Vai all'indice Indice capitoli             Vai alla pagina iniziale Home  
11 - L'allargamento UE e il benchmarking tra regioni

Inizio Pagina  Allargamento Unione Europea

Dal primo gennaio 2007 anche la Romania e la Bulgaria sono entrati a far parte dell'Unione Europea (UE) che continua così il suo processo di allargamento portando a 27 il numero degli stati membri. La promozione di Bulgaria e Romania è il risultato dei continui progressi sostenuti da entrambi i Paesi nell'ultimo anno e, in modo particolare, rispetto all'ultimo rapporto di maggio 2006. Il via libera per l'ingresso nell'Unione Europea è stato dato dal momento che i due Paesi soddisfano precise condizioni politiche ed economiche stabilite nei criteri di Copenaghen. I Paesi aspiranti alla UE devono dimostrare di avere istituzioni stabili a garanzia della democrazia, di rispettare il principio di legalità, di tutelare e promuovere i diritti umani, di riconoscere i diritti delle minoranze, di avere una economia di mercato efficiente e forte, di avere strutture politiche e amministrative adeguate a recepire ed attuare integralmente l'acquis comunitario, cioè le norme europee in vigore in materia di mercato, economia, politica sociale, cultura, istruzione, ambiente, giustizia, finanze ed istituzioni.
La Romania occupa la parte nord della Penisola Balcanica e il suo territorio si caratterizza per la presenza sia di grandi pianure fertili sia di aree montuose della catena dei Carpazi. I suoi 21.610.213 abitanti occupano una superficie di 238.391 kmq e oltre il 50% di loro vive nei centri urbani. E' una popolazione relativamente giovane, se confrontata con il dato UE e ancor più con il dato Italia e Veneto, con un livello di istruzione universitaria simile a quello della nostra regione. Il Pil pro capite, invece, risulta molto inferiore rispetto alla media europea. (Figura 11.1)
La Bulgaria occupa la parte sud-est della Penisola Balcanica e si sviluppa su una superficie di 110.994 kmq per lo più montuosa, con zone pianeggianti a nord e sud-est. Ha una popolazione di 7.718.750 abitanti, con un indice di vecchiaia superiore alla media europea. Molto buono risulta il livello di istruzione universitaria, mentre invece il Pil pro capite è pari a circa un terzo di quello europeo. (Figura 11.2) e (Tabella 11.1)

Flussi migratori

Due sono gli aspetti veramente importanti che caratterizzano l'allargamento: i flussi migratori e le nuove opportunità di investimento e di interscambio con questi Paesi.
L'Europa, infatti, in questo modo acquisisce circa 30 milioni di cittadini e di consumatori e amplia ancora il proprio mercato interno creando nuove opportunità di business.
Quella dei flussi migratori, e conseguentemente la possibile affluenza di forza lavoro dai nuovi stati membri dopo l'adesione, è una delle questioni più sensibili nel processo dell'allargamento. Infatti, la libera circolazione delle persone è considerata una delle libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario, oltre che un elemento essenziale del mercato interno e della cittadinanza europea. Inoltre, le tendenze demografiche in molti Stati dell'UE, dove la società sta invecchiando, e le esigenze di lavoro con esperienza in alcuni settori renderanno la libera circolazione degli operai sempre più desiderabile nel futuro per assicurarsi che l'economia continui a migliorare. D'altra parte, però, la forza lavoro proveniente dai nuovi stati membri è anche temuta e incide molto sull'emotività dell'opinione pubblica. E' per rispondere a queste preoccupazioni che il trattato di adesione di Romania e Bulgaria consente di imporre alcune limitazioni alla libera circolazione dei lavoratori di questi due paesi per un periodo transitorio dopo il 1° gennaio 2007. Anche in Italia, dove la terza popolazione straniera più consistente è proprio quella rumena (297.570 rumeni residenti, pari al 11,1% della popolazione straniera residente totale), alcune restrizioni sul libero flusso migratorio proveniente da questi Paesi rimarranno in vigore per un periodo transitorio di un anno. (Figura 11.3)
In Veneto la presenza rumena, con 43.093 residenti pari al 13,4% del totale degli stranieri, è seconda solo a quella marocchina: Padova è la terza provincia italiana, preceduta da Torino e Arezzo e seguita da Roma, per incidenza dei rumeni sul totale della popolazione residente.
Gli stranieri residenti di origine bulgara, invece, rappresentano per ora una minoranza, sia a livello nazionale (17.746, pari allo 0,7%) che regionale (981, pari allo 0,3%), ma se ne prevede un incremento proprio in seguito all'entrata del loro Paese nell'UE. (Figura 11.4)
Dal punto di vista del mercato del lavoro, la comunità rumena in particolare sembra riscontrare un buon successo, considerato che in Italia nel 2006 oltre sette cittadini rumeni su dieci tra le forze di lavoro risultano occupati, mentre soltanto poco più di due su dieci non fa parte delle forze di lavoro. Nello stesso anno il Veneto risulta essere la quarta regione italiana, dopo Toscana, Lombardia, Piemonte e Lazio, per incidenza di rumeni al livello di sistemi locali del lavoro, in modo particolare nel gruppo dei sistemi del legno e dei mobili.

