U.O. Sistema Statistico Regionale U.O. Sistema Statistico Regionale
Capitolo 7

Integrare popoli e culture

Sul concetto di integrazione
Per integrazione sociale si intende lo "stato variabile di una società - ovvero di un sistema sociale, di un gruppo o altra collettività - caratterizzato dalla tendenza e disponibilità costanti da parte della maggioranza degli individui che la compongono a coordinare regolarmente ed efficacemente le proprie azioni sociali con quelle degli altri a diversi livelli della struttura della società stessa (o di altro sistema), facendo registrare un livello relativamente basso di conflitto, oppure procedendo di norma a risolvere i casi di conflitto con mezzi pacifici" (Nota 1). Questa ampia definizione, che coglie gli elementi centrali del funzionamento sociale integrato, ovvero società come un tutto in grado di dare risposte ai bisogni dei singoli individui e che i singoli contribuiscono a conseguire, include altresì i punti nodali dell'integrazione dei cittadini migranti.
La stessa Commissione europea, nell'adottare l'"Agenda europea per l'integrazione dei cittadini di Paesi terzi" del 2011, per accrescere i benefici economici, sociali e culturali dell'immigrazione in Europa, sottolinea che "per la riuscita dell'integrazione occorre che i migranti abbiano la possibilità di partecipare pienamente alle loro nuove comunità; imparare la lingua del Paese d'accoglienza, poter accedere all'occupazione e all'istruzione e disporre della capacità socioeconomica di autosostentarsi sono elementi fondamentali di un'integrazione riuscita. (...) Le migrazioni sono un'opportunità e il contributo dei migranti alle società è significativo e deve essere pienamente riconosciuto" (Nota 2).
Si ricorda qui inoltre il "programma di Stoccolma", approvato dal Consiglio Europeo nel gennaio 2010, che, definendo le priorità dell'Unione europea nel proposito di divenire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dove siano rispettati i diritti e le libertà fondamentali di tutti i cittadini, suggerisce alcune disposizioni agli Stati membri anche in tema di immigrazioni. Invita a impegnarsi per conseguire al più presto, entro il 2014, una politica coordinata e comune in materia, per la gestione efficace dei flussi, l'assistenza agli immigrati bisognosi di protezione e di asilo, la prevenzione e il controllo dell'immigrazione irregolare, nonché per la realizzazione e il miglioramento del processo di integrazione, attraverso azioni che vedano il coinvolgimento di diversi settori chiave, quali l'occupazione, l'istruzione e l'inclusione sociale. L'Unione europea, infatti, deve garantire l'equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio, poichè "analoghi diritti, responsabilità e possibilità per tutti costituiscono un obiettivo al centro della cooperazione europea" (Nota 3).
Ma è convinzione anche della maggior parte dei cittadini europei che i migranti debbano essere integrati e che questo processo richieda non solo gli sforzi delle autorità nazionali, regionali e locali, ma anche un impegno maggiore della società d'accoglienza e degli immigrati, come risulta dall'indagine Eurobarometro sull'integrazione dei migranti, condotta per la prima volta nel 2011.
L'effettiva integrazione dei cittadini migranti è essenziale, quindi, non solo per gestire una immigrazione a lungo termine, ma anche per garantire una buona coesione sociale e l'agire stesso della cittadinanza, nelle pratiche quotidiane di esercizio dei diritti e assunzione di responsabilità che questo prevede.
La crisi economica attuale apre senz'altro nuove sfide al processo di integrazione: il peggioramento generale delle condizioni vita e di lavoro, che sembrano comunque colpire in misura maggiore i migranti, da un lato potrebbero far crescere lo scontento o un sentimento di diffidenza e chiusura, dall'altro potrebbero far sorgere una rinnnovata solidarietà.
 
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7.1 - L'apertura dei Paesi europei all'immigrazione

L'integrazione ha luogo a livello locale. L'interazione tra individui che condividono una relazione di vicinato aiuta a migliorare il rispetto reciproco e la conoscenza. Per questo le autorità a livello locale giocano un ruolo importante nel dare forma all'integrazione, puntando a stimolare la partecipazione in contesti in cui le persone agiscono spontaneamente nella vita di ogni giorno: luoghi di lavoro, scuole, quartieri, spazi sociali e comunitari. Tuttavia, alle politiche centrali rimane la responsabilità nell'assicurare equità, opportunità, supporto alle istituzioni locali, precisando gli obiettivi di una strategia nazionale di integrazione.
Le policy dei diversi Paesi in materia di immigrazione sono state confrontate nello studio internazionale "Mipex: Migrant Integration Policy Index", condotto dal British Council e dal Migration Policy Group (Nota 4). Forte di 148 indicatori che valutano la normativa e le procedure legali e amministrative poste all'accesso e alla permanenza legale dei migranti nei diversi Paesi, il Mipex traduce le politiche in numeri: fornisce una misura di sintesi del grado di apertura delle policy di ciascun Paese assegnando punteggi crescenti col grado di facilitazioni e decrescenti con la severità degli ostacoli posti all'integrazione. Viene implementato dapprima per specifici ambiti che, ulteriormente aggregati, producono un valore unico sintetico generale che varia tra 0 e 100, dove 0 indica la situazione più sfavorevole e 100 quella ottimale. (Figura 7.1.1)
La maggior parte dei Paesi europei, con valori dell'indice tra 41 e 59, vengono definiti "a metà strada" nel processo di apertura all'integrazione; più favorevole la situazione dei Paesi dell'Europa meridionale e di Finlandia, Belgio e Paesi Bassi. Spicca fra tutti la Svezia (83 punti) con risultati elevati e superiori di molto alla media in ogni ambito considerato.
Tra il 2007 e il 2010 l'Italia registra un peggioramento dell'indice Mipex, secondo gli osservatori dovuto essenzialmente alla pratica dei respingimenti in mare e al decreto sicurezza del 2009 che ha reso leggermente più onerosi alcuni percorsi di integrazione, come l'aumento dei costi e dei requisiti abitativi per il ricongiungimento familiare, l'introduzione del requisito linguistico per il permesso di soggiorno lungo, l'aumento dei costi della naturalizzazione e le restrizioni per i coniugi stranieri.
Nonostante ciò, ad oggi il nostro Paese si trova in una situazione tutto sommato di buona apertura rispetto alle policy di integrazione, totalizzando un indice di 60 punti rispetto alla media europea di 52; buone le performance soprattutto nel mercato del lavoro e nei ricongiungimenti familiari, ma anche nel favorire i permessi di lungo periodo e l'accesso alla nazionalità o nel contrastare la discriminazione, mentre più problematici rimangono gli ambiti dell'istruzione e della partecipazione politica dei migranti. (Tabella 7.1.1)
In uno studio pilota (Nota 5) che fa seguito alla Dichiarazione di Zaragoza (Nota 6), Eurostat ha proposto un set di indicatori nei diversi ambiti dell'integrazione. Basandosi sul presupposto che l'integrazione si realizzi al meglio laddove vi siano parità di condizioni tra nativi e stranieri, gli indicatori sono ottenuti come differenza tra il valore riferito alla sola componente straniera della popolazione e quello dell'intera popolazione. Valori positivi indicano quindi che la misura riferita alla popolazione straniera è più elevata rispetto alla popolazione totale, valori negativi indicano il contrario (Nota 7). (Figura 7.1.2)
Come anche evidenziato dall'analisi delle politiche (Mipex), sotto il profilo occupazionale gli stranieri in Italia sembrano godere di una buona disponibilità e accesso all'impiego, con tassi di attività e di occupazione più elevati rispetto alla popolazione di riferimento; nell'UE27 invece, se i tassi di attività sono paritari, quelli di occupazione sono svantaggiosi per gli stranieri.
Altri aspetti ridimensionano il quadro occupazionale: sia in Italia che nell'UE27 gli stranieri sono maggiormente colpiti dalla disoccupazione, non godono delle stesse opportunità nell'ambito del lavoro autonomo e scontano una peggiore qualità lavorativa. La percentuale di sottoinquadrati raggiunge, infatti, per il nostro Paese il record di gap negativo, segno di un'attrattività occupazionale legata soprattutto a mansioni di basso livello.
Nell'ambito dell'istruzione, se si guarda al titolo di studio conseguito, lo svantaggio degli stranieri si concretizza in una più alta quota dei possessori del titolo di primo livello (diploma di scuola media o inferiore) e una più bassa percentuale di chi riesce a raggiungere livelli di istruzione superiori, specie di tipo universitario. Anche l'Europa segue questo trend, ma in misura più accentuata e con una grande differenza anche nella quota di possessori di titoli di secondo livello (diploma di scuola superiore).
Gli abbandoni scolastici rappresentano un altro aspetto problematico di integrazione per l'Italia, seguiti dalla quota di persone a rischio povertà o esclusione sociale, un dato quest'ultimo che sembra abbastanza generalizzato in tutta l'UE27. Anche l'accesso all'abitazione di proprietà registra ancora un disequilibrio: il rapporto tra possessori e non possessori di abitazione è per gli stranieri in Italia molto più basso (0,4% rispetto ad un 2,5% riferito all'intera popolazione). In Europa la situazione non è dissimile, solo 0,6 stranieri possiede un'abitazione su 100 che non la possiedono, in una popolazione dove lo stesso rapporto è 2,3 a 100.
Anche la percezione del proprio stato di salute può informare di una diversa condizione dei migranti. Per questa dimensione, sia in Italia che in media in Europa, non si riscontrano grosse differenze: in generale gli stranieri sentono di godere di buona salute, ciò dovuto sicuramente a una presenza immigrata di individui mediamente giovani, il cosiddetto effetto "migratore sano", ma forse anche alla capacità del sistema sanitario di farsi carico e di provvedere indifferentemente a tutti i suoi cittadini.

