni con economie ormai solide e strutturate, che comunque hanno dovuto far fronte negli ultimi anni ad una fase di marcata debolezza ciclica, e che si caratterizzano per il livello di benessere economico più elevato d'Europa, come evidenzia la mappa disegnata secondo il "fattore di ricchezza" e riportata in Fig. 14.2.
Notevole è il livello raggiunto da questi territori nei settori secondario e terziario, che manifestano un incremento naturalmente inferiore rispetto alle regioni tuttora in piena ristrutturazione economica, come abbastanza elevati risultano gli investimenti in ricerca e sviluppo.
Come ci si può aspettare, sono elevati i livelli occupazionali e di formazione professionale: una forza di lavoro educata e qualificata è un fattore decisivo per un'economia competitiva.
L'incremento della popolazione in queste regioni è sostenuto, in particolare grazie a saldi migratori piuttosto elevati, spiegati dall'attrattività che le caratteristiche socio-economiche di questi territori esercitano su cittadini stranieri. Lo stato di salute delle persone appare decisamente migliore rispetto alla media europea, probabilmente per l'abitudine a stili di vita abbastanza sani e corretti; a dimostrazione di ciò è sufficiente osservare quanto l'elevata speranza di vita faccia pesare molto le fasce anziane sulla popolazione. (Figura 14.2)

Inizio Pagina  Le regioni inseguitrici

Questo gruppo comprende alcune regioni finlandesi, altre della Francia, del Belgio, della Spagna e qualcuna dei paesi oltre Manica.
Quello che subito risalta è che vengono accomunate zone dell'area nordica con altre di quella mediterranea: le caratteristiche che le accomunano sono in primis la tendenza a registrare un alto aumento demografico dovuto a nuove nascite e un'economia basata principalmente sul settore primario, fattori che riconducono queste regioni ad uno stile di vita più rurale di altre regioni dell'Europa centro-settentrionale. Questi territori sono caratterizzati da discreti livelli di ricchezza e, a fianco ad una bassa crescita dei settori secondario e terziario, buona è la crescita del settore primario. Le regioni di questo gruppo mostrano infatti alcuni tra i valori più alti rilevati nelle regioni europee in merito al fattore relativo alla crescita del settore agricolo e dell'allevamento, come risulta anche dalla mappa relativa al fattore "crescita del settore primario".
Nonostante risulti buona l'attenzione alla formazione dei giovani e degli adulti, in queste regioni sono rilevate alcune criticità nel settore occupazionale.
L'attrattività turistica delle regioni di questo gruppo risulta essere al di sotto della media europea, così come l'avanzamento del settore della ricerca e sviluppo.
La struttura demografica appare piuttosto dinamica, caratterizzata da buoni incrementi naturali e da una struttura giovane della popolazione.
Per altri aspetti, all'interno di questo gruppo si distinguono regioni tra loro più eterogenee. In particolare, le regioni appartenenti al bacino mediterraneo mostrano una popolazione con tassi di mortalità per alcool e suicidi più ridotti rispetto ai paesi nordici, denotando quindi un maggior benessere percepito nella qualità della vita. (Figura 14.3)

Inizio Pagina  Le regioni del paradosso

E' questo il gruppo tipologico più difficile da descrivere. Esso, infatti, sembra non caratterizzarsi per un fattore in particolare. Si tratta di regioni che per molti indicatori legati al benessere economico potrebbero stare con i territori della solidità economica precedentemente descritti. Ciò che le differenzia sembrano essere più che altro alcuni segnali di malessere sociale, e da qui il "paradosso" del titolo.
Il gruppo include buona parte di regioni della Svezia e qualche regione della Germania. L'economia di queste aree, poco centrata su agricoltura e allevamento, mostra un buon investimento nel settore della ricerca e sviluppo, che vede in particolar modo le regioni svedesi spendere molto per il settore e investire molto anche in termini di risorse umane. Anche indicatori sociali quali la formazione universitaria e la formazione permanente durante il periodo di occupazione, in queste regioni danno indicazioni positive.
Segnali negativi arrivano, invece, da alcuni degli indicatori che aiutano a descrivere il livello di "felicità" degli individui, la loro soddisfazione esistenziale, il loro ben-essere psichico e fisico.
Come osservato nella Quarta relazione sulla coesione economica e sociale della Commissione europea, una delle tendenze predominanti di queste regioni è una significativa migrazione verso altri territori. In particolare, sembrano i giovani i più propensi a cercare altrove opportunità lavorative. Tali territori, inoltre, mostrano profili di mortalità per alcool e suicidi sopra la media europea, segnale negativo per quello che può essere il grado di soddisfazione esistenziale da parte dei cittadini di queste aree del Nord Europa. Infine la popolazione si caratterizza per la rilevanza della componente anziana, per una mortalità contenuta e per tassi di natalità elevati soprattutto nelle regioni scandinave. (Figura 14.4)