Economia

Le economie bulgara e rumena, grazie agli effetti delle riforme strutturali avviate e all'interscambio con l'UE, stanno recuperando il ritardo accumulato rispetto agli altri Paesi dell'Europa centro-orientale. Oggi, fattori quali costo del lavoro molto competitivo, specializzazione e buona conoscenza della lingua inglese, localizzazione strategica tra Asia ed Europa, bassi livelli di tassazione sia per le società che per le persone fisiche costituiscono le carte vincenti con cui Romania e Bulgaria si presentano al resto d'Europa.
I principali indicatori economici dei due nuovi Stati membri testimoniano la crescita della loro economia globale e gli effetti positivi delle politiche fin qui adottate. (Tabella 11.2)
Per quanto riguarda i settori produttivi, in Romania l'industria è stata a lungo un settore trainante dell'economia, soprattutto nei comparti dell'industria pesante, della raffinazione e del settore petrolchimico. Oggi questi settori risentono delle conseguenze di ritardi tecnologici e l'industria contribuisce alla formazione del valore aggiunto per il 35%. Metà del reddito è realizzato dal settore terziario e il restante 14% dall'agricoltura.
La recente storia della Bulgaria è caratterizzata da una profonda trasformazione della sua struttura economica che ha portato ad un netto ridimensionamento del ruolo del settore agricolo. Solo nel 1990, infatti, l'agricoltura contribuiva per circa il 20% alla formazione della ricchezza nazionale, mentre invece nel 2004 il suo apporto è diminuito fino a circa l'11%. Contemporaneamente si sono sviluppati l'industria - soprattutto industrie elettriche, chimiche, alimentari, del gas, di raffinazione del petrolio, del tabacco - e il settore dei servizi, che rappresentano rispettivamente il 30% e quasi il 60% del valore aggiunto. (Tabella 11.3) e (Figura 11.5)

Interscambio commerciale

Romania e Bulgaria sono Paesi con i quali l'Italia condivide intensi legami economici.
L'interscambio con la Bulgaria ha registrato un incremento sostanziale negli ultimi anni e l'attuale flusso di investimenti diretti italiani pone l'Italia tra i primi investitori esteri.
Ancor più consolidati sono i legami con la Romania, che è divenuta ormai un partner fondamentale del sistema economico italiano e dove l'Italia è presente anche massicciamente con il suo capitale e le sue imprese. (Tabella 11.4) e (Tabella 11.5)
Il Veneto, se da un lato ha interscambi commerciali non molto rilevanti con la Bulgaria, dall'altro ha invece buoni rapporti economici con la Romania. Nel 2005 essa rappresenta il sesto mercato per le importazioni (1.325 milioni di euro, pari al 4,1% dell'import totale) e il settimo per le esportazioni venete (1.283 milioni di euro, pari al 3,2% dell'export totale). Per quanto riguarda la composizione merceologica degli scambi Veneto-Romania, sul piano dell'import spiccano le calzature e l'abbigliamento, dal lato export, invece, ancora le calzature e il settore della preparazione e concia del cuoio. (Figura 11.6) e (Figura 11.7)
Dall'analisi dei principali gruppi merceologici coinvolti nell'interscambio commerciale, si evidenzia una sorta di filiera produttiva tra il Veneto e questi due Paesi e i dati relativi alle esportazioni temporanee fanno supporre una consistente delocalizzazione delle imprese venete del settore moda, soprattutto in Romania.



Figura 11.1
Cartina fisica della Romania
Figura 11.2
Cartina fisica della Bulgaria
Tabella 11.1
Popolazione, indice di vecchiaia, istruzione e PIL pro capite in PPS - Anno 2005
Figura 11.3
Stranieri residenti per cittadinanza. Italia. Anno 2005
Figura 11.4
Stranieri residenti per cittadinanza. Veneto. Anno 2005
Tabella 11.2
Principali indicatori economici. Romania e Bulgaria - Anni 2002:2006
Tabella 11.3
Valore aggiunto per settore in milioni di euro correnti. Romania e Bulgaria - Anni 2002:2004
Figura 11.5
Valore aggiunto per settore in percentuale. Anno 2004
Tabella 11.4
Interscambio commerciale con la Bulgaria. Italia e Veneto - Anni 2003:2005
Tabella 11.5
Interscambio commerciale con la Romania. Italia e Veneto - Anni 2003:2005
Figura 11.6
Primi cinque gruppi merceologici di interscambio commerciale con la Romania in milioni di euro. Veneto. Anno 2005
Figura 11.7
Primi cinque gruppi merceologici di interscambio commerciale con la Bulgaria in milioni di euro. Veneto. Anno 2005