Figura 7.1.1

Indice Mipex dei Paesi UE27 - Anno 2010

Tabella 7.1.1

Indici Mipex dei differenti ambiti dell'integrazione. UE27 e Italia - Anno 2010

Figura 7.1.2

Differenza in punti percentuali tra stranieri e popolazione totale per alcuni indicatori di integrazione. UE27 e Italia - Anno 2009 (*)
 
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7.2 - In Italia, regioni con storie diverse

Ricalcando gli indicatori proposti da Eurostat nello studio pilota appena descritto, si è cercato di valutare il fenomeno dell'integrazione in Italia nei diversi contesti regionali, per capire come i territori stiano facendo fronte alla questione e se la frammentazione del territorio in termini di possibilità, opportunità e benessere che conosciamo per i nativi si ripercuote anche sull'effettiva partecipazione dei migranti. Oltre a considerare il livello delle condizioni di vita e di lavoro raggiunte dai migranti, si è voluto valutare l'eventuale divario con la popolazione non straniera e soprattutto se tali differenze siano andate colmandosi nel tempo, a conferma di un'evoluzione del processo di integrazione in senso positivo.
'Misurare' l'integrazione
Il concetto di integrazione è plurisfaccettato e meno ovvio di quanto possa sembrare: non si tratta soltanto di "propensione all'integrazione e alla assimilazione da parte dei non nazionali; e neppure solo di un problema di apertura socio-economica e culturale della società ospitante, ma di una relazione interattiva" (Nota 8). Cogliere questa relazione, avventurarsi nel gioco di rimandi tra le dimensioni sociali, individuali e di policy generale non è lo scopo di questo lavoro, ma la traccia che si è tenuta in debito conto.
Inoltre, come tutti i fenomeni complessi, l'integrazione non è misurabile per via diretta, ma occorre risalire alle dimensioni, ai fenomeni che si riconoscono essere correlati ad essa in maniera significativa e che siano a loro volta misurabili. Compatibilmente con la disponibilità di informazioni statistiche, si è cercato di far convergere i tanti, e per certi versi diversissimi, aspetti in grado di codeterminare i diversi gradi di integrazione dei migranti.
Si sono individuati innanzitutto i macroambiti di attenzione, le dimensioni in cui l'integrazione prende forma, traendo spunto da uno studio di BakBasel (Nota 9): l'apertura del territorio, ossia quali sono le politiche e gli atteggiamenti riguardo l'immigrazione, l'attrattività del territorio per i migranti e l'integrazione socio-occupazionale, cioè come possono partecipare e contribuire i migranti.
L'apertura del territorio verso l'immigrazione è naturalmente composta da molti fattori, i più importanti dei quali sono riconducibili, da un lato, al complesso normativo e legale che regola il soggiorno e, dall'altro, a quello che si può definire l'"umore sociale" riguardo il fenomeno delle migrazioni. Il primo aspetto non rientra in questa analisi in quanto la normativa in termini di immigrazione è la stessa a livello nazionale e mancano dei riferimenti per la valutazione di eventuali specifiche politiche e azioni in ambito regionale.
Per quanto riguarda l'"umore sociale", di indubbia diversificazione territoriale, si fa riferimento a come i cittadini percepiscono il fenomeno dell'immigrazione, se lo vivono con preoccupazione, se lo considerano un problema, una minaccia oppure al contrario una risorsa o un'opportunità. E' una dimensione molto importante perché la preoccupazione non è sempre giustificata: si tratta di una percezione, un giudizio che sicuramente è influenzato anche dal modo e dall'enfasi con cui i mezzi di informazione danno evidenza a certe notizie. Si tratta di una reazione emotiva e nella preoccupazione e nella diffidenza per il migrante spesso possono confluire timori e apprensioni per altri problemi sociali.
La percezione generale del fenomeno migratorio può trovare mitigazioni o recrudescenze per la migrazione vissuta nell'ambito locale, nel proprio quartiere. La vicinanza tra famiglie migranti e italiane può portare alla conoscenza reciproca e alla volontà di condivisione oppure acuire le tensioni sulla base di pregiudizi o difficoltà oggettive. Per questo, la preoccupazione per il fenomeno riferito al Paese può essere diversa rispetto alla percezione che si ha se si pensa al proprio vissuto. Di entrambi gli aspetti si è voluto tener conto.
L'attrattività di un territorio è la capacità di richiamare e trattenere cittadini da altri Paesi: la presenza di stranieri è desunta tramite l'incidenza di cittadini stranieri sulla popolazione della regione, oltre che dal numero di minori stranieri e di seconde generazioni (i figli di cittadini stranieri). La presenza di minori e di seconde generazioni, infatti, dà una misura più raffinata della volontà di stabilizzazione in un territorio.
Inoltre, la popolazione straniera si caratterizza per un'alta mobilità. Si parla di migrazione nella migrazione: gli stranieri sono migranti che lasciano la loro terra di origine e che, una volta giunti sul nostro territorio, non stabiliscono subito la propria dimora, ma il loro viaggio prosegue alla ricerca di condizioni migliori, soprattutto abitative e lavorative. Per questo è importante evidenziare anche la portata dei flussi che si spostano da una regione all'altra.
L'integrazione socio-occupazionale è il macroambito più complesso, che si è ripartito a sua volta in quattro temi: integrazione occupazionale, scolastica, abitativa e sociale. Si sono considerate le dimensioni della disoccupazione, dell'occupazione e della qualità dell'occupazione, con riferimento anche alla componente femminile, per cogliere eventuali divari di genere in un settore, come quello della manodopera migrante, fortemente segmentato per genere. La qualità dell'occupazione è una dimensione importante da chiarire, in eventuale presenza paritaria di stranieri e autoctoni nel mercato del lavoro, situazioni divergenti di sottoinquadramento, precarietà e dislivelli retributivi.
La dimensione scolastica riflette l'ambito dei servizi di cittadinanza che le istituzioni sono incaricate di offrire ed è una dei contesti più importanti nella realizzazione dell'integrazione culturale, non solo perché investe appieno i minori, futuri cittadini adulti del Paese, in una dimensione di partecipazione, ma anche perché coinvolge i genitori e i familiari in una relazione di "vicinanza" o "vicinato". Particolarmente significativa per il suo correlarsi alla volontà di ricerca di prospettive e di migliori opportunità future è la scelta di impegnarsi nella scuola, di proseguire il più possibile gli studi e la possibilità di intraprendere il percorso formativo più adatto alle proprie capacità e aspirazioni.