Inizio Pagina  Le regioni in ritardo

Il gruppo accomuna buona parte delle regioni dell'Europa mediterranea, in particolare di Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, alcune regioni britanniche, tutte le regioni (escluse due) appartenenti ai dieci Stati entrati a far parte dell'Unione Europea nel 2004 e la Bulgaria (esclusa una regione). Le regioni italiane che appartengono a questo gruppo sono quelle dell'Italia meridionale e insulare, oltre alle Marche.
Come evidenzia la mappa europea del "fattore occupazione", la peculiarità del gruppo è una preoccupante situazione occupazionale, che vede in particolar modo nelle aree mediterranee, Portogallo escluso, e nella maggior parte delle regioni dell'Europa dell'Est, tassi di occupazione contenuti, anche per le fasce giovanili della popolazione, a fianco ad un basso investimento nella formazione.
Si tratta di regioni con modesta ricchezza economica, che puntano ancora nel settore primario, tralasciando l'investimento in industria e servizi, in particolar modo nella ricerca e sviluppo.
La struttura della popolazione di queste zone è abbastanza diversificata all'interno delle differenti aree geografiche: le regioni dell'Europa orientale si caratterizzano per un peso della popolazione anziana inferiore alla media europea, fenomeno non sempre verificato nelle altre regioni appartenenti al gruppo.
Il fatto che i dieci Stati membri dell'UE dal 2004 e quasi tutta la Bulgaria appartengano allo stesso gruppo delle regioni mediterranee si può leggere come risultato positivo della politica europea di coesione economica e sociale. Rileva, infatti, la Commissione che "sono i nuovi Stati membri, in particolare quelli a basso Pil per abitante, ad aver mostrato la crescita più evidente e ad aver colmato più rapidamente il loro ritardo". In particolare, il Pil di Estonia, Lettonia e Lituania è quasi raddoppiato dal 1995 al 2005, mentre i tassi di crescita di Polonia, Ungheria e Slovacchia sono più che raddoppiati rispetto alla media dell'UE. (Figura 14.5)
Le regioni dell'Est Europa in sviluppo
Il gruppo comprende tutte le regioni della Romania e alcuni territori di Bulgaria, Slovacchia e Polonia.
Si tratta delle regioni europee meno ricche e meno solide dal punto di vista economico, caratterizzate da prodotto interno lordo molto basso, ma in via di sviluppo, come testimonia il crescente investimento nei settori secondario e terziario.
La Commissione Europea ritiene che, sulla base dei tassi di crescita attuali, tali regioni impiegheranno più di 15 anni per raggiungere un Pil pro capite pari ai tre quarti della media europea. Per il raggiungimento di tale obiettivo le regioni di questo gruppo puntano sullo sviluppo dei settori chiave del mercato, il secondario e il terziario, come evidenzia la mappa in Fig. 14.6. In questi territori non si investe adeguatamente nella formazione dei propri cittadini: a bassi livelli di occupazione si accompagnano, infatti, livelli di formazione universitaria e permanente molto al di sotto della media europea.
Le aziende operanti sul territorio non puntano ancora sul settore della ricerca e sviluppo, come dimostrano i bassi livelli di spesa in questo ambito. Il profilo demografico di queste regioni vede una popolazione relativamente giovane, con tassi di natalità in media con il resto dell'Europa, con una particolare propensione ad avere figli in età più precoci, cosa che determina un ricambio più veloce della popolazione.
Accanto ad una situazione sanitaria ancora in via di sviluppo, tale gruppo presenta livelli di mortalità della popolazione ancora piuttosto elevati rispetto allo standard europeo. (Figura 14.6)

