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Lavoro di qualità e qualità del lavoro

La strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione resta uno strumento essenziale per garantire all'Unione europea di raggiungere l'obiettivo a lungo termine di migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini, in un contesto di maggiore prosperità e giustizia sociale.
La creazione di nuovi posti di lavoro, pur non essendo ancora riuscita a raggiungere nella media europea il tasso di occupazione che era stato prefissato nel 2000 a Lisbona, costituisce una premessa basilare per la ripresa economica, per una migliore qualità della vita e per una risposta al problema posto dall'invecchiamento della popolazione. Per raggiungere tali obiettivi occorrerà fornire incentivi e opportunità nel campo dell'istruzione e formazione. Investire maggiormente nel capitale umano e nella creatività di ciascuno lungo tutto il corso della vita è sicuramente lo strumento efficace per creare nuovi e migliori posti di lavoro; uno strumento che combatte le disparità, la povertà e che può senza dubbio ridurre la disoccupazione, non solo giovanile, ma anche di tutti quei soggetti svantaggiati e più lontani dal mercato del lavoro, nonché l'emarginazione sociale.
In un contesto tra l'altro di rapide trasformazioni economiche e di forte invecchiamento della popolazione, la creazione di opportunità lavorative è quindi una necessità economica e sociale. La continua diminuzione della popolazione in età attiva, a fronte dello squilibrio sempre più critico tra giovani e anziani, tra chi produce o potenzialmente lo farà e chi beneficia dell'attività svolta in passato, comporta la necessità di assumere misure adeguate per attrarre e trattenere nel mercato del lavoro il maggior numero di persone. Occorre fornire incentivi ai lavoratori anziani perché restino attivi più a lungo e siano dissuasi dal ritirarsi troppo presto dalla vita lavorativa, prestare maggiore attenzione al passaggio dal mondo della scuola al mondo del lavoro, volgere maggiori sforzi per una migliore conciliazione della vita professionale con la vita privata e familiare, sfruttando così meglio il potenziale rappresentato dalle donne, ridurre i differenziali retributivi di genere, aiutare i disoccupati e integrare i soggetti inattivi e quelli più svantaggiati.

Inizio Pagina  La qualità del mercato del lavoro

La partecipazione al lavoro
Pur nel contesto di rallentamento dell'economia globale, nel 2007 il numero di occupati in Italia cresce ancora, +1%, pari a 234.000 unità in più rispetto al 2006, e ancora una volta un contributo rilevante proviene dalla componente straniera, che incide per ben il 66% sul totale dei nuovi occupati, dato che riflette probabilmente in parte anche l'effetto dell'allargamento dell'Unione Europea e l'ingresso facilitato nel mercato lavorativo di rumeni e bulgari.
Anche il Veneto ha mantenuto un trend di crescita, sebbene più contenuto rispetto all'anno precedente: se, infatti, il 2006 registrava una crescita dell'occupazione veneta di quasi il 2% in confronto al dato del 2005, nel 2007 l'aumento di lavoratori rispetto all'anno precedente è pari allo 0,8%. Significativa, comunque, la crescita dell'offerta di lavoro della nostra regione in questo decennio: il 16% in più nel 2007 il numero di occupati nel mercato del lavoro veneto rispetto al 1997.
Inoltre, va osservato che, sia a livello medio nazionale che per la nostra regione, l'aumento tendenziale dell'offerta di lavoro, tra il IV trimestre del 2006 e il IV trimestre 2007, è di gran lunga maggiore di quello medio annuale: infatti, tra i due trimestri si rileva che i nuovi posti di lavoro in Italia sono 308.000 contro i 234.000 registrati confrontando nel complesso i due anni, mentre in Veneto sono 36.000, ossia esattamente il doppio del valore che si registra dalla differenza tra il 2007 e il 2006. Tra l'altro la nostra regione vede crescere progressivamente il numero di occupati ogni trimestre del 2007, dal primo all'ultimo si assiste ad un incremento del 2,7%. Tutto ciò può significare che probabilmente la spinta alla crescita non è esaurita e il 2008 potrebbe risentire ulteriormente dell'effetto positivo.
Sia in Italia che in Veneto aumentano anche i tassi di occupazione, sebbene ancora distanti dagli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona che prevede per l'Unione Europea di raggiungere un livello occupazionale del 70% entro il 2010. Difatti, rispetto a molti Paesi dell'UE27 che soddisfano già da tempo tale obiettivo, primo fra tutti la Danimarca con un tasso pari ad oltre il 77% nel 2007, e ad altri che si stanno avvicinando piuttosto velocemente come la Germania, l'Italia registra ancora livelli occupazionali piuttosto bassi (58,7%), quasi sette punti percentuali in meno del dato spagnolo e circa sei punti al di sotto di quello francese. (Figura 3.1)
Migliore la situazione del Veneto che si pone costantemente su livelli occupazionali significativamente superiori alla media nazionale e nel 2007 la quota di popolazione fra i 15 e i 64 anni che risulta occupata è pari al 65,8%, superiore anche al dato medio europeo calcolato per i 27 Paesi pari a 65,4% e in aumento rispetto all'anno precedente (+0,3 punti percentuali). (Figura 3.2)
Nel confronto con le altre regioni italiane, la nostra continua ad occupare le prime posizioni per livelli occupazionali più elevati (quinta), distaccandosi dall'Emilia-Romagna, prima nella graduatoria regionale, di oltre quattro punti percentuali. Tra l'altro proprio l'Emilia-Romagna raggiunge nel 2007 anche l'obiettivo europeo registrando un tasso di occupazione pari al 70,3%. Ultime in classifica sempre le regioni meridionali che mantengono un rilevante gap con quelle settentrionali. (Figura 3.3)
L'occupazione creata: stabilizzazione e contratti part-time
Nel 2007 lo sviluppo occupazionale riguarda principalmente i lavoratori subordinati: rispetto all'anno precedente, gli occupati dipendenti italiani aumentano dell'1,5% (+252.000 unità), mentre gli autonomi registrano una leggera contrazione, -0,3% (-19.000 unità).