Inizio Pagina  Benchmarking

I nuovi Paesi membri sono entrati a far parte dell'Unione Europea perché la Commissione li ha giudicati sufficientemente pronti per soddisfare i criteri politici, economici e dell'acquis entro il 1° gennaio scorso, ma essi devono ancora oggi compiere progressi in taluni campi e mantenere il ritmo delle riforme anche dopo l'adesione. Il loro percorso verrà monitorato e seguito passo passo all'interno di quella che è la strategia di allargamento comunitaria che è imperniata su tre principi: consolidamento degli impegni, rispetto delle condizioni e comunicazione. L'allargamento è da diversi decenni al centro dello sviluppo dell'UE e l'adesione della Bulgaria e della Romania il 1° gennaio scorso ha completato il quinto allargamento, iniziato nel maggio 2004 con l'adesione di dieci Stati membri. Sul piano economico, l'allargamento ha contribuito ad aumentare la prosperità e le potenzialità, consentendo all'Unione ampliata di acquisire una maggiore competitività a livello mondiale e di dare una risposta più efficace alle sfide della globalizzazione, con vantaggi diretti per l'intera Europa. L'allargamento ha conferito all'UE maggior peso e maggior voce in capitolo sulla scena mondiale. Si tratta di un progetto epocale, basato su una visione dell'Europa unita e del suo ruolo globale, ruolo peraltro rilanciato dalla Strategia di Lisbona, riformata nel 2005 come strategia per la crescita e l'occupazione, con l'obiettivo di migliorare la competitività dell'Unione Europea e realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
L'ingresso dei nuovi Stati membri, i dieci del 2004 e gli ulteriori due dello scorso gennaio, ha reso più impegnativo il raggiungimento degli obiettivi, soprattutto per le differenze interne che caratterizzano questi territori. Nonostante i progressi compiuti grazie al sostegno offerto dalla Comunità Europea, i risultati fin qui raggiunti risultano disomogenei e inferiori alle aspettative.
Per riuscire a raggiungere gli obiettivi prefissati è necessario adottare una strategia globale di intervento con azioni coordinate e integrate in campo economico e sociale; in particolare si riconosce come per sostenere l'economia sia indispensabile modernizzare il modello sociale europeo, investendo nelle persone e combattendo l'esclusione sociale. Ne consegue l'importanza della politica di coesione, sia economica che sociale, per gli effetti positivi che produce sui territori in difficoltà dell'Unione Europea e che deve essere adeguatamente potenziata anche per far fronte alla sfida costituita dall'allargamento. Esistono infatti grandi disparità socioeconomiche tra gli Stati membri e tra le regioni. Queste disparità di reddito e di sviluppo sorgono da lacune strutturali registrate in alcuni fattori chiave di competitività quali gli investimenti in infrastrutture materiali, l'innovazione, le risorse umane e lo sviluppo sostenibile, con il risultato che alcune regioni crescono a velocità doppia rispetto a quella media del gruppo e altre si sviluppano a tassi inferiori all'1% medio annuo. La sfida della politica di coesione consiste nell'investire nei fattori di competitività, per permettere agli Stati membri e alle regioni di superare i loro rispettivi problemi strutturali. La concentrazione delle risorse andrà a beneficio degli Stati membri e delle regioni meno prospere, privilegiando i nuovi entrati che presentano forti ritardi.
Per evidenziare le differenze fra regioni europee può essere utile l'utilizzo dell'indicatore ottenuto come combinazione di sette (Nota 1) dei quattordici indicatori individuati dall'Agenda di Lisbona: c'è un'area contraddistinta da alta performance formata dalla regione di Stoccolma, parte della Norvegia, della Danimarca, dell'Est Scozia e del Sud-Est Inghilterra, oltre ad alcune zone di Germania, Paesi Bassi, Austria e tutta la Svizzera. Regioni con performance sopra la media si trovano anche in Italia, Portogallo Spagna, Irlanda, Francia, Finlandia, Slovacchia e Cipro. In alcuni Paesi le aree urbane si distinguono dalle regioni loro circostanti o dal resto del Paese; ciò si verifica soprattutto per zone delle capitali Praga, Bratislava e Budapest, ma è evidente anche per le regioni metropolitane in Belgio, Germania e Spagna.
A livello regionale l'indicatore combinato di performance mette in luce la diversità di strategie che le regioni devono considerare di adottare, basate sulle loro potenzialità, in modo da contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Lisbona. (Figura 11.8)
Anche gli indicatori singolarmente considerati evidenziano risultati differenti per i diversi territori. Per quanto riguarda l'aspetto della crescita e della competitività, nel periodo 2001-2005 l'Unione Europea nel suo complesso è stata caratterizzata da una fase di marcata debolezza ciclica, ma non sono mancate buone performance in termini di crescita economica, livello del reddito e produttività, soprattutto fra i nuovi Stati membri. Anche in termini di attività di ricerca e accesso alle tecnologie dell'informazione, individuati dalla Strategia di Lisbona come motori dello sviluppo, le differenze tra paesi e regioni sono molto marcate, con disparità e ritardi più evidenti per i Paesi di nuova adesione e per quelli dell'Europa meridionale. Analogo discorso vale anche per quel che concerne l'investimento in capitale umano misurato dall'apprendimento durante tutto l'arco della vita: da un lato ci sono i Paesi baltici ed il Regno Unito con performance molto elevate, dall'altro i nuovi Stati membri e alcuni Paesi mediterranei con risultati insoddisfacenti per il periodo di riferimento.
Nel seguito viene presentata una serie di schede relative ad indicatori ritenuti significativi per gli argomenti trattati nella prima parte del Rapporto Statistico. In ognuna di esse viene messo a confronto il Veneto con le regioni Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Baden-Württemberg, Bayern, Cataluña e Rhône-Alpes, considerate sue competitor, e con l'Italia e l'Unione Europea.
Per ogni indicatore scelto vengono proposti tre grafici, relativi il primo alla serie storica degli ultimi cinque anni, il secondo al valore dell'ultimo anno disponibile e il terzo, un po' più articolato, alla variazione percentuale nel quinquennio di riferimento, alla variazione percentuale nell'ultimo anno e al valore dell'ultimo anno.

