U.O. Sistema Statistico Regionale U.O. Sistema Statistico Regionale
Capitolo 16

L'ambiente: un'opportunità per lo sviluppo

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16.1 - Lo scenario internazionale

Lo scorso 11 dicembre 2011, si è conclusa a Durban, Sudafrica, la 17a Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e i cambiamenti climatici. Tra gli scopi principali della Conferenza c'erano la definizione degli obiettivi "dopo Protocollo di Kyoto", la cui valenza scade proprio nel 2012 e la discussione su misure efficaci per contrastare gli effetti nocivi delle emissioni di gas serra e il surriscaldamento della terra.
In quella sede sono state adottate diverse decisioni: in particolare si è adottata la cosiddetta Piattaforma di Durban, ovvero un documento che prevede l'avvio di un processo negoziale per la definizione di un trattato internazionale (che potrebbe essere un protocollo, o un altro strumento giuridico, o un altro strumento attuativo ma con valore legale), valido per tutti i paesi UNFCCC (Nota 1) (194 Paesi).
Questo processo è suddiviso in due fasi. Nella prima, che terminerà nel 2015, sarà redatta e messa a punto la bozza del trattato che sarà "adottato" nell'assemblea plenaria della ventunesima Conferenza delle Parti (COP-21) alla fine del 2015.
Nella seconda fase il trattato "adottato" sarà aperto alla sottoscrizione e alle ratifiche nazionali secondo le procedure ONU in modo che possa entrare in vigore nel 2020. Oltre alla piattaforma Durban si è dato il via alle procedure per prolungare la validità del Protocollo di Kyoto oltre la scadenza del 2012, fino al 2017 o al 2020, in conformità con le decisioni che saranno prese successivamente, in relazione sia all'entità e alla natura degli impegni volontari che i singoli Paesi si dichiareranno disposti ad assumere, sia alle necessità di coordinamento e di integrazione con il processo stabilito dalla piattaforma di Durban stessa. E' stato inoltre dato l'avvio operativo al "Green Climate Fund" come Istituzione Finanziaria della UNFCCC con autonoma personalità giuridica, la cui sede e i cui successivi programmi di dettaglio per il suo funzionamento operativo dovranno essere decisi alla prossima Conferenza delle Parti (Cop-18) alla fine del 2012 in Quatar. Si sono infine definiti gli strumenti e i meccanismi necessari a rendere operativa sia la fase di transizione (2013-2020) in cui sarà operante il solo protocollo di Kyoto emendato e prorogato, sia il futuro funzionamento del trattato internazionale quando entrerà in vigore nel 2020. Tra questi strumenti sono di particolare rilevanza le regole e i meccanismi per la lotta contro la deforestazione e il degrado del suolo (REDD+ (Nota 2)), le modalità di preparazione e di attuazione dei "piani di adattamento" nei Paesi in via di sviluppo, il meccanismo di trasferimento tecnologico e di "capacity building", le relative norme di "governance" e di gestione, i meccanismi finanziari e le loro modalità di amministrazione e gestione, ecc.
Molto positivi sono alcuni aspetti emersi dalla conferenza di Durban quali il coinvolgimento di tutti i paesi compresi quelli più riluttanti come USA, Cina e India e il loro impegno su un quadro legalmente vincolante per ridurre le proprie emissioni; egualmente importante è l'aver aperto il protocollo di Kyoto ad obblighi volontari e legalmente vincolanti per i Paesi industrializzati e ad obblighi volontari ma non legalmente vincolanti per i Paesi in via di sviluppo, precedentemente non coinvolti. Accanto alle luci, ci sono anche delle ombre: in particolare non sono state definite in modo dettagliato le azioni da intraprendere per la riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra e per il contenimento del surriscaldamento del pianeta entro i 2°C rispetto all'epoca preindustriale. Altro elemento di possibile criticità è rappresentato dal fatto che gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni globali di circa l'80% entro il 2050 rispetto al 1990 possano essere condizionati da una fase transitoria lunga ben 9 anni prima che gli impegni stessi diventino giuridicamente vincolanti per tutti. Questo comporta che, se prima del 2020 non ci saranno impegni volontari molto ambiziosi dei paesi industrializzati (riduzione di circa il 40% rispetto al 1990) ed efficaci riduzioni dell'intensità carbonica dei paesi in via di sviluppo emergenti, rimarrà alto il rischio di fallimento dell'obiettivo del mantenimento del surriscaldamento climatico al di sotto dei 2 °C. In ogni caso, nelle decisioni prese a Durban è prevista una verifica del percorso, o dei possibili percorsi, di riduzione delle emissioni globali per raggiungere l'obiettivo dei 2°C, quando saranno disponibili le nuove valutazioni di IPCC (Nota 3) previste per il 2013 e comunque prima del 2015. A meno che nel prossimo decennio non accada una rivoluzione tale da portare il mondo a svincolarsi dai combustibili fossili, il tempo eccessivamente prolungato previsto dalla piattaforma di Durban, non giocherà certamente a favore.
 