Crescono, inoltre, i rapporti a tempo indeterminato: difatti, considerando esclusivamente la componente occupazionale dipendente, ben l'81,5% della crescita complessiva registrata interessa questo tipo di contratto, mentre i nuovi impieghi a temine sono appena 47.000, forse un primo segnale degli effetti sperati delle misure di stabilizzazione varate dal Governo. In linea con la situazione nazionale, nella nostra regione quasi l'87% dell'espansione del lavoro subordinato è dovuto ai nuovi contratti permanenti e solo il 13% a quelli temporanei. L'indebolimento della precarietà potrà avere effetti positivi sugli stili di vita, particolarmente dei giovani, che, come si è osservato nel corso degli anni, tendono a ritardare la loro uscita dalla famiglia di origine, anche per motivi economici, e di conseguenza a formare una famiglia propria sempre più tardi.
Una più ampia partecipazione nel mercato del lavoro può essere favorita dall'aumento dell'utilizzo dei contratti part-time: anche nel 2007 il Veneto si conferma regione ad elevato uso della modalità di lavoro parziale, risultando la quarta tra le regioni italiane con una percentuale pari a quasi il 15%, oltre un punto percentuale in più del dato medio nazionale. Tale tipologia contrattuale è prevalentemente adottata dalle donne: nella nostra regione il 32% delle donne occupate sono a part-time, oltre cinque punti percentuali al di sopra del valore italiano. Del resto, accedere ad un'occupazione a tempo ridotto costituisce uno dei principali strumenti che permettono di ridurre le difficoltà nel conciliare il carico familiare con gli impegni di lavoro; un'organizzazione del lavoro più favorevole alla vita familiare contribuisce ad una più alta qualità della vita. (Figura 3.4)
L'occupazione per settore
La transizione da un sistema economico prettamente "industrialista" ad uno fondato sulle "conoscenze" diventa sempre più intensa anche nel nostro Paese. Negli ultimi anni i cambiamenti avvenuti nella distribuzione settoriale degli occupati evidenziano una ricomposizione economica a favore dei servizi a scapito dei settori agricolo ed industriale.
Anche in Veneto si manifesta una consistente espansione del processo di terziarizzazione: la quota di occupati nel settore dei servizi passa, infatti, dal 53,3% del 1997 al 57,6% del 2007, mentre quella degli occupati nell'area agricola e industriale diminuisce in entrambi i casi intorno ai due punti percentuali, scendendo nel primo caso dal 5,5% al 3,5% e nel secondo dal 41,2% al 38,9%. (Figura 3.5)
Rispetto alla media nazionale, la nostra regione conta, comunque, una quota di lavoratori impegnati nel comparto dei servizi minore, oltre otto punti percentuali in meno. Il Veneto è attualmente una regione a forte vocazione industriale tanto che nel 2007 si riconferma ancora una volta la seconda regione italiana per il maggior numero di occupati impiegati in questo settore, assorbendo quasi il 12% del totale nazionale, seconda solo alla Lombardia che raccoglie il 22,1%.
Assunzioni nel comparto turistico
Per le caratteristiche proprie della nostra regione, il comparto turistico merita un maggior approfondimento.
Una buona annata turistica seguita da un'altra ancor migliore, si riflette nella crescita di domanda di lavoro per quella che può esser definita a buon ragione la più importante "industria" della regione.
Alberghi, ristoranti e servizi turistici manifestano una elevata propensione all'assunzione di personale: nel 2007 il 36,4% delle imprese mostra tale disponibilità (Nota 1), quota raggiunta da nessuna altra attività del settore terziario. La richiesta di nuova occupazione nei servizi, circa 47 mila unità, supera quella dell'industria, 35 mila, ed è attribuibile per il 23,4% dei casi proprio al settore turistico.
In termini di nuove assunzioni il settore prende ancor più le distanze dalle altre tipologie d'imprese, raggiungendo un incremento occupazionale del +1,6%, mentre il tasso di variazione medio complessivo è del +0,7: nel settore turistico per 10 mila che ne escono, 11 mila ne entrano, su una forza lavoro di partenza stimata attorno ai 61 mila dipendenti. Caratteristica della nuova occupazione creata nel comparto è la tipologia di contratto proposto, infatti solo nel 22,5% dei casi si tratta di un'assunzione a tempo indeterminato, percentuale che pone il settore turistico in ultima posizione nella graduatoria di tutte le attività, industriali e di servizi, per stabilità dell'occupazione generata. Tale quota scenderebbe ancor di più se nel computo si considerassero anche le assunzioni di personale stagionale, molto utilizzato soprattutto per il turismo balneare, montano e lacuale.
Il saldo positivo sottolinea comunque per il 2007 un incremento della forza lavoro impiegata nel comparto turistico che appare consistente soprattutto nelle province di Venezia (+550 unità) e Padova (+240). (Figura 3.6)
L'occupazione femminile
Nonostante la maggiore partecipazione delle donne italiane nel mercato lavorativo in questi anni, risulta ancora distante il raggiungimento dell'obiettivo fissato a Lisbona nel 2000 che prevede un livello di occupazione medio femminile almeno del 60% entro il 2010. Rispetto all'Italia la media europea si trova più vicina al target: nel 2007 l'UE27 conta 58 donne su 100 occupate contro il dato italiano pari a meno di 50. Migliore la situazione nella nostra regione che nel 2007 registra un tasso di occupazione femminile pari al 54%, posizionandosi però a metà classifica nella graduatoria delle regioni italiane per livelli occupazionali più elevati: prima l'Emilia Romagna con il 62% delle donne lavoratrici, unica regione che già da anni soddisfa l'obiettivo prefissato. Viceversa il Veneto emerge per l'alto tasso di occupazione maschile, pari ad oltre il 77%, quasi sette punti percentuali in più del dato nazionale e quasi cinque punti al di sopra della media europea dei 27 Paesi. (Figura 3.7)
Tutte le regioni meridionali, invece, mantengono tassi occupazionali femminili ancora molto modesti, ultima in graduatoria la Campania dove solo il 28% delle donne lavorano. Del resto questa stessa regione registra uno dei valori stimati nel 2007 più alti del numero di figli per donna (1,41), cosa che, invece, non accade per molte delle altre regioni meridionali dove sembra che le donne né lavorino né facciano figli: infatti, a bassi tassi di occupazione femminili si abbinano anche i più bassi valori di fecondità. Occorre, però, ricordare che la ripresa della fecondità negli ultimi anni, a cui hanno contribuito in prevalenza le regioni del Nord, è in parte dovuta alla crescente presenza di persone straniere che mostrano una maggiore propensione ad avere figli.
