U.O. Sistema Statistico Regionale U.O. Sistema Statistico Regionale


Sintesi

Il Veneto cerca nell'oggi le opportunità per il domani

"Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. (...) La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere 'superato'. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. (...) E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla".
È con questo manifesto di fiducia di Albert Einstein, risalente al 1930, che vogliamo aprire l'edizione 2012 del Rapporto Statistico della Regione Veneto che viene presentato in un momento poco favorevole per il nostro Paese.
E' indubbio che ci troviamo in una situazione difficile, ma la crisi è cambiamento in atto che può fornire un vantaggio a chi è in grado di cogliere la sfida. È interessante notare come dentro la parola crisi sia già insito il problema e la sua soluzione: facendo riferimento all'etimologia, la parola "crisi" deriva dal verbo greco krino, che significa separare, cernere e, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare. Nell'uso comune ha assunto un'accezione negativa in quanto vuole significare un peggioramento di una situazione, ma se riflettiamo sull'etimologia, possiamo coglierne una sfumatura positiva: un momento di crisi, cioè di riflessione, di valutazione, di discernimento, può trasformarsi nel presupposto necessario per il miglioramento, per la rinascita, per il rifiorire prossimo.
Partendo da tale definizione abbiamo voluto affrontare in questo Rapporto Statistico il tema delle "opportunità", in quanto si intende quantificare l'entità della crisi in Veneto, ma anche individuare le possibilità di ripresa dall'analisi del contesto socio-economico. Già nell'edizione 2009 del Rapporto, quando descrivemmo lo sfociare della crisi finanziaria in crisi economica, mettemmo in evidenza che tra gli effetti della difficile situazione congiunturale si potevano cogliere delle opportunità. Allora citammo una frase del Presidente della Repubblica Napolitano: «Possiamo limitare le conseguenze economiche e sociali della crisi mondiale per l'Italia e creare, anzi, le premesse di un migliore futuro, se facciamo leva sui punti di forza e sulle più vive energie di cui disponiamo».
Ripercorrendo i diversi settori che caratterizzano il nostro tessuto socio-economico, cercheremo di delineare i punti di forza e le debolezze del Veneto: se i primi rappresentano la solida base da cui ripartire, le seconde dovranno fornire l'occasione per ripensare ai modelli che le hanno generate.
Tra incertezze...
Dopo un 2009 di recessione internazionale, il 2010 aveva segnato una ripresa timida in Italia e molto più forte per il Veneto che aveva incrementato la sua ricchezza del 3,2%, al livello delle regioni tedesche che hanno trainato l'economia europea. Il 2011 si chiude, invece, in decelerazione per l'economia globale: si può definire un anno all'insegna dell'incertezza, con evidenti elementi di fragilità, fiaccato ulteriormente dalla crisi finanziaria, pur con molteplici divergenze per la persistenza di una significativa difformità fra paesi emergenti ed economie avanzate.
In Europa la congiuntura finanziaria è segnata dal fatto che il debito pubblico di Grecia, Portogallo e Irlanda remunera un premio al rischio elevato e insostenibile nel medio termine. Solo l'Irlanda ha evidenziato recentemente segnali di miglioramento, mentre negli ultimi trimestri del 2011 anche gli spread di Spagna e Italia si sono mantenuti su valori non sostenibili a lungo.
I mercati finanziari, che per molto tempo avevano sottovalutato la possibilità d'insolvenza di uno Stato dell'area dell'euro, al punto da escluderla tacitamente, hanno iniziato ad attribuirle probabilità eccessive, coinvolgendo paesi i cui fondamentali avrebbero dovuto suggerire valutazioni meno negative. I mercati, gli operatori, gli analisti faticano a interpretare coerentemente tutta l'informazione disponibile, a volte incompleta o poco trasparente; soprattutto nelle fasi di elevata incertezza, gli operatori tendono a ricorrere a comportamenti imitativi che alimentano il contagio finanziario.
Nel dibattito giornalistico, inizia a circolare con sempre maggiore insistenza anche un'ipotesi che inizialmente costituiva semplicemente un esercizio accademico, ossia la disgregazione della moneta unica europea. Si discute sull'opzione di un'uscita dalla moneta unica della Grecia, almeno per un periodo limitato e con un reingresso con un cambio più debole. Se anche il Portogallo e altri paesi periferici ne fossero coinvolti, si produrrebbe la fine dell'euro.
Nel 2011 è risultata chiara la consapevolezza dei rischi che comporta l'uso di una moneta unica senza un governo unico. Si stanno facendo i conti con le conseguenze dei ritardi nel passaggio da una politica monetaria ad una vera politica di bilancio e di debito comune nei paesi dell'area dell'euro.
L'indebitamento netto e il debito pubblico calcolati in percentuale sul PIL sono i due indicatori di riferimento per la valutazione dei conti pubblici, rispettivamente per la gestione di bilancio e per la gestione della finanza pubblica: a fine 2011 nell'Unione europea il primo raggiunge il valore di 4,5%, peggiore di quello del 2007 (0,9%), ma in miglioramento di 2 punti percentuali rispetto all'anno precedente. Il secondo raggiunge un valore pari all'82,5% a fine 2011, in una crescita senza sosta a partire dal 2007 (quando era al 59%).
L'Italia sta rispettando gli impegni presi su questo fronte con la Commissione europea: sebbene dal 2010 al 2011 il rapporto debito pubblico/PIL si sia spostato dal valore di 118,4 a 120,1, l'indebitamento netto su PIL è migliorato dal valore di 4,6% a 3,9%.
Nel giudizio degli investitori l'Italia risente dell'alto debito pubblico e, soprattutto, della bassa crescita. Ma il nostro Paese presenta elementi di forza, rispetto ad altre maggiori economie, quali il contenuto livello del disavanzo di bilancio, il basso indebitamento del settore privato, la solidità delle banche, il limitato debito estero.
Le tensioni nei mercati finanziari internazionali restano comunque alte: nel primo semestre del 2011, il differenziale fra il rendimento dei BTP decennali e quello degli analoghi titoli tedeschi era rimasto quasi sempre al di sotto dei 200 punti, negli ultimi mesi del 2011 ha raggiunto i 550 punti base, a febbraio 2012 era pari a 370 punti, oggi, mentre scriviamo, è risalito a 411.
L'attenzione dei mercati è ora puntata sulla capacità dell'Italia di portare avanti con decisione il risanamento della finanza pubblica e al contempo di stimolare con riforme strutturali il potenziale di crescita dell'economia. Il nostro Paese è oggi impegnato in uno sforzo particolarmente intenso: il Governo prevede che nel prossimo triennio il rapporto debito/PIL possa diminuire significativamente. Gli obiettivi contenuti nel DEF 2012 (Nota 1) che sintetizzano la manovra approvata dal Parlamento lo scorso 22 dicembre, sommati agli interventi di luglio e agosto, dovrebbero portare a un avanzo primario di bilancio l'anno prossimo dell'ordine del 3,6% del PIL; se gli obiettivi di risanamento saranno rispettati, elaborazioni di Banca d'Italia indicano che il rapporto debito/PIL si ridurrà o si stabilizzerà anche qualora i rendimenti dei titoli di Stato registrassero significativi aumenti.
Se le misure di aggiustamento dei conti pubblici sono accolte con plauso dai partner europei, hanno avuto un effetto negativo sulla domanda interna - e sui consumi in particolare - e sulla fiducia degli operatori. E l'Italia è ufficialmente in recessione: la variazione congiunturale del Prodotto Interno Lordo del primo trimestre 2012 ha segno negativo come quella dei due trimestri precedenti. Dopo un 2011 di stasi (+0,5%), il 2012 si prevede in calo (-1,5%), contrariamente a quanto avviene in Germania, dove si registra un +3% di PIL nel 2011 e si stima un +0,6% per il 2012. In questa situazione l'economia veneta è fortemente influenzata dal calo dei consumi interni, ma allo stesso tempo favorita dalla sua struttura imprenditoriale export-led.
...e nuove occasioni
I pericoli che discendono dall'attuale situazione sono evidenti a tutti e le conseguenze, in termini occupazionali, produttivi e sociali, sono gravi. Meno attenzione viene posta, invece, alle opportunità che da un periodo buio possono scaturire per il futuro.
In momenti come questi, la nostra società può cogliere l'occasione per ripensare i vecchi modelli di sviluppo e per investire sul futuro, preparando il terreno per la creazione di nuove attività imprenditoriali, nuovi settori, nuove tecnologie. La crisi può rappresentare, quindi, un'opportunità per affrontare il futuro con nuovi strumenti e nuovi equilibri: paradossalmente è proprio in questi momenti difficili che emergono le opportunità storiche per rientrare in gioco, in nuovi o in vecchi mercati.
Prendiamo atto che lo scenario mondiale è cambiato. Stati Uniti ed Europa, per il loro altissimo indebitamento, non consentiranno nell'immediato futuro una grande ripresa dei consumi, mentre altri paesi si stanno affacciando nel panorama mondiale: si tratta dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che negli ultimi anni sono cresciuti a ritmi più che sostenuti, ma anche di altri paesi emergenti, che stanno cercando di cambiare pelle per rivestire un peso maggiore nei tavoli internazionali. È necessario modificare, però, il punto di partenza: per anni, i paesi emergenti sono stati considerati solamente in termini produttivi; il basso costo del lavoro, la scarsa protezione sociale e le normative meno stringenti, hanno spinto molti imprenditori locali a delocalizzare, in modo da abbattere i costi di produzione. Attualmente, questo modo di pensare non basta più: è opportuno considerare proprio i mercati emergenti come un bacino di nuovi consumatori, verso cui indirizzare gli investimenti.
La loro dimensione economica sta diventando consistente: il Prodotto Interno Lordo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica rappresenta nel 2010 il 26% del PIL mondiale e nel 2017, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, rappresenterà il 32%. Sicuramente sono Cina e India a giocare il ruolo più importante e a rappresentare il traino per l'economia mondiale, con valori del PIL in crescita nel 2011 rispettivamente del 9,2% e del 7,2%.
Dal punto di vista socio-demografico questi paesi si caratterizzano soprattutto per tre aspetti: sono popolazioni molto numerose, giovani e in crescita, sia dal punto di vista culturale ed economico, e sono quindi più propense ai consumi e il made in Italy può sicuramente guadagnarsi una buona fetta di mercato.
Non si tratta però di sbilanciarsi in avventure improvvisate: la piccola dimensione dell'impresa veneta rende piuttosto necessaria un'approfondita fase informativa, con eventuali azioni di scouting e di intelligence per poter disporre di elementi utili a delineare le proposte e le priorità, in maniera tempestiva ed efficace, sicuramente in chiave di rete e di filiera, con un metodo diverso, più adeguato e coinvolgente. Si tratta, infatti, di contesti che richiedono impegni non trascurabili, dove occorre fare massa critica in termini di capitali, di conoscenze e di ruoli: un fare squadra che permette enormi vantaggi nei rapporti con i clienti, gli interlocutori, le banche, le pubbliche amministrazioni, utilizzando e condividendo i saperi in uno sforzo comune per conquistare i nuovi mercati, a vantaggio di tutti. Senza contare che le difficoltà contingenti prima o poi finiranno e saranno avvantaggiati coloro che oggi vedono lontano e che prendono posizione per trovare soluzioni alle grandi problematiche di fondo, ancora oggi sul tappeto e pronte a riproporsi anche domani.