Inizio Pagina  Le regioni del turismo e della tradizione

Il gruppo è composto da un esiguo insieme di regioni caratterizzate da buoni livelli occupazionali, caratteristica che almeno in parte spiega l'alto saldo migratorio osservato sul territorio.
L'investimento nella formazione è marginale: ad una bassa quota di popolazione laureata si accompagna un limitato investimento in formazione permanente.
Lo stato di salute della popolazione è buono, la mortalità è contenuta, anche grazie ad un efficiente servizio di assistenza sanitaria. L'elemento distintivo del gruppo è sicuramente l'alto sviluppo del turismo, che rappresenta, assieme all'attività nel settore primario, il principale settore trainante dell'economia di queste regioni.
Questo gruppo comprende principalmente regioni costiere e montane, che più di altre si distinguono per un'economia quasi esclusivamente basata sul turismo. Il tasso di turisticità delle regioni appartenenti a questo gruppo assume infatti i valori massimi che si riscontrano in Europa.
Decisamente contenuta è la crescita di altri settori, come quello dei servizi, e si osserva un basso investimento in ricerca e sviluppo.
Le regioni italiane che appartengono a questo gruppo sono il Trentino Alto Adige e la Valle d'Aosta. (Figura 14.7)


Figura 14.1
I risultati della cluster analysis
Figura 14.2
Fattore di ricchezza
Figura 14.3
Fattore di crescita del settore primario
Figura 14.4
Fattore relativo all'anzianità della popolazione
Figura 14.5
Fattore relativo all'occupazione
Figura 14.6
Fattore di crescita dei settori secondario e terziario
Figura 14.7
Tasso di turisticità


Inizio Pagina  Schede




Popolazione al 31 dicembre
L'evoluzione demografica di un territorio è rappresentativa di numerosi e importanti aspetti sociali, influenti sul livello di qualità della vita: dall'allungamento della vita media dovuto a migliori condizioni di salute e migliori condizioni economiche, fino alla crescita demografica dovuta principalmente alla componente migratoria che compensa il generalizzato calo delle nascite.
Dal 1990 si assiste, infatti, ad un lento ma continuo sviluppo demografico in ognuna delle regioni europee considerate. L'incremento è stato particolarmente consistente nella Catalogna, che ha visto crescere la sua popolazione del 14,5% nel giro di quindici anni e del 10,3% dal 2000, arrivando a contare quasi sette milioni di residenti alla fine del 2005.
Tra le regioni italiane, nel 2005 il Veneto arriva ad ospitare 4.738.313 abitanti, il 5,1% in più rispetto al 2000 e l'8,4% rispetto al 1990. La crescita è stata più moderata in Toscana (+2,5% dal 1990 e 3,6% dal 2000) e in Piemonte (+0,8% dal 1990 e +2,9% dal 2000). Essendo queste le regioni, tra quelle qui considerate, con il più alto indice di vecchiaia e il più basso indice di natalità, tale crescita si può probabilmente attribuire prevalentemente al contributo migratorio degli stranieri. (Figura 14.8)

Figura 14.8
Popolazione al 31 dicembre.
Tasso di natalità
Lo sviluppo economico di un territorio è strettamente legato alla sua evoluzione demografica. L'Italia è un Paese demograficamente vecchio e la crescita della popolazione è da attribuirsi solo in parte alle nuove nascite: è consistente, infatti, l'effetto della componente migratoria sia in termini di saldo migratorio, sia in termini di natalità.
Il tasso di natalità coglie il contributo delle nascite al generale incremento della popolazione. Tuttavia, si tratta di un indice generico che permette confronti solo in via approssimativa perché dipende da molteplici fattori (demografici, socio-economici, politici, culturali, ecc...): per comprendere le differenze osservate tra le regioni europee considerate e fare un'analisi corretta sarebbe necessario valutare almeno anche la struttura per età e sesso delle popolazioni.
Nel 2005, la media europea è di 10,4 bambini nati vivi ogni 1.000 residenti, mentre in Italia si attesta a 9,3.
In termini di elevata natalità, spiccano Rhône-Alpes (13,1 per 1.000) e la Catalogna (11,6), regioni con popolazioni relativamente giovani per le quali si osserva anche un indice di vecchiaia piuttosto contenuto. In Italia, benché su livelli nettamente inferiori e soprattutto grazie alla componente straniera, solo il Veneto e la Lombardia superano di poco la media nazionale.
Il generale rallentamento del numero di nascite, intrapreso già da anni in Europa e in molti dei Paesi industrializzati, è confermato dalle variazioni negative o ridotte che il tasso di natalità ha subito nell'ultimo anno e dal 2001 in quasi tutte le regioni europee considerate. (Figura 14.9)

