8. IL MERCATO DEL LAVORO
La trasformazione degli ultimi anni L'obiettivo di fare dell'Europa l'economia basata sulla conoscenza più
competitiva e dinamica del mondo, stabilito a Lisbona nel 2000 e più volte
richiamato in questo rapporto, rimarrebbe una velleitaria dichiarazione di
intenti se, prima di ogni altra cosa, non si puntasse ad innalzare drasticamente
i tassi di occupazione regolare e di partecipazione attiva al mercato del
lavoro, favorendo la capacità di adattamento dei lavoratori e delle imprese e
con essa l'investimento nel capitale umano e nell'apprendimento permanente.
Di qui l'importanza delle politiche sociali e del lavoro, oggi funzionali non
solo a ridisegnare costantemente i diritti e le tutele delle singole persone
lungo tutto l'arco della loro vita, secondo le tradizionali logiche dei sistemi
di welfare, ma anche a costruire una società che sia al tempo stesso più
dinamica e competitiva, proprio perché pone il fattore personale al centro del
sistema. In questo senso il mercato e l'organizzazione del lavoro si stanno evolvendo
con crescente velocità, non altrettanto avviene per la regolazione dei rapporti
di lavoro. In Europa stiamo vivendo una trasformazione epocale che in alcuni
Paesi di altri continenti (America, Asia, Oceania) conosce già stadi di sviluppo
più avanzati: la transizione da un sistema economico "industrialista" ad uno
fondato sulle "conoscenze". Il sistema regolativo dei rapporti di lavoro ancor
oggi utilizzato in Italia e, seppur con diversi adattamenti, in Europa, coglie
e governa a fatica questa trasformazione in atto. La stessa terminologia
adottata nella legislazione lavoristica, "posto di lavoro", appare quasi
obsoleta. Assai più che semplice titolare di un "rapporto di lavoro", il
prestatore di oggi, e, soprattutto, di domani, anche se incardinato all'interno
di una organizzazione, diventa un collaboratore che opera all'interno di un
ciclo. Si tratti di un progetto, di una missione, di un incarico, di una fase
dell'attività produttiva o della sua vita, sempre più il percorso lavorativo
è segnato da cicli in cui si alternano diverse fasi di lavoro, intervallate da
periodi di formazione e riqualificazione professionale. Il mercato del lavoro italiano sta vivendo dal 1996 uno straordinario periodo
di espansione, il 2004 è stato il nono anno di crescita ininterrotta dell'
occupazione dopo la crisi occupazionale del 1992-1995, la più grave attraversata
dal Paese nella seconda metà del Novecento. Un elemento di novità è dato dall'
intensità della crescita: in questi nove anni di espansione senza interruzioni,
l'occupazione è cresciuta in media d'anno dell' 1,3%, ovvero di circa 266
mila unità l'anno. Risultato ancor più significativo se confrontato con i ritmi
di espansione del prodotto: infatti nonostante i ritmi di crescita più blandi
del Pil nella fase recente, rispetto agli anni Ottanta, la creazione di posti
di lavoro non solo non è rallentata, ma ha addirittura accelerato il passo.
Ad ogni punto percentuale di crescita di Pil, nel ciclo espansivo appena
trascorso, corrisponde un incremento dell'occupazione doppio rispetto a quanto
si registrava nella fase espansiva degli anni Ottanta. Per ciò che riguarda
il Veneto, nel periodo 1998-2003 l'andamento dell'occupazione ha seguito le
variazioni del Pil in maggiore sintonia rispetto a ciò che si è verificato
a livello nazionale, mantenendosi su valori positivi anche in periodi di
generale difficoltà. Tale fenomeno è analogo a ciò che è avvenuto in UE, essenzialmente a causa di
alcuni fattori comuni. Uno di questi è la terziarizzazione delle economie
avanzate, che ha portato con sé un certo rallentamento della produttività.