Il Veneto, con la sua struttura imprenditoriale fatta di piccole e medie imprese, aggiunge al made in Italy una maggiore flessibilità d'impresa, capace di adattarsi continuamente a nuovi modelli di consumatore. Ed è proprio questa la strada da percorrere per superare la crisi: adattarsi ai cambiamenti, modificando i prodotti in base ai nuovi mercati e i processi produttivi secondo nuove esigenze. Possiamo cogliere queste opportunità, rispondendo alla crisi con la stessa energia che è stata indispensabile cinquant'anni fa per dare vita al cosiddetto miracolo del Nord Est. I cambiamenti, poi, sono talmente veloci che si fatica a coglierli nella loro interezza, ma sono questi a dettare stili di vita, approcci gestionali, motivazioni, idee, che nella loro liquidità si compenetrano e sublimano verso esiti non del tutto prevedibili.
Pertanto sarebbe necessario, più che leggere i tempi, addirittura riuscire in qualche modo ad anticiparli, dettando nuovi paradigmi che possano velocemente adattarsi come una seconda pelle, precorrendo i bisogni e i desideri: uscire da questa crisi è ormai diventato un "dovere". I giovani chiedono che sia loro offerta la possibilità di cavalcare l'onda del cambiamento: il 20% di loro in Veneto stenta a trovare lavoro e quindi una collocazione per esprimere le proprie potenzialità. La società non può permettersi di sprecare tali risorse ed energie, che indubbiamente sarebbero in grado di spingere sul pedale dell'innovazione, anche in virtù della loro maggiore propensione verso un mercato del lavoro più flessibile, più dinamico e quindi con numerose opportunità.
È innegabile che la ripresa faticherà a imporsi in mancanza di nuovi stimoli per il rilancio dei consumi interni. Per fare questo, è fondamentale capire le nuove esigenze dei consumatori, che richiedono prodotti di buona qualità a prezzi più accessibili, in grado di competere con quelli provenienti dall'estero o di differenziarsene completamente dal punto di vista della qualità.
Senza contare che la società contemporanea genera nuove esigenze, molte delle quali connesse alle tecnologie, sia comunicative che di processo: in questo caso, sfruttarne le potenzialità significa, anche, sollecitare i consumatori attraverso nuovi canali di vendita e con prodotti in grado di soddisfarne i bisogni. Non dimentichiamoci di settori che ormai sono diventati realtà, come la green economy, ampliamente trattata nel Rapporto Statistico 2011, e l'e-commerce, l'unico canale di distribuzione che ancora non conosce difficoltà: le attività di vendita esclusiva via internet crescono in un solo anno di oltre 18 punti percentuali, sfiorando le 700 posizioni censite in Veneto.
Tuttavia, è lecito chiedersi se la crescita economica sia il solo obiettivo da raggiungere, oppure se sia più opportuno, e quindi più duraturo, ripensare al modello di sviluppo, in tutte le sue sfaccettature, a cui vogliamo appoggiarci. Ci piace ricordare le parole dell'economista Amartya Sen, premio Nobel nel 1998: "Potrebbe non essere molto sensato affermare che dietro ad ogni crisi si trova una buona opportunità. Quando ci ammaliamo di polmonite, sarebbe strano per noi pensare 'Fantastico, ho la polmonite - è un'opportunità eccezionale per fare qualcosa di positivo'. Credetemi, è meglio non prendersi la polmonite (io ci sono passato quasi venti anni fa e non ripenso a quella esperienza con molta nostalgia). Ed in effetti è meglio non dover affrontare una crisi economica. Tuttavia, se ci dovessimo trovare invischiati in una crisi economica - senza averla cercata - allora sarebbe ragionevole sia domandarci come poter uscire dalla crisi che pensare se, nel processo di sanare l'economia e la società, abbiamo la possibilità di apportare qualche modifica a lungo termine che ci possa aiutare a vivere una vita migliore, con una maggiore libertà di raggiungere quello che vogliamo raggiungere. La questione non è se la crisi sia anche opportunità, ma che quando cerchiamo di sanare una crisi possiamo anche cercare di creare un'opportunità allargando la nostra visuale" (Nota 2).
A due anni da tale intervista, e a crisi conclamata, queste parole acquistano una valenza pragmatica. Dieci anni prima, con il suo lavoro "Sviluppo è libertà", l'economista poneva le basi teoriche per un nuovo concetto di sviluppo che si differenziasse da quello di crescita, spostando il focus dall'aumento del reddito all'aumento della qualità della vita globalmente intesa. Secondo Sen, i livelli di reddito della popolazione sono importanti, perché ogni livello coincide con una certa possibilità di acquistare beni e servizi e di godere del tenore di vita corrispondente, ma analfabetismo e mancanza di libertà civili e politiche, limitando pesantemente la libertà di azione delle persone, ne affliggono la qualità di vita. È per questo che per Sen le libertà sostanziali (fra cui egli pone la partecipazione politica, l'accesso all'istruzione di base e le cure sanitarie) sono parti costitutive dello sviluppo e nel contempo il suo scopo principale ma anche il mezzo per conseguirlo.
Quello di Sen è solo uno dei tentativi teorici di trovare quelle "modifiche a lungo termine" del paradigma della crescita che economisti e filosofi in primis hanno escogitato negli ultimi anni: si pensi al Rapporto Stigliz-Fitoussi per delineare il benessere non materiale, o ancora al "Global Project on Measuring the Progress of Society" dell'Ocse per elaborare un indicatore che andasse "oltre il PIL". Ciò che pare delinearsi vivo all'orizzonte è l'esigenza di aggiungere complessità, di arricchire il concetto stesso di sviluppo di un nuovo linguaggio.
Questi argomenti, oltre a sollecitare la sensibilità umana, sono di stimolo per gli statistici per trovare il modo di descrivere la società attraverso una quantificazione dei fenomeni che la caratterizzano a 360°, senza fermarsi ad un'arida batteria di indicatori. Già nel Rapporto Statistico del 2008 affrontammo questi temi utilizzando il fil rouge della qualità della vita e del benessere, cercando di andare oltre le misure puramente economiche.
Nel Rapporto Statistico del 2011 abbiamo trattato il tema della sostenibilità, mettendo in risalto come sviluppo e sostenibilità non siano contraddittori tra loro, ma si prestino ad essere trattati in modo sinergico, poiché sostenibilità non solo è miglior qualità della vita, e dunque sviluppo come lo intende Sen, ma è altresì volàno di nuove forme economiche. Anche i progressi della tecnologia delle comunicazioni possono essere inclusi in un nuovo concetto di sviluppo, e offrire un apporto rilevante alla democrazia. Si pensi al contributo che il web e i social network hanno dato ai movimenti della "primavera araba". La velocità e la portata delle notizie a livello globale, così come quelle delle conversazioni su internet ed altri mezzi di comunicazione veloce, rendono molto più agevole la conoscenza di questioni locali, ma di rilevanza globale.
In definitiva, stiamo assistendo ad un cambio di paradigma che non sostituirà immediatamente il precedente, probabilmente lo affiancherà con esiti che a tutt'oggi rimangono aperti.
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Il sociale

Ripartire dall'occupazione...
Puntare sull'occupazione è al tempo stesso una necessità e un'opportunità di crescita per il nostro Paese. Il mercato del lavoro italiano, infatti, presenta alcune criticità da risolvere nell'immediato futuro: i numeri descrivono un sistema statico e poco equo, dove le persone sono scarsamente incentivate a cambiare lavoro in un'ottica di miglioramento, con gruppi di lavoratori molto tutelati ed altri totalmente privi di forme assicurative contro la disoccupazione.
Nel corso del 2011, il tasso di occupazione italiano resta sui livelli del 2010 (56,9%), mentre il Veneto registra un valore pari a 64,9%, in aumento dopo due anni di decrescita. Il numero di persone in cerca di occupazione nella nostra regione si riduce di 17 mila unità, recuperando buona parte del peggioramento registrato fra il 2009 e il 2010. Il tasso di disoccupazione scende così dal 5,8% del 2010 al 5,0% del 2011, mentre in Italia rimane pari all'8,4%. Bisogna tuttavia evidenziare che a partire dal quarto trimestre del 2011, la situazione è tornata a peggiorare: il tasso di disoccupazione in Veneto è cresciuto di quasi due punti percentuali, toccando nel primo trimestre del 2012 il 6,3% (10,9% in Italia), mentre il numero di disoccupati supera i 143mila.
Le riforme in atto nel nostro Paese sono, quindi, dettate dalla necessità di rafforzare il mercato del lavoro affinché diventi un'occasione per sfruttare le potenzialità delle categorie notoriamente più penalizzate, ossia i giovani, le donne e gli anziani.
Per aumentare le possibilità occupazionali è opportuno assicurare la piena inclusione femminile, trovando nuove strategie per conciliare vita familiare e vita lavorativa. La condizione della donna nella società italiana è, infatti, ancora contraddittoria: se da un lato assistiamo al crescere del livello di scolarizzazione femminile, già superiore a quello maschile, dall'altro persistono segnali di ritardo e situazioni di disuguaglianza di genere. In Veneto, il 30% delle donne che vivono in coppia e che hanno figli non lavorano, affidandosi completamente al lavoro del marito o del compagno. E quando lavorano, guadagnano meno del partner e non godono di sufficiente flessibilità nel gestire i tempi del lavoro.
Difficile anche la situazione dei ragazzi che si apprestano ad entrare nel mercato del lavoro. In Italia, i giovani si trovano oggi ad affrontare sfide e problematiche nuove rispetto ai loro coetanei delle generazioni passate e rispetto a quelli di altri Paesi europei. Il tasso di disoccupazione ufficiale, ossia quello calcolato sulla fascia d'età 15-24 anni, dopo aver raggiunto nel 2007 il valore minimo, nel giro di pochi anni è cresciuto di oltre undici punti percentuali: il numero di giovani veneti che cercano lavoro senza riuscire a trovarlo ha raggiunto nel 2011 le trentamila unità. Per questo motivo, i giovani sembrano aver pagato il tributo più grande in tempo di crisi. Tuttavia, investire su di loro rappresenta l'unica strada da percorrere per dare nuova linfa vitale ad una società che sta invecchiando sempre di più.