Avvertenze

I dati su cui si basa l'analisi sono principalmente di fonte Eurostat e BAK. Per ogni argomento si è cercato di rappresentare la tendenza del fenomeno attraverso lo studio della serie storica, ma non è stato possibile riprodurre sempre gli stessi anni; vengono perciò presentati gli ultimi aggiornamenti disponibili. Per il Veneto sono disponibili dati più aggiornati per quasi tutti gli argomenti, ma per operare i dovuti confronti sono stati proposti i valori temporalmente omogenei per l'insieme di regioni analizzate. Si noteranno infatti alcune differenze tra i dati presentati nella prima parte di questo rapporto e quelli esposti nella seguente trattazione: questo è dovuto alla necessità di renderli omogenei tra loro e con alcune definizioni di Eurostat che non sempre coincidono esattamente con quelle ufficiali utilizzate a livello nazionale.




Figura 11.8
Indicatori economici di Lisbona. Performance(*) delle regioni. Anno 2005
PIL PRO CAPITE

Nel contesto europeo il Veneto continua a mantenere una buona posizione rispetto al reddito pro-capite calcolato in parità di potere d'acquisto. L'ultimo anno disponibile di confronto con le altre regioni europee è il 2004 e il Prodotto Interno Lordo pro capite veneto conserva i suoi livelli di eccellenza: 28.310 euro, superiore del 18,6% a quello nazionale.
Nel 2004 le regioni che hanno un PIL per abitante superiore ai 30.000 euro sono la Baviera, la Lombardia e il Baden-Württemberg.
In termini di dinamica annua il Pil pro capite del Veneto è aumentato nel 2004 del 3,8%; +0,8 punti percentuali rispetto alla media nazionale. Si tratta della crescita più elevata dopo quella della Cataluña (+4,9%).
Estendendo il periodo di osservazione, dal 2000 al 2004, l'incremento del PIL pro capite veneto è stato in linea con quello degli altri competitor italiani ed europei. Tra le regioni selezionate, solo la Cataluña, ha fa registrare una crescita del PIL pro capite superiore ai venti punti percentuali.


Figura 11.9
PIL PRO CAPITE
Percentuale del valore aggiunto dei servizi sul valore aggiunto totale

L'analisi della dinamica del valore aggiunto conferma che è ancora in atto il lungo processo di terziarizzazione del tessuto economico dei paesi più industrializzati: ovunque si riduce il peso del settore manifatturiero ed aumenta quello dei servizi.
La regione del Rhône-Alpes è quella che presenta la quota di valore aggiunto prodotto dai servizi più elevata rispetto alle altre regioni selezionate. Nel 2004 il valore aggiunto creato dal settore dei servizi del Rhône-Alpes è stato pari al 72% dell'intera ricchezza prodotta dalla regione francese e la quota dei servizi sul valore aggiunto complessivo è passata dal 69,5% del 1990 al 72,2% del 2004.
Nel 2004 le regioni italiane che evidenziano il maggior peso dei servizi sul valore aggiunto totale sono la Toscana (69,5) e Piemonte (67,9). Il Veneto chiude la classifica delle regioni italiane, con una dei servizi sul valore aggiunto complessivo pari al 63%.
Quanto alla crescita del peso dei servizi nel periodo 2000:2004, si evidenziano le performance del Piemonte (+6,8%), del Rhône-Alpes (+3,9) e del Veneto (+3,5%).


Figura 11.10
Percentuale del valore aggiunto dei servizi sul valore aggiunto totale
Valore aggiunto pro-capite nel settore new economy

La new economy è costituita dall'insieme dei settori relativi ai servizi IT e telecomunicazioni, alla produzione di hardware, ossia da quei comparti caratterizzati da mezzi e strumenti innovativi, ad alto contenuto tecnologico e da un elevato impiego di ricerca e sviluppo. Tale campo ha avuto una notevole evoluzione negli anni '90 ed è stato caratterizzato recentemente da tassi di crescita sopra la media e un alto livello di produttività oraria. Il valore aggiunto pro capite di tale settore è evidentemente più alto nelle regioni caratterizzate dalla presenza di imprese ad alto livello di tecnologia e ad elevato contenuto di innovazione quali quelle del Nord Europa: il valore della Baviera è superiore al doppio di quello del Veneto. Il Veneto supera comunque, oltre che la Catalogna, altre regioni italiane, quali Emilia Romagna e Toscana. Nonostante gli sforzi compiuti dall'Italia negli ultimi anni, i livelli europei sono ancora lontani. Anche a livello di dinamica temporale, primeggiano Baviera, Rhone Alpes e Baden Wurttemberg.