In Veneto, il numero medio di figli per donna è tra i più alti ed è stimato nel 2007 a 1,38, mentre quello nazionale è pari a 1,34. E' interessante, infine, notare il Trentino Alto Adige, che oltre ad essere tra le regioni con i più alti livelli occupazionali femminili è anche protagonista della più forte propensione a fare figli. (Figura 3.8)
I giovani e gli anziani
In un contesto di rapide trasformazioni economiche e di forte invecchiamento della popolazione, occorre attrarre e trattenere nel mercato del lavoro un maggior numero di persone mediante politiche adeguate sia per i giovani che per i lavoratori anziani. Se da una parte l'avvenire dell'Europa è strettamente legato ai giovani, alla capacità di valorizzare le loro potenzialità mediante anche un'adeguata istruzione e formazione, dall'altra è necessario dissuadere i lavoratori più vecchi dal ritirarsi troppo presto dal lavoro.
La situazione dei giovani è ancora critica: infatti, se da un lato in Italia è evidente la diminuzione consistente del tasso di disoccupazione giovanile, dall'altra si registrano ancora valori piuttosto elevati, nel 2007 20 ragazzi tra i 15 e i 24 anni su 100 delle corrispondenti forze lavoro cercano un'occupazione; migliore la situazione del Veneto che si distingue per essere la seconda regione con il tasso di disoccupazione giovanile più basso nella graduatoria regionale con un valore pari all'8,4%, prima il Trentino Alto Adige (6,9%), e che rispetto all'anno precedente rileva una diminuzione di oltre tre punti percentuali. Le regioni meridionali mantengono anche in questo caso le distanze dalle altre regioni, sebbene presentino sostanziali miglioramenti negli ultimi anni.
Critica per il nostro Paese anche la partecipazione nel mercato del lavoro dei lavoratori anziani: sebbene in progressivo aumento, nel 2007 in Italia appena 34 persone in età 55-64 anni su 100 risultano occupate; ancora più basso il dato veneto che si attesta su un valore pari al 31%, comunque in rialzo di due punti percentuali rispetto al dato dell'anno precedente. Più vicini al target, fissato dal Consiglio europeo di Stoccolma di raggiungere un tasso almeno del 50% entro il 2010, molti dei Paesi europei, primo fra questi la Svezia dove il 70% delle persone in età 55-64 anni ancora lavorano. (Figura 3.9)
Diminuzione della disoccupazione o inattività?
Il lavoro costituisce la migliore salvaguardia contro l'esclusione sociale. A tal fine è necessario attivare politiche sempre più efficienti atte a combattere la disoccupazione: ridurre le disuguaglianze economiche e le disparità territoriali, favorire la partecipazione al mercato del lavoro e l'accesso alla assistenza sanitaria sono azioni fondamentali per giungere a una piena coesione sociale e migliorare così la qualità della vita di ogni persona.
Nel 2007 il tasso di disoccupazione in Italia continua a scendere registrando un valore pari al 6,1% contro il 6,8% del 2006, confermandosi il tasso più basso di questo ultimo decennio; la riduzione riguarda particolarmente il Sud dove si registra un calo dei livelli di disoccupazione di oltre un punto percentuale rispetto all'anno precedente, ancora però troppo distante dai livelli rilevati nel Nord dove il tasso, pari a 3,5%, è tre volte più basso di quello del Mezzogiorno.
Anche il Veneto è protagonista di una forte diminuzione del tasso di disoccupazione, il più basso anche per la nostra regione di questo decennio; con un valore pari a 3,3% contro il 4% del 2006, il Veneto mantiene una posizione privilegiata tra le regioni italiane, quarta nella graduatoria regionale, due posizioni in meno oltretutto dell'anno precedente. Davanti al Veneto solo Trentino Alto Adige (2,7%), Emilia Romagna (2,9%) e Valle d'Aosta (3,2%). (Figura 3.10)
Ma una diminuzione così considerevole dei livelli di disoccupazione, a fronte di una crescita occupazionale certamente non da record, trova sostegno nella consistente flessione delle persone in cerca di lavoro: il 10% in meno dell'anno precedente in Italia, oltre il 17% in meno nella nostra regione. Si può pensare che la riduzione del tasso di disoccupazione non sia dipeso molto dalla crescita del numero di persone che hanno trovato lavoro, ma soprattutto dall'incremento di coloro che vi hanno rinunciato, soprattutto nelle regioni del Sud. Infatti, i dati mostrano come la considerevole caduta dei livelli di disoccupazione sia accompagnata da qualche anno da un incremento significativo delle persone che, pur essendo in età lavorativa, risultano tuttavia inattive, fenomeno appunto prevalentemente registrato nel Mezzogiorno.
Nel 2007 il tasso di inattività in Italia tocca il 37,5% (+0,2 punti del 2006), mentre nel Mezzogiorno si attesta su un valore pari a ben il 47,6%, quasi un punto percentuale in più inoltre rispetto all'anno precedente. Situazione fortemente scoraggiante quella della Campania e della Calabria che, oltre a presentare un tasso di inattività, rispettivamente, del 50,7% e del 49,4%, in crescita del 9% e del 6,7% rispetto al 2004, vedono aumentare smisuratamente in soli tre anni il numero di persone che non cercano un impiego, ma si dichiarano disponibili a lavorare (quasi il doppio per la Campania e oltre il 50% per la Calabria).
