Il 2010 è stato l'anno europeo della "lotta alla povertà e all'esclusione sociale", tema che la Commissione europea ha deciso di mantenere tra le priorità delle politiche comunitarie e, nel rinnovare l'impulso alla lotta contro tutte le forme di povertà, la strategia Europa 2020 punta a ridurre di almeno 20 milioni il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale entro il 2020.
I progressi nel raggiungimento dell'obiettivo è misurato da Eurostat tramite tre indicatori: il rischio di povertà, inteso come la quota di popolazione che dispone di un reddito inferiore alla soglia di povertà, l'indice di grave deprivazione materiale, che fa riferimento all'impossibilità di accedere a certi beni e servizi considerati comuni e ordinari o percepiti come necessari per gli standard della società in cui si vive, e la percentuale di persone che appartengono a famiglie con un'intensità di lavoro molto bassa o senza lavoro ("very low work intensity").
Dalla loro combinazione deriva un quarto indicatore di sintesi, utilizzato per il monitoraggio dell'obiettivo europeo, ottenuto come percentuale di persone che sperimentano almeno una delle tre condizioni individuate dai singoli indicatori
(Nota 8).
Tale impostazione riflette la molteplicità di fattori alla base della povertà e dell'esclusione sociale, considerando varie dimensioni della qualità della vita e comprendendo, oltre la mancanza di reddito e di risorse materiali sufficienti a vivere dignitosamente, misurato dal rischio povertà, anche forme di esclusione non necessariamente legate al reddito, come l'incapacità di accedere a servizi di base o la precarietà lavorativa.
L'indice di deprivazione prende in esame 9 aspetti, tra cui: non potersi permettere un pasto a base di carne o proteine regolarmente, una vacanza di almeno una settimana fuori casa durante l'anno, di pagare le bollette, l'affitto o il mutuo, di riscaldare adeguatamente la propria casa, di affrontare spese impreviste e di avere certi beni durevoli, come telefono, televisore, lavatrice e automobile. Si considera in stato di deprivazione materiale chi vive in una famiglia che non può permettersi almeno tre tra i beni e servizi sopra descritti e si definisce grave la situazione in cui sono quattro o più le mancanze.
Si tratta quindi di una misura di tipo non monetario che si concentra sugli effetti, sulle condizioni finali di vita delle persone piuttosto che sulla potenziale soddisfazione di questi bisogni, ossia sulla mancanza di risorse per ottenere un certo benessere. Rispetto alle più tradizionali misure sulla povertà basate sul reddito, la nuova impostazione ha il merito di aggiungere importanti informazioni, perché la deprivazione materiale può essere intesa come l'output della povertà in termini monetari quando questa persiste nel tempo. Si pensi ad un malato che debba affrontare spese ingenti per cure mediche che sottrae all'acquisto di beni e servizi considerati essenziali, pur disponendo di un buon reddito: tale disagio non può essere colto dalla sola informazione sul suo reddito monetario.
I due tipi di misure, la povertà monetaria e la deprivazione materiale, esprimono concetti differenti, ma che si completano e che possono essere usati congiuntamente per analizzare differenti aspetti delle condizioni di vita degli individui e delle famiglie. Entrambi, tra l'altro, rispondono alla definizione di povertà adottata dal Consiglio dei Ministri dell'Unione europea nel 1985, in base alla quale sono da considerare povere le persone che dispongono di risorse "materiali, culturali e sociali" limitate, tanto da non poter garantire loro uno standard di vita accettabile.
L'indice "very low work intensity", infine, tiene conto di un'altra dimensione dell'esclusione sociale, quella del mercato del lavoro. Indipendentemente dal livello di reddito familiare e dalla grave deprivazione, esso esprime la percentuale di persone con meno di 60 anni che vive in famiglie dove gli adulti lavorano per meno del 20% del loro potenziale.
L'esclusione sociale in Europa
Considerando la definizione di Eurostat, nel 2010 nei 27 Stati dell'Unione europea si stimano quasi 116 milioni di persone a rischio povertà o esclusione sociale e tra queste 70 milioni vivono in uno dei 17 Paesi dell'area euro. Rappresentano il 23,5% della popolazione complessiva, una percentuale sostanzialmente stabile rispetto all'anno precedente, che nasconde tuttavia differenze significative tra gli Stati. Se Repubblica Ceca, Austria e Paesi del Nord registrano le percentuali più basse, inferiori al 18%, le situazioni più critiche si osservano in Lituania, Lettonia, Romania e Bulgaria, dove oltre un terzo della popolazione vive in condizione di disagio.
L'Italia si trova in una situazione intermedia con il 24,5% della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale, un valore analogo a quello del 2009; si tratta di quasi 15 milioni di persone, ossia il 13% di quelle nell'UE27. Valori d'incidenza prossimi a quelli italiani si rilevano nel Regno Unito (23,1%), in Spagna (25,3%) e Portogallo (25,5%), mentre in Francia (19,3%) e in Germania (19,7%) le difficoltà sono minori.
(Figura 6.2.1)
Il 16,4% della popolazione europea risulta esposto al rischio di povertà, l'8,1% si trova in condizione di grave deprivazione materiale, mentre il 10% vive in una famiglia a bassa intensità di lavoro. Difficilmente tutte e tre le condizioni sono associate (1,5% della popolazione dell'UE27), né tutti coloro che sono a rischio povertà vivono in condizione di grave deprivazione materiale.
