U.O. Sistema Statistico Regionale U.O. Sistema Statistico Regionale
Capitolo 4

Investire nell'educazione: una scelta per il futuro

Per trasformare la recessione in un'opportunità di cambiamento bisogna ripartire dai giovani, dalle loro energie e dai loro talenti così da definire un'Italia più dinamica e competitiva perché dotata di forza lavoro motivata e competente. Il futuro occupazionale dei giovani italiani dipende primariamente da un più efficiente raccordo e dall'integrazione tra i percorsi di istruzione e formazione e il mercato del lavoro. Difatti, rispetto ai coetanei di altri Paesi, i nostri giovani incontrano il lavoro in età troppo avanzata e, per di più, con conoscenze spesso poco spendibili anche per l'assenza di un vero contatto precedente con il mondo del lavoro. E' quindi necessario investire sempre di più nell'educazione di questi giovani, offrire loro opportunità al passo con i cambiamenti sociali in atto, senza dimenticare però le origini, e creare un capitale umano qualificato che contribuisca allo sviluppo del futuro del Paese.
 
Inizio Pagina

4.1 - Dalla tradizione all'innovazione attraverso la scuola

Alla luce di ciò si inserisce la Riforma della Scuola Secondaria Superiore avviata a partire dalle prime classi del nuovo anno scolastico 2010/2011. Qualità e modernizzazione sono le parole chiave che caratterizzano lo spirito della riforma: una scuola nuova al passo con i tempi, in cui si privilegia la qualità dell'insegnamento rispetto alla quantità del carico orario e all'eccessivo numero di materie, come raccomandato dall'OCSE che ha evidenziato che è statisticamente provato che troppe ore di studio non ha in generale un impatto benefico sui risultati di apprendimento dei ragazzi.
Si tratta di una vasta e organica operazione di riordino dei percorsi di studio. Un'operazione "che si sforza di coniugare la tradizione con l'innovazione privilegiando la qualità, con l'obiettivo di costruire una scuola che guardi al futuro" riconoscendo e valorizzando le diverse identità dei licei, degli istituti tecnici e di quelli professionali, e che pone fine alle moltissime sperimentazioni realizzate a partire dagli anni '90 che hanno dato luogo all'enorme frammentazione degli indirizzi.
Tra i punti di forza della Nuova Secondaria Superiore vi è sicuramente un più stretto collegamento con l'Università e l'Alta Formazione, con il mondo del lavoro, mediante stage, tirocini, alternanza scuola-lavoro, e col territorio, grazie alla presenza, nei comitati tecnico-scientifici, di rappresentanti del mondo delle imprese presenti nella zona. Infine, viene dato più spazio a scienze, matematica e lingue straniere al fine di rilanciare il nostro Paese nella competizione internazionale.
Veneti più istruiti in dieci anni
La popolazione veneta, in dieci anni, accresce significativamente il proprio livello di istruzione: il 46,5% dei veneti possiede almeno un diploma contro il 32,4% registrato nel 2001. (Figura 4.1.1)
La partecipazione all'offerta scolastica è, a sua volta, in miglioramento: rispetto al dato del 2005, nel 2010 la quota di 18-24enni veneti che abbandona prematuramente gli studi scende di quasi quattro punti percentuali, registrando un valore pari al 16% e raggiungendo così già l'obiettivo italiano del 15-16% fissato entro il 2020 e vicino a quello europeo del 10%, delineato dalla strategia "Europa 2020".
In crescita anche l'offerta di formazione professionale regionale: se nell'anno scolastico 2002/03 erano stati attivati 739 corsi, nel 2011/12 ne sono stati approvati quasi un migliaio. Sempre più giovani decidono di scegliere una formazione professionale: il numero di allievi passa da circa 11.300 a quasi 19.400 e, coerentemente con la natura del territorio, i corsi con più studenti sono quelli relativi al comparto meccanico, ai servizi del benessere e all'alimentazione e ristorazione.
Cambia la scelta della scuola superiore
Negli ultimi anni si assiste ad una licealizzazione dei giovani veneti, a discapito degli istituti tecnici e, in particolare, dei professionali: nel 2011/12 il 43% delle iscrizioni nelle scuole statali si dirige verso un liceo, a fronte del dato del 2000/01, pari al 30%.
Viceversa, gli studenti stranieri, in costante aumento, nel 2000/01 erano lo 0,9% della popolazione scolastica veneta mentre nel 2010/11 sono l'8,1%%, sono più indirizzati verso percorsi scolastici professionalizzanti che li possano formare per un mestiere ben definito. Nell'anno scolastico 2009/10 in Veneto, il 45,7% degli studenti stranieri sono iscritti ad un istituto professionale e circa il 41,0% ad un istituto tecnico, a segnale del perpetuarsi di una condizione sociale che vede gli stranieri più rivolti a lavori a carattere prettamente tecnico o manuale. (Figura 4.1.2)
Nel contempo, però, tra le priorità del governo definite nel Piano di azione per l'occupabilità dei giovani - Italia 2020 - vi è anche quella di rilanciare l'istruzione tecnico-professionale.
Difatti, tanto a livello nazionale quanto in Veneto, secondo i dati del Sistema Informativo Excelsior, i più richiesti in azienda sono ancora i diplomati tecnici-professionali, in particolare degli indirizzi amministrativo e commerciale, seguiti da quelli degli indirizzi meccanico e turistico-alberghiero.
L'istruzione tecnica-professionale rappresenta un'opportunità per i giovani e per le imprese, ma non solo: la ripresa economica non potrà prescindere dalla rinascita del settore manifatturiero e del made in Italy che sono storicamente collegati a questii istituti.
Se l'aumento della licealizzazione può essere proficuo dal momento che la gran fetta di diplomati che proseguono gli studi all'università sono quelli usciti da un liceo e sono necessari livelli di istruzione sempre più elevati per rinnovare le dinamiche del Paese e competere con gli altri, dall'altra però le imprese spesso non trovano la forza lavoro qualificata di cui hanno bisogno per competere sui mercati internazionali e molti giovani si ritrovano in condizione di disoccupazione o sotto-occupazione perché dotati di competenze che non servono al mercato del lavoro.
Ecco quindi la necessità, affermata appunto anche dalla nuova riforma scolastica, di un costante e migliore collegamento con il mondo del lavoro, con l'Università e il territorio in cui si vive.