Sebbene nell'ultimo anno anche la nostra regione registra una sorta di sfiducia della forza lavoro: infatti, a fronte di una crescita ridotta delle persone inattive, pari solo all'1% in più del 2006, tra le quali sono contate anche quelle che escono dal mercato lavorativo perché in età superiore ai 64 anni o i ragazzi al di sotto dei 15 anni, aumentano del 24% quelle che non cercano un impiego, ma si dichiarano disponibili a lavorare, si nota che rispetto al 2004, invece, la quota di inattivi perché scoraggiati in Veneto cresce solo dell'1%. Si rilevano, difatti, condizioni più favorevoli al Nord e in Veneto che registra un tasso di inattività di gran lunga inferiore a quello nazionale, 31,9%, in calo rispetto a tre anni prima, e che si colloca nel gruppo delle regioni leader caratterizzate principalmente da tassi di disoccupazione molto bassi, livelli occupazionali al di sopra del 65% e una discreta decrescita dei livelli di inattività. (Figura 3.11)
La disoccupazione di lunga durata
Secondo le indicazioni europee e nazionali, la lotta alla disoccupazione deve rivolgersi soprattutto verso alcune categorie più deboli, tra cui anche i disoccupati di lungo periodo.
Per quanto riguarda la disoccupazione di lunga durata, endemica in certe zone, nel 2007 sono 47 su 100 gli italiani in cerca di occupazione da più di un anno; più fortunati i veneti dove la proporzione di coloro che cercano lavoro da così tanto tempo è pari al 34,6%, ma non tanto quanto i residenti del Trentino Alto Adige, ancora una volta prima nella graduatoria regionale, dove la disoccupazione di lunga durata interessa il 23,3%, in aumento comunque in questi ultimi anni.
La situazione del Veneto non è, comunque, delle più rosee: infatti, se da una parte si pone costantemente su livelli significativamente inferiori di incidenza rispetto alla media nazionale, dall'altra, tuttavia, il fenomeno in questi anni risulta in costante crescita, registrando venti punti percentuali in più rispetto al dato rilevato cinque anni prima.
Maggiore la disoccupazione di lunga durata femminile che nel 2007 nel Veneto conta 37 donne su 100 in cerca di una occupazione da più di dodici mesi contro le 49 italiane. (Figura 3.12)
Le retribuzioni
Se avere un lavoro qualifica la persona, un buon stipendio sicuramente ne qualifica la vita, nel senso di migliorarne lo status sociale ed il comportamento.
La classifica stilata dall'Ocse, relativa ai dati 2007, non pone l'Italia tra i paesi con i salari netti più alti: al 23° posto sui trenta monitorati. L'Italia si colloca così ben dietro non solo a Francia, Germania e Gran Bretagna, ma anche a Paesi come Grecia e Spagna.
Pesa sui salari in Italia anche la componente fiscale: considerando il caso di un lavoratore single senza figli che guadagna attorno ai 13 mila euro annui, la media nazionale, il cuneo fiscale (Nota 2) si attesta al 45,9% (al sesto posto tra i paesi Ocse), in crescita dello 0,3% rispetto al 2006. La percentuale è più bassa invece nel caso del lavoratore con a carico coniuge e due figli: il cuneo fiscale in questo caso è al 33,8% (ma era al 33,3% nel 2006) per gli stipendi italiani, superiore comunque alla media Ocse, 27,3%, e dell'Europa a 15 (31,9%). Ma è da dire che tra il 2000 e il 2006 il peso della tassazione sui salari in Italia è diminuito, -0,9%, e il maggiore calo si è registrato nelle fasce di reddito più basse. (Figura 3.13)
La retribuzione lorda (Nota 3) annuale di una unità di lavoro dipendente (Nota 4) in Italia è stata, nel 2005, di quasi 24,5 mila euro, ma ha evidenziato differenze sostanziali tra regioni: un laziale percepisce mediamente 5.742 euro in più di un calabrese; il Veneto si trova in posizione mediana con 23.840 euro. Calcolando l'indice (Nota 5) delle retribuzioni lorde per confrontarne la dinamica temporale, lo stipendio lordo in Veneto mostra un andamento simile a quello nazionale: negli ultimi due anni analizzati il tasso di sviluppo annuale ha superato il 4%, quindi superiore al puro effetto inflazionistico, e nel periodo dal 2000 al 2005 la crescita è stata di 22,4% contro il 24,4% nazionale. (Figura 3.14), (Figura 3.15) e (Figura 3.16)
Retribuzioni superiori alla media sono percepite nel settore dei servizi, dove mediamente nel 2005 in Veneto un dipendente ha ottenuto un valore lordo annuale pari a quasi 25 mila euro; segue l'industria in senso stretto con 23,2 mila euro, il settore costruzioni, 20 mila euro e, infine, l'agricoltura, circa 15 mila euro.
Dall'analisi dei dati relativi ai principali aggregati economici del mercato del lavoro si osservano la riduzione del trend di crescita del costo del lavoro, l'inversione di tendenza della produttività del lavoro dal 2004 - anno in cui riprende a salire, seppure in misura ancora ridotta -, l'aumento delle unità di lavoro dipendenti. Rispetto all'inflazione, si nota che la componente derivante dall'applicazione dei contratti di lavoro è riuscita complessivamente a mantenere il passo con i prezzi. (Tabella 3.1)
Si dà ora un'indicazione di massima della dinamica dei prezzi di alcuni prodotti e servizi rispetto all'andamento delle retribuzioni, per osservarne la variabilità e per comprendere quanto l'attenzione del consumatore su una singola tipologia di prodotti può far percepire in maniera distorta il potere d'acquisto salariale. I valori delle retribuzioni sono relativi al Veneto, i prezzi dei prodotti utilizzati provengono dalla rilevazione (Nota 6) della città di Padova, in quanto ritenuta più idonea a rappresentare i prezzi medi regionali rispetto alle altre città capoluogo di provincia e, in particolare, al capoluogo di regione Venezia, per le ovvie caratteristiche strutturali e turistiche di questa città. (Figura 3.17)
Come si può notare, soltanto nel 2003, anno successivo all'introduzione dell'euro, si è registrato una variazione positiva dei prezzi di ben cinque tra i prodotti considerati, superiore a quella dell'indice salariale. Negli altri due anni, con l'eccezione della benzina verde e, nel 2004, dell'olio, che hanno manifestato una notevole crescita, le variazioni di tutti gli altri prodotti di largo consumo si sono mantenute al di sotto di quelle dell'indice retributivo.

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Ma se creare occupazione è sicuramente una sfida considerevole, ancor più difficile è quella di sviluppare "lavoro di qualità". Occorre garantire ai lavoratori non solo retribuzioni adeguate, ma anche sicurezza occupazionale, pari opportunità e favorire la possibilità di progredire professionalmente.