Infatti le attività che fanno capo al settore dei servizi sono per loro natura
meno sensibili al progresso tecnico e organizzativo delle attività industriali
e spesso hanno anche livelli di produttività inferiori. In Italia il valore
aggiunto dei servizi è passato dal 1995 al 2003 dal 62,8% del Pil al 65,3%, la
relativa occupazione è cresciuta dal 61,3% al 65%, mentre il tasso di variazione
annuo della produttività si è ridotto da +1,7% a -0,1%. Così in Veneto è avvenuto
che il valore aggiunto dei servizi è cresciuto dal 56% del 1995 al 58,8% del
2003, l'occupazione del settore è anch'essa aumentata passando dal 52,6% del
1995 al 54,7% del 2003 mentre la relativa produttività ha subito un netto
rallentamento facendo registrare una variazione del 3,3% nel 1995 e dello
0,9% nel 2003. Altro aspetto da considerare quale causa del rafforzamento della reattività
occupazionale al ciclo, è quello della flessibilizzazione delle forme di lavoro,
che ha permesso al sistema produttivo di instaurare un legame più immediato tra
occupazione e prodotto, consentendo ad un numero crescente di donne di trovare
nell'impiego a tempo parziale un efficace strumento di conciliazione degli
impegni familiari con quelli lavorativi. Il mercato del lavoro negli ultimi anni è influenzato inoltre dalla presenza
degli stranieri. L'Italia è caratterizzata da un Nord dove esistono molti lavori
e pochi lavoratori, dal Sud dove viceversa vi sono pochi lavori e molti
lavoratori, peraltro ora generalmente meno disponibili alla mobilità. Quindi
gli stranieri stanno negli ultimi anni sopperendo a questi squilibri,
soprattutto per quelle tipologie di lavoro di basso livello che gli italiani
non vogliono più svolgere. Il dibattito sulle politiche più o meno restrittive
da adottare è ancora aperto, fatto sta che la legislazione degli ultimi anni è
intervenuta su una situazione di fatto, ovvero la regolarizzazione ha
consentito essenzialmente di legittimare la presenza straniera irregolare
preesistente, contribuendo in realtà poco a regolare i flussi di arrivo.
La regolarizzazione del 2002 ha fatto emergere infatti gran parte dell'
immigrazione irregolare, venutasi a costituire a partire dal 1998: oltre
700mila domande presentate in Italia, che, ripartite nei quattro anni
precedenti, fanno emergere un fabbisogno del mercato occupazionale di circa
175mila unità in aggiunta alle quote programmate ufficialmente. Per ulteriori approfondimenti sull'argomento si rimanda al capitolo 12 di
questo rapporto, dove si effettua un'analisi della presenza straniera nel Veneto,
anche a seguito del processo di allargamento dell'Unione Europea. L'occupazione nel 2004, tendenze recenti Nel 2004 in Italia sono stati creati 163mila nuovi posti di lavoro, lo 0,7%
in più rispetto all'anno precedente (nota 1). Il Veneto presenta il medesimo incremento
percentuale, con 15mila unità in più, risultato migliore di quello rilevato in
altre regioni come l'Emilia Romagna (-1,3%) o la Toscana (+0,3%), ma inferiore
all'incremento registrato in Lombardia (+1,6%). Il tasso di occupazione, che rapporta gli occupati a tutta la popolazione fra
i 15 e i 64 anni, in Italia diminuisce dello 0,1% portandosi al 57,4%.