Figura 4.1.1

Distribuzione percentuale della popolazione per livello di istruzione. Veneto - Anni 2001 e 2010 (*)

Figura 4.1.2

Distribuzione percentuale delle iscrizioni al primo anno in scuole secondarie di secondo grado statali per tipologia scolastica. Veneto - A.s. 2000/01 e 2011/12
 
Inizio Pagina

4.2 - Crescere attraverso le trasformazioni universitarie

Se al capitale umano è affidato e riconosciuto il ruolo fondamentale come fattore di competitività per lo sviluppo, l'Università occupa uno spazio importante nel disegnare e nel formare competenze che sappiano accompagnare un nuovo percorso di crescita.
In questo scenario si inserisce la riforma del sistema universitario italiano entrata in vigore nel gennaio 2011 (Nota 1), che mira a evitare gli sprechi, di soldi e di risorse, nelle università e punta ad una governance secondo criteri meritocratici e di trasparenza.
Secondo il già Ministro Gelmini, "il piano di programmazione triennale 2010-2012 prevede la fine dei corsi di laurea inutili, delle sedi distaccate non necessarie, dei dottorati con un basso numero di iscritti, più rigore nella valutazione delle università telematiche e la valorizzazione dei corsi di laurea nelle materie scientifiche e tecnologiche". E con i risparmi che si andranno ad attuare, si potrà destinare "maggiori risorse agli studenti meritevoli ma con difficoltà economiche, supportandoli nel completamento del loro percorso universitario." (Nota 2)
In breve, più qualità, meritocrazia, responsabilità, valutazione e premialità.
L'università italiana è da decenni oggetto di un profondo mutamento: dai 288.000 studenti iscritti a inizio degli anni '60 si è passati al 1.048.000 nel 1980/81 e 1.800.000 nel 2009/2010. Anche la partecipazione al sistema universitario veneto è in crescita: rispetto al 2000/01, nel 2009/10 il numero di ragazzi che si immatricolano in atenei veneti cresce di quasi 16 punti percentuali, arrivando a contare quasi 19.000 nuovi iscritti, in particolare nell'ateneo padovano. Più alta, poi, anche l'attrattività dei nostri atenei da parte degli stranieri: la quota di questi studenti passa dal 3,1% del 2004/05 al 3,9% del 2008/09; l'Albania è il paese più rappresentato, il 25% del totale iscritti stranieri, seguita a larga distanza da Romania, 8,3%, e Croazia, 6,8%.
Il tasso di passaggio dalla scuola secondaria superiore all'università (Nota 3) è in aumento rispetto all'anno precedente, ma ancora distante dai livelli registrati all'inizio del duemila: infatti, dal 72,3% in Italia e 69% in Veneto registrato nell'anno accademico 2003/04 si passa, rispettivamente, nel 2009/2010 al 63,3% e 63,6%; c'è quindi molto da lavorare per raggiungere l'obiettivo europeo fissato, ovvero di innalzare la quota di giovani 30-34enni laureati ad almeno il 40% nei prossimi dieci anni: nel 2010 la percentuale veneta è pari al 18,6% contro il dato dell'UE27 del 33,6%.
Inoltre, tra le misure più necessarie, rimane il rilancio delle facoltà scientifiche e tecnologiche, da sempre sinonimo di nuove opportunità, innovazione e competitività, ma ancora poco scelte dai giovani diplomati italiani, sebbene il fenomeno sia in crescita: in Italia nel 2009/10 il 26,8% degli immatricolati prediligono gli studi scientifici-tecnologici contro il 24,2% del 2002/03. Tra le migliori, la situazione in Veneto dove queste competenze vengono scelte dal 28,4% dei ragazzi, oltre tre punti e mezzo percentuali in più di sette anni prima; al top il Friuli Venezia Giulia con il 30,3%, in coda il Trentino Alto Adige (19%). (Figura 4.2.1)