Ed è proprio l'invecchiamento della popolazione il tema più spinoso nell'agenda politica, i cui obiettivi puntano all'aumento del tasso di occupazione della popolazione in età 55-64 anni, pari al 35% in Veneto nel 2010, e alla creazione di un sistema pensionistico più sostenibile. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, la quota di Prodotto Interno Lordo destinata alle pensioni è andata crescendo nel corso di tutto il decennio: sia in Italia che in Veneto, il valore minimo è stato registrato nel 2000 (Italia 14,6%, Veneto 11,7%) per poi salire costantemente, soprattutto fra il 2008 e il 2009. Il Veneto presenta certamente una situazione più sostenibile rispetto a molte altre regioni italiane, collocandosi fra le regioni con un minor numero di pensionati ogni 1.000 abitanti, preceduto solamente da Campania, Sicilia e Lazio. Nell'ultimo decennio la sostenibilità è comunque migliorata quasi ovunque: in particolare in Veneto si è passati da 276 pensionati ogni 1.000 abitanti a 251.
... puntando su istruzione e cultura
Per trasformare la recessione in un'opportunità di cambiamento, risulta quindi strategico puntare sul lavoro, aumentando il numero di occupati, eliminando le barriere in entrata e in uscita e garantendo un sistema di istruzione e formazione idoneo a creare una forza lavoro motivata e competente.
In dieci anni, i passi in avanti compiuti dalla nostra regione sono evidenti: dal 2001 al 2011 la quota di popolazione che possiede almeno un diploma di scuola superiore è cresciuta di oltre 14 punti percentuali, passando dal 32,4% al 46,5%. La partecipazione all'offerta scolastica è, a sua volta, in miglioramento: nel 2010 la quota di 18-24enni veneti che abbandonano prematuramente gli studi scende di quasi quattro punti percentuali rispetto al 2005, registrando un valore pari al 16%, raggiungendo così l'obiettivo italiano definito dalla strategia "Europa 2020" e avvicinandosi a quello europeo (10%).
Un altro aspetto importante da sottolineare è la progressiva licealizzazione dei giovani, a discapito degli istituti tecnici e, in particolare, dei professionali: nell'anno scolastico 2011/12 in Veneto i licei attraggono il 43% delle iscrizioni, a fronte del 30% registrato nel 2000/01.
Il capitale umano è dunque un fattore importante per lo sviluppo del Paese e l'università riveste sicuramente un ruolo fondamentale nel disegnare e nel formare competenze nuove e sempre più ricche. In questo scenario si inserisce la riforma del sistema universitario italiano entrata in vigore nel gennaio 2011 (Nota 3), che mira a evitare gli sprechi nelle università e punta ad una governance fondata su criteri meritocratici e di trasparenza.
L'università italiana è da decenni oggetto di un profondo mutamento: dai 288.000 studenti iscritti a inizio degli anni '60 si è passati a 1.800.000 nell'anno accademico 2009/2010. Il numero di ragazzi che si immatricolano nei soli atenei veneti è cresciuto di circa 16 punti percentuali, arrivando a contare quasi 19.000 nuovi iscritti, concentrati in particolare nell'ateneo padovano. Il tasso di passaggio dalla scuola secondaria superiore all'università è però in diminuzione rispetto ai valori registrati all'inizio degli anni duemila: dal 72% dell'Italia e dal 69% del Veneto nel 2003/04 si passa, rispettivamente, al 63% e al 64% nel 2009/2010. C'è molto da lavorare per raggiungere l'obiettivo europeo di innalzare la quota di giovani 30-34enni laureati ad almeno il 40% nei prossimi dieci anni: nel 2010 la percentuale veneta è pari al 18,6% contro il dato dell'UE27 del 33,6%.
È quindi importante favorire l'istruzione terziaria, sostenendo gli studenti e le loro famiglie anche attraverso aiuti economici diretti a supportare i costi di mantenimento e di iscrizione. Nel confronto con alcuni Paesi europei - tra i quali esiste comunque una difformità non trascurabile nella regolamentazione degli accessi allo studio universitario e negli strumenti utilizzati per l'aiuto alle famiglie - in Italia nel 2008 la spesa per il diritto allo studio (borse di studio, prestiti, interventi a favore di studenti con handicap, etc...) è stata pari al 20% della spesa complessiva per istruzione universitaria, oltre tre punti percentuali in più del dato medio dell'UE27 e più elevata di quella sostenuta in Francia (7,4%), Spagna (9,9%) e Germania (18,9%).
La principale forma di intervento di sostegno alle famiglie rimane la borsa di studio che assorbe circa il 76% delle risorse destinate ai sussidi; in Veneto la quota di borse erogate rispetto a quelle richieste è in aumento: in soli due anni si passa, infatti, dal 41,8% (2007/08) al 51,2% (2009/10).
È poi fondamentale per il ragazzo appena diplomato che vive lontano dalla sede universitaria avere l'opportunità di trovare un alloggio a basso costo. Negli ultimi cinque anni, in Italia, il numero di posti-alloggio gestiti dagli enti regionali è in continua crescita, tanto che nel 2009/10 il 60% delle domande di alloggio e di contributi per gli affitti viene soddisfatto, in aumento di oltre tre punti percentuali rispetto a due anni prima. Migliore la performance in Veneto con una quota di posti assegnati su quelli richiesti pari al 72,5%.
Un contributo forte alla competitività e allo sviluppo futuro del Paese è dato anche dai dottori di ricerca. Nei Paesi che primeggiano nella competizione internazionale, le aziende utilizzano e finanziano generosamente i dottorati di ricerca quale straordinaria opportunità per innovare e crescere, per reclutare i migliori talenti e investire sulle competenze di eccellenza richieste dai nuovi mercati del lavoro. Secondo l'indagine Istat del 2009 sull'inserimento professionale dei dottori di ricerca, è possibile valutare la capacità delle regioni di trattenere i propri dottori e di attrarne altri da provenienze diverse. In sintesi, il Veneto ha un'ottima capacità di trattenimento (74,5%) e una buona capacità attrattiva (oltre il 27%).
Infine, è importante evidenziare che gli atenei veneti sono fra i migliori d'Italia: secondo la classifica del Censis, nel 2011 Padova è il secondo miglior ateneo del paese tra i mega atenei statali e lo Iuav di Venezia è il terzo tra i politecnici. Si evidenzia che l'Università di Padova rientra anche nella classifica dei 500 migliori atenei del mondo misurata attraverso l'indice di Shangai, occupando il 169esimo posto.
Allargando il campo di osservazione, l'istruzione si inserisce nel più generico mondo della cultura, che, entrando in relazione con realtà e dimensioni diverse, può trasformare il nostro Paese e la nostra regione in un laboratorio di creatività, di sperimentazioni sociali, culturali e produttive di rilievo internazionale. La cultura, infatti, è un terreno libero, che consente di accogliere le diverse espressioni e di intrecciare relazioni tra i diversi attori presenti sul territorio regionale. Ma è anche ricchezza, capitale diffuso fatto di patrimonio artistico, paesaggio, tradizione, know how e innovazione, una risorsa che non si consuma ma si riproduce. Investire in cultura in un momento di crisi economica significa proiettarsi verso il futuro, perché consente di creare lavoro e ricchezza.
La candidatura di Venezia e del Nordest a Capitale europea della Cultura 2019 rappresenta un'opportunità di sviluppo economico. I grandi eventi sono diventati i principali motori per accelerare processi sia sul piano infrastrutturale sia su quello culturale e di fondamentale importanza risulta la valorizzazione del patrimonio materiale ed immateriale dei nostri territori: un giacimento "unico e tipico".
Uguaglianza nelle opportunità...
Le opportunità di crescita di un paese sono il risultato delle opportunità dei singoli cittadini di realizzare i propri obiettivi, ottenendo un'adeguata qualità della vita. Per la società risulta, quindi, importante far sì che tutti possano avere la stessa possibilità di ottenere una realizzazione completa di sé, assicurando l'uguaglianza nelle opportunità.
Se la disuguaglianza nei redditi non è necessariamente un fattore negativo quando è giustificata dal merito, la povertà, quale riflesso inaccettabile di una distribuzione disomogenea della ricchezza, è senz'altro una limitazione importante dell'uguaglianza nelle opportunità. Accedere ai livelli più elevati degli studi, a cure appropriate e tempestive, disporre di una casa confortevole, poter partecipare a una vita sociale ricca e appagante, ma anche sentirsi capaci di affrontare i più semplici bisogni quotidiani sono precondizioni all'inclusione sociale che ai poveri spesso sono negate.
Il 2010 è stato l'anno europeo della "lotta alla povertà e all'esclusione sociale", un tema che la Commissione europea ha deciso di mantenere tra le priorità delle politiche comunitarie e, nel rinnovare l'impulso alla lotta contro tutte le forme di povertà, la strategia Europa 2020 punta a ridurre di almeno 20 milioni il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale entro il 2020.
In Europa si stimano quasi 116 milioni di persone a rischio povertà o esclusione sociale, il 23,5% della popolazione complessiva, e quasi 15 milioni vivono in Italia, pari a un'incidenza del 24,5%. Minore è invece il disagio in Veneto, dove a soffrirne è il 15% della popolazione (16,3% delle famiglie), percentuale in lieve aumento rispetto all'anno precedente (14,1%). Sebbene l'incidenza del disagio in Veneto sia una delle più basse tra le regioni italiane, si tratta comunque di 732 mila persone (oltre 331 mila famiglie) in difficoltà, che non vivono secondo gli standard comuni della società attuale e che, nei casi più gravi, non riescono a provvedere ai bisogni fondamentali della vita. Più a rischio le donne, i bambini, le persone sole, soprattutto se anziane, le famiglie numerose e chi ha un basso titolo di studio. Il rischio di povertà e di esclusione sociale si associa frequentemente anche alla deprivazione abitativa: le famiglie che vivono in situazioni di disagio abitativo, per mancanza di spazio o per la presenza di carenze strutturali di vario genere, in genere si trovano a dover affrontare anche altre difficoltà e limitazioni nel vivere quotidiano. Nel confronto europeo, poi, emerge soprattutto il maggior svantaggio che colpisce le famiglie con figli a carico, specie se tre o più, e delle persone anziane che vivono da sole.
Un focus sui singoli indicatori che determinano il rischio di povertà o esclusione sociale consente di distinguere i diversi sintomi del disagio, anche per meglio orientare le politiche di contrasto all'esclusione sociale. Nell'ambito della strategia di Europa 2020, infatti, ogni Stato può scegliere come intervenire, su quale forma di disagio concentrarsi per raggiungere il proprio obiettivo. In quest'ottica l'Italia intende contribuire con una riduzione di circa 2,2 milioni di persone a rischio povertà o esclusione sociale, segnalando di voler concentrare l'attenzione sulle persone in condizioni di grave deprivazione materiale e su quelle appartenenti a famiglie a bassa intensità di lavoro, su cui più forte è l'impatto della crisi.
L'Italia si discosta dalla media europea soprattutto per la maggiore presenza di persone a rischio povertà (il 18% della popolazione anziché il 16% dell'UE27), mentre in termini di grave deprivazione materiale (6,9%) la situazione è più favorevole se il confronto è esteso alla totalità dei 27 Paesi europei (8,1%), non così se limitato ai soli Stati dell'UE15 (5,2%). Non si osservano, invece, differenze significative nella quota di persone che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa, che si attesta sia per l'Italia che per l'Europa attorno al 10%.