Anche poter disporre di un'abitazione dignitosa costituisce un elemento basilare per ogni progetto di inclusione sociale. Casa e lavoro sono ambiti fortemente intrecciati: avere un lavoro e disporre di uno stipendio consentono di accedere all'alloggio, se non di comprare almeno di stipulare un regolare contratto d'affitto, anche se a volte l'accesso al mercato immobiliare è ostacolato da richieste troppo onerose. Ad esempio, per affittare una casa in periferia di media quadratura uno straniero in Italia spende circa il 37% di ciò che guadagna, 14,5 punti percentuali in più rispetto alla popolazione totale.
Dal punto di vista abitativo, inoltre, gli stranieri incontrano condizioni di maggiore precarietà. Vivono per la grande maggioranza in affitto, talvolta con problemi di sovraffollamento e di scarsa qualità dell'alloggio.
La questione abitativa per gli immigrati è ancora più delicata, dato che, secondo l'attuale legislazione, gli stranieri presenti in Italia devono dimostrare di avere una sistemazione alloggiativa idonea, oltre che un regolare contratto di lavoro, per rimanere legalmente nel nostro Paese. Pertanto l'impossibilità o la difficoltà di trovare alloggio può tradursi nel rischio di espulsione.
Gli ambiti dell'integrazione sociale sono caratterizzati da una multidimensionalità che riflette la necessità di cogliere quanti più aspetti della vita sociale. Si fanno rientrare in questa macrodimensione la volontà, la capacità e la possibilità di radicamento nel territorio, anche da un punto di vista giuridico-formale che comporta pari diritti e doveri di cittadinanza. Oltre al dato sulle naturalizzazioni, la presenza di famiglie con capofamiglia straniero è un indicatore significativo dell'impegno a costituire una presenza stabile sul territorio, "in quanto proprio nel capofamiglia risiede la capacità giuridica e (almeno in parte) economica di costituire (o ri-costituire, attraverso il ricongiungimento) il proprio nucleo familiare, per cui essere capofamiglia significa, in ogni caso, possedere la capacità di iniziativa familiare" (Nota 10).
La qualità del radicamento si riflette in un numero sempre minore di famiglie in difficoltà e a rischio di esclusione sociale. Una spia importante di mancato inserimento sociale è anche il livello di devianza, che qui viene misurato in modo approssimativo, e con le dovute attenzioni, tramite le denunce a carico di stranieri. Si è preferito utilizzare la variazione delle denunce a carico di cittadini stranieri in un certo periodo rapportato alla variazione di cittadini stranieri residenti nello stesso lasso di tempo (Nota 11): nell'ipotesi di una relazione diretta tra immigrazione e criminalità, la variazione delle denunce, e quindi di atti delittuosi, sarebbe proporzionale alla variazione delle presenze. E' chiaro che è una misura che sconta varie limitazioni, tra cui la diversa propensione a denunciare nei vari territori, una componente di discriminazione da parte dei denuncianti nei confronti degli stranieri, l'esistenza di reati specificamente legati alla condizione di migrante non regolare.
Misure comparative e storicizzate
Le dimensioni testè descritte hanno originato una serie di indicatori statistici che sono stati quantificati per regione e distinti fra cittadini italiani e stranieri. Queste informazioni da sole non restituiscono però la dimensione della possibilità per i cittadini stranieri di vivere parità di condizioni rispetto ai nativi; se è importante conoscere in che misura i cittadini stranieri lavorano e si stabilizzano su un dato territorio, è altresì importante, ai fini della valutazione dell'integrazione, conoscere quanto la loro situazione si avvicina a quella degli italiani. In linea con la metodologia adottata dal Cnel (Nota 12) e da Eurostat (Nota 13), quindi, ove possibile si sono introdotti indicatori "differenziali", calcolati cioè come scarto tra il valore dell'indicatore riferito ai soli italiani e quello riferito agli stranieri.
Si sono poi concepiti una serie di indicatori che tenessero conto del trend nel tempo di alcuni dei fenomeni analizzati per cercare di cogliere l'evoluzione del processo di integrazione nell'ultimo decennio. I territori, infatti, si differenziano non solo per la situazione congiunturale di un dato fenomeno, ma anche per la storia recente dello stesso, per la sua evoluzione o involuzione, che senza dubbio influenza e caratterizza il presente. Si intende ad esempio confrontare due territori con livelli di disoccupazione tra i migranti simili e molto bassi, ma in un caso il tasso risulta stabile negli anni mentre nell'altro è in diminuzione e in avvicinamento al dato relativo agli italiani. Si potrebbe dire che il secondo territorio stia effettuando un passo verso l'integrazione che il primo non ha bisogno di compiere e quindi di questa dimensione "attiva" si vuole tener conto nell'analisi.
E' per questo che, laddove possibile, per cercare di cogliere il guadagno e la perdita di differenziale tra migranti e non, si sono costruiti indici storicizzati ad-hoc per alcuni indicatori significativi, quali il tasso di disoccupazione totale e femminile, la percentuale di occupati sottoinquadrati e di occupati a tempo indeterminato, il tasso di iscritti alle scuole superiori e di iscritti agli istituti professionali. Per come sono costruiti, tali indici storicizzati, di seguito chiamati trend di "integrazione", possono assumere valori negativi o positivi: il valore positivo è da intendere come riflesso di un miglioramento del processo di integrazione, in quanto va riducendosi il divario tra la condizione degli italiani e quella degli stranieri, viceversa il valore negativo sta ad indicarne un peggioramento.
Le regioni omogenee sotto il profilo dell'integrazione
Sulla base di un cospicuo numero di indicatori (59) si è condotta un'analisi di raggruppamento (clustering) delle regioni italiane in gruppi mediamente omogenei al loro interno in base alle dimensioni descritte dell'integrazione dei cittadini stranieri. I gruppi individuati sono:
  1. Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche
  2. Piemonte, Valle D'Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia-Giulia, Liguria
  3. Lazio
  4. Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna
(Figura 7.2.1)
E' importante sottolineare che, come si vedrà meglio di seguito, la pluridimensionalità del fenomeno non ha rivelato l'esistenza di un possibile ordinamento di tali gruppi sulla base di un migliore o peggiore grado di integrazione, e d'altronde la metodologia utilizzata non ha questo scopo precipuo; cionondimeno ha consentito di evidenziare una certa omogeneità interna tra regioni, sulla base di qualche caratteristica saliente. L'ordine con cui sono elencati e descritti i gruppi non ha, quindi, nulla a che vedere con un'idea di classifica, riflettendo piuttosto una mera comodità di trattazione.
Quali sono dunque le caratteristiche salienti di ciascun gruppo di regioni? (Figura 7.2.2), (Figura 7.2.3), (Figura 7.2.4), (Figura 7.2.5), (Figura 7.2.6)