Figura 14.9
Tasso di natalità.
Indice di vecchiaia
L'Italia è uno dei Paesi più vecchi d'Europa dove la componente più giovane della popolazione è sempre più composta dalle nuove generazioni degli immigrati stranieri.
In linea con il valore medio italiano (139,9%), nel 2005 l'indice di vecchiaia raggiunge il 138,2% in Veneto e il 142,6% in Lombardia.
In Piemonte, Emilia Romagna e Toscana, tale indicatore assume, invece, valori ancora più elevati con oltre 180 anziani ogni 100 giovani con meno di 14 anni, in netta contrapposizione a quanto accade nelle regioni straniere considerate. Nel territorio francese di Rhône-Alpes, l'indice di vecchiaia è da anni stabilmente sotto la soglia del 100%, mentre nella Catalogna, perdendo 2,3 punti percentuali nell'ultimo anno e 9,6 dal 2001, arriva nel 2005 al 115,9%, come risultato di un costante e significativo trend decrescente.
In Italia, benché su livelli nettamente superiori, si assiste al rallentamento dell'indice di vecchiaia solo in Emilia Romagna e in Toscana, dove è in calo, rispettivamente, di 2,3 e 0,4 punti percentuali rispetto al 2004 e di 9,7 e 0,5 punti rispetto al 2001.
Il Veneto, invece, come le rimanenti regioni italiane considerate, evidenzia un'evoluzione positiva nell'invecchiamento della popolazione: dal 2001, infatti, il numero di anziani ogni 100 individui giovani è aumentato di quasi 3 punti, contribuendo ad accrescere lo squilibrio, sociale ed economico, tra la componente anziana e quella giovane e produttiva. (Figura 14.10)

Figura 14.10
Indice di vecchiaia.
Tasso di mortalità
Il tasso di mortalità di una popolazione fornisce solo un'informazione grezza sulle dinamiche di mortalità, mentre per un'analisi più approfondita del fenomeno sarebbe consigliabile uno studio per cause di morte e per età della popolazione stessa.
Così facendo, ci si accorgerebbe che la quota più consistente di decessi ha come cause patologie cardio-vascolari e tumori, specchio tra l'altro di una popolazione progressivamente più anziana, nella maggior parte delle regioni europee più sviluppate.
Invero, il recente, ma contenuto, innalzamento del tasso è in parte spiegato dal progressivo invecchiamento della popolazione, non del tutto compensato da nuove nascite.
Questo è vero soprattutto per l'Italia, che tra l'altro nel 2005 si conferma la nazione europea con maggior quota di anziani rispetto alla fascia giovanile: secondo i dati regionali 2003 dell'Eurostat, le regioni italiane sono tra quelle con i più elevati tassi di mortalità. In particolare Piemonte, Toscana ed Emilia Romagna presentano valori sopra la media nazionale, con quasi 1.200 morti ogni 100.000 abitanti. Valori più contenuti per il Veneto (942 decessi ogni 100.000 abitanti), dello stesso ordine di grandezza di Lombardia, Catalogna e delle regioni tedesche. Il tasso più contenuto si osserva per Rhône-Alpes (812,5), che per contro registra il tasso di natalità più elevato, indice di una struttura per età della popolazione più giovane rispetto alle restanti regioni europee analizzate. (Figura 14.11)

Figura 14.11
Tasso di mortalità.
Tasso di mortalità infantile
Gli indicatori sullo stato della salute infantile costituiscono elementi chiave per valutare le condizioni dell'intera popolazione, tanto che anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dedicato nel 2005 la giornata mondiale della salute ai temi materno-infantili.
Il tasso di mortalità infantile è un indicatore che si può legare anche a considerazioni di contesto sulle condizioni sanitarie e socio-economiche di un territorio, e per questo viene spesso impiegato per tracciare un quadro non solo di salute ma anche di benessere dei paesi in via di sviluppo.
A livello nazionale sono disponibili per l'Europa i dati del 2004, ma Eurostat per un confronto tra regioni si ferma al dato meno recente del 1999. La media europea nel 2004 è superiore a 5 bambini deceduti ogni 1.000 nati, valore al di sotto del quale si collocano sia Italia che Spagna, Francia e Germania con tassi di mortalità infantile pari all'incirca a 4.
Nel confronto tra regioni, dai dati del 1999 si constata che il Veneto ricopre un'ottima posizione nella graduatoria delle regioni considerate, con un valore del tasso di mortalità infantile pari a 3,8, superiore solo alla Lombardia e inferiore di oltre un punto alla media italiana. Sono invece la Catalogna e il Piemonte le regioni con valori più elevati del tasso. Va comunque tenuto presente che molto probabilmente i valori attuali risulterebbero inferiori, vista la tendenza alla diminuzione del fenomeno nel medio-lungo periodo per la maggior parte delle regioni europee.
Rispetto a cinque anni prima, tutti i territori studiati registrano una diminuzione della mortalità infantile, ad eccezione della Catalogna. (Figura 14.12)