Per il Veneto tutti gli indicatori evidenziano una situazione relativamente meno preoccupante rispetto al contesto italiano ed europeo, sia per diffusione che per gravità del disagio. Il sintomo più diffuso è il rischio di povertà, che coinvolge il 10,5% dei residenti, segue la bassa intensità lavorativa (6% della popolazione under 60) e la grave deprivazione materiale (3,9%). Come a livello nazionale, sia il rischio di povertà che il tasso di grave deprivazione materiale rimangono sostanzialmente stabili negli ultimi due anni, mentre è in aumento il numero di coloro che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (4% nel 2009).
Considerando la percezione del problema, in un particolare momento di crisi come quello che stiamo vivendo, povertà e disuguaglianza rappresentano preoccupazioni crescenti, anche nei Paesi più avanzati. Secondo un'indagine di Eurobarometro la maggior parte dei cittadini giudica la povertà un'ingiustizia sociale, un problema molto grave che richiede un intervento urgente dei governi, i quali dovrebbero agire anche attraverso una migliore redistribuzione della ricchezza tra i cittadini, per colmare le disparità esistenti ritenute ancora eccessive. In Italia, infatti, così come nella maggior parte dei Paesi Ocse, negli ultimi trent'anni si è assistito a un accentuarsi delle disparità nella distribuzione dei redditi delle famiglie. La disuguaglianza è peggiorata soprattutto perché le famiglie ricche hanno beneficiato di redditi particolarmente alti e cresciuti in misura maggiore rispetto a quelli delle famiglie con redditi medio-bassi. Particolarmente forte è stato l'incremento negli anni Ottanta e Novanta, per poi ridimensionarsi nei quindici anni successivi senza però compensare l'aumento del primo periodo.
In Veneto la disuguaglianza è un po' meno pronunciata che a livello nazionale: nel 2008 l'indice di Gini è di 0,24, in diminuzione dell'8% rispetto a cinque anni prima.
... anche per i cittadini stranieri
Assicurare l'uguaglianza nelle opportunità significa anche garantire ai cittadini stranieri una piena e completa integrazione nella nostra società.
Nell'adottare l'"Agenda europea per l'integrazione dei cittadini di Paesi terzi" nel 2011, la Commissione europea sottolinea che "per la riuscita dell'integrazione occorre che i migranti abbiano la possibilità di partecipare pienamente alle loro nuove comunità; imparare la lingua del Paese d'accoglienza, poter accedere all'occupazione e all'istruzione e disporre della capacità socioeconomica di autosostentarsi sono elementi fondamentali di un'integrazione riuscita. (...) Le migrazioni sono un'opportunità e il contributo dei migranti alle società è significativo e deve essere pienamente riconosciuto".
L'effettiva integrazione dei cittadini migranti è essenziale non solo per gestire un'immigrazione a lungo termine, ma anche per garantire una buona coesione sociale e l'agire stesso della cittadinanza, nelle pratiche quotidiane di esercizio dei diritti e assunzione di responsabilità che questo prevede.
Apertura all'immigrazione, attrattività del territorio, integrazione occupazionale e sociale sono elementi che contribuiscono a dare un'idea del processo di integrazione. Infatti, proprio il divario tra italiani e stranieri sui differenti ambiti socio-occupazionali consente di conoscere la dimensione della possibilità per i cittadini stranieri di vivere parità di condizioni rispetto ai nativi, di godere delle stesse opportunità.
Se l'integrazione ha luogo a livello locale, dove l'interazione tra individui può aiutare a migliorare il rispetto reciproco e la conoscenza, rimane alle politiche centrali la responsabilità nell'assicurare equità, opportunità, supporto alle istituzioni locali, precisando gli obiettivi di una strategia nazionale di integrazione. Le norme e le politiche che regolano l'immigrazione assieme alla percezione generale del fenomeno da parte dei cittadini, vale a dire al fatto che venga vissuto con preoccupazione o come opportunità, informano del grado di apertura del paese all'immigrazione.
Nello studio internazionale Mipex, che confronta le policy nazionali in materia di immigrazione valutandone il grado di apertura, il nostro Paese gode di una buona posizione, totalizzando, in una scala da 0 a 100, un punteggio di 60 punti rispetto alla media europea di 52. In questa cornice, tuttavia, i fenomeni che sostanziano l'integrazione sociale non sempre sono scevri da criticità: rispetto ai cittadini italiani, gli stranieri sono maggiormente colpiti dalla disoccupazione e scontano una peggiore qualità lavorativa; nel campo dell'istruzione sono più soggetti ad abbandoni scolastici e in genere fanno più fatica ad accedere a un'abitazione. Questa panoramica nazionale non coglie le diversità e le peculiarità territoriali, che pure ci sono, a volte con veri e propri punti di forza.
Il Veneto vede un'incidenza di stranieri superiore alla media nazionale (10,2% contro il 7,5%) e la crescita delle presenze negli ultimi anni, seppur rallentata, incontra una generale inquietudine dei veneti, che più di altrove si dichiarano preoccupati per il fenomeno (32,6% contro il 25% a livello nazionale).
La regione si trova in una fase precisa del processo di integrazione: il dato sulle naturalizzazioni, condiviso in genere con le regioni del Nord, conferma un'immigrazione ormai matura e, assieme alla considerevole presenza di minori stranieri e di seconde generazioni, segnala una volontà di radicamento e di appartenenza al territorio.
Una volontà che fatica ancora a esprimersi nel raggiungimento dei livelli più elevati degli studi, con una quota di abbandoni ancora alta, pur se in miglioramento nel tempo. Per quanto riguarda la partecipazione alle scuole superiori, il divario con i coetanei italiani è più elevato che a livello nazionale (una differenza di 24 punti percentuali a sfavore degli stranieri rispetto a 20), ma in sensibile aggiustamento. Anche la scelta dell'indirizzo di studi è un ulteriore elemento di disparità: più che altrove in Veneto la preferenza è per il percorso di tipo professionale, scelto da ben il 43,7% dei ragazzi stranieri iscritti alle scuole superiori contro il 20,4% degli italiani, fatto che ravvisa da un lato la necessità di avere subito un lavoro, rispondendo anche alla vocazione del territorio, e dall'altro il sintomo di una maggiore difficoltà per i ragazzi stranieri di prendere parte al processo di mobilità sociale per cercare di elevare la propria condizione.
Da un punto di vista occupazionale, il territorio continua a offrire buone opportunità agli stranieri: pur scontando spesso condizioni di sottoinquadramento (44%), con percentuali doppie rispetto agli italiani, alta è la quota di occupati stabilmente a tempo indeterminato (86%) e il divario retributivo con gli italiani è tra i più bassi d'Italia, ossia 150 euro al mese contro i 250 medi nazionali. Qui inoltre gli stranieri maschi trovano tassi di disoccupazione più bassi di quelli nazionali.
Per questo, guardando alle condizioni generali di vita, si evidenzia in Veneto un migliore inserimento sociale: il 32% degli stranieri vive in famiglie a rischio povertà o esclusione sociale, contro il 39% in Italia, grazie anche alla maggiore possibilità di accedere al mercato immobiliare, di trovare alloggi in affitto a prezzi ancora sostenibili. Lo svantaggio rispetto agli italiani rimane comunque forte, visto che tra questi il rischio di povertà ed esclusione sociale si abbassa al 12%. Un quadro, dunque, con luci forti e ombre che vanno contraendosi, in cui la crisi economica attuale apre senz'altro nuove sfide.
Pensare ai bisogni sanitari, razionalizzando il sistema
Le opportunità di crescita nascono anche dalla razionalizzazione dei modelli gestionali e dallo studio di un'ottimale allocazione delle risorse.
In ambito sanitario, il fronte dei bisogni sempre più ampio e la limitatezza delle risorse disponibili richiedono un ripensamento del sistema, nel tentativo di cercare di migliorare o mantenere la qualità dei servizi erogati ai cittadini, assicurando nel contempo l'equilibrio finanziario della gestione in condizioni di efficienza e appropriatezza. In questo senso, la Regione del Veneto sta ridefinendo i propri indirizzi strategici con la proposta di Piano Socio Sanitario 2012-2016 e intende cogliere queste opportunità per migliorare il proprio sistema socio sanitario, preservando le sue caratteristiche di eccellenza. Come scritto nella relazione che introduce il relativo progetto di legge regionale "si ravvisa la necessità di rivedere i contenuti della programmazione in materia, nell'intento di adeguare il sistema ai cambiamenti socio-epidemiologici e, al contempo, di innovare i modelli organizzativi sulla scorta delle migliori pratiche realizzate in questi anni, perseguendo obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità".
Tra i bisogni, in particolare l'allungamento della vita media, assieme ai guadagni di salute degli ultimi anni, comporta una quota sempre più numerosa di anziani con un'incidenza crescente sulla spesa sanitaria, sia ospedaliera che dei servizi territoriali. Basti osservare la percentuale di dimissioni ospedaliere e di giornate di degenza relative a persone di età pari o superiore ai 65: nel 2011 rappresentano il 45% della totalità delle dimissioni in Veneto e il 60% delle giornate di degenza, 5,6 punti percentuali in più rispetto al 2001. Ciò si riflette anche sul territorio con il progressivo aumento delle necessità di dimissioni protette, assistenza domiciliare e di servizi correlati. Se poi la condizione socio-economica degli anziani è connotata da uno stato di disagio, si aggiungono anche necessità di tipo socio-sanitario e sociale.
Anche l'immigrazione porta con sé bisogni particolarmente complessi, di natura socio-culturale (ad esempio: diversi approcci alla malattia e ai servizi sanitari, problemi di comunicazione) piuttosto che strettamente medica.
Le scelte strategiche della programmazione regionale sono importanti e ambiziose: confermare e consolidare l'integrazione socio-sanitaria, potenziare l'assistenza territoriale, completare il processo di razionalizzazione della rete ospedaliera, favorire un impiego appropriato delle risorse professionali, ridefinendo modelli operativi e organizzativi.
L'integrazione socio-sanitaria si conferma strategia fondante del modello veneto, che si basa sul riconoscimento della centralità della persona, in rapporto con i propri contesti di vita. La razionalizzazione della rete ospedaliera è orientata a diminuire il carico improprio sulle strutture, rinviando alla rete territoriale dei servizi la presa in carico delle patologie di tipo cronico o più marcatamente sociale, dei casi di lungo-assistenza e di riabilitazione prolungata. La Regione si è posta per il 2011-2012 l'obiettivo di contenere il tasso di ospedalizzazione entro valori inferiori al 140 per mille, anche in virtù della costante e sistematica riduzione del ricorso all'ospedalizzazione ottenuta nell'ultimo decennio: nel 2010 il tasso è di 152 dimissioni per mille residenti, quando nel 2001 era di 200. Anche rispetto al numero di posti letto per mille abitanti il Veneto si trova in una situazione di eccellenza rispetto ai Paesi dell'Unione Europea, paragonabile a quella del Regno Unito e della Svezia. La Regione si è posta altresì l'obiettivo di un adeguamento tendenziale del numero di posti letto: nel 2010 per il ricovero di tipo ordinario nei presidi ospedalieri ci sono 3,5 posti letto per mille abitanti, in linea con l'obiettivo prefissato a livello regionale.