Gruppo 1 - Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche

Sono regioni fortemente caratterizzate dalla presenza di migranti: l'incidenza di stranieri residenti nel 2010 è la più elevata tra tutti i gruppi analizzati, con alti tassi di crescita in entrambi i quinquenni precedenti. Anche l'incidenza di minori stranieri e delle seconde generazioni qui è la più elevata.
Per anni meta di stranieri già insediatisi in Italia, che qui giungono da altre regioni, in particolare durante il periodo a cavallo tra gli anni '90 e 2000, questa capacità attrattiva è andata scemando nel tempo, specie nell'ultimo biennio, a causa forse delle sopraggiunte difficoltà economiche che hanno interessato anche queste zone.
Sotto il profilo dell'apertura all'immigrazione, quell'"umore sociale" cui si accennava in precedenza, si evidenziano livelli marcati di preoccupazione per il fenomeno, correlati in parte all'alta presenza di stranieri. E tuttavia si osserva una dinamica interessante. Se, infatti, è il gruppo in cui l'apprensione per il Paese dovuta ai flussi migratori è la più elevata, e forte rimane anche quando riferita al proprio comune di residenza, tuttavia le preoccupazioni con il tempo vanno in buona misura attenuandosi (come si vede dai valori negativi delle variazioni di questi indicatori riportati nel grafico di Figura 7.5). In particolare, l'ambito locale rimane un catalizzatore della preoccupazione, particolarmente sentita negli anni 2000-2005, ma poi ridimensionatasi negli anni successivi.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, si tratta di un territorio caratterizzato da buoni livelli occupazionali anche per gli stranieri; tuttavia rimane significativo il divario tra italiani e migranti. Nel 2010 il tasso di disoccupazione medio degli stranieri nel gruppo è di 11,6%, superiore di 6,4 punti percentuali a quello riferito ai soli italiani. Anche il dato femminile rimane negativo sia sotto il profilo della disoccupazione che del divario con le italiane, con uno scarto di 8,2 punti nel 2010. Tuttavia guardando ai trend, si osserva un recupero del gap negli ultimi cinque anni, ossia un miglioramento dell'integrazione, soprattutto per le donne. Non così ad esempio nelle regioni del gruppo 2 (Piemonte, Valle D'Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia-Giulia, Liguria), dove nonostante vi siano livelli non troppo differenti di disoccupazione, il divario tra stranieri e italiani è andato nel tempo acuendosi.
In media l'83% degli occupati stranieri gode di un contratto a tempo indeterminato, una buona misura se confrontata con gli altri gruppi. Per questo aspetto la situazione non è molto dissimile da quella dei lavoratori italiani, o per lo meno lo scarto si mantiene più contenuto di quanto si osserva in genere negli altri cluster.
Ma il gruppo si evidenzia soprattutto per il minor divario tra stranieri e italiani in termini di livelli retributivi: in media gli stranieri guadagnano 180 euro in meno, quando in altre regioni del Nord si arriva a 200 euro in meno e al sud anche oltre 350 euro in meno.
A fronte di questo dato positivo, si riscontra l'alta percentuale di sottoinquadrati tra i lavoratori stranieri, in media il 43%, valore doppio di quello riferito agli italiani, e la situazione negli ultimi cinque anni non sembra migliorata. Il fatto che gli stranieri siano impiegati in mansioni inferiori alla propria qualifica è un dato presente in tutte le regioni italiane e, in generale, tale tendenza non muove verso il miglioramento, anche se in questo gruppo è meno accentuata.
Per quanto riguarda l'inserimento abitativo, le condizioni degli stranieri sembrano di minore disparità rispetto agli altri contesti analizzati: l'indice medio di accessibilità al mercato immobiliare si colloca infatti nella fascia alta di accessibilità e, soprattutto, maggiore è la quota di chi vive in un'abitazione di proprietà. Permane tuttavia una condizione di sovraffollamento fortemente divergente tra famiglie italiane e straniere: mentre il dato per gli stranieri è in linea con gli altri gruppi, la percentuale di famiglie italiane in condizione di sovraffollamento è fra tutti la più bassa.
Tra gli adolescenti stranieri cresce la quota di quanti si iscrivono alla scuola superiore, venendosi così a ridurre di molto il divario con gli italiani, ma rimane comunque una certa differenza nella partecipazione alle scuole superiori, maggiore di quanto si riscontra nelle regioni del Nord rientranti nel gruppo 2, ma inferiore a quanto si verifica nel Centro-Sud. Più che altrove gli stranieri qui si rivolgono agli istituti professionali, mostrando nel tempo una maggiore predilezione per questo tipo di formazione, contrariamente alle scelte scolastiche dei giovani italiani, negli anni sempre più indirizzate a istituti tecnici o licei.
Infine, a fronte di buoni livelli di inserimento sociale, segnalati da una significativa presenza di nuclei con capofamiglia straniero e di una quota rimarchevole di acquisizioni di cittadinanza per residenza in aumento negli anni, permangono alcune criticità. Rimane medio-alto il divario tra famiglie italiane e straniere riguardo il rischio di esclusione sociale; anche il miglioramento in quel particolare aspetto della devianza misurato dalla diminuzione di denunce a carico di stranieri tra il 2007 e il 2009 è qui il più contenuto. Questo potrebbe suggerire che i migranti in difficoltà fanno fronte all'esclusione sociale anche attraverso mezzi illeciti, ma anche che in questi territori vi sia una più elevata propensione alla denuncia che altrove. Occorre inoltre rimarcare come in territori altamente attrattivi, quali quelli in esame, il percorso migratorio sia segmentato tra alimentazione di filiere già esistenti presso familiari o conoscenti, e nuovi arrivi spesso in solitaria, che non possono quindi godere di reti di sostegno di parenti e connazionali già inseriti. Tuttavia la già citata complessità dell'indicatore non consente una conclusione univoca, potendosi addebitare il dato a fenomeni interrelati, come ad esempio una sopravvenuta selezione dei denunciati su base etnica oltre al sopraggiunto reato di immigrazione senza permesso.