Figura 14.12
Tasso di mortalità infantile.
Pil pro capite
In ambito europeo il Veneto continua a mantenere una buona posizione rispetto al Prodotto Interno Lordo per abitante calcolato in parità di potere d'acquisto: nel 2005, ultimo anno disponibile di confronto con le altre regioni europee, il Pil pro capite veneto risulta di 27.691 euro, superiore del 18% a quello nazionale.
Nel 2005 le regioni che hanno un Pil per abitante superiore ai 30.000 euro sono la Baviera e la Lombardia.
In termini di dinamica annua il Pil pro capite del Veneto è aumentato nel 2005 del 1,2%, 0,5 punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale. Anche le altre regioni italiane non hanno registrato risultati brillanti: +1,5% in Toscana, -0,5% in Lombardia, 0,7% in Piemonte e -1,6% in Emilia Romagna, ciò a conferma che il 2005 per l'Italia è stato un anno a crescita zero.
Estendendo il periodo di osservazione, dal 2001 al 2005, l'incremento del Pil pro capite più elevato è stato realizzato in Cataluña, +15,6%, l'unica regione, tra quelle selezionate, che ha fatto registrare una crescita superiore a quella della media dei 27 paesi dell'Unione, +13,6%. (Figura 14.14)

Figura 14.14
Pil pro capite.
Percentuale del valore aggiunto dei servizi sul valore aggiunto totale
L'analisi della dinamica del valore aggiunto conferma che è ancora in atto il lungo processo di terziarizzazione del tessuto economico dei paesi più industrializzati: ovunque si riduce il peso del settore manifatturiero ed aumenta quello dei servizi.
La regione del Rhône-Alpes è quella che presenta la quota di valore aggiunto prodotto dai servizi più elevata rispetto alle altre regioni selezionate. Nel 2005 il valore aggiunto creato dal settore dei servizi del Rhône-Alpes è stato pari al 73% dell'intera ricchezza prodotta dalla regione francese, migliorando ulteriormente tale quota rispetto al valore del 69,5% registrato nel 2000.
Nel 2005 le regioni italiane che evidenziano il maggior peso dei servizi sul valore aggiunto totale sono la Toscana, 71,3%, e il Piemonte, 68,7%. Il Veneto, come noto ancora ad alta vocazione manifatturiera, chiude la classifica delle regioni italiane, con una quota dei servizi sul valore aggiunto complessivo pari al 63,6%.
Quanto alla dinamica del peso dei servizi negli ultimi cinque anni osservati, misurata in termini di differenza tra la quota 2005 e quella 2001, si evidenziano le performance del Piemonte (+4,4), della Toscana (+3,1), del Rhône-Alpes (+2,9), del Veneto e della Cataluña (+1,9). (Figura 14.15)