All'interno dell'Unione la percentuale di persone che vivono in stato di grave deprivazione varia in modo molto più ampio (dallo 0,5% del Lussemburgo al 35% della Bulgaria) rispetto al rischio di povertà (9% nella Repubblica Ceca, 21,3% in Lettonia) e i Paesi che sperimentano alti livelli di povertà economica non sono necessariamente gli stessi con alti tassi di deprivazione.
D'altra parte proprio per le considerazioni prima esposte, i due indicatori mettono in evidenza aspetti diversi del disagio. L'indicatore Eurostat sulla povertà, definendo a rischio di povertà chi vive in famiglie con reddito inferiore al 60% della mediana del reddito nazionale, è una misura di povertà relativa, che cioè tiene conto della distribuzione del reddito di ogni Paese e individua la condizione di povertà nello svantaggio di alcuni soggetti rispetto a tutti gli altri. Si basa, dunque, sul livello di disuguaglianza tra i redditi, con la conseguenza che un Paese mediamente ricco ma con forti squilibri nella distribuzione della ricchezza potrà avere un alto rischio di povertà, per l'elevato numero di persone con redditi lontani dalla media, magari anche più accentuato di quanto si verifica in un Paese complessivamente più povero ma con minori disparità.
La misura della deprivazione materiale, invece, coglie le difficoltà del vivere quotidiano attraverso la capacità della famiglia di accedere a determinati beni e servizi, e non dipende dalle caratteristiche della distribuzione del reddito. I beni e servizi considerati sono gli stessi per tutti i Paesi dell'Unione indipendentemente dai diversi livelli di vita raggiunti nei vari contesti sociali, pertanto la deprivazione può essere intesa come una misura di povertà assoluta. Così, ad esempio, la Spagna evidenzia un rischio di povertà (20,7%) superiore alla media europea, cui si associa però un tasso contenuto di grave deprivazione materiale (4%), segnale da un lato di una marcata disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, dall'altro che le condizioni di vita sono comunque accettabili per la gran parte della popolazione, anche per chi dispone di un reddito basso. Viceversa, in Ungheria e in Slovacchia, nonostante un tasso di povertà relativamente contenuto o comunque inferiore alla media europea, la gran parte della popolazione è costretta a rinunce e limitazioni.
I Paesi più vulnerabili, tanto da registrare le percentuali più alte di entrambi gli indicatori, sono Lettonia, Romania e Bulgaria.
(Figura 6.2.2)
Meno rinunce in Veneto
In Italia l'analisi a livello regionale evidenzia il consueto quadro di disparità territoriale, con indicatori decisamente preoccupanti nelle regioni meridionali: in particolare, risultano a rischio di povertà o esclusione sociale 4 persone su 10 in Calabria e quasi la metà in Campania e in Sicilia.
Minore è invece il disagio in Veneto, a soffrirne il 15% della popolazione (16,3% delle famiglie), percentuale in lieve aumento rispetto all'anno precedente (14,1%); sebbene l'incidenza sia al di sotto della media nazionale (24,5%) e sia una delle più basse tra le regioni italiane, dopo Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Valle d'Aosta, si tratta comunque di 732 mila persone (oltre 331 mila famiglie) in difficoltà, che non vivono secondo gli standard comuni della società attuale e che, nei casi più gravi, non riescono a provvedere ai bisogni fondamentali della vita.
(Figura 6.2.3)
Le famiglie più fragili
Ma chi sono le persone costrette a vivere un tale disagio? Finora l'esclusione sociale è stata analizzata in termini aggregati, ma alcune categorie sono indubbiamente più esposte di altre.
Si evidenzia un leggero svantaggio per le donne, mentre l'effetto dell'età in Veneto mette in luce un rischio maggiore per bambini e anziani, contrariamente a quanto si osserva a livello nazionale ed europeo, dove l'incidenza segue un profilo decrescente con l'età. La fascia centrale, corrispondente con l'età lavorativa, è invece la meno vulnerabile perché protetta da maggiori redditi da lavoro.
Più a rischio poi le persone che vivono sole, soprattutto se anziane, le famiglie con figli a carico, specialmente quelle numerose, con tre o più figli a carico, e chi ha un basso titolo di studio. L'investimento in istruzione rappresenta infatti un'efficace strategia di contrasto, tanto che la percentuale di persone a rischio di povertà o esclusione sociale si riduce significativamente con l'aumentare del titolo di studio.
Vivere in una zona altamente o mediamente urbanizzata non determina, in Veneto e in Italia, significative differenze nella diffusione dell'esclusione sociale, mentre peggiore è la condizione di chi risiede in contesti poco urbanizzati, più isolati e meno serviti.
Il rischio di povertà e di esclusione sociale si associa frequentemente anche alla deprivazione abitativa: le famiglie che vivono in situazioni di disagio abitativo, per mancanza di spazio o per la presenza di carenze strutturali di vario genere, in genere si trovano a dover affrontare anche altre difficoltà e limitazioni nel vivere quotidiano.
Nel confronto europeo emerge soprattutto il maggior svantaggio che colpisce le famiglie con figli a carico, specie se tre o più, e delle persone anziane che vivono da sole. Mediamente, inoltre, in Europa si avverte una minore disparità tra le diverse tipologie familiari, come evidenziato dalla più bassa variabilità dell'indicatore.
(Tabella 6.2.1)