Ma il cambiamento fondamentale sta in un nuovo e più integrato rapporto tra sistema formativo e mondo del lavoro che impone, dunque, una riflessione delicata anche sul tema della mobilità degli studenti universitari.
Alla mobilità degli studenti si frappongono spesso ostacoli di natura culturale, ma anche gravi difficoltà logistiche e finanziarie. Occorre quindi investire sulla mobilità superando la logica della moltiplicazione delle sedi e offrendo una reale possibilità di scelta, ampliando la disponibilità di borse di studio e residenze legate al merito e predisponendo strumenti di finanziamento agli studenti che vogliono investire sul proprio futuro.
La spesa per l'istruzione universitaria: in aumento, ma ancora lontana dai target europei
La spesa per l'istruzione universitaria nel 2008 raggiunge complessivamente 19.542 milioni di euro, il 7,4% in più dell'anno prima in termini reali, e la quota del PIL destinata al sistema universitario aumenta dallo 0,76% del 2005 allo 0,84% del 2008. In crescita anche l'incidenza della spesa per l'istruzione universitaria sul complesso della spesa pubblica che nello stesso arco temporale passa dall'1,56% all'1,69%. Nonostante ciò, a parità di potere d'acquisto, in Italia si spendono mediamente poco più di 7.200 euro per studente, quasi 2.200 euro in meno rispetto al dato medio dell'UE27 e inferiore anche al dato francese e tedesco (rispettivamente, 11.574 e 12.649).
In Italia le risorse umane rappresentano la principale voce di uscita degli atenei: nel 2009, nelle università statali, circa il 65% delle risorse è stato speso per il personale, di cui il 41,5% per quello docente.
Anche gli studenti contribuiscono al finanziamento delle università attraverso il pagamento di tasse e contributi, misurati in base alle condizioni economiche personali e al tipo di corso di studio scelto.
Nel 2009 le famiglie hanno contribuito al finanziamento delle università statali italiane con oltre 1,6 miliardi di euro e con 536 milioni di euro per quelle non statali, rispettivamente il 20% e il 41% in più del 2005.
La contribuzione media per iscritto risulta più elevata nelle regioni del Nord, regioni del resto dove i redditi familiari sono più alti. Nel 2009, con riferimento agli atenei statali, la regione dove gli studenti spendono di più per le tasse e i contributi universitari è il Veneto (1.381 euro), 230 euro in più di due anni prima, seguito da Lombardia ed Emilia Romagna (rispettivamente 1.324 e 1.285 euro). Decisamente più bassa la spesa nelle regioni meridionali, dove i redditi delle famiglie sono più bassi: in Puglia e in Calabria non supera i 550 euro. La spesa più bassa si registra in Abruzzo (432 euro contro i 623 del 2007), quota che risente però dell'esonero dal pagamento delle tasse per il prossimo triennio degli studenti dell'Università degli Studi dell'Aquila, in seguito al sisma avvenuto in aprile. (Figura 4.2.2)
Inoltre, nell'a.a. 2009/10 quasi il 29% degli studenti in corso degli atenei statali è esonerato totalmente o parzialmente dalle tasse universitarie: nel Nord-Ovest tale percentuale scende al 18%, nel Nord-Est si attesta al 22,6%, mentre nel Mezzogiorno raggiunge il 43,3%; ma anche tale quota risente dell'esonero degli studenti dell'Università degli Studi dell'Aquila.
Più sostegno e opportunità agli studenti per più alti livelli di istruzione
Per innalzare i livelli di capitale umano gioca un ruolo fondamentale il sostegno agli studenti e alle loro famiglie attraverso aiuti finanziari diretti per supportare i costi di mantenimento e di iscrizione (come borse di studio e prestiti), contributi monetari o in forma di servizi che rispondono a specifici bisogni (come gli alloggi o i servizi di trasporto) e concessioni alle famiglie (assegni familiari e detrazioni dalle tasse). Certamente offrire servizi agli studenti di qualità possono contrastare l'irregolarità degli studi; viceversa, l'assenza di servizi di supporto può accelerare la decisione di abbandonare i corsi.