Figura 14.15
Percentuale del valore aggiunto dei servizi sul valore aggiunto totale.
Tasso di occupazione 15-64 anni
La strategia di Lisbona, auspicando la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro per una opportuna crescita qualitativa e quantitativa dell'economia e degli standard di vita della collettività, definisce alcuni obiettivi per l'Unione Europea, tra cui il raggiungimento di un livello occupazionale del 70% entro il 2010.
Le regioni italiane confrontate sono tutte largamente sopra la media occupazionale italiana, e al di sopra anche della media UE: il Veneto nel 2006 ha raggiunto un tasso di occupazione del 65,5%, posizionandosi terzo tra le regioni italiane considerate, dopo la Lombardia (66,6%) e l'Emilia Romagna (69,4%), regione quest'ultima che nel 2007 ha superato anche l'obiettivo UE con il 70,3%.
La situazione occupazionale della maggior parte delle regioni estere messe a raffronto è decisamente positiva: nelle regioni tedesche e nella Catalogna il target europeo è ben che superato, in alcuni casi anche da più di qualche anno. Rhône-Alpes invece registra livelli occupazionali piuttosto simili a quelli delle regioni italiane con cui è messo a confronto, registrando nel 2006 tra l'altro una situazione statica del tasso di occupazione sia rispetto all'anno precedente che a quattro anni prima. Tutte le rimanenti regioni italiane ed europee rilevano un aumento della percentuale di occupati sulla popolazione in età lavorativa sia nell'ultimo anno, sia rispetto al 2002: la Baviera ha incrementato il proprio livello occupazionale nell'ultimo anno in misura leggermente maggiore rispetto alle altre regioni europee, mentre la Catalogna mostra una buona performance di medio periodo, essendo cresciuto più del 9% il relativo tasso di occupazione dal 2002 al 2006. (Figura 14.17)

Figura 14.17
Tasso di occupazione 15-64 anni.
Tasso di occupazione femminile 15-64 anni
La continua diminuzione della popolazione in età attiva, a fronte dello squilibrio sempre più critico tra giovani e anziani, evidenzia la necessità di attrarre e trattenere nel mercato del lavoro un maggior numero di persone mediante politiche adeguate. Maggiori sforzi quindi devono essere volti anche per una migliore conciliazione della vita professionale con la vita privata e familiare, sfruttando così meglio anche il potenziale rappresentato dalle donne, cercando tra l'altro di ridurre i differenziali retributivi di genere ancora esistenti.
Nonostante la maggiore partecipazione delle donne italiane nel mercato lavorativo in questi anni, risulta ancora distante l'obiettivo fissato a Lisbona che prevede un livello di occupazione medio femminile almeno del 60% entro il 2010. Rispetto all'Italia la media europea si trova più vicina al target: nel 2006 l'Unione europea conta 57 donne su 100 occupate contro il dato italiano pari solo 46. Ottime le performance delle regioni tedesche che già da anni superano ampiamente l'obiettivo europeo e registrano nel 2006 un indice intorno al 66%. Nello stesso anno anche la Catalogna raggiunge il target, poco distante anche Rhône-Alpes. Tra le regioni italiane confrontate, solo l'Emilia Romagna raggiunge un tasso di occupazione femminile in linea con l'obiettivo, 61,5%. Il Veneto in questo caso è ultimo in graduatoria: meno di 54 sono le donne in età 15-64 anni che lavorano nel 2006. (Figura 14.18)

Figura 14.18
Tasso di occupazione femminile 15-64 anni
Percentuale di popolazione laureata (sulla popolazione dai 15 anni in su)
L'Unione europea riconosce il ruolo fondamentale dei sistemi dell'istruzione e di formazione nella nuova società dei saperi, al fine di garantire maggiori benefici e possibilità alle persone e migliorare il livello della qualità del lavoro e della vita. Negli anni si è assistito in generale ad un continuo innalzamento del livello di istruzione: in Europa nel 2006 il 17,5% della popolazione con almeno 15 anni risulta possedere un titolo universitario.
La percentuale della popolazione che può vantare come titolo di studio la laurea è particolarmente elevata in tutte le regioni straniere considerate, dove raggiunge circa un quinto della popolazione. In particolare, seppur stabile o in lieve diminuzione rispetto al 2006, la quota di laureati del Baden-Württemberg, della Baviera e della Catalogna è migliorata di oltre 2 punti percentuali rispetto al 2002.
Pur considerando che in Spagna e in altri Paesi europei si sono avviate già da anni politiche che permettono ai giovani di uscire dal percorso scolastico in anticipo rispetto agli italiani, l'Italia registra ancora risultati molto lontani dagli standard europei: nel 2006, solo il 9,7% della popolazione italiana di almeno 15 anni possiede un titolo universitario e le altre regioni italiane non si scostano di molto dal valore medio nazionale.
La riforma universitaria del sistema italiano sta iniziando ora a dare i primi importanti frutti. La quota della popolazione laureata, infatti, sta aumentando in tutte le regioni italiane considerate e dal 2002 sale in Italia di oltre 2 punti percentuali, così come in Veneto (+2,2) ed in Emilia Romagna (+2,1). In Toscana si registra, inoltre, la crescita più alta (+3,2) tra tutte le regioni, italiane e non, considerate. (Figura 14.19)

