18. Il Veneto nella Nuova Europa

La recente entrata dei dieci nuovi Paesi nell'Unione Europea offre l'occasione per effettuare un'analisi della loro situazione socio-economica, raffrontata con quella del Veneto, della Vecchia e della Nuova Europa, per dare modo a tutti i soggetti interessati di orientarsi nella realtà economica, finanziaria e politica di Paesi oggi più vicini ma ancora poco conosciuti.

Fino alla metà degli anni 90 l'Oriente veniva identificato con territori lontani dalla Comunità Europea: i confini di questa non si spingevano infatti oltre i Balcani, il mare Adriatico, le pianure dell'Europa centrale. Dal 1995 a oggi, però, molte cose sono cambiate. Inizialmente, con l'ingresso dell'Austria, della Svezia e soprattutto della Finlandia, la vecchia Europa si è allungata verso est, portandosi a condividere una frontiera di 1.325 chilometri con la Russia; ora il suo baricentro si è ulteriormente spostato, accogliendo dieci Paesi, con gli avamposti meridionali di Cipro e Malta affacciati sull'Africa e il Medio Oriente, e allargandosi ulteriormente a nord-est.

Da anni istituzioni e imprenditori discutono sul ruolo di ponte verso l'Oriente che potenzialmente i nuovi paesi avrebbero giocato nel futuro; ora che la Nuova Europa è una realtà, è possibile effettuare valutazioni più analitiche.

Numerose sono le considerazioni che si sono avvicendate sull'argomento nella scorsa primavera, tra queste se ne citano alcune derivanti da un'indagine effettuata dalla Fondazione Nordest che porta a vedere l'allargamento in maniera certamente positiva dal punto di vista strategico e istituzionale, ma spesso incerta per ciò che riguarda le opportunità di tipo economico. In particolare, in una indagine che ha coinvolto cittadini dell'Europa occidentale e di alcuni dei nuovi Paesi entrati risultano piuttosto diversificati i giudizi sui nuovi ingressi. In Italia si assume una posizione più ottimistica rispetto alla media europea: il 40,4% degli intervistati ritiene necessario e vantaggioso tale allargamento, contro il 34,6% della media UE, il 22,9% della Francia, il 25,9% della Germania, il 32,6% della Gran Bretagna; ancora più entusiasti gli spagnoli con una percentuale del 51,6. L'atteggiamento verso la moneta unica e le conseguenze sull'occupazione resta, invece, generalmente poco ottimistico. Esaminiamo ora le principali caratteristiche delle aree considerate ed il loro apporto alla riconfigurazione dell'area europea.

Inizio Pagina  Il territorio

Un contributo consistente si registra in termini di superficie complessiva: questi territori rappresentano infatti quasi il 16% dell'estensione della nuova Unione, che supera i quattro milioni di km2; questo incremento non porta modifiche della densità media, che si attesta sui 97 abitanti per km2. Sono le tre repubbliche baltiche che presentano le densità abitative più ridotte.

Inizio Pagina  La popolazione

Dal punto di vista del peso demografico, i nuovi Paesi membri presentano una forte variabilità. La Polonia con i suoi oltre 38 milioni di abitanti rappresenta più della metà della popolazione totale dei 10 nuovi stati membri (e il sesto paese più importante tra i 25), seguita da Ungheria e Repubblica Ceca con circa 10 milioni di abitanti ciascuna. Gli altri paesi hanno una popolazione media di circa 5 milioni, ad eccezione dei due stati mediterranei che non raggiungono nemmeno il milione di abitanti. Si tratta quindi di dimensioni piuttosto modeste di fronte a quelle dei Paesi dell'UE15.

Essi possiedono una struttura della popolazione sbilanciata verso le età più anziane, anche se in maniera meno pronunciata rispetto alle più evolute economie occidentali, con l'eccezione di Cipro che fa registrare un indice di vecchiaia (45,1%) pari a circa la metà della media a Venticinque (91,3%). Complessivamente l'indice di vecchiaia medio dell'Unione Europea a Quindici si abbassa, con l'ingresso dei Dieci, di 5 punti percentuali.

Inizio Pagina  Gli equilibri

L'allargamento non produce in realtà grosse differenze in termini di equilibri demografici: gli indici strutturali segnalano un peso della popolazione giovane su quella in età lavorativa complessivamente più elevato (27,4% dei Dieci contro una media a Venticinque di 25,7%) con il più ampio contributo di Cipro, un peso della popolazione anziana su quella in età lavorativa molto inferiore alla media a Venticinque (18,9% contro 23,4%), un carico delle classi deboli di giovani e anziani su quelle in età lavorativa sostanzialmente invariato. Il Veneto incardina la struttura demografica delle più evolute economie occidentali ed i suoi indici sono condizionati, come noto, da un processo in atto di progressivo invecchiamento della popolazione.

La propensione alla fertilità non subisce modificazioni considerando il blocco dei Venticinque e resta ancorata all'1,5%. E' da segnalare che quasi tutti i Dieci si collocano al di sotto della media europea. Come il procedere del proprio sviluppo economico anche tale andamento lascia presagire un futuro di contenimento dello sviluppo demografico a scapito della quota di popolazione giovane.

La speranza di vita alla nascita si abbassa di un anno, per i maschi, con l'entrata dei nuovi Paesi: dai 75,8 anni della media dei Quindici si passa ai 74,8 dei Venticinque, è la Lettonia a contribuire maggiormente a questo peggioramento con i suoi 64,8 anni. La speranza di vita delle donne invece non cambia. Il Veneto resta più longevo in tutti i possibili confronti.