La formazione permanente
Uno degli strumenti essenziali a garantire lavoro di qualità è quello della formazione lungo tutto l'arco della vita: una opportunità da offrire a tutti poiché punta ad aiutare i lavoratori a far fronte ai rapidi cambiamenti in atto nella nostra società, ai periodi di disoccupazione e di transizione verso un nuovo lavoro.
All'aumento della base occupazionale, deve quindi innanzitutto corrispondere una evoluzione dei sistemi di aggiornamento e di miglioramento delle competenze degli adulti, fattore tra l'altro misurato dal Consiglio europeo con l'adozione di un parametro che prevede che almeno il 12,5% della popolazione adulta in età 25-64 anni partecipi all'apprendimento permanente entro il 2010. Nel 2006 l'UE25 si attesta su un valore pari al 10,2%, al di sotto l'Italia ed il Veneto nel 2007 con un tasso rispettivamente del 6,2% e del 6,6%.
Ottima la performance dei Paesi nordici, che a distanza di quattro anni dal termine fissato per il raggiungimento dell'obiettivo, si trovano molto al di sopra del target: ancora una volta, prima in graduatoria la Svezia, dove si stima che il 32% della popolazione di 25-64 anni frequenti un corso di studio o di formazione professionale.
In Italia primeggiano le regioni del Trentino Alto Adige e del Lazio che superano la quota dell'8%. (Figura 3.18)
Diventa oggi fondamentale l'impegno a investire sempre maggiori risorse nell'istruzione e nella formazione di manodopera altamente qualificata e professionalmente flessibile, in grado di rispondere alle esigenze di una società in continua evoluzione e di far fronte a un mercato del lavoro più dinamico e innovativo fondato su tecnologie sempre nuove e più competitive.
La crescente richiesta di personale ad alto livello
A tal proposito è interessante citare alcuni dati Excelsior (Nota 7). Nel 2007 cresceva in Veneto il numero di imprese che intendevano procedere con delle assunzioni: oltre il 27% contro lo scarso 23% dell'anno precedente, mentre il dato italiano si attesta su un valore pari al 26,5%.
Per quanto riguarda le figure professionali, le imprese indirizzavano principalmente le loro richieste verso persone qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (nel 23,2% dei casi) e verso gli operai specializzati (20,4%). In aumento, soprattutto nel settore dei servizi, anche la richiesta di personale di alto livello, ossia le professioni high skill: nel 14,2% dei casi si domandavano professioni tecniche, per quasi il 4% intellettuali e scienziati ad elevata specializzazione e nello 0,2% dei casi dirigenti. Si tratta di figure professionali alle quali si richiede come titolo di studio la laurea o per lo meno il diploma e si attribuivano le percentuali più alte di assunzioni a tempo indeterminato (quasi il 58% dei casi).
A tal proposito si sottolinea la crescita di richieste di laureati nel mercato imprenditoriale veneto: nel 2007 il 7,8% degli impieghi, due punti percentuali in più rispetto al 2004, per lo più preparati in campo economico. Laureati che vengono impiegati principalmente nel settore dei servizi e che occupano appunto soprattutto qualifiche professionali tecniche o ad elevata specializzazione: a quasi il 50% dei laureati si offrivano professioni tecniche e al 37,6% qualifiche intellettuali, scientifiche e altamente specialistiche, entrambi valori al di sopra di quelli nazionali. (Figura 3.19)
La situazione occupazionale dei laureati
Secondo la più recente indagine sulla condizione occupazionale dei laureati svolta dal Consorzio Interuniversitario Almalaurea nel 2007 (Nota 8), in Italia la quota dei giovani che sono occupati, dopo un anno dal conseguimento del titolo universitario, è pari rispettivamente al 53% per coloro che si sono laureati con il vecchio ordinamento e al 27% per i laureati di primo livello post-riforma, cui si aggiunge un ulteriore 18,4% se si considerano quanti lavorano e sono al contempo iscritti ad una laurea specialistica; tra i laureati di primo livello, comunque, la maggior parte decide di frequentare solamente l'università e concludere così il ciclo completo di studi (il 45,5%) e solo il 6% cerca un impiego. Migliore la situazione veneta: infatti, i laureati veneti pre-riforma che lavorano ad un anno dalla laurea sono quasi il 64% e il 31% quelli con solo la laurea di primo livello, cui si aggiunge un'altra quota, pari a un valore del 20%, di occupati ma iscritti anche alla laurea specialistica. Più favorevole ancora la situazione dei residenti in Veneto se si considera poi la condizione occupazionale dei laureati trascorsi più anni dalla laurea: dopo tre anni l'80% lavora contro il 72% a livello nazionale.
A distanza di un anno dal conseguimento del titolo di studio, ad oltre il 42% dei laureati che risultano occupati nel 2007 nel mercato lavorativo veneto hanno offerto un lavoro stabile e la quota sale fino al 74,5% dopo cinque anni; più usate per i primi inserimenti lavorativi le forme contrattuali atipiche e flessibili (complessivamente meno del 46% dei casi), che nel giro di qualche anno vengono però proposte a meno di un quarto dei ragazzi. Inoltre, a distanza di anni nel Veneto più frequentemente il lavoro precario si trasforma in un'occupazione stabile: infatti, a livello nazionale dopo cinque anni trova un impiego fisso il 70,2% dei laureati occupati, quattro punti percentuali in meno rispetto al dato veneto. (Figura 3.20)
Ma che retribuzioni ricevono le nuove leve altamente qualificate? Al di sopra del dato nazionale di una settantina di euro, a dodici mesi dalla laurea, il guadagno mensile netto dei laureati del vecchio ordinamento, che in questo periodo sono riusciti a trovare un lavoro nella nostra regione, è poco più di 1.100 euro, mentre a cinque anni dal conseguimento del titolo la retribuzione mensile supera i 1.350 euro. Si tratta di stipendi non molto elevati se si considerano tutti gli anni spesi nello studio, le capacità acquisite nel frattempo dai giovani e la loro età quando escono dall'ambiente accademico e fanno il loro vero ingresso nel mondo del lavoro.