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16.2 - La posizione dell'Europa e dell'Italia

La UE da parte sua è già da tempo molto attiva nelle azioni di contenimento degli effetti clima alteranti. All'interno dell'Unione si è capito da tempo come le questioni ambientali e quelle energetiche siano strettamente legate tra loro. In quest'ottica è maturata una strategia autonoma per la riduzione delle emissioni di sostanze nocive per l'ambiente stesso. Con la Direttiva 2009/28/CE tale strategia è stata pianificata e declinata sui tre obiettivi noti come "obiettivi 20-20-20" (Nota 4). Oltre agli obiettivi e alle Direttive, gran parte dell'attività della UE si concentra anche sulla pianificazione attraverso programmi pluriennali per il finanziamento delle iniziative dei singoli stati membri, ciascuno dei quali ha contesti e realtà diverse. E' attualmente attivo il 7° Programma Quadro, valido per il periodo 2007-2013.
Tornando agli "obiettivi 20-20-20", la ripartizione degli obiettivi comuni fra i vari stati ha rappresentato un momento particolarmente delicato. Esaminando, ad esempio, l'obiettivo riguardante l'incidenza delle fonti rinnovabili sul consumo totale di energia, sono state considerate le previsioni dei consumi finali al 2020 nei diversi paesi membri dell'UE e i contributi delle fonti rinnovabili nel 2005. Per l'Italia è risultato un obiettivo del 17%, da suddividere fra le Regioni. Questa ripartizione va sotto il nome di "Burden Sharing" (Nota 5).
Se per le questioni energetiche c'è molta attività in atto, gli altri aspetti ambientali sono parimenti di assoluta attualità e sempre maggiore è l'attenzione al monitoraggio dello stato di salute del territorio in cui viviamo. Purtroppo manca ancora un'uniformità negli studi e spesso è difficile poter fare confronti tra regioni diverse. Allo stato attuale, pur riuscendo a limitare progressivamente le emissioni di sostanze dannose all'ambiente, ci vorrà del tempo affinché si possa arrestare il processo di alterazione in atto e successivamente farlo regredire.
Servono pertanto interventi su più fronti, da una parte finalizzati a invertire la rotta attuale, dall'altra a fronteggiare gli effetti di cambiamento ormai già tangibili. Su quest'ultimo fronte, che va sotto il nome di "adattamento", la Commissione Europea ha osservato che "L'adattamento è già in atto, ma in maniera frammentata. Occorre invece un approccio più strategico per garantire che le misure di adattamento necessarie siano adottate per tempo e siano efficaci e coerenti tra i vari settori e livelli di governo interessati [...]. Il rafforzamento della capacità di resilienza dell'UE agli impatti dei cambiamenti climatici è anche un'opportunità di investimento in un'economia a basse emissioni di carbonio che promuova, ad esempio, l'efficienza energetica e la diffusione di prodotti ecologici. Questo è anche uno degli obiettivi principali del piano europeo di ripresa economica, che definisce le risposte dell'UE all'attuale crisi economica e ci avvierà verso un'economia creativa, basata sulla conoscenza. Allo stesso tempo sarà possibile agevolare i cambiamenti strutturali modernizzando le infrastrutture europee e dare impulso alla competitività della nostra economia" (Nota 6).
Riguardo all'altro obiettivo ambientale, la riduzione delle emissioni di gas serra, in data 17 aprile 2012 è stato presentato dal ministro dell'Ambiente il Piano Nazionale per ridurre le emissioni al 2020 in Italia. Il nuovo target prevede una diminuzione complessiva dei gas serra del 25% entro il 2020 su scala nazionale. Le misure contenute nel Piano prevedono "l'istituzione di un catalogo di tecnologie, sistemi e prodotti per decarbonizzare l'economia italiana; l'introduzione della carbon tax (risorse a potenziamento del Fondo per Kyoto); l'efficientamento energetico, la generazione distribuita e lo sviluppo di reti intelligenti per 'smart cities'; l'eco-edilizia ed estensione fino al 2020 del credito di imposta (55%) per investimenti a bassa CO2 in economia; infine la gestione del patrimonio forestale sia come serbatoi di cattura della CO2 sia per la produzione di biomassa e biocombustibili."
Un ruolo fondamentale per la corretta attuazione delle azioni volte alla tutela dell'ambiente è svolto dallo studio e del monitoraggio della situazione attuale che deve essere reso sistematico e standardizzato tra le diverse aree. In Italia si sta lavorando in tal senso, anche se la costruzione di vere e proprie statistiche ambientali non è ancora giunta ai livelli di puntualità e dettaglio ottimali (Nota 7).
In questo capitolo si prendono in esame alcuni aspetti legati alle macroaree che caratterizzano il tema ambientale e che sono l'aria, l'acqua, i rifiuti e l'energia, facendo particolare riferimento al Veneto. Accanto a questi vengono analizzati altri fattori che caratterizzano un territorio e danno indicazioni circa la qualità della vita in esso e l'attenzione che la popolazione e le istituzioni locali riservano all'ambiente. Viene trattata anche una sezione dedicata al territorio, con particolare riferimento al problema degli incendi boschivi. Sono altresì presentati alcuni esempi di iniziative e "best practices" di enti locali e istituzioni operanti sul territorio inerenti la tutela dell'ambiente.
 