Figura 11.11
Valore aggiunto pro-capite nel settore new economy
Valore aggiunto pro-capite nel settore urban economy

Il settore dell'urban economy (servizi urbani) è costituito dall' insieme dei comparti del commercio, del turismo, dei trasporti, dei servizi finanziari, dei servizi alle imprese e dei servizi alla persona.
La Baviera è la regione con il valore aggiunto pro capite prodotto dal settore dei servizi urbani più elevato rispetto agli altri competitor selezionati. Nel 2005 il valore aggiunto pro capite bavarese è stato di 13.792 euro, superiore di ben 31,9 punti percentuali al valore medio europeo.
La seconda posizione della graduatoria è occupata dalla Lombardia, con un valore aggiunto per abitante pari a 12.386 euro.
Il valore aggiunto pro capite dei servizi urbani del Veneto (10.538 euro) è stato leggermente superiore al dato medio europeo.
Alla Baviera spetta anche il primato della maggior crescita nel periodo 2001-2005, con un aumento del +6,4%, seguono Rhône-Alpes e Cataluña con un incremento annuo del +5,9%.
Nel periodo sopraindicato, tutte le regioni italiane selezionate evidenziano un calo del valore aggiunto pro capite ascrivibile ai servizi urbani, con un picco negativo del -3,2% in Lombardia.


Figura 11.12
Valore aggiunto pro-capite nel settore urban economy
Valore aggiunto pro-capite nel settore tradizionale

Il settore tradizionale è un insieme di rami industriali tradizionali, tendenzialmente a basso valore aggiunto. Esso ha perso importanza in molte regioni dell'Europa occiden-tale, in quando per molte imprese è più conveniente spostare la propria produzione in paesi emergenti, con un costo della manodopera più basso. Le regioni sono spinte a ridurre la quota di questo settore per permettere una più efficiente allocazione delle risorse e raggiungere una migliore performance.
Tuttavia, in alcune regioni queste industrie restano attrattive, soprattutto se si ottiene un alto grado di specializzazione in prodotti redditizi e di alta qualità.
Nel periodo 2001-2005 il valore aggiunto pro capite di tale settore è diminuito in tutti i territori selezionati per il confronto, con l'unica eccezione della Cataluña (+0,7%).
Il Veneto è particolarmente specializzato nel settore tradizionale, che produce circa il 30% del ricchezza regionale. Nel 2005 il valore aggiunto pro capite di tale settore è stato di 5.825 euro e ha superato di oltre 1.900 euro il dato medio nazionale (3.918 euro).
Tra i competitor, la regione con il valore aggiunto pro capite più elevato è la Lombardia (6.259 euro).
Il Veneto si colloca in terza posizione, dietro il Baden-Württemberg (5.908 euro).


Figura 11.13
Valore aggiunto pro-capite nel settore tradizionale
Numero di progetti cross-border di investimento greenfield e di ampliamento di attività per milione di abitanti

A partire dai primi anni novanta il fenomeno dell'internazionalizzazione delle imprese tramite investimenti diretti esteri (IDE) e altre forme di internazionalizzazione non mercantile ha assunto una dimensione sempre più rilevante anche per le imprese venete, tale da configurarsi come uno dei caratteri distintivi del modello di sviluppo regionale.
Un confronto internazionale è possibile con riferimento al numero di progetti cross-border di investimento greenfield e di ampliamento di attività per milione di abitanti. Con riferimento a tali dati, si pone a confronto le performance del Veneto con quelle delle regioni competitor.
All'inizio del 2006 le regioni più attrattive, tra quelle selezionate, sono quelle del Rhône-Alpes, 9,7 progetti per milione di abitanti e la Cataluña (9,2).
Il divario di attrattività del Veneto nei confronti di alcune delle più forti regioni europee appare abbastanza ampio; tra le regioni italiane solo la Lombardia, con 5,6 progetti per milione di abitanti, sembra tenere il loro passo.
Assai più equilibrato appare il confronto con le altre regioni italiane. Veneto, Emilia Romagna e Piemonte si confermano, dopo la Lombardia, le regioni italiane più attrattive nei confronti degli investitori esteri.
I motivi della limitata presenza di imprese a capitale estero in Veneto va probabilmente ascritta alle specifiche caratteristiche strutturali dell'economia veneta, caratterizzata ancora da imprese di piccola e media dimensione, che riducono le opportunità di investimento per gli operatori internazionali, per lo meno dal lato della possibilità di acquisire attività preesistenti, a causa del forte addensarsi di piccole imprese a gestione familiare.