Inoltre, vi sono rilevanti scostamenti retribuitivi rispetto alla media a seconda del gruppo di corsi di laurea, nonché enormi gap tra il guadagno di una donna e quello di un uomo. Nella nostra regione i guadagni più elevati sono percepiti dai laureati in economia, all'estremo opposto, si trovano, invece, i laureati in Medicina Veterinaria, campo in cui del resto la maggiore parte dei laureati decide di aprire un'attività in proprio, cosa che implica del tempo per avviarla. Tra gli ultimi posti anche le paghe nel campo della psicologia, in quello filosofico-letterario e della formazione.
A fronte di uno stesso livello di preparazione, permane una significativa differenza nel trattamento retributivo fra i generi: in generale, i neolaureati maschi nel 2007 percepiscono oltre 250 euro in più rispetto alle neolaureate femmine. Lo squilibrio più elevato si ha per gli architetti: dove una donna porta a casa uno stipendio inferiore a quello di un uomo di quasi 400 euro; seguono i farmacisti dove il gap si attesta su un valore di oltre 350 euro. Nel complesso, lo svantaggio è in parte dovuto anche dalle scelte stereotipate prese dalle ragazze, spesso orientate più verso un'istruzione di tipo umanistico, campi in cui dopo i guadagni non sono molto alti. (Figura 3.21)
Il lavoro non regolare
Si affronta ora il tema dell'occupazione sotto un altro aspetto assai rilevante: il lavoro di qualità in termini di rispetto delle leggi, delle regole sociali e dei diritti personali. Si analizza, dunque, il fenomeno del lavoro irregolare che in Italia raggiunge livelli che rivelano alcune criticità: le stime dell'Istat relative all'anno 2005 mostrano come l'economia sommersa (Nota 9) italiana venga alimentata da quasi 3 milioni di unità di lavoro (Ula)(Nota 10) non regolari, per il 78,8% riconducibili a lavoratori dipendenti.
Sebbene nel quadro nazionale, la nostra regione si distingue per una situazione qualitativa superiore alla media, con livelli di irregolarità lavorativa più bassi e con più alti obiettivi occupazionali raggiunti, la dimensione del lavoro irregolare in Veneto non va comunque sottovalutata: quasi 200.000 unità lavorative in Veneto non vedono riconosciuti i propri diritti e tutele previsti. Un'opportuna estensione delle reti di tutela e un continuo investimento sulla qualità della vita lavorativa devono garantire i diritti all'assicurazione sociale e previdenziale, due pilastri che responsabilmente salvaguardano le braccia produttive della nostra economia.
La condizione del mercato del lavoro veneto è meno allarmante rispetto a quella osservata sull'intero territorio nazionale: nel 2005 in Italia ogni 100 unità di lavoro 12 sono irregolari, mentre in Veneto il numero di unità non regolari scende a meno di 9 su 100.
I dati sull'economia sommersa italiana riescono a chiarire la dimensione economica sottostante al sistema del lavoro nero, presentando un valore aggiunto prodotto nel 2004 dall'area del sommerso economico che ha sfiorato il 17% del Pil per l'intera economia, con un picco del 22,1% nel settore dei servizi (Nota 11).
Il quadro descrittivo più problematico riguarda il Mezzogiorno, che coinvolge quasi il 45% delle Ula non regolari di tutto il Paese, quota che aumenta ulteriormente soprattutto in relazione al settore industriale; l'attività lavorativa fuori norma non riconducibile al mercato del lavoro del Sud risulta distribuita in maniera abbastanza uniforme tra le rimanenti ripartizioni geografiche della penisola, con una quota leggermente superiore alle altre nelle regioni del Nord-Ovest.
Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Trentino Alto-Adige sono nel complesso le regioni con un minore tasso di irregolarità lavorativa, nelle quali nel 2005 la non regolarità delle unità di lavoro si è tenuta sotto il 9% del totale dell'occupazione. (Figura 3.22)
La dimensione del lavoro non regolare è costituita in parte da posizioni continuative svolte non rispettando la normativa in materia fiscale-contributiva, in parte da prestazioni occasionali non dichiarate svolte da studenti, casalinghe o pensionati, in parte da posizioni lavorative di stranieri non residenti e non regolari e come ultimo dalle posizioni lavorative plurime non dichiarate.
Nel 2005 la componente più rilevante delle unità lavorative irregolari italiane è rappresentata dagli irregolari residenti in Italia (55,2%), a seguire compaiono le posizioni lavorative plurime non dichiarate a fini fiscali (35,5%) e infine gli stranieri non regolari (9,3%), componente che è andata decisamente ridimensionandosi negli ultimi anni.
Numerose sono le misure intraprese di contrasto al lavoro nero, così come sono stati predisposti diversi strumenti per consentirne l'emersione. Le linee guida europee stanno infatti imponendo, per aumentare la coesione sociale e al fine del raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, l'avanzamento di politiche strategiche atte a trasformare il lavoro irregolare in occupazione legale.
In Italia dal 2001 al 2005 le unità di lavoro regolari hanno visto un aumento del 4%, mentre le unità non regolari sono diminuite del 10%, in particolar modo nel corso del biennio 2002-2003 in cui si sono visti gli effetti della sanatoria dei lavoratori stranieri occupati irregolarmente, provvedimento che ha fatto emergere in tutta Italia centinaia di migliaia di stranieri che lavoravano senza contratto presso famiglie e imprese.
Questa azione intrapresa ha fatto scendere il tasso di irregolarità italiano del 12,3% dal 2001 al 2005 e il tasso veneto del 12,1%. Dopo la flessione del 2002, negli ultimissimi anni l'irregolarità pare però essere di nuovo in leggero aumento: dal 2003 al 2005 in Veneto 18,5 migliaia di nuove Ula non regolari hanno fatto sì che il tasso di irregolarità aumentasse quasi del 10%.