Nel confronto con alcuni Paesi europei, tra i quali esiste comunque una difformità nella regolamentazione degli accessi allo studio universitario e negli strumenti utilizzati per l'aiuto alle famiglie non trascurabile, in Italia nel 2008 la spesa per supportare i costi degli studenti universitari è stata pari al 20% della spesa complessiva per istruzione universitaria, oltre tre punti percentuali in più del dato medio dell'UE27 e più elevata di quella sostenuta in Francia (7,4%), Spagna (9,9%) e Germania (18,9%). La realtà che ha speso maggiormente per interventi a favore degli studenti è il Regno Unito con un'incidenza sulla spesa universitaria di oltre il 31%.
Dopo aver registrato un continuo aumento, nel 2009 la spesa per gli interventi di diritto allo studio per gli iscritti nelle università statali è in lieve calo ed è pari a 535.405 migliaia di euro. Il Veneto assorbe il 5,8% del totale nazionale, per una spesa per iscritto in corso di 432 euro, inferiore al dato italiano pari a 498 euro. (Figura 4.2.3)
La principale forma di intervento di sostegno alle famiglie per mantenere il proprio figlio all'università rimane la borsa di studio che assorbe circa il 76% delle risorse destinate ai sussidi. Nella graduatoria regionale per la quantità di denaro assegnata per beneficiario, emerge che in Emilia Romagna si offrono le borse più vantaggiose (oltre 3.700 euro ciascuna borsa nel 2009). Meno rimunerativa quella veneta che si assesta intorno ai 2.600 euro per beneficiario.
Sebbene, poi, appena poco più della metà delle domande di borsa di studio ai corsi di laurea è soddisfatta nella nostra regione, fortunatamente la quota di borse erogate rispetto a quelle richieste è in aumento: in soli due anni si passa, infatti, dal 41,8% (2007/08) al 51,2% (2009/10). La migliore performance se l'aggiudica la Liguria che soddisfa la richiesta degli studenti praticamente in modo esaustivo, mentre in Campania ottengono questo sussidio solo il 30% fra tutti quelli che ne hanno fatto richiesta. (Figura 4.2.4)
E' poi fondamentale per una famiglia e per il ragazzo appena diplomato che vuole proseguire gli studi universitari, soprattutto se la sede del corso scelto dista molto da casa, avere l'opportunità di trovare un alloggio a basso costo. Gli enti per il diritto allo studio regionali, e in misura minore gli atenei stessi, mettono a disposizione degli studenti alloggi e servizi di ristorazione.
Negli ultimi cinque anni, in Italia, il numero di posti-alloggio gestiti dagli enti regionali è in continua crescita e nell'anno accademico 2010/11 le residenze offerte dagli enti, insieme a quelle gestite dagli atenei, raggiungono le 42.420 unità, corrispondenti a 24 posti disponibili ogni mille iscritti. Tra le regioni c'è una notevole variabilità: si passa dalla Campania e dall'Abruzzo dove si registrano appena 4 posti-alloggio ogni 1.000 iscritti alla Provincia Autonoma di Bolzano dove il valore di tale indicatore raggiunge il massimo, ovvero 242; il Veneto si pone al di sopra della media nazionale con un'offerta di 30 posti-alloggio.
Nel 2009/10, nel nostro Paese, il 60% delle domande di alloggio e di contributi per gli affitti viene soddisfatto, in aumento di oltre tre punti percentuali rispetto a due anni prima. Anche in questo caso si registra una considerevole variabilità a livello regionale: in Molise è stato soddisfatto il 96,7% delle richieste, in Piemonte il 94,7%, mentre nel Lazio sono state accontentate solamente il 27,4% delle domande. Buona poi la performance in Veneto con una quota di posti assegnati su quelli richiesti pari al 72,5%, oltre un punto percentuale in più del 2007/08. (Figura 4.2.5)