Gruppo 2 - Piemonte, Valle D'Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia-Giulia, Liguria

Anche le regioni incluse in questo gruppo sono caratterizzate da una consistente presenza di stranieri (l'incidenza è in media circa l'8%), in crescita costante nel decennio, di minori stranieri e di seconde generazioni. Si tratta di regioni che negli anni mantengono in misura più forte delle altre la capacità di attrarre migranti anche da altre zone d'Italia, interne al gruppo o esterne.
Come per il cluster precedente, in generale la preoccupazione per il fenomeno dell'immigrazione è piuttosto elevata ma in diminuzione nel tempo; tuttavia qui l'apprensione riferita all'ambito locale è più moderata e con una più marcata attenuazione nell'ultimo quinquennio.
Queste regioni godono di buoni livelli di occupazione e di retribuzione anche per gli stranieri, nondimeno il divario con gli italiani si fa sentire in misura maggiore che altrove per molti aspetti dell'occupazione, ed è un divario che accenna ad aggravarsi. In particolare, ben 9 punti percentuali separano i tassi di disoccupazione, totale e femminile, di italiani e stranieri, i valori più alti osservati nei cluster.
Più che altrove, in questo territorio per trovare un alloggio si ricorre all'affitto, arrivando anche al 70% tra le famiglie straniere, con un divario con le italiane che è il più elevato tra i gruppi considerati. Se l'accessibilità al mercato immobiliare è abbastanza favorevole per gli stranieri, tuttavia non sempre riescono a disporre di una casa adeguata alle esigenze familiari per qualità e dimensioni (in media, il 46% delle famiglie vive in condizione di sovraffollamento).
In ambito scolastico, è buona e in aumento la partecipazione degli stranieri alle scuole secondarie di secondo grado; minore è la disparità rispetto agli italiani, anche per quanto riguarda la scelta dell'indirizzo scolastico, nonostante la predilezione per gli istituti professionali da parte dei ragazzi stranieri sia in aumento negli ultimi anni.
Questo gruppo spicca su tutti per il più elevato tasso di naturalizzazioni concretizzatesi nel 2010 e per il più cospicuo aumento dello stesso nell'ultimo quinquennio, ma anche per la bassa percentuale di stranieri a rischio di esclusione sociale, segno forse che a dispetto di una situazione lavorativa non sempre facile ci sono forme di assistenza integrativa di supporto.

Gruppo 3 - Lazio

Questo gruppo è composto di un'unica regione con caratteristiche particolari da non potersi associare a nessun altro gruppo. Vediamo perché.
Sotto il profilo dell'apertura all'immigrazione, il Lazio spicca per la preoccupazione espressa dai cittadini per il fenomeno dell'immigrazione nel proprio comune di residenza e non tanto come problema principale del Paese; tale percezione fra l'altro è andata peggiorando negli ultimi 5 anni. Ciò è forse legato all'andamento della presenza degli stranieri in questa regione, che nello stesso periodo vede la crescita più elevata tra i gruppi, con una variazione dell'incidenza di 3,5 punti. Un territorio, questo, scelto non solo da chi proviene direttamente dall'estero, ma preferito anche da chi, già insediato in Italia, si sposta qui in un secondo momento. Tale capacità attrattiva si è fatta più forte negli ultimi anni, contrariamente a quanto si verifica nelle regioni del Centro-Nord.
Nonostante l'elevata presenza di stranieri (il 9,5% della popolazione residente), rispetto ai gruppi precedenti si differenzia per un minor peso della componente minorile (18,4% rispetto al 22,6% e al 21,8%). Ciò è attribuibile anche al particolare tipo di migrazione che interessa questa regione, visto l'alto numero di stranieri che soggiornano a Roma per motivi religiosi o l'elevata presenza di donne straniere addette al servizio alle famiglie e che spesso abitano nella stessa casa del datore di lavoro, rendendo pertanto più difficile il ricongiungimento con i figli.
Maggiormente paritari i livelli di occupazione tra stranieri e italiani, anche se si colgono alcuni segnali di difficoltà per le donne. Nonostante 9 stranieri su 10 godano di un contratto a tempo indeterminato, il più delle volte si tratta di impieghi con mansioni inferiori alle qualifiche o alle competenze acquisite: la percentuale di sottoinquadrati è del 56%, il più alto valore osservato tra i gruppi, ben 34 punti percentuali in più rispetto agli italiani. Tra l'altro, il gap è andato aumentando di molto nel tempo. Questo si ripercuote sul divario retributivo, che si attesta attorno ai 300 euro in meno per gli stranieri, quasi 100 euro in più che al Nord.
Decisamente problematico l'accesso al mercato immobiliare per gli stranieri: il Lazio presenta l'indice di accessibilità più negativo tra tutte le regioni italiane. Uno straniero qui si trova a spendere anche il 59% di ciò che guadagna per affittare un'abitazione, ben 30 punti percentuali in più rispetto alla popolazione totale. Ciò si ripercuote nella qualità dell'alloggio, che nel 42% dei casi non è adeguato alle dimensioni familiari. Tuttavia in termini di sovraffollamento, anche gli italiani vivono maggiori disagi che nel resto d'Italia.
Nonostante le difficoltà abitative, la percentuale di stranieri che vivono in famiglie a rischio di povertà o di esclusione sociale si attesta al 33%, tra i valori più bassi osservati, con una differenza più contenuta rispetto agli italiani, che invece qui sembrano vivere situazioni di maggior disagio che al Centro-Nord (il 22% è a rischio di esclusione sociale rispetto al 12-13%).
A conferma di questa situazione abbastanza favorevole per i migranti, è positivo anche l'indicatore relativo alla costitutività familiare, espressione della capacità economica di formare e mantenere una famiglia e di radicarsi nel territorio: sono il 9% le famiglie con capofamiglia straniero, il valore più elevato tra i gruppi analizzati. Con appena 31 naturalizzazioni su 1000 residenti, il tasso rimane invece molto basso.
Sotto il profilo delle nuove generazioni, l'iscrizione alla scuola secondaria di secondo grado per i ragazzi stranieri è nella norma rispetto agli altri contesti italiani (69%), mentre è più alta per i ragazzi italiani (90%). La scelta del percorso scolastico degli stranieri, inoltre, è meno orientata all'istruzione professionale rispetto ai gruppi precedenti.