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16.3 - Monitoraggio dell'ambiente in Veneto

L'aria
La temperatura della terra è regolata da delicati equilibri. Essa viene innanzitutto mantenuta costante grazie alla radiazione del sole. Ma la sola radiazione porterebbe ad una temperatura effettiva sulla superficie terrestre pari a 255K (Nota 8). In realtà la media globale è un po' più alta, 288K, pari a 15°C, e tale fenomeno è dovuto alla presenza di gas all'interno dell'atmosfera che in parte assorbono i raggi ultravioletti (ozono) e in parte gli infrarossi (vapor acqueo e CO2 in prevalenza). In particolare la radiazione infrarossa assorbita è in piccola parte irraggiata nello spazio, il resto è invece riflesso nuovamente sulla terra. Questo fenomeno provoca il riscaldamento della terra noto come effetto serra. I gas che assorbono e riflettono sulla terra i raggi infrarossi sono i cosiddetti gas serra. Un aumento della concentrazione dei gas serra provoca un'ulteriore alterazione della temperatura media stessa e questo rappresenta una delle principali criticità ambientali dell'epoca attuale. Uno degli obiettivi principali nelle politiche ambientali è proprio il contenimento di questo effetto tramite la riduzione delle emissioni antropiche dei gas serra in atmosfera.
In questo paragrafo si è provato a tracciare l'andamento delle emissioni di gas ad effetto serra dal 1990 fino al 2005 per il territorio regionale, utilizzando i dati contenuti nella banca dati Sinanet (Nota 9). Sono state condotte due analisi, la prima sulla distribuzione delle emissioni di gas effetto serra per tipologia (Nota 10), la seconda su quella delle emissioni da parte dei singoli settori produttivi.
Da un primo esame complessivo emerge un andamento altalenante, con una contrazione nelle emissioni dal 1990 al 1995 e una successiva crescita nel 2000. Infine nel 2005, ultimo anno disponibile, una nuova contrazione che ha riportato i valori ai livelli del 1995, ovvero meno di 45 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Parallelamente, in Italia i valori di emissione hanno seguito il medesimo trend fino al 2000, però, a differenza del Veneto, hanno continuato a crescere anche nel 2005 raggiungendo il picco massimo finora registrato, pari a circa 484 milioni di tonnellate. Su scala nazionale, la serie dei dati disponibile prosegue fino al 2009, e gli anni più recenti mostrano un trend più incoraggiante registrando una decisa contrazione fino a 396 milioni di tonnellate, ovvero 88 milioni di tonnellate in meno rispetto al 2005.
Scendendo nei dettagli delle singole sostanze contaminanti, l'anidride carbonica rappresenta in Veneto l'84,5% del totale dei gas serra nel 2005, valore in linea con il resto della penisola. Il rimanente 15% circa dei gas serra è composto prevalentemente dal protossido di azoto e dal metano, rispettivamente 8,5 e 6,6%. Infine ci sono gli esafluoruri e gli alocarburi che rappresentano lo 0,5%.
Queste composizioni si modificano di poco nel tempo e le uniche piccole variazioni sono determinate da dinamiche lievemente diverse nelle emissioni delle singole sostanze. L'anidride carbonica si riduce di meno di un punto percentuale, mentre il metano e protossido di azoto segnano vistose diminuzioni, rispettivamente del 22 e del 10%. (Figura 16.3.1)
Analizzando i macrosettori e le relative emissioni di gas ad effetto serra, la produzione dell'energia e la trasformazione dei combustibili ha il maggiore impatto con quasi il 29% delle emissioni totali stesse nel 2005. A seguire la combustione non industriale e il trasporto su strada, entrambi con il 19,6%. La combustione nell'industria è responsabile dell'emissione in atmosfera dell'11% dei gas serra, mentre l'agricoltura dell'8,5%. Da notare che gli assorbimenti (LULUCF) (Nota 11) rappresentano a loro volta l'8,4% del totale delle emissioni, in pratica controbilanciano tutto il settore dell'agricoltura. (Figura 16.3.2)