Il Veneto, come tutte le regioni del Nord ed alcune centrali, mostra un tasso di irregolarità ridotto e comunque accompagnato da un livello occupazionale privilegiato; si discosta decisamente il quadro dell'Italia meridionale e insulare, territori nei quali si riscontrano realtà problematiche dovute ad alti livelli di disoccupazione e forti correnti di occupazione non regolare che nel Mezzogiorno si alimentano di quasi un quinto delle unità di lavoro. E' evidente come in Italia vi siano regioni in cui il lavoro sommerso tende a fornire solo una parte marginale del reddito e allo stesso tempo sussistano territori nei quali spesso l'occupazione irregolare è una grossa fonte di sostentamento. (Figura 3.23)
Il lavoro sommerso si insinua sia tra adulti che non riescono a collocarsi diversamente nel mercato lavorativo che tra giovani alla prima esperienza. I dati del Mezzogiorno mostrano bassi valori degli indici di ricambio della popolazione, delineando quindi un maggiore livello di sostituzione generazionale, che sta ad indicare come le scomode condizioni del mercato lavorativo del Sud coinvolgano in maggior misura giovani in procinto di rendersi indipendenti dal nucleo d'origine, che però sono costretti a scontrarsi con alcune inefficienze e rigidità delle realtà occupazionali locali. (Figura 3.24)
La marcata eterogeneità territoriale dipende non solo dalle differenti propensioni all'impiego di lavoratori irregolari, ma anche dalla diversa specializzazione produttiva dei territori messi a confronto. La distribuzione delle unità di lavoro irregolari mostra come queste siano fortemente concentrate nel settore dei servizi, in Veneto ancor più che in Italia, in quota largamente superiore ai tre quarti delle unità. Il settore agricolo, in Veneto come in Italia, racchiude il 10% delle Ula irregolari; il settore dell'industria, che in Italia dà ubicazione al 13,8% delle unità non a norma, in Veneto è chiaramente in maggior misura indenne al fenomeno in questione, facendo osservare un dato sull'irregolarità occupazionale che si attesta attorno all'8% del totale delle unità non regolari. Sono ancora i settori delle costruzioni e dell'industria in senso stretto ad essere caratterizzati da una più intensa contrazione del tasso di irregolarità nel quadriennio 2001-2005; il calo più evidente è relativo all'industria in senso stretto veneta, che ha visto in questo intervallo temporale un dimezzamento del relativo tasso di irregolarità. L'unico settore a mostrare una lieve crescita del livello di non regolarità dei propri lavoratori è quello agricolo, che in Veneto si ferma a poco più del 2%, mentre in Italia supera il 6%. (Figura 3.25) e (Figura 3.26)

Inizio Pagina  La soddisfazione per il lavoro

La qualità della vita di una persona non può prescindere dalla soddisfazione che quella stessa persona prova per il proprio lavoro: per raggiungere un livello di benessere adeguato è necessario poter fare affidamento sul lavoro, sulle tutele e sicurezze che da esso derivano, ma anche sentirsi appagati per quello che si realizza quotidianamente.
Secondo i dati dell'indagine "Multiscopo sulle famiglie. Aspetti della vita quotidiana" condotta da Istat, nel 2006 sono molte le persone occupate in generale soddisfatte del proprio lavoro: in Italia quasi il 77% dei lavoratori sono contenti del proprio impiego, ancora di più in Veneto dove la percentuale sale ad oltre il 78%. Le casalinghe venete sono più soddisfatte del proprio lavoro domestico rispetto complessivamente a quelle italiane: in Veneto il 65,7% sono soddisfatte contro il 54,6% della media nazionale, dato quest'ultimo comunque in rialzo rispetto all'anno precedente pari al 51%. (Tabella 3.2)
Complessivamente emerge una disparità territoriale anche nella percezione del benessere: si sentono più appagati per il proprio lavoro nel Nord, molto meno nel Sud (nel 73% dei casi) e nelle Isole, il 68,3% degli occupati, ultima in graduatoria la Sardegna che registra soddisfazione per il lavoro svolto nel 67% dei casi. Del resto nel Mezzogiorno si registra in generale una soddisfazione minore, rispetto alle regioni del Nord, in ogni aspetto della vita quotidiana: meno soddisfatti per la loro condizione economica, ma anche per la salute, le relazioni familiari e amicali nonché per il tempo libero trascorso; un fenomeno in parte spiegabile probabilmente da un fattore soggettivo caratteriale tipico delle persone che vivono in queste regioni più propense a non esprimere una vera e piena soddisfazione verso le cose della vita, aspirando sempre a qualcosa di più, e in parte da un fattore oggettivo di una vera mancanza di opportunità di lavoro e di condizioni di disagio sofferte. (Figura 3.27)
La soddisfazione per la dimensione lavorativa è più diffusa tra le donne occupate che tra gli uomini. Le donne lavoratrici italiane sono molto o abbastanza contente di quello che fanno nel 78,1% dei casi, oltre due punti percentuali in più della componente maschile; valori più alti in Veneto dove il sesso femminile sfiora il 79% e quello maschile il 78%.
Qualifiche più alte generano maggiore soddisfazione: in linea con la media nazionale, nella nostra regione si registrano le più alte quote di appagamento nelle persone che occupano posizioni dirigenziali, imprenditoriali e da liberi professionisti, meno felici gli operai. (Figura 3.28) e (Figura 3.29)
La soddisfazione percepita dai laureati
Secondo l'indagine sulla condizione occupazionale dei laureati svolta dal Consorzio Interuniversitario Almalaurea nel 2007 (Nota 12), se emerge che il trattamento retributivo non è proprio dei migliori, in compenso risulta nel complesso buona la valutazione espressa dai laureati occupati sulle proprie condizioni lavorative.
In linea con il dato nazionale, su una scala da 1 a 10, la soddisfazione per il proprio impiego dei laureati che lavorano in Veneto nel 2007, ad un anno dalla laurea, si attesta su un valore pari a 7,2 punti, opinione più o meno condivisa da uomini e donne. Il rapporto tra i colleghi è l'aspetto del lavoro che porta maggiore appagamento, segue l'autonomia e l'acquisizione di professionalità. Tempo libero, prospettive di guadagno e di carriera sono invece le componenti su cui i neolaureati si dichiarano meno soddisfatti.
A distanza di anni, la soddisfazione cresce, ma comunque non in maniera così considerevole; l'unico aspetto che mostra un salto di qualità è l'appagamento per il tipo di contratto che da un punteggio di 6,5 passa al 7,1, colpendo soprattutto la componente maschile.



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Note

  1. Si tratta dei dati sui fabbisogni occupazionali previsti dalle imprese di fonte Unioncamere-Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior 2007.