Gruppo 4 - Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna

In questo territorio, per la verità piuttosto vasto, che mette insieme tutte le regioni del Sud (Nota 14), il fenomeno dell'immigrazione assume caratteristiche assai diverse a quanto visto finora nel resto d'Italia.
Si tratta di un territorio poco attraente per i migranti, come risulta anche dalla bassa presenza di stranieri, di minori stranieri e di seconde generazioni, ed è ancora un territorio di passaggio, visto che in media queste regioni perdono migranti a favore delle altre.
Questa caratteristica sta forse alla base della limitata preoccupazione per il fenomeno migratorio che si registra sia nei riguardi dell'intero Paese che del comune di residenza, inferiore a quella di tutti gli altri gruppi.
L'aspetto occupazionale rimane abbastanza problematico per tutti: sia italiani che stranieri sperimentano minore stabilità occupazionale e bassi livelli retributivi. In particolare gli stranieri guadagnano molto meno che altrove e il differenziale con gli italiani è il più alto osservato, in media più di 370 euro. Probabilmente si tratta anche di persone con qualifiche meno elevate, non necessariamente sottoinquadrate: il 35%, infatti, risulta svolgere mansioni al di sotto dei propri skill formativi, quando nel Lazio addirittura il 56% e al Nord circa il 40%. Un piccolo segnale in controtendenza viene dal tasso di disoccupazione degli stranieri, sia totale che femminile, che si mantiene inferiore a quello degli italiani.
Queste difficoltà si ripercuotono sul rischio di esclusione sociale: sia italiani che stranieri sperimentano alte percentuali di famiglie a rischio rispetto agli altri gruppi, con un divario che oltretutto rimane anch'esso il più elevato a sfavore dei migranti. Tutto questo spiega in parte la flebile tendenza degli stranieri alla stabilizzazione, segnalata anche dai bassi tassi di naturalizzazioni e dalla scarsa presenza di famiglie con capofamiglia straniero.
Un indicatore positivo è quello relativo alla consistente diminuzione delle denunce a carico di stranieri, che per quanto già visto però nulla permette di concludere con chiarezza riguardo alla devianza, dovendosi tener conto delle differenti propensioni territoriali a sporgere denuncia e dei diversi livelli di convivenza con fenomeni di criminalità.
Anche per la mancanza di opportunità lavorative, la partecipazione dei ragazzi italiani alla scuola superiore è molto elevata, in genere oltre il 90%, dando luogo a un divario molto alto con i ragazzi stranieri. Tuttavia anche gli stranieri stanno riconsiderando l'importanza della formazione scolastica e ad oggi in media 6 ragazzi su 10 frequentano una scuola superiore, rivolgendosi sempre di più all'istruzione tecnica piuttosto che professionale.
Quanto all'inserimento abitativo, non si osservano grosse differenze con i primi due gruppi, sia nell'accesso al mercato immobiliare che nelle condizioni abitative. Rimane il maggior disagio vissuto dagli stranieri rispetto agli italiani.
Le principali differenze
La presenza degli stranieri sul territorio è abbastanza diversificata, con un gradiente nord-sud, sia per intensità che per caratteristiche, viste soprattutto le differenti opportunità occupazionali: più transitoria al sud e più radicata al nord. Differenti quindi risultano anche i livelli di integrazione raggiunti.
Al Sud, nonostante i leggeri miglioramenti nel processo di integrazione, gli stranieri continuano a soffrire maggiore precarietà nelle condizioni lavorative, che trascina bassi livelli retributivi e difficoltà di inserimento. Sono questi i principali motivi della transitorietà della presenza straniera. Le stesse difficoltà lavorative e di vita sono tuttavia vissute anche dagli italiani, da qui il minor divario.
Risalendo verso nord, per gli stranieri aumentano le opportunità lavorative anche di tipo stabile. Rispetto ai lavoratori italiani scontano però un maggior rischio di dequalificazione e di disoccupazione. La differenza principale tra le regioni del gruppo 1 e 2 non sta tanto nei livelli di occupazione e di qualità dell'occupazione, quanto piuttosto nello stadio del percorso di integrazione. Se nelle regioni del gruppo 1, cui appartiene il Veneto, negli ultimi 5 anni va colmandosi il divario occupazionale fra italiani e stranieri per i vari aspetti considerati, non così nelle regioni del gruppo 2. Nell'ultimo anno il peggioramento della situazione economica, che ha afflitto soprattutto il settore industriale, ha inciso in tutte queste regioni in modo marcato. Tuttavia, mentre nel gruppo 1 si registra una sostanziale tenuta occupazionale degli stranieri, dovuta soprattutto ad inquadramenti parasubordinati, a chiamata e domestici, nelle regioni del gruppo 2 la flessione occupazionale è stata più forte e generalizzata, e con un maggiore e crescente divario tra occupati italiani e stranieri.
Trattandosi di territori di elezione per motivi soprattutto lavorativi, deriva da qui il maggior radicamento nel territorio delle regioni del primo gruppo, che si distinguono per l'elevata propensione all'insediamento stabile: vi è una più alta incidenza di stranieri, di famiglie con capofamiglia straniero, di minori e seconde generazioni. Nel gruppo 1 la componente straniera si distingue infatti per un'età media giovane.
Tra i due cluster non si osservano invece grosse differenze né nelle condizioni abitative né nella possibilità di trovare un alloggio a un costo sostenibile, ma le regioni del gruppo 2 evidenziano un minor rischio di esclusione sociale per gli stranieri ed un tasso record di naturalizzazioni.
Per le nuove generazioni, positiva è la tendenza all'integrazione scolastica, anche qui più evidente nel gruppo 1, dove i ragazzi stranieri e italiani stanno allineando più velocemente le loro quote di partecipazione alla scuola secondaria superiore. Tuttavia, in queste regioni permane un divario più elevato rispetto ai coetanei italiani riguardo la scelta dell'indirizzo scolastico, più orientato alla formazione professionale. Ciò risponde alla vocazione del territorio, ma può anche rivelarsi un limite per la futura crescita lavorativa.
Nel Lazio il peso della componente straniera rispetto alla popolazione residente, seppur maggiore rispetto al dato nazionale (9,5% anziché 7,5%), rimane inferiore a quanto si verifica nelle regioni del gruppo 1.Tuttavia negli ultimi anni qui l'immigrazione dimostra ritmi di crescita superiori alla media nazionale, innanzitutto per il richiamo di una città particolare come Roma, con le sue opportunità e unicità legate al mondo della formazione, della vita ecclesiale, ma anche di tipo occupazionale. Come evidenziato dal rapporto Caritas/Migrantes del 2011, tale capacità di richiamo nel tempo è andata potenziandosi anche grazie ai crescenti rapporti e alle maggiori connessioni tra la capitale e le provincie minori, dove più sostenibile è il costo della vita e soprattutto dell'alloggio.