Il Veneto, che si pone su livelli occupazionali significativamente superiori
alla media nazionale, si attesta su un valore pari a 64,3% contro il 64,8% del
2003. Il dato fa dunque pensare ad una certa saturazione del ciclo occupazionale
post 1995, il mercato del lavoro italiano è entrato in una fase dove i segnali
positivi provengono più dal prolungamento della vita attiva che da un aumento
dei posti di lavoro e non è agevole prevedere quanto questa fase potrà durare. Anche il tasso di attività della popolazione fra i 15 e 64 anni evidenzia nel
Veneto una certa stazionarietà dei livelli di partecipazione della popolazione
alla vita lavorativa, dal 67,4% del 2003 si è passati al 67,2% del 2004,
mantenendosi tuttavia in posizione intermedia tra il dato nazionale (62,5%) e
quello europeo (69,8% nel 2002), più vicino quindi al raggiungimento del grado
di partecipazione attiva sovranazionale. Il Veneto è la terza regione per livello di occupazione maschile, preceduta
solo da Trentino Alto Adige (77,1%) ed Emilia Romagna (76,2%), mentre la
partecipazione delle donne venete (52,3%) non gode di grande espansività, se
confrontata con altre realtà regionali quali quella dell'Emilia Romagna, che
fa registrare il tasso di occupazione più elevato fra tutte le regioni (60,2%). A questo proposito bisogna considerare che la componente femminile attiva
della nostra regione (56,1%) continua a mantenersi al di sopra del valore medio
del Paese (50,6%), collocandosi in posizione centrale nella graduatoria regionale. È da dire però che l'occupazione delle giovani in età dai 25 ai 34 anni, come
già evidenziato lo scorso anno (nota 2) , ma in particolare delle giovanissime, tra 15 e
24 anni, il cui tasso di occupazione raggiunge per il Veneto livelli piuttosto
elevati, non è molto lontana rispetto a quella registrata dalle uniche due
regioni che la precedono nella graduatoria nazionale (Trentino Alto Adige ed
Emilia Romagna) e si colloca ben al di sopra del livello medio italiano ed europeo. In generale però, i livelli occupazionali di chi è appena entrato nel mondo
del lavoro (15-24 anni) subiscono nel 2003 una lieve battuta d'arresto, in parte
spiegabile dall'innalzamento del livello di scolarità. Considerando invece la classe più anziana, dai 55 ai 64 anni, vi è stata un'
espansione occupazionale del 6,5%, cui, come si spiegava nel rapporto dello
scorso anno, hanno contribuito fattori demografici e le modifiche della
normativa previdenziale degli anni '90, che hanno portato ad un graduale
innalzamento dei requisiti di età e di contribuzione per l'accesso alle pensioni
di vecchiaia e di anzianità. Si impoverisce quindi negli ultimi anni il ricambio generazionale funzionale
alla stessa fisiologia del mercato del lavoro; inoltre i due contingenti,
rispettivamente di chi è appena entrato e di coloro che stanno invece per
uscirvi, come sarà approfondito nel capitolo di benchmarking europeo, presentano
nel Veneto livelli occupazionali inferiori a quelli medi europei. Insieme al rallentamento del tasso di crescita degli occupati si è registrata in Italia una diminuzione delle persone in cerca di occupazione e, allo stesso tempo, un rilevante aumento delle non forze di lavoro ovvero degli inattivi. Sono considerate inattive tutte le persone in età non lavorativa, ma se consideriamo le persone tra i 15 e i 64 anni, la loro inclusione nell'aggregato delle non forze di lavoro deriva dalla loro mancata partecipazione. Come risulta dall'ultimo rapporto dell'Istat, il 37,5% delle persone in questa fascia d'età è in condizione di inattività, a fronte del 62,5% di attivi. Per le donne questa incidenza sale fino al 49,4%. Mentre a livello di ripartizione territoriale è il Nord est a far evidenziare i tassi più contenuti di inattività, 22% per i maschi, circa 41% per le femmine. Nel dettaglio provinciale, per cui sono invece disponibili i dati relativi al
2004, Vicenza risulta tra le prime province italiane per tasso di occupazione
(66,8%), con un valore superiore anche alla media regionale (64,3%). Viceversa
la provincia veneta con la più bassa occupazione è Rovigo con il 61% di
occupati, mantenendosi, comunque, circa a metà della classifica provinciale
italiana. Ed è sempre Rovigo a manifestare il livello occupazionale femminile
più basso, appena il 47% contro il 52,3% del Veneto; mentre la provincia di
Belluno, con il 73% del suo tasso d'occupazione maschile, presenta la situazione
occupazionale più carente rispetto alla media regionale, pari al 76%. Nel 2004 il Veneto è la seconda regione italiana per il maggior numero di
occupati nell'industria, assorbendo l'11,6% del totale nazionale, seconda solo
alla Lombardia che raccoglie il 23,2%, gli occupati nell'ambito dei servizi sono