  2. Il cuneo fiscale è la differenza tra il costo del lavoro sostenuto dall'impresa e la retribuzione netta che resta a disposizione del lavoratore. È' costituito dalle imposte e dai contributi commisurati alla retribuzione, che sono pagati dal datore di lavoro e dal lavoratore. In pratica è la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto incassato effettivamente dal lavoratore, essendo il restante importo versato al fisco e agli enti di previdenza.
  3. Salari, stipendi e competenze accessorie (mensilità aggiuntive, incentivi all'esodo, arretrati, premi, gratifiche, ecc.) al lordo delle trattenute erariali e previdenziali, corrisposte ai lavoratori dipendenti
  4. Sono considerate le Unità di Lavoro (ULA) = L'unità di lavoro rappresenta la quantità di lavoro prestato nell'anno da un occupato a tempo pieno, oppure la quantità di lavoro equivalente prestata da lavoratori a tempo parziale o da lavoratori che svolgono un doppio lavoro. Quantificano in modo omogeneo il volume di lavoro svolto da coloro che partecipano al processo di produzione realizzato sul territorio economico di un Paese a prescindere dalla loro residenza (occupati interni).
  5. (base indice delle retribuzioni 1998 = 100)
  6. Sono stati forniti dal Comune di Padova - Ufficio Prezzi
  7. Si tratta dei dati sui fabbisogni occupazionali previsti dalle imprese di fonte Unioncamere-Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior 2007.
  8. Si tratta di un'indagine campionaria rivolta ai laureati di 45 atenei italiani fra cui quelli veneti.
  9. L'insieme delle attività produttive legali svolte contravvenendo a norme fiscali e contributive al fine di ridurre i costi di produzione.
  10. Le unità di lavoro misurano il numero teorico di lavoratori a tempo pieno e sono calcolate trasformando in unità a tempo pieno le posizioni lavorative ricoperte da ciascun lavoratore.
  11. Ipotesi massima, fonte: Istat.
  12. Si tratta di un'indagine campionaria rivolta ai laureati di 45 atenei italiani fra cui quelli veneti.


Figura 3.1
Tasso di occupazione 15-64 anni dell'anno 2007 e variazione percentuale 2007/2006 - Paesi dell'Unione Europea e Veneto
Figura 3.2
Tassi di occupazione 15-64 anni per anno. Veneto e Italia - Anni 2000:2007
Figura 3.3
Graduatoria regionale dei tassi di occupazione 15-64 anni dell'anno 2007 e variazione % dei tassi 2007/2006
Figura 3.4
Percentuale di occupati a tempo parziale, totali e solo femmine, per regione - Anno 2007
Figura 3.5
Distribuzione percentuale di occupati per settore di attività economica. Veneto - Anni 1997 e 2007
Figura 3.6
Tasso di variazione occupazionale delle imprese. Anno 2007
Figura 3.7
Tasso di occupazione 15-64 anni per sesso e regione - Anno 2007
Figura 3.8
Tasso di occupazione femminile e numero medio di figli per donna per regione - Anno 2007
Figura 3.9
Tasso di occupazione dei lavoratori tra i 55 e i 64 anni in Europa - Anno 2007
Figura 3.10
Tassi di disoccupazione. Veneto e Italia - Anni 2000:2007
Figura 3.11
Tasso di disoccupazione nel 2007 e variazione percentuale del tasso di inattività 2007/2004 per regione
Figura 3.12
Incidenza della disoccupazione di lunga durata. Veneto e Italia - Anni 2002:2007
Figura 3.13
Salario medio annuale di un lavoratore single. Valori espressi in euro - Anno 2007
Figura 3.14
Retribuzioni lorde per unità di lavoro dipendente in euro correnti per regione - Anno 2005
Figura 3.15
Variazione percentuale delle retribuzioni lorde a prezzi correnti - Veneto e Italia - Anni 1998:2005
Figura 3.16
Retribuzione per ULA. Veneto e Italia - Anno 2005
Tabella 3.1
Variazioni percentuali dei principali indicatori del mercato del lavoro - Veneto e Italia. Anni 2000:2005
Figura 3.17
Variazione percentuale media annua dell'indice dei prezzi di alcuni prodotti/servizi della città di Padova e dell'indice delle retribuzioni per il Veneto. Anni 2003:2005.
Figura 3.18
Adulti che partecipano all'apprendimento permanente. Paesi dell'Unione europea e Veneto - Anno 2006
Figura 3.19
Assunzioni di laureati previste dalle imprese per categoria di specializzazione (distribuzione %). Veneto e Italia - Anno 2007
Figura 3.20
Distribuzione percentuale dei laureati rispettivamente ad uno e a cinque anni dalla laurea che lavorano in Veneto nel 2007 per tipo di contratto
Figura 3.21
Guadagno mensile netto dei laureati pre-riforma ad un anno dalla laurea che lavorano in Veneto nel 2007 per le principali facoltà e genere (valori medi in euro)
Figura 3.22
Tassi di irregolarità del 2005 e variazione 2005/2001 del tasso di irregolarità per regione
Figura 3.23
Tasso di occupazione, tasso di irregolarità e tasso di disoccupazione per regione - Anno 2005
Figura 3.24
Tasso di irregolarità e indice di ricambio della popolazione per regione - Anno 2005
Figura 3.25
Distribuzione percentuale delle unità di lavoro non regolari per settore. Veneto e Italia - Anno 2005
Figura 3.26
Variazione percentuale 2005/2001 del tasso di irregolarità per settore. Veneto e Italia
Tabella 3.2
Percentuale di persone di 14 anni e più molto o abbastanza soddisfatte del lavoro. Veneto e Italia - Anno 2006
Figura 3.27
Percentuale di occupati molto o abbastanza soddisfatti del lavoro. Veneto, ripartizioni geografiche e Italia - Anno 2006
Figura 3.28
Percentuale di occupati molto o abbastanza soddisfatti del lavoro per sesso. Veneto e Italia - Anno 2006
Figura 3.29
Occupati molto o abbastanza soddisfatti del lavoro per posizione nella professione. Veneto e Italia - Anno 2006 (per 100 persone nella stessa posizione)
I numeri del capitolo 3
I numeri del capitolo 3

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