Se al capitale umano è affidato e riconosciuto il ruolo fondamentale come fattore di competitività per lo sviluppo, l'Università occupa uno spazio importante nel disegnare e nel formare competenze che sappiano accompagnare un nuovo percorso di crescita.
In questo scenario si inserisce la riforma del sistema universitario italiano entrata in vigore nel gennaio 2011
(Nota 1), che mira a evitare gli sprechi, di soldi e di risorse, nelle università e punta ad una governance secondo criteri meritocratici e di trasparenza.
Secondo il già Ministro Gelmini, "il piano di programmazione triennale 2010-2012 prevede la fine dei corsi di laurea inutili, delle sedi distaccate non necessarie, dei dottorati con un basso numero di iscritti, più rigore nella valutazione delle università telematiche e la valorizzazione dei corsi di laurea nelle materie scientifiche e tecnologiche". E con i risparmi che si andranno ad attuare, si potrà destinare "maggiori risorse agli studenti meritevoli ma con difficoltà economiche, supportandoli nel completamento del loro percorso universitario."
(Nota 2)
In breve, più qualità, meritocrazia, responsabilità, valutazione e premialità.
L'università italiana è da decenni oggetto di un profondo mutamento: dai 288.000 studenti iscritti a inizio degli anni '60 si è passati al 1.048.000 nel 1980/81 e 1.800.000 nel 2009/2010. Anche la partecipazione al sistema universitario veneto è in crescita: rispetto al 2000/01, nel 2009/10 il numero di ragazzi che si immatricolano in atenei veneti cresce di quasi 16 punti percentuali, arrivando a contare quasi 19.000 nuovi iscritti, in particolare nell'ateneo padovano. Più alta, poi, anche l'attrattività dei nostri atenei da parte degli stranieri: la quota di questi studenti passa dal 3,1% del 2004/05 al 3,9% del 2008/09; l'Albania è il paese più rappresentato, il 25% del totale iscritti stranieri, seguita a larga distanza da Romania, 8,3%, e Croazia, 6,8%.
Il tasso di passaggio dalla scuola secondaria superiore all'università
(Nota 3) è in aumento rispetto all'anno precedente, ma ancora distante dai livelli registrati all'inizio del duemila: infatti, dal 72,3% in Italia e 69% in Veneto registrato nell'anno accademico 2003/04 si passa, rispettivamente, nel 2009/2010 al 63,3% e 63,6%; c'è quindi molto da lavorare per raggiungere l'obiettivo europeo fissato, ovvero di innalzare la quota di giovani 30-34enni laureati ad almeno il 40% nei prossimi dieci anni: nel 2010 la percentuale veneta è pari al 18,6% contro il dato dell'UE27 del 33,6%.
Inoltre, tra le misure più necessarie, rimane il rilancio delle facoltà scientifiche e tecnologiche, da sempre sinonimo di nuove opportunità, innovazione e competitività, ma ancora poco scelte dai giovani diplomati italiani, sebbene il fenomeno sia in crescita: in Italia nel 2009/10 il 26,8% degli immatricolati prediligono gli studi scientifici-tecnologici contro il 24,2% del 2002/03. Tra le migliori, la situazione in Veneto dove queste competenze vengono scelte dal 28,4% dei ragazzi, oltre tre punti e mezzo percentuali in più di sette anni prima; al top il Friuli Venezia Giulia con il 30,3%, in coda il Trentino Alto Adige (19%).
(Figura 4.2.1)
Ma il cambiamento fondamentale sta in un nuovo e più integrato rapporto tra sistema formativo e mondo del lavoro che impone, dunque, una riflessione delicata anche sul tema della mobilità degli studenti universitari.
Alla mobilità degli studenti si frappongono spesso ostacoli di natura culturale, ma anche gravi difficoltà logistiche e finanziarie. Occorre quindi investire sulla mobilità superando la logica della moltiplicazione delle sedi e offrendo una reale possibilità di scelta, ampliando la disponibilità di borse di studio e residenze legate al merito e predisponendo strumenti di finanziamento agli studenti che vogliono investire sul proprio futuro.
La spesa per l'istruzione universitaria: in aumento, ma ancora lontana dai target europei
La spesa per l'istruzione universitaria nel 2008 raggiunge complessivamente 19.542 milioni di euro, il 7,4% in più dell'anno prima in termini reali, e la quota del PIL destinata al sistema universitario aumenta dallo 0,76% del 2005 allo 0,84% del 2008. In crescita anche l'incidenza della spesa per l'istruzione universitaria sul complesso della spesa pubblica che nello stesso arco temporale passa dall'1,56% all'1,69%. Nonostante ciò, a parità di potere d'acquisto, in Italia si spendono mediamente poco più di 7.200 euro per studente, quasi 2.200 euro in meno rispetto al dato medio dell'UE27 e inferiore anche al dato francese e tedesco (rispettivamente, 11.574 e 12.649).