circa l'8%, 8,7% nel settore agricolo. I cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nella distribuzione settoriale degli
occupati (nota 3) evidenziano una ricomposizione economica a favore dei servizi e a
scapito dei settori agricolo ed industriale. Si può notare infatti che, se la
quota di occupati nel settore agricolo sul totale regionale si è lievemente
ridotta nel Veneto dal 2000 (4,5%) al 2004 (4,2%), così come il settore
industriale da una quota regionale di occupati di circa il 42% nel 2000 è
passato al 39% nel 2004, il settore dei servizi ha aumentato il proprio
contingente di occupati di quasi tre punti percentuali, da 53,7% a 56,6% nel 2004. Il terziario è quindi certamente in continua crescita, come dimostrato anche
dalle previsioni occupazionali nelle imprese relative al 2004, desunte dal
sistema informativo Excelsior (nota 4) ,
da cui risulta che il saldo occupazionale (nota 5)
dei servizi previsto nel Veneto, pari al 77,5%, supera di gran lunga quello
nazionale, 67%, contrariamente a ciò che avviene nel settore industriale. Venezia, Padova e Verona sono le province a più elevata terziarizzazione,
registrando una percentuale di occupati nei servizi rispettivamente del 64%,
62% e 59%, in maniera quindi decisamente superiore alla media regionale. Vicenza
e Belluno evidenziano una sostanziale equidistribuzione di occupati tra i
servizi e l'industria, mentre la provincia di Rovigo registra il maggior
impiego di manodopera nel settore primario (11%) rispetto a tutte le altre
province, superando di 7 punti percentuali sia la media regionale che nazionale . Come risulta dal rapporto dell'Istat diffuso a maggio di quest'anno, oltre ai tradizionali indici di occupazione e disoccupazione, un indicatore chiave per l'analisi del mercato del lavoro è la sottoccupazione in rapporto alle ore lavorate. Secondo le indicazioni dell'Ilo (nota 6) sono classificati come sottoccupati gli individui che dichiarano di avere lavorato, indipendentemente dalla propria volontà, meno ore di quelle che avrebbero voluto e potuto fare. La sottoccupazione riflette fondamentalmente un'insufficiente domanda di lavoro; il principale obiettivo dell'indicatore è quello di contribuire alla definizione di politiche rivolte a migliorare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. La sottoccupazione è legata all'andamento del ciclo economico, il sottoutilizzo della forza lavoro deriva infatti da una fase di rallentamento dell'economia alla quale tende ad associarsi una contrazione della domanda di lavoro. In periodi di ripresa i sottoccupati sono invece un bacino di forza lavoro già inserito nel mercato e disponibile a realizzare una maggiore produzione. Il tasso di sottoccupazione (nota 7) è più elevato nelle aree dove si registrano maggiori tassi di disoccupazione, più ampie difficoltà di inserimento lavorativo e minori opportunità occupazionali. Difatti il tasso di sottoccupazione registrato nel Nord est (nota 8) al 2004 (3,5%) assume un livello più contenuto rispetto alle altre ripartizioni territoriali ed è inferiore di circa un punto percentuale rispetto al valore medio nazionale (4,4). Nel 2004, in Italia, le persone in cerca di una occupazione diminuiscono
rispetto all'anno precedente e così anche il tasso di disoccupazione, che passa
dall'8,4% del 2003 all'8%. Nel Veneto queste sono aumentate rispetto all'anno
precedente, incremento che si riflette sul tasso di disoccupazione che è salito
dal 3,8% del 2003, valore rivisto in seguito alla modifica della rilevazione
sulle forze lavoro come riportato nella nota ad inizio capitolo, al 4,2%,
continuando comunque a mantenere la propria posizione privilegiata tra le
regioni italiane. A livello provinciale Vicenza, Belluno, Treviso e Padova concorrono ad
abbassare il valore medio dell'indicatore nel Veneto, mentre il ruolo di
fanalino di coda spetta alla provincia di Rovigo con un tasso del 6,3%,
preceduta, con distacco, da Venezia (4,9%) e Verona (4,7%). Belluno si colloca come seconda provincia, tra quelle italiane, per il più
basso tasso di disoccupazione (2,7%). Nella medesima classifica, Vicenza occupa
il sesto posto con il 3,3%, poco distanti si trovano anche Treviso e Padova. Sebbene gli ultimi decenni si siano contraddistinti per una crescente offerta
di lavoro da parte delle donne, le differenze per genere rimangono rilevanti.
Infatti a livello nazionale si rileva un distacco di più di 4 punti percentuali
tra i tassi di disoccupazione maschile e femminile. Anche nel Veneto ad un
tasso di disoccupazione maschile pari al 2,5% si contrappone nel 2004 una
elevata disoccupazione femminile, 6,7%. La regione presenta uno dei più bassi tassi di disoccupazione maschile a
livello nazionale, stabilizzandosi al terzo posto nella graduatoria delle regioni
italiane; resta più sostenuta nel confronto la disoccupazione femminile.