Figura 14.19
Percentuale di popolazione laureata (sulla popolazione dai 15 anni in su).
Addetti alla R&S per 1.000 occupati
Un aumento degli addetti nel settore della R&S, insieme ad un incremento della spesa, sono ritenuti essenziali per lo sviluppo fondato sulla conoscenza, l'unico possibile in un mondo globalizzato, dove i Paesi europei non possono più competere contando sul costo della manodopera, delle materie prime o sul vantaggio del tasso di cambio.
Tra le regioni europee selezionate, il primato del numero di addetti operanti nel settore della ricerca e sviluppo spetta alle regioni tedesche e francesi: 21,3 addetti ogni mille occupati nel Baden-Württemberg, 16,9 nella regione del Rhône-Alpes e 16,5 in Baviera.
L'Italia si trova agli ultimi posti tra i Paesi più avanzati per quel che riguarda l'investimento e l'occupazione nel campo della ricerca: nel 2004 gli addetti italiani ogni 1.000 occupati operanti nel settore della R&S sono 7,3, contro una media europea, UE27, di 10,5 addetti e a livello regionale solo il Piemonte supera la soglia dei 10 addetti ogni 1.000 occupati.
La crescita più importante, pari a quasi 30 punti percentuali, è stata registrata in Cataluña, che nel 2004 può contare su 11,8 addetti nel settore della R&S ogni 1.000 occupati.
In Veneto, nonostante la consistente crescita di addetti in questo settore, +15,2% negli ultimi cinque anni, i valori rimangono bassi: solo 4,7 addetti ogni 1.000 occupati. (Figura 14.20)

Figura 14.20
Addetti alla R&S per 1.000 occupati.
Percentuale di risorse umane in scienza e tecnologia rispetto al totale degli occupati
Il rapido mutamento economico e una crescente attenzione per l'economia basata sulla conoscenza hanno portato ad un aumento d'interesse per il ruolo e la misurazione delle competenze.
Alti livelli di competenza possono favorire l'innovazione, ottimizzare il processo produttivo, qualificare il prodotto/servizio e così migliorare benessere sociale, ambientale ed economico della popolazione.
I dati sulle risorse umane nella scienza e tecnologia (HRST) possono aumentare la comprensione su domanda e offerta di personale specializzato in scienza e tecnologia.
Le risorse umane in scienza e tecnologia sono definite come persone che abbiano completato con successo un livello di istruzione terziaria, oppure non siano così formalmente qualificate, ma occupino una posizione lavorativa nel settore della scienza e tecnologia, dove sia normalmente richiesto un titolo di studio universitario.
Confrontando le regioni competitor in base alla percentuale di personale in scienza e tecnologia rispetto al totale degli occupati, si trova in testa alla graduatoria Rhône Alpes, 53,5%, seguita dalle regioni tedesche e Catalogna. Nonostante la forte crescita nell'ultimo quinquennio, la media delle regioni italiane risulta sotto il 40%, quota superata soltanto dalla Lombardia, 41%.
L'andamento congiunturale è stato favorevole soprattutto per Rhône Alpes, Piemonte ed Emilia Romagna. (Figura 14.21)

Figura 14.21
Percentuale di risorse umane in scienza e tecnologia rispetto al totale degli occupati.
Percentuale di spesa per R&S sul Pil
I territori che intendono conservare una posizione dominante nello scacchiere internazionale del futuro sono forzati a sviluppare innovazione per rimanere attori di primo piano nei settori avanzati. L'incremento d'innovazione è certamente sostenuto da un maggiore investimento in attività di Ricerca e Sviluppo.
Nonostante la Comunità Europea favorisca lo sviluppo della capacità innovativa, attraverso l'istituzione di fondi e finanziamenti ad hoc, l'Europa è ancora lontana dall'obiettivo fissato a Lisbona nel 2000 che si prefissa il raggiungimento del 3% di spesa su Pil per il 2010, e in egual misura è distante il parametro del 2,5% fissato per l'Italia.
L'ultimo anno disponibile per un confronto con le altre regioni europee, il 2003, vede la quota percentuale di spesa in R&S su Pil pari a 1,88 per l'UE27 e a 1,14 per l'Italia.
Il Veneto, pur incrementando la quota di spesa, manifesta una criticità negli investimenti in ricerca: nel 2003 la spesa veneta in R&S è stata pari allo 0,72 del Pil regionale.
Il Baden-Württemberg e la Baviera hanno già raggiunto l'obiettivo fissato a Lisbona, con una spesa in R&S sul Pil rispettivamente pari al 3,9% e 3%.
Rhône-Alpes (2,6%) è molto vicina all'obiettivo del 3%, mentre tutte le altre regioni selezionate hanno valori inferiori alla media europea.
Analizzando la dinamica nel periodo dal 1999 al 2003, le regioni che hanno registrato la crescita più elevata rispetto agli altri competitor sono state Rhône-Alpes ed Emilia Romagna. (Figura 14.22)