Un sistema più efficiente con meno sedi decentrate...
Se si condivide l'idea che il vero diritto allo studio consiste nell'offrire agli studenti "capaci e meritevoli" l'opportunità di frequentare l'università più adatta alle loro capacità ed inclinazioni, anche se distante da casa, ciò significa investire significativamente nelle borse di studio e nelle strutture di accoglienza degli studenti fuori-sede. Di conseguenza è auspicabile ridurre significativamente il numero delle sedi universitarie distaccate e reinvestire le risorse risparmiate per sostenere la mobilità degli studenti a sostegno di un reale diritto allo studio.
Difatti, uno degli elementi di criticità, secondo la nuova riforma, che mina all'efficienza del sistema universitario italiano, è legato alla proliferazione delle sedi universitarie. Nel corso degli ultimi due decenni, si è assistito ad una corsa allo sviluppo di piccole sedi universitarie, disperse sul territorio, spesso non valutando attentamente il rapporto costi/benefici e l'offerta reale di opportunità di formazione degli studenti.
In Italia il numero di comuni che ospitano almeno un corso di studi cresce da 217 del 2003/04 a 251 del 2006/07, per poi successivamente diminuire e contarne 222 nel 2010/11, 6 sedi in meno rispetto all'anno precedente e 20 in meno rispetto al 2008/09. In particolare, la diminuzione riguarda i comuni sedi decentrate dove sono stati attivati corsi di laurea di primo livello.
Di questi 222 comuni sede di almeno un corso di studi, il 25,7% sono sede centrale di un'università, il 15,8% sedi di facoltà (non in sede di ateneo) e il 58,6% sedi decentrate, di cui però in una cospicua parte ci sono solo iniziative formative relative alle professioni sanitarie svolte in convenzione con il Servizio sanitario nazionale e ad accesso programmato a livello nazionale. (Figura 4.2.6)
In Veneto si contano 18 comuni sede di almeno un corso di studi, di cui oltre la metà sono sedi decentrate e tre sono in via di esaurimento. In dettaglio, le sedi in prospettiva di esaurimento si trovano per lo più nel Sud, in particolare nelle Isole e in Calabria.
...e razionalizzando i corsi di laurea
Ma per un sistema più efficiente e di qualità, come si evince dalla riforma, è indubbiamente fondamentale anche la razionalizzazione dei corsi di laurea. La logica è quella di passare dalla proliferazione dei corsi, avvenuta con il Decreto Ministeriale 509/99 (Nota 4) e il passaggio al modello 3+2, a una reale valutazione delle esigenze degli studenti e del mondo del lavoro, facendo attenzione alla progettazione di un'offerta formativa attenta ai risultati di apprendimento e ai fabbisogni occupazionali del territorio.
Tale processo di revisione dei corsi di studio sta dando già i primi frutti e il numero dei corsi attivi (Nota 5) presenti sul territorio nazionale diminuisce, soprattutto per la contrazione dei percorsi triennali. In dettaglio, nel 2009/10 sono stati attivati 5.281 corsi, il 4% in meno dell'anno precedente, di cui il 51% appartengono alle classi di laurea, il 43% alla laurea specialistica o magistrale e il 5,3% alla laurea a ciclo unico; a questi devono aggiungersi 28 corsi del vecchio ordinamento, in via di esaurimento, che rappresentano lo 0,5% del totale. In Veneto si contano 322 corsi, oltre il 10% in meno del 2004/05, mentre Lazio e Lombardia si confermano le regioni con l'offerta formativa più ampia.