Nella stessa proporzione per genere si muovono anche le province venete, ad
eccezione di Belluno che si assesta con solo 1,6 punti di differenza tra i due
indici; in coda, invece, Rovigo con oltre 8 punti di divario fra il tasso
maschile e quello femminile. Vicenza è la provincia veneta con il più basso
tasso di disoccupazione maschile (appena 1,9%), mentre il primato per quello
femminile spetta a Belluno (3,6%), che si pone ad un livello inferiore rispetto
al dato medio regionale. Nel 2003 il 15,2% degli occupati in Veneto ha un rapporto di lavoro atipico,
ovvero è costituito da occupati dipendenti a tempo determinato oppure, pur
avendo un contratto a tempo indeterminato, lavora secondo un'articolazione
parziale dell'orario; a questi si aggiungono i lavoratori autonomi part-time,
per i quali la connotazione di lavoratori flessibili si configura più come una
questione di fatto che di diritto. Il Veneto si distingue nel 2003 per la
maggiore flessibilità occupazionale rispetto alla media nazionale (13,6%),
inoltre, nel corso dei sei anni, a partire dal 1998, il ricorso a questa
tipologia di impiego è andato sempre aumentando e gli occupati atipici sono
infatti cresciuti di quasi il 33% rispetto al 1998. Gli occupati dipendenti atipici A differenza di quanto accade a livello nazionale, dove il 39% dei dipendenti
atipici ha un contratto a tempo indeterminato con un'articolazione parziale
dell'orario di lavoro ed il 61% lavora a tempo determinato, nel Veneto i
dipendenti part-time a tempo indeterminato sono il 55% e quelli a tempo
determinato il 45%, evidenziando così una condizione di flessibilità di tipo
diverso rispetto a ciò che avviene a livello nazionale, meno dovuta nel Veneto
a situazioni di precarietà del rapporto di lavoro date dalla determinatezza del
periodo d'impiego. Considerando la componente più debole della categoria considerata, ovvero gli
occupati dipendenti a tempo determinato, negli ultimi anni in Italia si è
assistito ad una contrazione del fenomeno: infatti la loro quota sul totale dei
dipendenti atipici è diminuita, dal 64,4% del 1998 si è passati al 61% nel
2003, così pure nel Veneto dal 48,5% del 1998 si è registrata una percentuale
pari al 45% nel 2003. Distinguendo il fenomeno per genere, tra i maschi la maggiore flessibilità è
dovuta alla temporaneità del rapporto di lavoro: sia in Veneto che in Italia
oltre l'80% dei dipendenti atipici uomini ha un contratto a tempo determinato. Per quello che riguarda il Veneto è da rilevare una forte presenza femminile,
78,7% dei dipendenti atipici, molto più che a livello nazionale (65%). Ma
mentre in Italia le dipendenti atipiche a tempo determinato (47,8%) e quelle a
tempo indeterminato part-time (52,2%) sono sostanzialmente equiripartite, nel
Veneto, come si è già evidenziato nella generalità del fenomeno, l'atipicità
tra le occupate dipendenti è dovuta soprattutto alla parzialità dell'orario:
sono infatti il 64,5% delle dipendenti atipiche le donne con un rapporto di
lavoro stabile ma part-time, il 35,5% invece coloro che hanno un contratto
temporaneo. Lo studio della dinamica occupazionale trova nei sistemi locali del lavoro (nota 9)
la naturale sede di analisi; a tale livello è infatti possibile far emergere la
presenza di differenze altrimenti celate dalla situazione media provinciale o
regionale. E' interessante osservare come l'andamento dell'occupazione, della
disoccupazione e dell'attrattività residenziale, data dal tasso di incremento
migratorio (nota 10) , siano fenomeni che assieme si ripercuotono sulle performance delle
diverse aree territoriali della regione, prendendo come unità di riferimento
proprio i singoli sistemi locali del lavoro. Nell'arco del quinquennio 1998-2002 sono risultate dodici le aree del Veneto,
colorate di azzurro nella mappa, particolarmente competitive, che hanno
registrato un notevole aumento in termini di occupati e di popolazione, facendo
così presumere una spiccata attrattività di nuovi addetti che hanno preso
residenza nel territorio: si tratta dei sistemi locali del lavoro principalmente