Figura 7.2.1

L'integrazione degli stranieri nelle regioni in Italia

Figura 7.2.2

Profili di attrattività territoriale dei gruppi. Valori medi (*)

Figura 7.2.3

Profili di apertura dei gruppi. Valori medi (*)

Figura 7.2.4

Profili di integrazione occupazionale dei gruppi. Valori medi (*)

Figura 7.2.5

Profili di integrazione socio-abitativa dei gruppi. Valori medi (*)

Figura 7.2.6

Profili di integrazione scolastica dei gruppi. Valori medi (*)
 
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7.3 - In Veneto occasioni e incognite

In base alla risultanze delle anagrafi comunali, alla fine del 2010 in Veneto risiedono 504.677 stranieri, rappresentano il 10,2% della popolazione, quota sensibilmente più rilevante rispetto all'intero territorio nazionale (7,5%), e secondo le previsioni Istat nel 2030 raggiungeranno quasi il milione di presenze, ossia oltre il 18% della popolazione complessiva. Se a questi si aggiungono coloro che, seppur regolarmente presenti, non risultano per vari motivi ancora iscritti alle anagrafi locali, il numero salirebbe a 549.000, come riporta una stima elaborata dal Dossier Caritas/Migrantes.
Di recente, infine, sono state diffuse le prime stime provvisorie del Censimento della popolazione e delle abitazioni condotto da Istat (Nota 15), secondo cui al 9 ottobre 2011 la presenza straniera in Veneto raggiunge invece le 446.353 unità (il 9,2% della popolazione), classificando la nostra regione al secondo posto in Italia per numero di stranieri residenti, con l'11,8% degli immigrati complessivi del Paese. Sempre sulla base dei risultati del Censimento, guardando alle graduatorie dei comuni italiani per incidenza di stranieri sul totale della popolazione, ai primi posti si posizionano alcune realtà del Veneto: tra i primi 10 comuni di maggiori dimensioni, con oltre 100.000 abitanti, rientrano Vicenza (14,5%) e Padova (11,7%), mentre tra i primi 10 comuni di media dimensione (20.000-100.000 abitanti) si trovano San Bonifacio, in provincia di Verona (17,8%), Arzignano (19,4%) e Montecchio Maggiore (16,4%), entrambi in provincia di Vicenza. D'altra parte, vista la natura prevalentemente economica dei flussi migratori in entrata, gli immigrati si concentrano nelle aree in grado di offrire loro maggiori opportunità occupazionali, vale a dire nelle zone a vocazione più industriale come Verona, Treviso e Vicenza, che nel complesso ospitano oltre il 60% delle presenze immigrate in regione. Modesta è invece la concentrazione nelle aree di Belluno e Rovigo, dove risiede solo il 6,4% degli stranieri presenti in Veneto.
Seppur in crescita, il fenomeno dell'immigrazione negli ultimi due anni vede un sostanziale rallentamento, in parte dovuto agli effetti della recessione economica, che limita le opportunità occupazionali del territorio, in parte per il progressivo stabilizzarsi dei flussi dalla Romania, esplosi in occasione delle regolarizzazione e dell'apertura dell'UE nel 2007. Nel periodo 2009-2010 l'aumento medio annuo della presenza straniera è, infatti, del 5,4%, un incremento interessante ma ridotto rispetto ad appena qualche anno fa, quando la crescita era tra il 10% e il 20%.
Sempre nell'ultimo biennio si avvertono i primi segnali di una minore capacità attrattiva esercitata dal Veneto nei confronti di stranieri già residenti in altri comuni italiani e propensi a muoversi alla ricerca di opportunità migliori (-0,5% il tasso medio di ricettività migratoria interna (Nota 16)), spia forse di una certa saturazione del territorio o del venir meno della garanzia di condizioni di inserimento stabile qui offerte in passato. Tale tendenza investe soprattutto le province di Treviso (-4,6%) e Vicenza (-1,8%), in misura molto minore Verona (-0,8%), ma non ad esempio Padova (2,3%).
Nel tempo il fenomeno dell'immigrazione registra una notevole diversificazione delle provenienze, conseguenza anche delle trasformazioni socio-politiche degli Stati esteri di provenienza. La maggior parte dei migranti proviene comunque da Paesi con livelli di sviluppo inferiori, in particolare dall'est Europa, dagli Stati africani che si affacciano sul Mediterraneo e dall'Africa occidentale, dal sud America, dall'area mediorientale e caucasica e dai Paesi asiatici come Cina, India e Sri Lanka. Oggi in Veneto troviamo rappresentati tutti e cinque i continenti per un totale di 169 nazionalità diverse, ma le prime cinque, Romania, Marocco, Albania, Moldavia e Cina, insieme coprono oltre la metà degli immigrati residenti. La comunità più numerosa è ancora quella rumena che, con oltre 100 mila presenza nel 2010, rappresenta da sola più di un quinto di tutti gli stranieri del Veneto. Seppur ancora in costante aumento, tuttavia, negli ultimi anni si osserva un assestamento del numero di rumeni, dopo la crescita vertiginosa determinata dall'allargamento dell'Unione europea nel 2007, quando la presenza rumena in un solo anno aumentò quasi del 60%. (Figura 7.3.1)
Di seguito si riporta la tabella con gli indicatori utilizzati nella cluster a livello regionale prima descritta, calcolati per il Veneto e per l'Italia, al fine di evidenziare alcune caratteristiche della nostra regione. Per una lettura più completa si rimanda a quanto già scritto nel definire il profilo del gruppo 1 individuato con l'analisi di raggruppamento, cui il Veneto appartiene. (Tabella 7.3.1)
Oltre che per un'alta incidenza di migranti, il Veneto si contraddistingue anche per un'elevata presenza di minori stranieri, secondo solo alla Lombardia. Quasi un quarto degli stranieri sono minorenni (24%), a fronte del 21,7% in Italia, e per il 15% si tratta di persone che, seppur straniere, sono nate in Italia (dato nazionale 13,4%).
Come già sottolineato, una così alta percentuale di minori è segnale di un forte radicamento sul territorio: il maggiore investimento che un immigrato può attuare sul territorio che lo ospita è appunto quello di farvi nascere e crescere dei figli, nella convinzione di riuscire a garantire loro adeguati livelli di qualità di vita e la speranza di prospettive future.
Proprio le seconde generazioni sono i principali protagonisti del processo di integrazione: giovani nati e/o cresciuti in Italia, con stili di vita nuovi e diversi rispetto alla prima generazione, frequentano coetanei italiani, con cui condividono modalità di vita, esperienze e ideali, si sentono cittadini a pieno titolo e hanno attese migliori per il proprio futuro, più di quanto sperassero i propri genitori per se stessi. Su questi si gioca la sfida più grande per la coesione degli stranieri nel nostro sistema sociale, le cui leve sociali sono rappresentate dalla scuola, dal lavoro e dalle occasioni per coltivare relazioni interpersonali. Ciò dipende dall'ambiente che troveranno ad accoglierli e dalle politiche di integrazione che verranno attuate, se finalizzate a creare un ponte tra culture.