Figura 14.22
Percentuale di spesa per R&S sul Pil.
Tasso di turisticità
Il monitoraggio dell'attrattività turistica del territorio appare indispensabile per una corretta valutazione delle politiche adottate e per la programmazione di quelle future, in particolare ai fini di un confronto tra la nostra regione ed i suoi competitor.
Il tasso di turisticità costituisce un indicatore dell'effettivo peso del turismo rispetto alle dimensioni della zona o, in altre parole, fornisce informazioni utili a rispondere alle esigenze del carico turistico. Nel calcolo si rapportano le presenze turistiche - divise per i giorni del periodo di riferimento che nel nostro caso coincide con l'anno - alla popolazione residente in quel determinato luogo turistico, il tutto moltiplicato per 1.000; più semplicemente indica le presenze medie che ogni giorno insistono sul territorio considerato ogni 1.000 abitanti.
Il Veneto mostra un tasso di turisticità pari a 34,1 presenze al giorno per 1.000 abitanti nel 2006, valore notevolmente superiore a quello delle altre regioni considerate e doppio rispetto all'Italia. Questo è segnale di un'alta concentrazione turistica rispetto alle dimensioni demografiche del territorio ospitante, ed evidenzia l'importanza decisiva dal punto di vista economico del settore turistico in Veneto.
Nell'ultimo quinquennio l'indicatore mostra variazioni lievi per tutte le regioni considerate. (Figura 14.23)

Figura 14.23
Tasso di turisticità.
Infrastrutture e mobilità
Nonostante gli sforzi a livello europeo orientati verso il riequilibrio delle modalità di trasporto, allo stato attuale la strada rappresenta ancora il 44% del trasporto merci e addirittura quasi l'80% di quello passeggeri. Queste percentuali sono anche più alte in regioni come il Veneto e la Lombardia che, a causa della loro posizione geografica, al centro del corridoio V Barcellona-Kiev e del corridorio I del Brennero, sono soggette sia al traffico locale che a quello di attraversamento.
E' così che, osservando i km di strade per 100 veicoli circolanti, si vede come queste due regioni siano tra le più congestionate delle nove considerate, rispettivamente con 0,24 e 0,35 km per 100 veicoli. Tali valori risultano infatti inferiori alla media italiana che si attesta nel 2005 a 0,45, ma anche rispetto alle regioni tedesche.
Altro aspetto legato al potenziale congestionamento delle strade è quello relativo ai veicoli circolanti rispetto alla popolazione e qui si nota come, fra le regioni straniere, solo il Bayern abbia valori simili a quelli italiani. Il Veneto, in particolare, è passato da circa 658 veicoli circolanti per 1.000 abitanti nel 2001 a 669 nel 2005 (+11,5 veicoli per 1.000 abitanti).
Rhône-Alpes è l'unica regione straniera a mostrare una contrazione dell'indicatore nel quinquennio considerato: da 632 del 2001 vi è stata una contrazione di quasi 13 punti. Tra le regioni italiane, invece, si nota la contrazione del numero di veicoli del Piemonte, 709 nel 2005 contro i 718 del 2001. (Figura 14.24)

Figura 14.24
Infrastrutture e mobilità.

Verifica l'accessibilità del Rapporto Statistico 2008 : Valid HTML 4.01! 

I dati elaborati dall'Ufficio di Statistica della Regione Veneto sono patrimonio della collettività; si autorizza la riproduzione a fini non commerciali del presente materiale con la citazione della fonte "Regione Veneto - Direzione Sistema Statistico Regionale".