Figura 11.14
Numero di progetti cross-border di investimento greenfield e di ampliamento di attività per milione di abitanti
Tasso di occupazione 15-64 anni

Nel 2005 la Commissione europea ha rilanciato la strategia di Lisbona incentrando l'azione principalmente sulla realizzazione di una crescita più stabile e duratura e sulla creazione di nuovi e migliori posti di lavoro, soprattutto alla luce delle rapide trasformazioni economiche e del forte invecchiamento della popolazione.
Dopo cinque anni dalla prima definizione della strategia, si evidenzia una situazione occupazionale generalmente più favorevole nelle regioni estere, i cui tassi di occupazione nel 2005 sono tutti superiori alla media europea e Baden-Württemberg e Baviera hanno già raggiunto il target europeo del 70% posto per il 2010; tra le regioni italiane confrontate, l'Emilia Romagna ha l'indice più elevato, 68,4%, e si conferma regione leader anche nel 2006 registrando un tasso pari al 69,4%. Il Veneto si colloca in posizione intermedia con il 64,6% delle persone di 15-64 anni che lavorano , sette punti percentuali al di sopra della media italiana e mantiene una posizione privilegiata tra le regioni italiane per livelli occupazionali più elevati anche nel 2006 con un indice pari al 65,5%. Ma la tendenza di medio periodo mostra che le regioni italiane stanno velocemente guadagnando terreno: ciò risulta dall'incremento dei tassi del 2005 rispetto al 2001, +3 punti percentuali nella media nazionale, rispetto al +1,6 dell'Unione europea, +2,7 nel Veneto.


Figura 11.15
Tasso di occupazione 15-64 anni
Tasso di occupazione femminile 15-64 anni

E in un contesto di rapide trasformazioni economiche e di continua diminuzione della popolazione in età attiva, a fronte anche dell'aumento delle persone anziane, occorre attrarre e trattenere nel mercato del lavoro un maggior numero di persone mediante politiche adeguate.
La maggiore partecipazione femminile nel mercato del lavoro è un elemento essenziale per raggiungere gli obiettivi economici. Pur posizionandosi su livelli inferiori, il tasso di occupazione femminile è più in crescita in questi anni nelle regioni italiane che in quelle europee. Le regioni tedesche superano già da anni ampiamente l'obiettivo europeo prefissato per il 2010 al 60% e registrano nel 2005 un indice intorno al 63%. Nello stesso anno anche Rhône-Alpes raggiunge il target, poco distante anche la Catalogna. Tra le regione italiane confrontate, solo l'Emilia Romagna raggiunge un tasso di occupazione femminile pari all'obiettivo, 60%. Il Veneto in questo caso è ultimo in graduatoria: 53 su 100 sono le donne in età 15-64 anni che lavorano nel 2005, contro, comunque, alle 45 italiane. Nel 2006, tuttavia, il tasso di occupazione femminile, sia a livello medio italiano che nella nostra regione, continua a crescere e si attesta su un valore pari a, rispettivamente, 46,3% e 53,6%.
Rispetto all'Italia più vicino al target la media europea già nel 2005, 56 su 100 le donne inserite nel mercato del lavoro; anche se tre nuovi posti di lavoro su quattro nell'UE sembrano essere occupati da donne, occorre precisare che rimangono tuttavia ancora forti gli squilibri di genere, e ancora molti sono gli ostacoli che impediscono alle donne di far valere interamente il loro potenziale.


Figura 11.16
Tasso di occupazione femminile 15-64 anni
Tasso di disoccupazione totale

Alla più elevata partecipazione delle regioni europee al mondo del lavoro corrispondono tassi di disoccupazione mediamente maggiori rispetto a quelli registrati nelle regioni italiane: 8,4% nel 2005 l'indice a Rhône-Alpes, inferiore comunque a quello medio europeo (9%), sul 7% quello delle regioni tedesche e della Catalogna. Il Veneto, invece, con il 4,2% di disoccupati sulla forza lavoro, ha un valore superiore solo ad Emilia Romagna, 3,8%, e Lombardia, 4%, e differisce rispetto al dato italiano di oltre tre punti percentuali. Anche nell'anno 2006 la nostra regione mantiene la sua posizione privilegiata registrando un dato pari al 4%; inoltre, anche a livello nazionale si assiste nell'ultimo biennio ad una consistente diminuzione delle persone in cerca di lavoro ed il tasso di disoccupazione italiano scende fino ad un valore pari al 6,8% nel 2006 rispetto al 7,7% dell'anno precedente, confermandosi il tasso più basso di quest'ultimo decennio. Viceversa, le regioni tedesche affrontano in questi anni un progressivo e considerevole aumento dei livelli di disoccupazione: in cinque anni, infatti, i loro tassi si sono quasi duplicati.


Figura 11.17
Tasso di disoccupazione totale
Tasso di occupazione dei lavoratori tra i 55 e i 64 anni

Anche i lavoratori anziani costituiscono una quota rilevante nella popolazione attiva e, a livello europeo, si condivide che l'aumento della base occupazionale non può prescindere dall'incentivare alla partecipazione le classi di popolazione più anziana, di 55-64 anni, tanto da farne un obiettivo da raggiungere entro il 2010. In questo caso le regioni italiane scontano una situazione strutturale che, incentivando anni indietro la fuoriuscita di questi lavoratori dal mercato del lavoro, ha fatto si che i relativi tassi occupazionali risultino tutti inferiori a quelli registrati nelle regioni europee a confronto. Tra queste l'indice più elevato è del Baden-Württemberg, 52,1% nel 2005, oltre due punti percentuali al di sopra del target fissato al 50%. Tra le regioni italiane è la Toscana a rilevare il tasso più alto (oltre il 35%), mentre il Veneto è pari a poco più della metà del target, nonostante registri un indice in crescita anche nell'anno 2006 (28,2%). Tra gli incentivi per riuscire a trattenere nel mercato occupazionale i lavoratori anziani anche il miglioramento della qualità del lavoro, soprattutto mediante il sostegno di una formazione appropriata, misurata dal Consiglio europeo con l'adozione di un parametro che prevede che il 12,5% della popolazione in età 25-64 anni partecipi entro il 2010 all'apprendimento permanente. Al 2005 l'UE25 supera di poco il 10%, al di sotto l'Italia e la nostra regione con un tasso intorno al 6%. Ancora una volta migliori le performance delle regioni europee.