A questo fine la scuola assume un ruolo fondamentale. E' qui che si gioca la costruzione del capitale umano di ciascun individuo, ed è ancora più vero per i ragazzi figli di immigrati che nel rapporto con i loro coetanei e nella sfida dell'apprendimento gettano le basi per l'integrazione futura e per il successo del mondo del lavoro.
In Veneto gli alunni stranieri nei vari ordini di scuola rappresentano il 12% della popolazione scolastica (84.747 bambini e ragazzi nell'anno scolastico 2010/2011), una quota che da tre anni si mantiene superiore alle media nazionale (7,9% nell'a.s. 2010/2011), vista anche la più alta presenza di minori nella nostra regione. Ma se la partecipazione degli stranieri fino alla scuola secondaria di primo grado è pressoché totale, solo il 58,5% (a.s. 2008/2009) dei ragazzi si iscrive a un percorso di studi di livello superiore, meno di quanto accada a livello nazionale (67,7%), anche se in aumento nel tempo, visto che quattro anni fa era il 49%.
Guardando alla regolarità del percorso scolastico e alla capacità di portare a termine gli studi, indicatori importanti del processo di integrazione, in quanto l'insuccesso scolastico più probabilmente avvia al rischio di lavori dequalificati, si evidenziano segnali incoraggianti. Ad esempio con riferimento alla regolarità del percorso scolastico, misurata come congruenza tra l'età del ragazzo e la classe frequentata, risulta che negli anni anche nella scuola secondaria di II° grado sta aumentando il numero di giovani stranieri con percorsi scolastici regolari, specie fra quanti sono nati in Italia. Per i nati all'estero spesso il ritardo scolastico è dovuto all'inserimento fin da piccoli in classi di livello inferiore, a causa di lacune nella lingua, che costituiscono una sorta di prezzo dell'immigrazione che il ragazzo continua a portare con sé nel proprio percorso scolastico. (Tabella 7.3.2)
Più che altrove, inoltre, in Veneto la preferenza è per l'indirizzo di tipo professionale (43,7% degli studenti stranieri) o tecnico (41%), presupponendo l'intenzione di non volere intraprendere gli studi universitari o, almeno, di non rimandare troppo la ricerca di un lavoro, sia pur meno qualificato. Se, inoltre, si tenesse conto anche dei corsi regionali di formazione professionale, la percentuale di una scelta per così dire "professionalizzante" sarebbe destinata a salire ulteriormente, confermando la più evidente difficoltà per gli studenti stranieri di prendere parte al processo di mobilità sociale per elevare la propria condizione.
E' anche vero che la maggiore predilezione per una preparazione di tipo professionale è caratteristica di tutte le regioni economicamente più avanzate, con maggiori possibilità occupazionali, dove più radicata è una cultura che incoraggia a inserirsi nel mondo produttivo il prima possibile. Ne è conferma l'evidente gradiente nord-sud tra le regioni italiane che si osserva sia con riferimento alla partecipazione dei giovani, in generale e non solo degli stranieri, alla scuola superiore che al tipo di formazione intrapreso.
Al di là di queste tendenze, anche in Veneto rimane tuttavia una certa disparità nei percorsi scolastici tra italiani e stranieri, che con il tempo si è andata attenuando solo in parte.
Un cantiere ancora aperto è quello dell'integrazione economica: al giorno d'oggi gli stranieri vivono situazioni lavorative meno favorevoli dei coetanei italiani e anche per questo sono tra i più colpiti dalla recente crisi economica.
Le opportunità lavorative per gli italiani in Veneto risultano più favorevoli che in altre regioni: maggiore occupazione, percentuali più alte di lavori stabili a tempo indeterminato e inquadramenti più consoni alla propria professionalità. Non così per gli stranieri, la cui condizione lavorativa non risulta migliore della media nazionale, piuttosto abbastanza in linea, sia per livelli di disoccupazione che per alcuni aspetti relativi alla qualità dell'inserimento occupazionale. Da qui il divario maggior tra lavoratori italiani e stranieri che si osserva in Veneto, disparità, comunque, che per certi ambiti sta diminuendo nel tempo. Critico l'aspetto del sottoinquadramento dei lavoratori stranieri (44%, 26 punti percentuali in più che tra i lavoratori italiani), mentre un dato più positivo è il minore differenziale in termini di retribuzione tra lavoratori italiani e stranieri (150 euro), uno dei gap più bassi a livello regionale, secondo solo a quello delle Marche (100 euro).
Guardando alle condizioni generali di vita, si evidenzia invece in Veneto un migliore inserimento sociale: il 32% degli stranieri vive in famiglie a rischio povertà o esclusione sociale, contro il 39% in Italia, grazie anche alla maggiore possibilità di accedere al mercato immobiliare, di trovare alloggi in affitto a prezzi ancora sostenibili. E' vero anche che per gli stranieri maggiore è il peso dell'affitto, in quanto per affittare una casa di media quadratura in periferia uno straniero in Veneto spende circa il 35% di ciò che guadagna, circa 12 punti percentuale in più rispetto che un italiano. Tuttavia per quanto riguarda l'inserimento abitativo, la condizione degli stranieri sembra comunque di minore disparità che in altre regioni: il Veneto si colloca nella fascia di accessibilità massima del mercato immobiliare, con il terzo minore differenziale tra italiani e stranieri, dopo Friuli Venezia Giulia (7,8) e Marche (11,1). E' un aspetto particolarmente significativo visto che vi è una correlazione positiva tra accesso alla casa e integrazione sociale.
Infine, presupposto per un'integrazione duratura degli stranieri è l'acquisizione della cittadinanza, volta a conseguire pari diritti della popolazione locale. E' segnale del radicamento culturale, oltre che rivestire un valore simbolico e identitario molto importante. Il fenomeno è in crescita e negli ultimi anni in Veneto la maggioranza delle cittadinanze italiane è ottenuta per motivo di residenza (naturalizzazioni), contrariamente alla tendenza degli anni precedenti in cui prevaleva il motivo del matrimonio, specie per le donne. Si tratta di circa 63 naturalizzazioni ogni 10.000 stranieri, valore più alto di quello italiano, in crescita di ben 32 punti rispetto al 2005. Non solo nel Veneto, ma in generale nel regioni del Nord, il tasso di naturalizzazione è più elevato della media italiana, ossia laddove l'immigrazione è arrivata per prima, stabilizzandosi e strutturandosi nel tempo. Tenendo conto dei dieci anni di residenza regolare richiesti e dell'assenza di procedimenti penali, tale trend si può interpretare giustamente come un'integrazione che nel tempo dà segnali di radicamento.

Figura 7.3.1

Stranieri residenti in Veneto per Paese di cittadinanza. Anno 2010

Tabella 7.3.1

Valori degli indicatori utilizzati per l'analisi di raggruppamento. Veneto e Italia (*)

Tabella 7.3.2

Regolarità degli alunni stranieri della scuola secondaria superiore per luogo di nascita (valori %). Veneto - A.s. 2007/08:2009/10