Figura 4.2.1

Percentuale di immatricolati che hanno scelto un corso di studio scientifico-tecnologico sul totale degli immatricolati per regione - Anni 2002/03 e 2009/10

Figura 4.2.2

Tasse e contributi a carico degli studenti nelle università statali (euro per iscritto) per regione - Anni 2004 e 2009 e variazione % 2009/2004 (dimensione bolla)

Figura 4.2.3

Spesa per borse di studio per gli iscritti alle università statali (euro per beneficiario). Veneto e Italia - Anni 2003:2009

Figura 4.2.4

Percentuale di borse di studio erogate sulle borse richieste. Graduatoria regionale - Anni accademici 2008/09 e 2009/10

Figura 4.2.5

Domande di alloggio soddisfatte: percentuale di posti assegnati su quelli richiesti (*) - Anni accademici 2007/8 e 2009/10

Figura 4.2.6

Distribuzione territoriale delle sedi universitarie italiane e comuni con almeno un corso di studi attivo per regione - Anno accademico 2009/10
 
Inizio Pagina

4.3 - L'istruzione terziaria, strumento per la competitività internazionale

La ricerca universitaria...elemento cruciale per poter evolvere
Ma se per rilanciare l'economia del Paese è imprescindibile investire nell'educazione, non si può non parlare di ricerca. Ricerca, innovazione, competitività e cultura sono il motore dello sviluppo e ciò è visibile anche dal fatto che i Paesi che maggiormente investono in questo raccolgono i risultati migliori.
Un contributo molto importante è dato dall'Università: nel moderno scenario evolutivo della ricerca, le università si trovano in posizione cruciale rispetto alle ricadute sullo sviluppo territoriale. Investire nella ricerca universitaria, migliorare la qualità di essa, rendere più efficiente ed efficace l'organizzazione, sviluppare la cooperazione con imprese e istituzioni del territorio e accedere a nuove fonti di finanziamento, è sicuramente una linea strategica per lo sviluppo del Paese e della sua competitività internazionale.
Nel 2009 la spesa per Ricerca e Sviluppo (R&S) delle università italiane ammonta a circa 5.812 milioni di euro, il 4,7% in meno dell'anno precedente, ma superiore di oltre il 23% del dato registrato nel 2005. In Veneto si rileva una spesa di oltre 394.000 migliaia di euro, il 6,8% del totale nazionale, in crescita rispetto al 2008 di circa il 2% e del 35,5% rispetto a quattro anni prima, il quarto valore più alto nella graduatoria regionale. (Figura 4.3.1)
Oltre un quarto della spesa per la ricerca universitaria si concentra in due regioni: Lombardia e Lazio, ma è in Calabria e in Sardegna che le risorse impiegate dalle università risultano più elevate rispetto alla spesa totale regionale in R&S (in Calabria il 79,7%, Sardegna 73,1%), segnale che in queste due regioni gli investimenti del mondo imprenditoriale sono presenti in maniera marginale contrariamente a quanto, invece, ci si auspica con l'obiettivo di Lisbona che, entro il 2010, i due terzi della spesa in R&S sia investita dalle imprese. Viceversa, i valori più bassi di tale quota, registrati nelle regioni del Nord, dimostrano che l'attività di ricerca si svolge principalmente fuori dalle università (in Veneto è pari al 25,8%).
Rispetto ai Paesi che si prestano ad un confronto significativo, l'Italia registra dopo il Portogallo il maggior contributo all'attività di ricerca universitaria sul totale nazionale della spesa per R&S. Tale rapporto si attesta, infatti, nel 2008 intorno al 32%, superiore alla media dell'UE27 pari al 23,1% e al di sopra dei dati registrati in Spagna, Francia e Germania pari, rispettivamente, al 26,7%, 19,7% e 16,2%.
Più innovazione trattenendo e attraendo i dottori di ricerca
Un contributo forte alla competitività e allo sviluppo futuro del Paese è dato anche dai dottori di ricerca. Il dottorato costituisce il grado più alto di specializzazione offerto dalle università, sia per chi intende dedicarsi alla ricerca sia per chi desidera entrare nel mondo produttivo, dotato di competenze e capacità progettuali e di ricerca di particolare peso.