Figura 11.18
Tasso di occupazione dei lavoratori tra i 55 e i 64 anni - Adulti che partecipano all'apprendimento permanente
Percentuale spesa per R&S sul Pil

Nella letteratura economica il ruolo degli investimenti in Ricerca e Sviluppo è generalmente riconosciuto come sostanzialmente rilevante ed è ampiamente dimostrato che la produttività aumenta in modo proporzionale all'incremento di spesa in R&S.
L'Europa è ancora lontana dall'obiettivo fissato a Lisbona nel 2000 che si prefissa il raggiungimento del 3% di spesa su Pil per il 2010, e in egual misura è distante il parametro del 2,5% fissato per l'Italia.
L'ultimo anno disponibile per un confronto con le altre regioni europee è il 2003 e la situazione del Veneto registra un rallentamento della crescita della spesa in R&S in termini di percentuale su Pil (-2,4%).
Nel 2003 la spesa veneta in R&S è pari allo 0,72 del PIL regionale.
Il Baden-Württemberg è l'unica regione che ha già superato l'obiettivo fissato a Lisbona, con una spesa in R&S su PIL pari al 3,88%.
La Baviera (2,95%) e la regione del Rhône-Alpes (2,61%) sono molto vicine all'obiettivo del 3%, mentre tutte le altre regioni selezionate hanno valori inferiori alla media europea (1,9%).
Analizzando la dinamica nel periodo dal 2000 al 2003, la spesa veneta in R&S in percentuale sul PIL, pur rimanendo la più bassa, è quella che ha registrato la crescita più elevato rispetto agli altri competitor (+34,1%).


Figura 11.19
Percentuale spesa per R&S sul Pil
Percentuale di spesa per R&S delle imprese sul Pil

Negli ultimi decenni, le istituzioni comunitarie hanno dedicato particolare attenzione alla promozione e valorizzazione della ricerca e sviluppo, come motore per la crescita economica e sociale del sistema europeo, attenzione culminata con la definizione della strategia di Lisbona durante il Consiglio europeo del marzo 2000.
L'obiettivo di Lisbona che prevede che i due terzi della spesa in R&S sia finanziata dal settore industriale è già realtà in alcuni paesi del nord Europa, è pressoché raggiunto per l'UE15 ed è vicino per l'UE25.
Nelle regioni tedesche prese in considerazione, la quota della spesa in R&S delle imprese è pari a circa l'80% della spesa complessiva. Anche le regioni del Rhône-Alpes e della Cataluña hanno raggiunto l'obiettivo di Lisbona, con una quota finanziata dalle imprese vicina al 70%.
Tra le regioni italiane solo il Piemonte, con una quota di R&S del settore privato pari al 77%, riesce a tenere il passo dei competitor europei.
La minor dimensione aziendale delle imprese italiane è uno dei principali ostacoli alle attività di ricerca e sviluppo. Imprese di maggiori dimensioni non solo riescono a innovare maggiormente, ma hanno anche la possibilità di assorbire manodopera con livelli di istruzione più elevati.
Nel 2003 la spesa delle imprese venete in R&S è pari allo 0,30 del PIL regionale e registra un rallentamento rispetto all'anno precedente del -3,9%.
La spesa in R&S si distribuisce quasi equamente tra il mondo imprenditoriale e l'Università, con le imprese che spendono una quota pari a 41,7%.


Figura 11.20
Percentuale di spesa per R&S delle imprese sul Pil
Indicatore di accessibilità globale

Il livello di infrastrutturazione di una regione è fattore cruciale ai fini della competitività della stessa in quanto determina la sua possibilità di essere raggiunta dalle altre regioni. L'accessibilità può essere definita come il "prodotto" principale di un sistema di trasporti e il compito principale delle sue infrastrutture è quello di favorire l'interazione spaziale, ovvero la mobilità di persone e merci per attività sociali, culturali o economiche. E' importante non solo che le imprese riescano facilmente ad approvvigionarsi delle materie prime necessarie al proprio ciclo di produzione o a raggiungere i mercati destinati al consumo finale, ma anche che i singoli individui possano usufruire di mezzi e servizi che facilitino i loro spostamenti e capaci di favorire lo sviluppo delle loro attività, sia quelle lavorative sia quelle legate al tempo libero e ai propri interessi e legami sociali.
La Comunità Europea ha posto fra i suoi obiettivi lo sviluppo dell'accessibilità dei suoi territori poiché ritiene che "una buona accessibilità delle regioni europee migliori non solo la loro singola competitività ma anche la competitività dell'intera Europa".
L'indicatore di accessibilità globale calcolato dall'Istituto Bak Basel Economics misura la connessione di una regione con quelle di altri continenti. Nel quinquennio considerato tra tutte le aree prese in considerazione Baden-Württemberg ha sempre la migliore accessibilità globale, seguito da Bayern, Lombardia e Rhône-Alpes; quinto il Veneto, con distacco significativo. I dati evidenziano una variazione positiva netta nell'ultimo anno per tutte le regioni, in particolare per Bayern (+3,2%).