concentrati nelle province di Vicenza e di Treviso in cui il tasso d'incremento
migratorio e il tasso di occupazione sono risultati superiori alla media veneta,
inferiore invece il tasso di disoccupazione. Sono ubicati invece soprattutto nella zona centro orientale della provincia
di Rovigo, uniti all'area di Venezia, i sistemi locali del lavoro che nel
quinquennio considerato sono stati meno attrattivi, conseguendo tassi di
incremento migratorio e di occupazione inferiori e tassi di disoccupazione
superiori alla media regionale. La formazione professionale riveste un ruolo essenziale nella strategia
d'intervento dell'Unione Europea per il perseguimento degli obiettivi, più volte
ribaditi, di piena occupazione, qualità e produttività del lavoro. Il Fondo
Sociale Europeo ne ha rappresentato lo strumento finanziario e, utilizzato da
Regioni e Province, ha consentito di attivare corsi di formazione a tutti i
livelli, organizzati da enti pubblici, privati e dalle imprese stesse,
soprattutto di grandi dimensioni. Nel 2003 il 3,5% di adulti italiani occupati con età compresa fra i 25 e i 64
anni ha partecipato ad attività formative e di istruzione; terzo il Veneto nella
graduatoria regionale, che ha dimostrato un buon impegno in tal senso con il
5,6% di occupati che hanno usufruito di questa attività. La formazione rappresenta, altresì, uno strumento per combattere la
disoccupazione, garantendo condizioni più favorevoli per entrare, rientrare e
rimanere nel mercato del lavoro. In tal senso, la percentuale di non occupati
25-64enni che nel 2003 ha partecipato ad attività formative è pari al 6,6%,
valore conforme alla media nazionale e che posiziona il Veneto a circa metà
della graduatoria regionale. La formazione lungo tutto l'arco della vita professionale riveste
un'importanza strategica nella realtà produttiva perché da una parte consente
alle aziende di soddisfare la crescente domanda di figure professionali
preparate ad affrontare le ineludibili trasformazioni del proprio ambiente,
dall'altra permette a chi cerca di affacciarsi al mercato del lavoro o a chi
già lavora, di acquisire abilità e capacità che spesso il sistema scolastico
tralascia, garantendo un continuo aggiornamento e una preziosa possibilità di
specializzazione, qualità decisive nella dinamicità del contesto lavorativo
italiano e veneto. Cresce la domanda di specializzazione, soprattutto nel
settore industriale, che richiede professionalità operaie qualificate cui
affidare compiti di manutenzione e gestione dell'impianto produttivo, e in
quello agricolo, sempre più meccanizzato e orientato all'intensività delle
colture. Sono soprattutto le grandi imprese, dotate di maggiori disponibilità
finanziarie, ad investire molto in formazione, realizzando corsi interni,
indirizzati prevalentemente ad addetti già presenti in azienda, per
l'aggiornamento delle mansioni svolte abitualmente o per la formazione a
nuove funzioni. Alcune indicazioni provengono dal Sistema Informativo per
l'occupazione e la formazione di Excelsior, da cui risulta che il 17% dei
dipendenti delle imprese venete nel 2003 ha partecipato a corsi di formazione
effettuati dalla propria impresa, mentre sono stati circa il 19% a livello
nazionale. Di interesse l'informazione sulle attività di stage o tirocinio,
promosse soprattutto dalla recente riforma dell'istruzione, che prevede questo
tipo di percorsi formativi e di orientamento per facilitare il passaggio
scuola-mondo del lavoro. Tali attività stanno progressivamente coinvolgendo i
programmi scolastici ed accademici anche in Veneto, dove mediamente il 13%
delle imprese ha ospitato personale in tirocinio o stage nel corso del 2003,
percentuale che aumenta al crescere delle dimensioni aziendali; un mondo
imprenditoriale veneto, quindi, più aperto ad accogliere i giovani studenti,
se si pensa che a livello nazionale le porte agli stage si aprono per il 10,6%
delle imprese e nel Nord-Est per il 12,7%, anche quando si considerano imprese
medie e piccole.
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