Nei Paesi che primeggiano nella competizione internazionale le aziende utilizzano e finanziano generosamente i dottorati di ricerca quale straordinaria opportunità per innovare e crescere; per reclutare i migliori talenti e investire sulle competenze di eccellenza richieste dai nuovi mercati del lavoro. In Italia, invece, il dottore di ricerca è per lo più inserito nella carriera accademica. Va da sé che, come del resto è sottolineato anche nel Piano di azione per l'occupabilità dei giovani - Italia 2020 -, è sempre più necessario impiegare questi specialisti anche a sostegno della ricerca nel settore privato e formare figure professionali strategiche per le imprese. Certo è ovvio che, prima ancora, è fondamentale offrire loro degne opportunità, evitando quindi il rischio della fuga dei cervelli.
Secondo l'indagine Istat sull'inserimento professionale nel 2009 dei dottori di ricerca che hanno conseguito il titolo di studio cinque e tre anni prima, ovvero nel 2004 e nel 2006, è possibile valutare la capacità di trattenimento e l'attrattività di ogni regione. Infatti, il confronto tra la regione di residenza prima dell'iscrizione all'università e quella in cui vivono abitualmente i dottori di ricerca al momento dell'intervista consente di studiare le migrazioni sia all'interno del Paese sia verso l'estero.
La regione italiana con la maggiore capacità di trattenimento, misurata attraverso la quota di dottori di ricerca residenti in una regione prima dell'iscrizione all'università che nel 2009 vivono abitualmente in quella stessa regione, è il Lazio con quasi l'85%; supera l'80% anche in Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Sardegna, mentre in Basilicata e Valle d'Aosta (Nota 6) più del 50% sono emigrati in un'altra regione. Il Veneto si posiziona a metà classifica con una percentuale del 74,5%. (Figura 4.3.2)
Le regioni settentrionali presentano anche le più elevate quote di spostamenti verso l'estero: in particolare, il Veneto è la terza regione con il valore più alto, 9,5%, mentre in Calabria non supera neppure il 3%. Buona, però, la performance della nostra regione per quanto riguarda la capacità attrattiva data dalla quota di dottori che, prima dell'iscrizione all'università, risiedevano in altre regioni: oltre il 27% si sono spostati in Veneto per trovare lavoro; al top il Trentino-Alto Adige che, nonostante una contenuta capacità di trattenimento, registra un indice del 51%. Attrattive anche l'Emilia-Romagna (31,3%), la Lombardia (28,1%), la Toscana (26,9%), il Lazio (24,9%) e il Piemonte (24,3%).
Le nostre università nel contesto internazionale
Ma come sono le nostre università rispetto alle altre?
Per poter valutare e confrontare le università, sia a livello internazionale sia nazionale, vengono stilate diverse classifiche, ognuna delle quali utilizza un differente sistema di parametri e quindi con risultati che possono diversificarsi un po'. Utilizziamo quindi i dati disponibili per ricavare da queste classifiche la valutazione complessiva dei sistemi universitari, piuttosto che il posizionamento in graduatoria delle singole università.
Prendiamo in considerazione dapprima il nostro sistema universitario così come appare esaminando la classifica internazionale prodotta dal QS World University Ranking che definisce le 500 migliori università del mondo. Le università vengono valutate sulla base di sei indicatori, relativi alla valutazione dei pari, alla valutazione dei datori di lavoro, alla presenza di studenti e docenti stranieri, alle pubblicazioni - pesate in base al numero di citazioni- e al rapporto tra studenti e docenti (Nota 7).