Figura 11.21
Indicatore di accessibilità globale
Indicatore di accessibilità continentale

Nella scheda precedente si è trattato dell'accessibilità globale, in quanto fattore di propulsione della competitività dell'intera Europa verso il resto del mondo, ma non meno importante è l'accessibilità continentale, intesa come collegamento tra regioni europee, soprattutto in seguito all'ingresso nell'Unione di nuovi Stati membri e al conseguente spostamento verso Est del baricentro dello spazio del continente. Il presupposto di base è che le aree con miglior accesso ai siti di approvvigionamento delle materie prime e ai mercati destinati al consumo finale, ceteris paribus, siano caratterizzate da maggior produttività, maggior competitività e quindi riscuotano più successo delle regioni più lontane e isolate.
Se si considera l'indicatore di accessibilità continentale calcolato dall'Istituto Bak Basel Economics, non si riscontrano gli stessi buoni risultati dell'indicatore a livello globale. Lo stesso Baden-Württemberg, che comunque resta sempre nettamente la regione migliore, nel quinquennio considerato presenta una leggera flessione. Nell'ultimo anno, invece, due delle regioni italiane, Lombardia e Piemonte, fanno registrare una variazione negativa (rispettivamente - 0,7 e - 1%).
La Cataluña, invece, presenta i migliori progressi: +5,2% nel quinquennio e +2,2% nell'ultimo anno. Il Veneto, assieme a Bayern, presenta nell'ultimo biennio la seconda miglior variazione percentuale (+1,8%), ma per l'ultimo anno disponibile risulta sesto nella graduatoria delle nove regioni confrontate, a conferma della presenza di forti criticità nel suo sistema di trasporti, come evidenziato nel capitolo 5 della prima parte del Rapporto Statistico.


Figura 11.22
Indicatore di accessibilità continentale
Indicatori sui centri urbani

A confronto anche alcuni dei principali centri urbani delle regioni considerate in questa sezione.
Fra tutti emerge Barcellona per l'alta concentrazione di popolazione, che nel periodo 1999-2003 risulta in media superiore ai 15.000 abitanti per kmq. Si tratta di una densità più che doppia rispetto a quella di città italiane quali Milano e Torino. Evidente inoltre la minore presenza insediativa a Venezia, con 650 abitanti per kmq.
Nei centri urbani non si concentra invece il maggior livello occupazionale, che anzi generalmente risulta inferiore al corrispondente dato regionale. Fa eccezione Monaco, caratterizzato da un tasso di occupazione più che mai positivo (in media oltre il 75% della popolazione risulta occupata) e ben al di sopra del già alto livello occupazionale di cui gode nel complesso la Baviera (intorno al 70%), regione cui appartiene la città tedesca. Tra i centri urbani considerati, anche l'altra città tedesca si distacca per una più alta occupazione, mentre al terzo posto si trova Bologna, la prima fra le cinque città italiane. D'altra parte in Italia proprio l'Emilia-Romagna è la regione con il più alto tasso occupazionale, ormai prossimo all'obiettivo del 70% prefissato da Lisbona.
Lo sforzo di riuscire a migliorare il livello della qualità della vita nei centri urbani passa anche attraverso il recupero dell'ambiente urbano e la riduzione dei fattori inquinanti. E' essenziale, ad esempio, per la maggiore vivibilità delle aree urbane, destinare parte della loro superficie alla costituzione di spazi di verde pubblico, aspetto che risulta piuttosto diversificato tra i vari centri. Sono ancora le città tedesche e Bologna a presentare la maggiore estensione pro capite di verde pubblico, in particolare Monaco con 37 mq. a persona. Sotto la soglia dei 15 mq. in genere il dato per le altre città; particolarmente basso invece a Barcellona, che fra l'altro è il centro più densamente abitato.


Figura 11.23
Indicatori sui centri urbani



Torna indietro Torna indietro

Note

  1. I sette indicatori elaborati da ESPON - European Spatial Planning Observation Network - sono: PIL pro capite, PIL per persona occupata, Tasso di occupazione, Tasso di occupazione dei lavoratori tra i 55 e i 64 anni, Spesa del Pil in R&S, Dispersione dei tassi regionali di (dis)occupazione, Tasso di disoccupazione di lunga durata. Per i rimanenti sette non ci sono dati regionali disponibili. Pertanto l'analisi è focalizzata sugli indicatori economici e non tiene conto di tutti gli aspetti dell'Agenda di Lisbona (per esempio, non sono inclusi indicatori ambientali).

Verifica l'accessibilità del Rapporto Statistico 2007 : Valid HTML 4.01! 

I dati elaborati dall'Ufficio di Statistica della Regione Veneto sono patrimonio della collettività; si autorizza la riproduzione a fini non commerciali del presente materiale con la citazione della fonte "Regione Veneto - Direzione Sistema Statistico Regionale".