Inizio Pagina  Il livello d'istruzione

Considerando il livello d'istruzione, quale importante indicatore della dotazione di capitale umano di un paese, dall'adesione dei nuovi Stati potrà venire un apporto di rilievo. Risulta infatti che in questi Paesi, il livello di popolazione con il diploma di istruzione superiore è in media più elevato (81%) di quello dell'Ue15 (64,6%). La proporzione di persone tra 25 e 64 anni che hanno completato almeno l'istruzione superiore ha nella Repubblica Ceca (87,8%) un livello superiore a quello dei Paesi più favoriti del gruppo di Ue15 come Germania (83%) o Regno Unito (82%). Inoltre, i livelli sono molto più elevati di quelli dei Paesi mediterranei, compresa l'Italia (44,3%): ciò deriva dalle passate consuetudini e dal fatto che, in alcuni di essi, solo tra i più giovani si è diffusa la scolarizzazione di massa e la tendenza a conseguire livelli di istruzione superiori. Infatti, tra i giovani 20-24enni coloro che hanno almeno un titolo di studio superiore rappresentano una quota più simile nei diversi Paesi, anche se nei nuovi entrati il dato resta sempre al di sopra (88,3%) di quello della UE15 (74%).

Le differenze tra i Paesi si riducono di molto se si passa a considerare la proporzione di cittadini tra i 25 e i 64 anni che hanno completato un corso di studi di livello universitario o equivalente. In questo caso la quota media degli stati dell'Ue15 (21,8% nel 2002) torna a essere superiore a quella dei paesi di nuova adesione, tranne nel caso dell'Estonia (29,7%).

Anche se si considera la proporzione media di ragazzi tra 18 e 24 anni che abbandonano gli studi, i nuovi Paesi membri dimostrano una buona tenuta del proprio sistema di learning: tale quota è pari al 16% nei Venticinque, mentre è pari al 18% nei paesi dell'Ue15 nel 2003. Malta con il 48%, il Portogallo con il 41%, la Spagna con quasi il 30% e anche l'Italia con quasi il 25%, guidano la graduatoria. Al contrario livelli molto bassi si rilevano per Slovenia, Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca e Polonia.

Si può inoltre osservare come la debolezza della spesa per R&S dell'Italia, con una quota pari a poco più dell'1% del PIL, appena la metà della media UE e un terzo del livello fissato come obiettivo dall'Unione, sia propria anche di quasi tutti gli Ue25 i quali, d'altro canto, si confrontano invece con successo con molte economie UE per quanto attiene alla formazione tecnico-scientifica, elemento che indurrà certamente effetti positivi sulla competitività complessiva di queste aree.

Inizio Pagina  La ricchezza

I nuovi Paesi sono poveri, con un PIL pro capite che è la metà della media comunitaria, tuttavia, almeno in questa fase iniziale, non graveranno molto sul bilancio dell'Unione: per beneficiare completamente delle sovvenzioni comunitarie, gli agricoltori dell'Est dovranno aspettare il 2013; l'uso dei fondi strutturali dovrà fermarsi al 4% del Pil nazionale; la circolazione delle persone nel mercato del lavoro sarà comunque regolamentata per diversi anni.

La convergenza avrà certamente tempi molto dilatati: secondo l'ultimo rapporto della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, con un aumento annuo del Pil pro capite di due punti percentuali in più rispetto a quello della Francia, la Slovenia, il più avanzato dei Dieci, ci metterà 21 anni a recuperare; la Lituania, il più povero, quasi il triplo, 57 anni.

La Polonia, fra i dieci, rappresenta per dimensioni l'unico grande mercato, con quasi 40 milioni di abitanti: è un Paese complesso, ricco di cultura e tradizione. Negli anni '90 è stato investito da una forte spinta in direzione dell'economia di mercato e dell'integrazione commerciale con l'Europa, attirando gli investimenti di multinazionali per le sue prospettive di crescita, e all'inizio del nuovo secolo si è manifestata la crisi, ora superata. Le tre Repubbliche Baltiche, dopo aver risentito della crisi russa del 1998, possiedono invece il più alto tasso di crescita dell'intera Europa e, anche se per ora sono fanalino di coda in termini di pil pro capite, si ritiene che si avvantaggeranno certamente della loro nuova posizione economica. Attualmente il Veneto, come prevedibile, supera del 27% il blocco a Venticinque per Prodotto interno lordo pro capite, e di due volte e mezzo la media dei Dieci. Anche i tassi di occupazione e disoccupazione ritardano per ora, con l'allargamento, gli obiettivi prestabiliti dalla Commissione Europea a Lisbona nel 2000: il tasso di occupazione scende dal 64,3% dell'UE15 al 62,9% dell'UE25, mentre il tasso di disoccupazione sale di un punto percentuale portandosi a 8,8% nell'UE25.

L'andamento delle esportazioni del Veneto nel 2003, condizionato dalla congiuntura sfavorevole, si è presentato in maniera diversificata tra le diverse aree considerate per il confronto. L'entrata dei nuovi Paesi contribuisce di certo positivamente all'impulso delle esportazioni venete, anche se complessivamente i nuovi entrati risultano avere un peso complessivo di entità moderata, pari al 7%, cui l'Ungheria e la Polonia contribuiscono ciascuna con l'1,7%.

Il saldo normalizzato dell'interscambio commerciale, indicativo della consistenza delle esportazioni rispetto alle importazioni in relazione al movimento commerciale complessivo, vede aumentare la competitività del sistema commerciale veneto con l'entrata dei nuovi Paesi.

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