Nel 2010 ben 15 tra le prime 500 università al mondo sono italiane, anche se la prima università nella classifica è Bologna e occupa la 176-esima posizione; seguono l'Università Sapienza di Roma (190-esima) e l'Università di Padova (261-esima).
Ma ciò che è interessante e importante far presente, come dichiarato nell'Undicesimo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario (Nota 8), è che queste 15 università italiane rappresentano, complessivamente, quasi il 42% del sistema universitario nazionale in termini di studenti e il 46,5% in termini di docenti.
Vi è poi l'indice di Shanghai che valuta la qualità delle università tenendo conto di diversi indicatori di performance di eccellenza come il numero di alunni o docenti che hanno vinto il Premio Nobel o la Medaglia Fields, gli articoli pubblicati, le citazioni nelle migliori riviste etc...; con questa metodologia nel 2011 l'Università di Pisa e La Sapienza di Roma si piazzano nel gruppo che va dalla posizione 101 alla 150, mentre l'Università di Milano e quella di Padova nel gruppo che va dalla 151ª alla 200ª. (Tabella 4.3.1)
Infine, vale la pena di citare il Taiwan ranking, che a differenza degli altri si basa esclusivamente su indicatori di produttività e di impatto scientifico e si concentra quindi solo sulla performance scientifica delle università, rappresentando perciò forse meglio quelle italiane: infatti, ben 29 si posizionano fra le prime 500 del mondo contro le 22 del ranking di Shanghai. Con questo indice risulta meglio anche l'Università di Padova, seconda per migliore performance tra le università italiane e 104esima nel mondo.
La buona performance di Padova a livello nazionale
A livello nazionale, poi, viene stilata la classifica del Censis sui migliori atenei. Ad ogni università viene assegnato un punteggio compreso fra 66 e 110 sulla base di cinque parametri: servizi offerti dall'ateneo, spesa per borse di studio e altri interventi a sostegno degli studenti, strutture, Web e internazionalizzazione.
Per una maggiore precisione vengono stilate graduatorie diverse sulla base delle dimensioni e della tipologia degli atenei statali, risultando quindi cinque categorie: i mega atenei che hanno oltre 40.000 iscritti, i grandi atenei con 20-40mila iscritti, i medi con 10-20mila iscrizioni, i piccoli con meno di 10mila studenti e i politecnici.
Per quanto riguarda i nostri atenei veneti, nel 2011 Padova si posiziona la seconda migliore in Italia tra i mega atenei statali e Venezia Iuav la terza tra i politecnici.
Vengono, poi, analizzate anche le migliori facoltà, le quali non sempre si trovano nei migliori atenei, prendendo in considerazione il livello della didattica, la produttività (quota di studenti che riescono a portare a termine gli studi nei tempi previsti dal corso di laurea), il livello della ricerca e i rapporti internazionali.
Da ciò ne emerge che se pensate di iscrivervi a Medicina, la migliore università statale italiana è quella di Padova. Padova conquista il primato anche per le facoltà di Veterinaria, Economia e Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali 1° ciclo (3 anni), seconda in Italia per quella di Farmacia e terza per Lettere e Psicologia. Buona anche la performance di Verona, terza in Scienze Motorie e Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali 2° ciclo, ma bene anche Venezia con la terza posizione per la facoltà di Lingue e lo Iuav, terza per Architettura. (Tabella 4.3.2)

Figura 4.3.1

Spesa per R&S intra-muros (*) delle università e percentuale di essa sul totale della spesa in R&S (dimensione della bolla) per regione - Anno 2009 (migliaia di euro) e variazione % 2009/2005

Figura 4.3.2

Dottori di ricerca: capacità di trattenimento, attrattività da altre regioni e mobilità verso altri Paesi (*) - Anno 2009

Tabella 4.3.1

Rankings internazionali: prime posizioni delle università italiane - Anno 2011

Tabella 4.3.2

Classifica Censis per facoltà in atenei statali - Anno 2011