Anche gli ospedali vengono ridefiniti, concepiti e collegati secondo una logica di rete, così da agevolare l'accessibilità dei cittadini alle specialità di base e rendere più razionale l'accesso alle specialità di maggiore complessità e di elevata tecnologia. Il completamento del processo di razionalizzazione della rete ospedaliera si realizza, infatti, attraverso un modello articolato su due livelli (modello Hub e Spoke): il primo costituisce un centro di alta specialità per un territorio ampio, mentre il secondo, con una dotazione minima, offre servizi di diagnosi e cura di base assicurati in "rete" con il precedente livello.
Completa il quadro il potenziamento della rete di assistenza territoriale e la progressiva evoluzione delle forme associative della Medicina di Assistenza Primaria in Medicine di Gruppo Integrate, che costituiscono il fulcro su cui viene a riorganizzarsi l'intero assetto dell'assistenza territoriale.
Tali scelte, in un'ottica di rete, diventano un'opportunità per affinare una gestione integrata del paziente, fondata sulla continuità assistenziale, l'integrazione dei servizi e la collaborazione dei diversi professionisti della salute. Una gestione che nel tempo ha premiato, esprimendo performance che storicamente collocano il nostro sistema socio sanitario tra i migliori a livello nazionale e internazionale, sia secondo parametri oggettivi sia considerando la soddisfazione espressa dai cittadini: ad esempio il 90% giudica positiva l'assistenza ricevuta durante il ricovero ospedaliero e l'81% dichiara di aver fiducia nell'operato di medici e infermieri.
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L'economia

Il confronto con i best performer europei
Dopo una sostenuta ripresa nel 2010 che ha fatto registrare un aumento del 3,2% del PIL veneto, nel contesto di incertezza del panorama nazionale il Veneto nel 2011 vede una crescita di 0,6 punti percentuali di PIL. Nelle previsioni, il 2012 risentirà della recessione in maniera analoga al livello nazionale, se non in misura leggermente minore per l'importanza della presenza industriale veneta e dei flussi commerciali con l'estero. La ripresa dovrebbe avviarsi nel 2013, per registrare una crescita attorno al 2% nel 2014.
Il Veneto emerge comunque come una regione benestante, con un reddito pro capite superiore sia alla media italiana che europea e con una crescita media del PIL più dinamica rispetto a quella dell'Italia. Il PIL veneto risulta però aver subito un rallentamento nella fase di passaggio al nuovo millennio, lasciandosi alle spalle il dinamismo economico che lo ha caratterizzato negli anni Novanta e che ha permesso a questa regione di essere annoverata tra le potenze industriali dell'epoca.
Nel contesto di una concorrenza sempre più intensa tra le piazze economiche quali luoghi d'insediamento per imprese e personale ad alta qualificazione, cresce per ogni regione l'importanza di identificare la propria posizione competitiva in campo internazionale al fine di garantire il proprio sviluppo economico futuro. Per questo motivo abbiamo messo a confronto l'economia regionale del Veneto con quella dell'Italia, dell'Europa occidentale (Nota 4) e di altre 12 regioni economicamente forti (Nota 5), al fine di definire la sua posizione competitiva a livello internazionale e di identificarne le debolezze e i punti di forza nonché eventuali rischi ed opportunità. Si è scelto appositamente di effettuare un benchmarking con dei parametri di confronto che risultassero tra le economie più performanti in Europa nella consapevolezza delle potenzialità della struttura economica della nostra regione.
Dal confronto internazionale emerge che la crescita del PIL in Veneto è caratterizzata da balzi congiunturali molto più accentuati rispetto all'Italia e, soprattutto, all'Europa occidentale, favorevoli nei momenti di ripresa, ma da tenere sotto controllo nei cicli recessivi. Nel periodo tra il 2000 e il 2010 in Veneto si è riscontrata una diminuzione della produttività: si tratta di una caratteristica tipicamente italiana, dal momento che soltanto le regioni benchmark facenti parte della penisola presentano una crescita del PIL inferiore a quella dell'occupazione.
L'attrattività del Veneto è nella media dell'Europa occidentale, favorita da una buona accessibilità e, allo stesso tempo, frenata dalla forte imposizione fiscale, così come per le altre regioni italiane, da un'eccessiva regolamentazione del mercato dei beni e da una minor produzione nella ricerca universitaria, se confrontata con gli altri territori di benchmark. I risultati delle regioni italiane rispetto all'indice che misura le potenzialità della struttura produttiva sono più critici, in quanto nella sua costruzione influisce negativamente soprattutto il basso grado di decentralizzazione amministrativa, elemento che non ricade tuttavia nella sfera d'influenza della regione.
Le leve vincenti per l'imprenditoria veneta: il rilancio della produttività attraverso la differenziazione e l'innovazione...
Perseguire una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile, attraverso la promozione della competitività è un obiettivo dell'ambiziosa strategia "Europa 2020" finalizzata alla ripresa di lungo periodo. In una regione come il Veneto, la crescita di produttività è una dimensione importante della competitività, ma, al contempo, nel confronto internazionale risulta uno dei punti deboli su cui dover agire. Un aumento di produttività può derivare da due fattori. Il primo fattore è dato dall'introduzione di metodologie produttive e organizzative tecnicamente più avanzate ed efficienti, da maggiori investimenti nella R&S e dall'ottimizzazione delle tecnologie e delle risorse esistenti, oltre a nuove tecniche gestionali organizzative. Il secondo fattore è una ristrutturazione settoriale che dovrebbe spostare l'occupazione in ambiti più produttivi, ossia a più elevato valore aggiunto, in particolare verso i servizi ad elevata competenza del capitale umano.
La strategia vincente sembra essere quella di differenziare e qualificare i propri prodotti rispetto a quelli dei concorrenti e sfuggire alla pura competizione di prezzo attraverso l'attivazione di attività di Ricerca & Sviluppo, design, pubblicità specifiche, ma anche la realizzazione di reti distributive ad hoc, l'accesso agevolato a nuovi mercati, la garanzia di assistenza. Questa trasformazione, definita come una "terziarizzazione dell'attività manifatturiera" (G. Romano, F. Schivardi), è un processo nel quale acquisiscono importanza gli investimenti immateriali, rispetto a quelli materiali.
Tra il 2005 e il 2011 si è assistito in Veneto ad una differenziazione delle attività produttive, con cambiamenti nel peso relativo dei settori, in linea con il processo di trasformazione della produzione veneta che vede alcuni settori tradizionali di grande peso lasciare spazio a settori nuovi, a più alta intensità tecnologica e contenuto di conoscenza.
Anche l'incidenza della spesa in ricerca sul PIL in Veneto continua a crescere nel 2009, raggiungendo l'1,08%, dato in continuo aumento dal 2005. La composizione della spesa mostra inoltre come quasi i 2/3 di questa siano riconducibili al comparto privato. La spesa in R&S dell'imprenditoria in Veneto coinvolge principalmente il settore manifatturiero, dal quale proviene più del 70% della spesa: oltre un terzo della spesa in R&S delle imprese manifatturiere è effettuata da aziende appartenenti a settori caratterizzati da "offerta specializzata" e l'8,5% della spesa veneta è riconducibile ad attività formalmente riconosciute come "ad elevata intensità di R&S".
Per quanto riguarda l'innovazione, il Veneto sta procedendo verso i livelli della frontiera tecnologica e quindi sarà indispensabile un innalzamento dei livelli di istruzione della propria forza lavoro affinché si riduca il ritardo rispetto alle regioni maggiormente innovatrici. In Veneto nell'ultimo quinquennio sono aumentati i lavoratori con titoli di studio alti, ma non in tutte le posizioni lavorative: infatti, si intravedono segnali di sottoinquadramento per la presenza di tanti laureati a livelli di "bassa qualifica", mentre ai vertici sembra prevalere la scelta di ricorrere all'outsourcing di qualifiche culturalmente superiori.
Puntare sui giovani imprenditori...
L'imprenditoria veneta ha chiuso il 2011 con una contrazione dello 0,3% del numero di imprese attive. Il segnale più evidente delle difficoltà che coinvolgono il sistema produttivo è la riduzione della natalità imprenditoriale; il tasso di mortalità continua fortunatamente a mantenersi stabile rispetto al 2010 e più basso del dato nazionale. L'anno appena concluso ha visto il terziario mantenere il proprio ruolo di traino per l'economia veneta: il comparto nell'ultimo anno cresce dello 0,6% annuo; il settore primario, il manifatturiero e le costruzioni perdono invece, rispettivamente, il 2,2%, l'1,3% e lo 0,7% delle imprese attive.
L'impresa è tra le forze che possono contribuire a rilanciare il Paese. Per tornare a crescere, ridurre la disoccupazione e dare nuovo slancio allo sviluppo occorre investire su idee, energie e imprenditori nuovi.
Il futuro dei giovani, il loro successo o il loro fallimento, dipenderà dalla capacità del sistema di indirizzarli verso l'imprenditorialità, di coltivarne l'entusiasmo, l'ottimismo e la motivazione del fare da sé e del fare con gli altri. E i nuovi interventi previsti dal governo Monti sembrano andare proprio in questa direzione.
La prima parte del Decreto Liberalizzazioni approvato dal Governo Monti e in Gazzetta Ufficiale dal 24 gennaio 2012 è in gran parte incentrata su ordini professionali e imprese: misure per la semplificazione delle attività economiche, Srl semplificate per i giovani che vogliono diventare imprenditori, saldo delle fatture arretrate a favore delle Piccole Medie Imprese che vantano crediti con le Pubbliche Amministrazioni per arginare il fenomeno del ritardo dei pagamenti dalla PA, nuove tutele per le microimprese e la lunga lista di interventi per quanto riguarda professioni (taxi, farmacie, avvocati, notai), banche e assicurazioni (conti correnti, Rc auto).
Nel 2011 le persone con meno di 30 anni aventi una carica presso un'impresa veneta sono 33.867, il 4,6% del totale delle persone coinvolte; questo valore mostra il Veneto in leggero difetto rispetto al contesto nazionale, che vede la medesima fascia giovanile occupare in Italia il 5,5% del totale delle persone con carica. Sono proprio le società di persone e le ditte individuali ad impegnare la maggior quota di persone con carica in età giovanile: l'82,1% degli individui con meno di 30 anni aventi una carica in imprese venete è attivo presso imprese individuali (42,9%) o società di persone (39,2%). Queste due tipologie di forma giuridica sono le più diffuse tra i giovani imprenditori grazie al fatto che sono le forme più semplici e meno onerose ad oggi da intraprendere e che probabilmente meglio rispondono alle esigenze di chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro, magari con un'impresa di dimensioni limitate, ad esempio un'attività artigiana piuttosto che commerciale.