In Italia le risorse umane rappresentano la principale voce di uscita degli atenei: nel 2009, nelle università statali, circa il 65% delle risorse è stato speso per il personale, di cui il 41,5% per quello docente.
Anche gli studenti contribuiscono al finanziamento delle università attraverso il pagamento di tasse e contributi, misurati in base alle condizioni economiche personali e al tipo di corso di studio scelto.
Nel 2009 le famiglie hanno contribuito al finanziamento delle università statali italiane con oltre 1,6 miliardi di euro e con 536 milioni di euro per quelle non statali, rispettivamente il 20% e il 41% in più del 2005.
La contribuzione media per iscritto risulta più elevata nelle regioni del Nord, regioni del resto dove i redditi familiari sono più alti. Nel 2009, con riferimento agli atenei statali, la regione dove gli studenti spendono di più per le tasse e i contributi universitari è il Veneto (1.381 euro), 230 euro in più di due anni prima, seguito da Lombardia ed Emilia Romagna (rispettivamente 1.324 e 1.285 euro). Decisamente più bassa la spesa nelle regioni meridionali, dove i redditi delle famiglie sono più bassi: in Puglia e in Calabria non supera i 550 euro. La spesa più bassa si registra in Abruzzo (432 euro contro i 623 del 2007), quota che risente però dell'esonero dal pagamento delle tasse per il prossimo triennio degli studenti dell'Università degli Studi dell'Aquila, in seguito al sisma avvenuto in aprile.
(Figura 4.2.2)
Inoltre, nell'a.a. 2009/10 quasi il 29% degli studenti in corso degli atenei statali è esonerato totalmente o parzialmente dalle tasse universitarie: nel Nord-Ovest tale percentuale scende al 18%, nel Nord-Est si attesta al 22,6%, mentre nel Mezzogiorno raggiunge il 43,3%; ma anche tale quota risente dell'esonero degli studenti dell'Università degli Studi dell'Aquila.
Più sostegno e opportunità agli studenti per più alti livelli di istruzione
Per innalzare i livelli di capitale umano gioca un ruolo fondamentale il sostegno agli studenti e alle loro famiglie attraverso aiuti finanziari diretti per supportare i costi di mantenimento e di iscrizione (come borse di studio e prestiti), contributi monetari o in forma di servizi che rispondono a specifici bisogni (come gli alloggi o i servizi di trasporto) e concessioni alle famiglie (assegni familiari e detrazioni dalle tasse). Certamente offrire servizi agli studenti di qualità possono contrastare l'irregolarità degli studi; viceversa, l'assenza di servizi di supporto può accelerare la decisione di abbandonare i corsi.
Nel confronto con alcuni Paesi europei, tra i quali esiste comunque una difformità nella regolamentazione degli accessi allo studio universitario e negli strumenti utilizzati per l'aiuto alle famiglie non trascurabile, in Italia nel 2008 la spesa per supportare i costi degli studenti universitari è stata pari al 20% della spesa complessiva per istruzione universitaria, oltre tre punti percentuali in più del dato medio dell'UE27 e più elevata di quella sostenuta in Francia (7,4%), Spagna (9,9%) e Germania (18,9%). La realtà che ha speso maggiormente per interventi a favore degli studenti è il Regno Unito con un'incidenza sulla spesa universitaria di oltre il 31%.
Dopo aver registrato un continuo aumento, nel 2009 la spesa per gli interventi di diritto allo studio per gli iscritti nelle università statali è in lieve calo ed è pari a 535.405 migliaia di euro. Il Veneto assorbe il 5,8% del totale nazionale, per una spesa per iscritto in corso di 432 euro, inferiore al dato italiano pari a 498 euro.
(Figura 4.2.3)
La principale forma di intervento di sostegno alle famiglie per mantenere il proprio figlio all'università rimane la borsa di studio che assorbe circa il 76% delle risorse destinate ai sussidi. Nella graduatoria regionale per la quantità di denaro assegnata per beneficiario, emerge che in Emilia Romagna si offrono le borse più vantaggiose (oltre 3.700 euro ciascuna borsa nel 2009). Meno rimunerativa quella veneta che si assesta intorno ai 2.600 euro per beneficiario.
Sebbene, poi, appena poco più della metà delle domande di borsa di studio ai corsi di laurea è soddisfatta nella nostra regione, fortunatamente la quota di borse erogate rispetto a quelle richieste è in aumento: in soli due anni si passa, infatti, dal 41,8% (2007/08) al 51,2% (2009/10). La migliore performance se l'aggiudica la Liguria che soddisfa la richiesta degli studenti praticamente in modo esaustivo, mentre in Campania ottengono questo sussidio solo il 30% fra tutti quelli che ne hanno fatto richiesta.
(Figura 4.2.4)
E' poi fondamentale per una famiglia e per il ragazzo appena diplomato che vuole proseguire gli studi universitari, soprattutto se la sede del corso scelto dista molto da casa, avere l'opportunità di trovare un alloggio a basso costo. Gli enti per il diritto allo studio regionali, e in misura minore gli atenei stessi, mettono a disposizione degli studenti alloggi e servizi di ristorazione.