Nonostante le difficoltà economiche dell'ultimo biennio abbiano rallentato la nascita di nuove imprese in Veneto, le nuove registrate nel 2011 sono 30.576 e, escludendo il settore del commercio caratterizzato notoriamente da un forte turn over, le nuove nate sono 25.280.
La nostra regione è una zona tendenzialmente fertile per le imprese che vi sono nate: la solidità dell'impresa veneta è testimoniata dalla percentuale di imprese ancora in attività nel 2009 a cinque anni dalla nascita avvenuta nel 2004, 54%, rispetto alla media nazionale, vicina al 50%; le imprese con dipendenti che a distanza di cinque anni dalla nascita sopravvivono mostrano anche segnali di benessere e robustezza, facendo registrare un incremento della dimensione media.
Insomma, le idee innovative e la voglia di mettersi in gioco non mancano, ma in un mercato competitivo come quello di oggi sono fondamentali anche la tecnica e le risorse finanziarie: per questo le nuove imprese si appoggiano sempre più ai network di startupper, piuttosto che agli incubatori di idee. Gli startupper sono oggi una comunità in continuo movimento, che utilizza le nuove tecnologie, i social network, i forum specializzati, per confrontarsi e favorire le occasioni d'incontro tra idee innovative e possibili finanziatori. Sono migliaia gli iscritti alle diverse community di sviluppatori di idee nel web, così come sono attivi su Facebook gruppi che organizzano appuntamenti dedicati alla presentazione della propria iniziativa imprenditoriale. E anche le università venete aderiscono al progetto "Start Cup", la Business Plan Competition che riconoscono premi in denaro per idee d'impresa innovative, invitando i giovani ad esporre le proprie idee imprenditoriali in un clima informale a imprenditori di successo disponibili a confrontarsi.
...e guardare alle nuove frontiere dell'internazionalizzazione
Le esportazioni saranno il motore della crescita nei prossimi anni per tutti i paesi sviluppati e, in modo particolare, per tutti quei paesi che saranno soggetti a una stagnazione della propria domanda interna. Il rapido sviluppo delle economie emergenti determinerà una crescita delle importazioni di questi paesi che riguarderà non solo i beni strumentali, ma anche quelli di consumo. È necessario, quindi, che un'economia tradizionalmente orientata all'export come quella veneta sappia cogliere le opportunità che si aprono sui mercati mondiali.
Le esportazioni del Veneto nel 2011 hanno superato nuovamente la soglia dei cinquanta miliardi di euro in valore, ritornando ai livelli record pre-crisi del 2008. Un risultato molto importante (+10,2% rispetto al 2010) se si considera che i record di allora furono realizzati in un periodo in cui il commercio mondiale era gonfiato dall'eccesso di domanda interna di alcuni mercati di riferimento che acquistavano più di quanto non potessero permettersi. Il 2011 si è chiuso con un surplus commerciale di 9,7 miliardi di euro.
L'internazionalizzazione delle imprese - intesa come capacità di migliorare la qualità della presenza nei mercati internazionali, senza lasciarsi tentare dalla sola delocalizzazione produttiva legata alla pura riduzione del costo della manodopera - costituisce un primario fattore di competitività e sviluppo. La sfida per le imprese venete è quella di individuare le nuove strategie per accrescere il grado di diversificazione geografica dell'export, riducendo così la dipendenza da pochi mercati di riferimento, e collocare in modo più proficuo le proprie produzioni.
Osservando la dinamica delle esportazioni del settore manifatturiero veneto e aggregando i settori merceologici sulla base della tipologia di bene e dell'intensità tecnologica, si registra da un lato un aumento del peso delle esportazioni di beni intermedi e di investimento e dall'altro una diminuzione della quota dell'export dei beni di consumo, più marcata per quelli durevoli. La direzione sembra, quindi, in linea con le dinamiche del commercio mondiale e con le previsioni di crescita dei vari comparti. Le previsioni a livello mondiale indicano un incremento della quota sull'export totale di beni intermedi (circa tre punti percentuali nei prossimi cinque anni) e strumentali (+1%).
La crescita dell'export regionale degli ultimi anni ha trovato sostegno nei processi di conversione industriale, che hanno principalmente favorito la posizione delle imprese specializzate nella produzione di beni intermedi e strumentali, dimostrando di saper reggere il passo dei concorrenti stranieri.
Il peso dei beni intermedi sul totale delle esportazioni regionali sale sia nella sua componente high tech (articoli in gomma e plastica e apparecchiature elettriche), che in quella tradizionale. Tra i beni strumentali (Nota 6) si evidenzia come l'high tech (meccanica di precisione) pesi per ventidue punti percentuali: essi costituiscono un investimento interessante soprattutto per le economie emergenti.
L'export veneto dovrà essere sempre più rivolto verso i nuovi mercati: nel corso dei prossimi anni la quota di export verso i paesi avanzati continuerà a diminuire, mentre aumenterà il peso delle nuove economie, tra cui i paesi dell'area Brics. Essi muovono, infatti, il 16% delle esportazioni mondiali e il 15% delle importazioni, percentuali in forte crescita rispetto agli inizi del nuovo millennio. Il Veneto ha saputo cogliere da subito le potenzialità dei nuovi mercati: nel 2011, il valore delle esportazioni delle imprese venete verso i Brics ha superato i 4,4 miliardi di euro, in aumento di quasi il 25% rispetto all'anno precedente; complessivamente, il 9% della ricchezza esportata è diretta verso i Brics, così come il 15% di quella importata. Fra gli altri paesi emergenti, gli scambi commerciali più importanti sono diretti verso il Nord Africa e i paesi arabi.
L'analisi dei flussi commerciali degli ultimi dieci anni conferma lo spostamento dell'asse commerciale veneto verso est. Se si guarda al decennio 2000-2010, più del 40% della crescita cumulata del fatturato estero generato dalle imprese venete è stata fornita dalle esportazioni effettuate verso i nuovi mercati mediterranei e orientali.
Il confronto con l'export tedesco
Nel biennio 2010-2011 la Germania è il paese dell'Unione europea che sembra reagire rapidamente alla crisi e rappresenta, pertanto, un valido termine di confronto per l'Italia e il Veneto, tenendo conto che questi territori sono accomunati dalla conservazione di un'ampia base industriale.
Nel complesso, il Veneto e le regioni tedesche presentano numerose affinità nella struttura delle esportazioni sotto il profilo tanto dei mercati di destinazione, ossia prevalenza delle economie avanzate affiancata da una crescente capacità di penetrazione nei mercati di più recente industrializzazione, quanto dei settori (sono rilevanti per tutte le regioni la meccanica e la metallurgia), sebbene sotto quest'ultimo aspetto si rilevino anche le differenze più marcate. Il Veneto mantiene, infatti, un'alta specializzazione nei settori del made in Italy, mentre alcune delle regioni tedesche appaiono specializzate in comparti che incidono in maniera significativa sulla domanda mondiale (mezzi di trasporto e chimica). Infine, in termini di performance, le esportazioni venete mostrano una minore dinamicità rispetto all'andamento registrato dalle regioni tedesche nel periodo precedente alla crisi, mentre nel biennio di recessione e in quello successivo l'evoluzione dell'export complessivo è relativamente omogenea, fatta eccezione per il Baden-Württemberg che mostra risultati migliori specialmente nella fase di ripresa.
Le grandi imprese ambasciatrici dei prodotti veneti all'estero
La ripresa dell'export nel 2011 ha interessato tutte le classi dimensionali di imprese esportatrici, anche se in misura non omogenea: la crescita più sostenuta ha riguardato le imprese più grandi, quelle con fatturato estero superiore ai 100 milioni di euro, che hanno esportato il 21,7% in più rispetto al 2010; il valore medio del fatturato estero di queste imprese è così tornato a crescere per il secondo anno consecutivo dopo la battuta d'arresto registrata nel 2009, che aveva provocato lo scivolamento di alcune imprese nella classe di fatturato più bassa.
La migliore performance delle imprese più grandi si deve in buona parte alle dinamiche geografiche della domanda. La ripresa, pur diffusa in tutti i mercati, si è compiuta con intensità differenti: i tassi di crescita più sostenuti si sono avuti nei mercati orientali, raggiunti più facilmente, non solo in termini di vendita, dalle imprese di dimensioni maggiori.
La globalizzazione dell'economia è cresciuta non soltanto per effetto dell'intensificarsi dei flussi di beni e di capitali tra paesi, ma anche e soprattutto per l'integrazione delle strutture industriali e terziarie, cresciute grazie agli investimenti diretti esteri (IDE): le grandi imprese appaiono sempre più caratterizzate da assetti proprietari internazionalmente diversificati, in cui prendono peso e si intrecciano origini nazionali diverse.
Le conseguenze e le opportunità della crescente transnazionalità delle Imprese MultiNazionali (IMN) sono notevoli, sia per l'economia dei paesi di origine, sia per quella dei paesi ospiti. Esse stimolano la competizione, sollecitando l'allineamento delle imprese locali agli standard internazionali; partecipano e contribuiscono processi efficienti di ristrutturazione industriale; proiettano, attraverso collaborazioni e alleanze, i propri fornitori nei grandi circuiti internazionali, svolgendo per essi un ruolo di ponte verso i mercati stranieri.
Sul lato della multinazionalizzazione attiva, nel 2010 vengono censite 1.043 IMN venete, ovvero imprese venete non controllate da gruppi esteri che a tale data partecipano in almeno un'impresa estera.
Le imprese estere da esse partecipate nei settori considerati sono complessivamente 3.316, cresciute notevolmente rispetto le 2.204 del 2001; esse occupano all'estero 137.207 dipendenti e nel 2010 hanno realizzato un giro d'affari di 20.005 milioni di euro.
Sul fronte delle partecipazioni in entrata, all'inizio del 2010 le imprese venete attive e partecipate da imprese multinazionali (IMN) estere sono complessivamente 473; esse occupano 46.582 dipendenti e nel 2010 hanno realizzato un fatturato aggregato di 22.741 milioni di euro.
L'export veneto di elevata qualità
Il Veneto, pur sperimentando nel periodo pre-crisi una crescita generalmente maggiore della media nazionale, si trova ad affrontare le sfide imposte dall'aumentata competitività internazionale come e più dell'Italia, in considerazione della maggiore apertura all'estero della sua economia. In tal senso le prospettive di una crescita debole delle economie mature (area euro in primis) induce a spostare sempre più l'attenzione sullo sviluppo di mercati emergenti che, pur nelle incertezze che coinvolgono l'economia mondiale, stanno registrando performance migliori e, soprattutto, sono caratterizzate da rilevanti cambiamenti sociali, in particolare dalla formazione di una classe benestante sempre più numerosa e in grado di incidere in maniera determinante sulle scelte di spesa dei consumatori. Tali nuovi mercati, pertanto, vanno sempre più caratterizzandosi non tanto come aree di delocalizzazione, ma come bacini potenzialmente molto ampi di domanda; una domanda di beni di fascia medio-alta in cui il made in Italy sia associato a qualità, esperienza e professionalità, il cosiddetto bello e ben fatto.
Sono parecchi i settori di specializzazione e manifattura di prodotti di elevata qualità in Veneto, ma per eseguire una valutazione omogenea con l'analisi realizzata a livello nazionale e come studio preliminare per il Veneto sono stati esaminati solamente quattro settori: l'alimentare, l'abbigliamento e tessile casa, il calzaturiero e l'arredamento. Gli altri ambiti veneti da inserire sicuramente in una prossima analisi sono l'oreficeria, l'occhialeria e alcune sezioni della meccanica, oltre alla considerazione non soltanto del singolo operatore, ma delle dinamiche dell'eventuale gruppo di cui fa parte l'impresa.
Il complesso dei quattro comparti considerati nel 2011 ha rappresentato il 21% delle esportazioni regionali; il peso del bello e ben fatto sull'export dei prodotti manifatturieri in Veneto, inoltre, è maggiore di oltre 8 punti percentuali rispetto alla media nazionale. E quanto incide il bello e ben fatto veneto nei nuovi mercati, le cui prospettive di crescita potrebbero rappresentare un'opportunità decisiva per infondere nuova linfa al sistema imprenditoriale regionale? Complessivamente sugli approvvigionamenti di queste produzioni da parte dei paesi presi in esame, il Veneto incide per il 2%, ma il dato aggregato nasconde una situazione molto differenziata a livello di settori e paesi. In generale, una maggiore penetrazione si riscontra nel mercato russo, in aree relativamente più vicine geograficamente e culturalmente (Croazia e paesi dell'Europa centro-orientale). Più difficile, ma non trascurabile, è l'approccio al mercato cinese, dove le merci venete pesano per circa il 2% nelle calzature e nell'arredamento. Negli altri nuovi mercati asiatici, caratterizzati da prospettive di crescita intensa della domanda, il bello e ben fatto veneto è pressoché assente, con l'unica parziale eccezione dell'India nell'arredamento e di alcuni promettenti mercati del Medio Oriente (Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita). Le previsioni di una crescita della domanda di prodotti del bello e ben fatto così ampia nei nuovi mercati (48,2% dal 2012 al 2017, rispetto al 27,3% dei mercati maturi) si ricollega alle trasformazioni economico-sociali in atto in tali aree a cui si è già fatto cenno. In particolare il miglioramento del reddito pro capite favorisce la formazione di una classe benestante le cui preferenze e scelte di consumo possono essere intercettate attraverso la tipologia di beni oggetto di analisi.
Per ciò che concerne i nuovi mercati più rilevanti per l'export veneto del settore, si prevede una crescita della domanda più consistente in Cina e Brasile, mentre l'incidenza più elevata del Veneto sulla domanda si registra in Croazia e in alcuni paesi dell'Europa centro-orientale (Repubblica Ceca, Ungheria e Romania). In termini assoluti nel 2017 le esportazioni venete in Russia potrebbero arrivare a sfiorare i 64 milioni di euro, quelli verso la Repubblica Ceca arriverebbero a 56.
Gli sviluppi del settore turistico
Il comparto turistico veneto, forte delle risorse naturali, culturali e imprenditoriali, nonché delle tradizioni e dell'enogastronomia, può offrire molteplici opportunità. Da un lato opportunità di sviluppo, occupazione e quindi sostegno al tessuto economico-sociale del territorio, soprattutto in una congiuntura estremamente difficile. D'altro canto, anche grazie a progetti già programmati o in corso di realizzazione, nasceranno nuove opportunità per i visitatori che scelgono il Veneto come destinazione di vacanza. All'indiscutibile primato delle città d'arte conosciute in tutto il mondo e alle caratteristiche naturali della regione, si stanno affiancando tipologie specifiche di offerta turistica spesso mirate anche alla destagionalizzazione dell'offerta stessa, tra cui il turismo legato alle ville venete, il turismo congressuale, il cicloturismo, gli itinerari della fede.
Le grandi potenzialità dell'offerta turistica veneta, valorizzata dalle capacità imprenditoriali degli operatori e da uno strutturato e sinergico piano di promozione, hanno permesso al Veneto di raggiungere nel 2011 il suo record assoluto di presenze turistiche. Numericamente, nel 2011 si contano 15,8 milioni di turisti, oltre un milione in più rispetto all'anno precedente (+8,1%), a cui corrisponde un aumento importante, seppur più blando, delle presenze (+4,2%), giunte a circa 63 milioni e 400 mila, segno della riduzione della permanenza media nelle località di villeggiatura (4 giorni).
Gli ottimi risultati rispecchiano fondamentalmente l'andamento del flusso straniero, cresciuto rispetto all'anno precedente dell'11,6% in termini di arrivi e del 7,1% in quanto a presenze. Il record è determinato anche da un aumento degli arrivi dei turisti italiani (+2,6%), a cui è corrisposta una sostanziale stabilità dei loro pernottamenti (-0,1%).
Fra i 10 milioni di turisti stranieri arrivati in Veneto nel 2011, più del 9% proviene dai paesi Brics: 387mila turisti dalla Cina, quasi 242mila dalla Russia, 187mila dal Brasile. Queste solo le cifre più significative per descrivere le potenzialità e l'indotto di un settore su cui il Veneto deve puntare per la ripresa economica. A ciò si deve aggiungere che in un decennio la dimensione del fenomeno è cresciuta enormemente: dal 2000 i turisti cinesi e brasiliani sono più che triplicati, i russi sono aumentati di quasi cinque volte, gli indiani dal 2005 sono cresciuti del 136%. Nel gruppo degli altri paesi emergenti, in undici anni sono aumentati significativamente anche i turisti arabi, passati da circa 17mila a più di 40mila.
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L'ambiente e il territorio

Territorio e ambiente sono le basi costitutive e la cornice delle numerose attività umane che ivi si pongono in essere e che spaziano dalla coltivazione del suolo, agli spostamenti di merci e persone, allo sfruttamento delle risorse naturali, all'inquinamento, all'utilizzo di energie da fonti rinnovabili. Pertanto la loro difesa e tutela diventano indispensabili per una buona qualità della vita e, in un momento storico quale quello che stiamo attraversando, risulta più che mai urgente rimodellare l'impatto umano in modo da garantire una coesistenza fruttuosa tra tutte le esigenze in campo, specialmente per una regione come la nostra che possiede un territorio molto complesso ed in alcune zone particolarmente esposto a fragilità.
II territorio come risorsa per l'imprenditoria agroalimentare...
Il comparto agricolo, in un quadro congiunturale che per il 2011 registra il valore della produzione agricola veneta in crescita del 5% e pari a 5 miliardi di euro, con un aumento degli occupati agricoli del 3,2% rispetto al 2010, è sollecitato a confrontarsi con le nuove sfide poste in essere dalla globalizzazione: esse da una parte richiedono un notevole sforzo di adattamento, soprattutto per un settore tradizionalmente penalizzato dallo scarso dinamismo e dalla bassa propensione all'innovazione, dall'altra possono rappresentare delle opportunità per i produttori in grado di coglierle adeguando il loro modo di fare impresa.
È possibile inoltre affermare che il nuovo mercato non è più mosso da bisogni, ma piuttosto da desideri: si pone quindi la necessità per i produttori di appagare i desideri dei consumatori più che di soddisfarne i bisogni. Dalle indagini di mercato emerge chiaramente, infatti, come il consumo, compreso quello dei prodotti agroalimentari, diventi sempre più consumo di significati, di emozioni, di esperienze immateriali anziché consumo di beni materiali. "Smaterializzazione" vuol dire proprio questo: passare dall'economia dei bisogni all'economia dei desideri, utilizzando la conoscenza come risorsa condivisibile e riproducibile.
La specializzazione produttiva in alcuni prodotti di nicchia quali vini, formaggi e ortofrutticoli hanno fornito valore, ma in una dimensione che finora si è limitata soprattutto al livello locale. Si tende cioè a vendere a poche decine o centinaia di chilometri dal luogo di produzione, anche per rispondere all'esigenza di accorciare le filiere. Tuttavia esempi di successo, osservati soprattutto nel settore vitivinicolo, testimoniano che la globalizzazione offre l'opportunità di far conoscere e commercializzare i prodotti made in Italy anche in mercati lontani. Lo testimonia, infatti, non solo la crescita dell'export di vino tra il 2010 ed il 2011 (+15% per il Veneto), ma anche l'appetibilità che un prodotto come il nostro può suscitare in mercati quali la Cina (+80% tra il 2010 ed il 2011), Giappone (+17%), Brasile (+35%) ed Australia (+34%), tutti paesi in cui la cultura del vino ha ancora amplissimi margini di crescita: sarà su questa leva che i nostri operatori all'estero dovranno spingere non solo per guadagnare nuove fette di mercato ma anche per favorire la divulgazione di un patrimonio culturale che ci ha reso noti in tutto il mondo.
Inoltre un ruolo, forse decisivo, nel favorire il superamento del vincolo territoriale e nel promuovere rapporti commerciali per le piccole realtà imprenditoriali può essere soddisfatto dall'operare in rete. Ritorna quindi in primo piano la capacità non solo di produrre delle eccellenze, ma di rendere concreti i rapporti di collaborazione su progetti di sviluppo condivisi, per poter concentrare lo sforzo di specializzazione nel marketing e nella rete di vendita. In questo contesto, fattore determinante per la creazione del valore è la conoscenza. È il capitale umano che, se in possesso di un avanzato livello di educazione formale tradotta in talento, capacità e creatività, diviene elemento determinante di successo. Un tempo la conoscenza era quasi esclusivamente orientata alla ricerca della migliore allocazione delle risorse finalizzata all'efficienza. Oggi essa deve produrre nuovi servizi e nuovi prodotti che ancorano il bene fisico materiale a elementi di immaterialità, a desideri, esperienze e significati. Quello che il made in Italy rappresenta nel mondo con prodotti di altissimo livello nel lusso, nell'abbigliamento, nell'arredamento può, ancora di più in futuro, concretizzarsi per molti prodotti dell'agroalimentare. Valori immateriali, propri della nostra cultura enogastronomica, quali la tradizione, l'artigianalità, il legame con il territorio, il paesaggio e il marchio possono essere venduti nel mondo, ampliandone la diffusione e il bacino di consumo nello spazio e nel tempo moltiplicandone così il valore.
... da difendere e tutelare nelle sue declinazioni ambientali...