Negli ultimi cinque anni, in Italia, il numero di posti-alloggio gestiti dagli enti regionali è in continua crescita e nell'anno accademico 2010/11 le residenze offerte dagli enti, insieme a quelle gestite dagli atenei, raggiungono le 42.420 unità, corrispondenti a 24 posti disponibili ogni mille iscritti. Tra le regioni c'è una notevole variabilità: si passa dalla Campania e dall'Abruzzo dove si registrano appena 4 posti-alloggio ogni 1.000 iscritti alla Provincia Autonoma di Bolzano dove il valore di tale indicatore raggiunge il massimo, ovvero 242; il Veneto si pone al di sopra della media nazionale con un'offerta di 30 posti-alloggio.
Nel 2009/10, nel nostro Paese, il 60% delle domande di alloggio e di contributi per gli affitti viene soddisfatto, in aumento di oltre tre punti percentuali rispetto a due anni prima. Anche in questo caso si registra una considerevole variabilità a livello regionale: in Molise è stato soddisfatto il 96,7% delle richieste, in Piemonte il 94,7%, mentre nel Lazio sono state accontentate solamente il 27,4% delle domande. Buona poi la performance in Veneto con una quota di posti assegnati su quelli richiesti pari al 72,5%, oltre un punto percentuale in più del 2007/08.
(Figura 4.2.5)
Un sistema più efficiente con meno sedi decentrate...
Se si condivide l'idea che il vero diritto allo studio consiste nell'offrire agli studenti "capaci e meritevoli" l'opportunità di frequentare l'università più adatta alle loro capacità ed inclinazioni, anche se distante da casa, ciò significa investire significativamente nelle borse di studio e nelle strutture di accoglienza degli studenti fuori-sede. Di conseguenza è auspicabile ridurre significativamente il numero delle sedi universitarie distaccate e reinvestire le risorse risparmiate per sostenere la mobilità degli studenti a sostegno di un reale diritto allo studio.
Difatti, uno degli elementi di criticità, secondo la nuova riforma, che mina all'efficienza del sistema universitario italiano, è legato alla proliferazione delle sedi universitarie. Nel corso degli ultimi due decenni, si è assistito ad una corsa allo sviluppo di piccole sedi universitarie, disperse sul territorio, spesso non valutando attentamente il rapporto costi/benefici e l'offerta reale di opportunità di formazione degli studenti.
In Italia il numero di comuni che ospitano almeno un corso di studi cresce da 217 del 2003/04 a 251 del 2006/07, per poi successivamente diminuire e contarne 222 nel 2010/11, 6 sedi in meno rispetto all'anno precedente e 20 in meno rispetto al 2008/09. In particolare, la diminuzione riguarda i comuni sedi decentrate dove sono stati attivati corsi di laurea di primo livello.
Di questi 222 comuni sede di almeno un corso di studi, il 25,7% sono sede centrale di un'università, il 15,8% sedi di facoltà (non in sede di ateneo) e il 58,6% sedi decentrate, di cui però in una cospicua parte ci sono solo iniziative formative relative alle professioni sanitarie svolte in convenzione con il Servizio sanitario nazionale e ad accesso programmato a livello nazionale.
(Figura 4.2.6)
In Veneto si contano 18 comuni sede di almeno un corso di studi, di cui oltre la metà sono sedi decentrate e tre sono in via di esaurimento. In dettaglio, le sedi in prospettiva di esaurimento si trovano per lo più nel Sud, in particolare nelle Isole e in Calabria.
...e razionalizzando i corsi di laurea
Ma per un sistema più efficiente e di qualità, come si evince dalla riforma, è indubbiamente fondamentale anche la razionalizzazione dei corsi di laurea. La logica è quella di passare dalla proliferazione dei corsi, avvenuta con il Decreto Ministeriale 509/99
(Nota 4) e il passaggio al modello 3+2, a una reale valutazione delle esigenze degli studenti e del mondo del lavoro, facendo attenzione alla progettazione di un'offerta formativa attenta ai risultati di apprendimento e ai fabbisogni occupazionali del territorio.
Tale processo di revisione dei corsi di studio sta dando già i primi frutti e il numero dei corsi attivi
(Nota 5) presenti sul territorio nazionale diminuisce, soprattutto per la contrazione dei percorsi triennali. In dettaglio, nel 2009/10 sono stati attivati 5.281 corsi, il 4% in meno dell'anno precedente, di cui il 51% appartengono alle classi di laurea, il 43% alla laurea specialistica o magistrale e il 5,3% alla laurea a ciclo unico; a questi devono aggiungersi 28 corsi del vecchio ordinamento, in via di esaurimento, che rappresentano lo 0,5% del totale. In Veneto si contano 322 corsi, oltre il 10% in meno del 2004/05, mentre Lazio e Lombardia si confermano le regioni con l'offerta formativa più ampia.