Sarà anche importantissimo nell'immediato futuro che l'agricoltura e tutte le altre attività che insistono sul territorio si facciano carico della protezione dell'ambiente e della "questione energetica". Tali argomenti potrebbero apparire come elementi passivi a livello economico e sociale, come se rappresentassero un mero sacrificio, una rinuncia a parte del benessere raggiunto dalle economie più avanzate; in realtà una migliore qualità dell'ambiente rappresenta anche l'opportunità di una superiore qualità della vita stessa. Questo momento di crisi a livello internazionale rappresenta un punto di svolta; qualcosa probabilmente cambierà e, forse, i tempi sono maturi per una trasformazione più profonda anche negli stili di vita e nella mentalità delle persone. Rimanendo all'interno degli ambiti qui trattati, solo 20 anni fa parlare di raccolta differenziata era inconsueto, ora è un argomento entrato nella quotidianità di tutti. Analogamente per le fonti rinnovabili. Questi sono solo due esempi significativi: accanto ad una nuova cultura, si sono create nuove professionalità e opportunità di lavoro. La situazione attuale è di transizione, le difficoltà sono significative per tutti, ma, considerando questo momento come un nuovo punto di partenza, si schiudono molte possibilità di crescita complessiva: si tratta di riuscire a coglierle con la giusta dose di tempismo.
Lo scorso 11 dicembre 2011, si è conclusa a Durban, Sudafrica, la 17a Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e i cambiamenti climatici. Tra gli scopi principali della Conferenza c'erano la definizione degli obiettivi "post Protocollo di Kyoto", la cui validità scade proprio nel 2012, e la discussione su misure efficaci per contrastare gli effetti nocivi delle emissioni di gas serra e il surriscaldamento della terra.
In quella sede sono state adottate diverse decisioni: in particolare si è adottata la cosiddetta Piattaforma di Durban, ovvero un documento che prevede l'avvio di un processo negoziale per la definizione di un trattato internazionale, valido per tutti i paesi UNFCCC (Nota 7). Gli aspetti positivi che più ci preme sottolineare sono il coinvolgimento di tutti i paesi (compresi quelli più riluttanti come USA, Cina e India) e il loro impegno su un quadro legalmente vincolante per ridurre le proprie emissioni; egualmente importante è l'aver aperto il protocollo di Kyoto ad obblighi volontari e legalmente vincolanti per i Paesi industrializzati e ad obblighi volontari ma non legalmente vincolanti per i Paesi in via di sviluppo, precedentemente non coinvolti. Questi aspetti sono un chiaro segnale di una maggiore sensibilizzazione per uno sfruttamento razionale delle risorse e per uno sviluppo sostenibile: si tratta di un'opportunità per la creazione di una nuova mentalità del benessere consapevole e responsabile, nel rispetto del pianeta e delle generazioni future. La UE da parte sua è già molto attiva nelle azioni di contenimento degli effetti climalteranti. In quest'ottica è maturata una strategia autonoma per la riduzione delle emissioni di sostanze nocive: con la Direttiva 2009/28/CE tale strategia è stata pianificata e declinata sui tre obiettivi noti come "obiettivi 20-20-20" (Nota 8). L'aria, l'acqua, i rifiuti, il patrimonio boschivo rappresentano alcune delle molteplici sfaccettature del tema "ambiente" e sono trattate in questo Rapporto per cercare di dare una fotografia dello stato di salute del territorio veneto.
L'aumento della concentrazione dei cosiddetti gas ad effetto serra provoca l'alterazione della temperatura media, una delle principali criticità ambientali dell'epoca attuale. Nella nostra regione emerge un andamento altalenante, con una contrazione nelle emissioni dal 1990 al 1995, una successiva crescita nel 2000 ed infine nel 2005, ultimo anno disponibile, una nuova contrazione che ha riportato i valori ai livelli del 1995. Quanto all'inquinamento da polveri sottili (PM10), emerge una situazione in miglioramento nell'ultimo quinquennio, seppure nei due anni più recenti ci sia stata una stabilizzazione del fenomeno.
Per quel che riguarda l'acqua, gli ultimi dati relativi allo stato qualitativo dei fiumi e dei laghi mostrano un'evoluzione positiva rispetto al passato, segno che le politiche attuate a livello regionale stanno dando i loro frutti: sia i fiumi sia i laghi rientrano quasi tutti nella classe "buona" dei rispettivi indicatori di sintesi del livello di inquinamento. Oltre alle acque dei fiumi e dei laghi, rivestono un ruolo di primaria importanza quelle destinate all'uso potabile: la qualità dell'acqua che beviamo viene costantemente monitorata tramite l'analisi della presenza di nitrati, sostanze la cui concentrazione al di sopra dei 50mg/l rappresenterebbe un rischio per la salute umana. In Veneto, nel 2010, così come negli anni passati, le concentrazioni di nitrati contenuti nelle acque potabili sono costantemente al di sotto del limite previsto.
La salvaguardia del territorio implica anche un'attenta gestione dei rifiuti, dal controllo della quantità che ne viene prodotta ai sistemi di raccolta, smaltimento e riciclo e al costante monitoraggio del settore. Fino al 2008 i dati Eurostat mostrano una continua crescita nella produzione dei rifiuti urbani. Nel 2009, per la prima volta, c'è stata un'inversione di tendenza, probabilmente imputabile alla crisi economica e al conseguente calo dei consumi. L'Italia segue pressoché lo stesso trend del resto dell'Unione europea e la produzione per abitante è di poco superiore alla europea attestandosi su 532 kg/ab all'anno contro 512. Anche in Veneto la dinamica è simile nel tempo, sebbene il dato pro capite evidenzi una situazione migliore, con 483kg/ab nel 2009. Siamo inoltre da tempo ai primi posti tra le regioni italiane per la raccolta differenziata e, nel 2009, con il 56,3% ci collocavamo al secondo posto dopo il Trentino Alto Adige. Nel 2010 è cresciuta ancora, raggiungendo il 58,3%. Grazie a questo valore, l'obiettivo del 60% per il 2011, posto dal D.Lgs. 152/2006, è sempre più vicino.
Un'ulteriore questione legata all'ambiente è quella critica della conservazione del patrimonio naturale boschivo. Le statistiche mostrano chiaramente come il fenomeno degli incendi sia significativo e richieda un impegno costante di tutte le componenti del sistema antincendi boschivi regionale. Il patrimonio silvestre del Veneto, secondo i dati rilevati dalla nuova Carta Forestale Regionale, ammonta a 414.894 ettari, oltre la metà dei quali si trova nella provincia di Belluno. Dai dati sugli incendi negli ultimi tre decenni è possibile osservare una notevole e rapida diminuzione sia del numero, sia delle superfici percorse dal fuoco e, quindi, della superficie medie per incendio: si passa infatti dagli oltre 13.000 ettari che hanno interessato il decennio 1982-1991 ai 2.703 del 2002-2011, con una superficie media che passa da 9,6 ettari a 7,3. Questo risultato è stato raggiunto certamente per il miglioramento dei meccanismi di intervento e per una maggiore celerità nell'avvio delle operazioni di spegnimento dalla segnalazione.
La protezione dell'ambiente non può prescindere dalla questione energetica, essendo i due temi strettamente connessi e interdipendenti tra loro. Il comparto energetico diventerà sempre più importante anche a livello locale poiché dal 2012, con l'emanazione del cosiddetto decreto "Burden Sharing" (Nota 9), ci sono tutti gli strumenti per poter definire nei minimi dettagli gli aspetti pianificatori del settore, in corso di predisposizione anche da parte della Regione del Veneto. I dati sulla produzione elettrica da fonti di energie rinnovabili vedono il Veneto sviluppare la componente bioenergetica e quella fotovoltaica, mentre è trascurabile l'apporto dell'eolico e consistente, per quanto già sfruttato, l'apporto della forza idraulica.
... e scenario della mobilità
Il territorio inoltre è lo scenario dentro il quale si operano tutti gli spostamenti, di merci e di persone: muoversi è sicuramente uno dei bisogni fondamentali dell'uomo. Ognuno di noi ha l'esigenza di spostarsi dalla propria abitazione verso una diversa destinazione per i più svariati motivi: recarsi al lavoro o a scuola, andare a fare la spesa o a trovare parenti e amici, fare attività sportiva o rilassarsi nel tempo libero, viaggiare per turismo. Muoversi, in senso lato, non è solo un bisogno, ma anche un'opportunità di crescita, di incontro, di apprendimento, di cambiamento, di conoscenza.
Ogni viaggio non è mai fine a se stesso, ma deve essere messo in relazione all'esigenza dell'individuo di raggiungere una determinata destinazione. Nei giorni feriali la percentuale maggiore di spostamenti è originata da motivi di lavoro o studio (40%), il 33% sono viaggi riferiti ad attività di gestione familiare e il 26% al tempo libero e al divertimento.
Nel 2010, in Veneto, mediamente gli occupati hanno dedicato 20,9 minuti (24,1 in Italia) per percorrere il tragitto casa-luogo di lavoro, gli studenti hanno, invece, impiegato mediamente 21 minuti per recarsi a scuola (20,2 in Italia).
La preferenza per l'automobile e, più in generale, per il trasporto privato è evidente quando si analizzano gli spostamenti effettuati nei giorni feriali. In Veneto, quando un cittadino decide di muoversi, nel 63% dei casi lo fa come conducente di autovetture private e nel 5,8% dei casi come passeggero. Il mezzo pubblico resta più indietro e viene scelto per il 5,9% degli spostamenti, mentre è interessante la quota dei movimenti effettuati a piedi o in bicicletta, che raggiunge il 19,3%.
Nonostante il mezzo privato continui a rappresentare la scelta preferita, si può comunque tentare di cogliere l'occasione data da questa crisi economica come opportunità di cambiamento e di rilancio della mobilità sostenibile, per provare a modificare l'attuale modello culturale che impone l'auto privata come unico o principale mezzo di mobilità e rilanciare forme di trasporto collettivo. Ma affinché l'offerta di trasporto pubblico diventi un'opportunità di cambio modale deve necessariamente essere un'offerta di qualità. L'indice sintetico di soddisfazione degli utenti per la qualità del servizio riassume il giudizio dei passeggeri riguardo le principali caratteristiche (Nota 10) dell'autobus, della corriera extraurbana e del treno. Per ognuno dei tre mezzi di trasporto pubblico la soddisfazione degli utenti del Veneto è superiore alla media di quelli italiani, anche se solo per autobus e corriere il differenziale è significativo. Nel complesso, considerando 50 il livello minimo per un livello di servizio soddisfacente, l'utenza in Veneto dà un giudizio positivo per quanto riguarda autobus e corriere e parzialmente negativo per il treno.
L'indice di sintesi per l'accessibilità, che riassume complessivamente la facilità con cui le famiglie raggiungono i principali servizi, mostra in tutta Italia valori elevati; nelle regioni settentrionali si registrano gli indici più alti, mentre è il Sud ad avere i maggiori problemi di accessibilità. Il Veneto ha un indice pari a 77,3 significativamente superiore a quello della media italiana (74,4), anche se è inferiore rispetto a quello delle sue regioni confinanti e delle Marche.



Copertina Rapporto Statistico 2012