Un particolare gas serra è l'ozono (O3) che, a differenza degli altri gas serra, assorbe parte dell'energia direttamente dal sole filtrando le radiazioni UV nocive per gli organismi. Esso si concentra nell'ozonosfera, ovvero la parte bassa della stratosfera a circa 25km di altitudine. La sua presenza è fondamentale per la sopravvivenza delle specie viventi. Parallelamente l'ozono è presente anche negli strati bassi dell'atmosfera come gas inquinante prodotto dalle attività antropiche. Si prende qui in considerazione la sua concentrazione in questi strati bassi quale sostanza inquinante. Il D.Lgs. 155/2010 fissa delle soglie di concentrazione di O3 nell'aria a tutela della salute delle persone. In particolare sono previste la soglia di allarme (240microg/m3), definita come il livello oltre il quale c'è rischio per la salute umana già per un breve periodo di esposizione, la soglia di informazione (180microg/m3) e l'obiettivo di lungo termine che prevede una media giornaliera sulle 8 ore non superiore a 120microg/m3.
Analizzando l'andamento della concentrazione di ozono in alcune centraline poste in zone di contesto urbano e di traffico, nel periodo dal 2007 al 2010, la situazione appare altalenante. Infatti, prendendo a riferimento la soglia di informazione (180microg/m3), il numero dei relativi superamenti è piuttosto eterogeneo e non segue un trend specifico. Questo si spiega col fatto che la concentrazione di ozono nell'aria, oltre al fattore antropico, dipende molto anche dalle condizioni climatiche, atmosferiche e di ventilazione. (Figura 16.3.3)
Altro aspetto relativo alla qualità dell'aria che respiriamo e molto discusso negli ultimi anni, è legato all'inquinamento da PM10, o polveri sottili. A tale proposito si sono qui considerate alcune centraline di rilevamento ubicate all'interno di contesti urbani e di traffico, quindi particolarmente critici rispetto al livello di inquinamento da polveri sottili.
Dai dati si può vedere come, a parte a Belluno, in tutti gli altri comuni capoluogo del Veneto, il problema del PM10 sia ancora di notevole rilevanza poiché, anche nel 2010, ovunque, il numero dei superamenti del limite giornaliero di 50microg/m3 è stato superato più delle 35 volte ammesse secondo il Decreto 2 aprile 2002, n. 60, del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio di concerto con il Ministro della Salute. Emerge comunque una situazione in miglioramento nell'ultimo quinquennio, seppure nei due anni più recenti ci sia stata una certa stabilizzazione del fenomeno.
Un notevole contributo all'accumulo delle polveri sottili viene sicuramente dagli impianti di riscaldamento domestici e dai processi industriali oltre che dal traffico veicolare. C'è però un altro fattore determinante nell'ancora elevato numero dei fenomeni superamento dei valori di concentrazione previsti dalla legge, ovvero il clima dell'area padana. La pianura, per conformazione geografica, è caratterizzata da un forte ristagno dell'aria che quindi ha un ricambio piuttosto difficoltoso. Da qui le concentrazioni di inquinanti che permangono in sospensione per tempi elevati e questo ne favorisce l'accumulo. Una nota positiva giunge osservando le concentrazioni medie annue, quasi ovunque in calo e al di sotto della soglia di 40microg/m3 previsti dal suddetto Decreto n. 60. (Figura 16.3.4), (Figura 16.3.5)
Il particolato è composto anche da polveri ancora più sottili, del diametro inferiori ai 2,5microm che vanno sotto il nome di PM2,5. Queste sostanze, grazie alla sottigliezza del loro diametro sono particolarmente dannose in quanto in grado di penetrare fino al tratto inferiore dell'apparato respiratorio. Come per il PM10 è stato posto un limite nelle concentrazioni medie annue di queste sostanze. Esso è fissato come un target, da raggiungere entro il 2015 e, in base al D.Lgs. 155/2010 consiste nel non superare il valore limite di 25microg/m3 di concentrazione media annua nell'aria. Nel 2010 la situazione vede il superamento del limite imposto dalla legge in sette punti di rilevamento su 14 a dimostrare ancora una volta l'attenzione che va posta nei confronti di questa problematica ambientale. Si può notare come le maggiori criticità siano concentrate nelle zone urbane di traffico e industriali delle grandi città. (Figura 16.3.6)
L'acqua
All'interno della Valutazione Ambientale Strategica (VAS) prevista a livello nazionale in base alla Direttiva 2001/42/CE e al D.Lgs.n. 152/2006 rientrano diversi piani e programmi di tutela ambientali. In particolare, la D.G.R. n. 2988 del 1/10/2004 fornisce un elenco dei piani e programmi regionali soggetti alla valutazione ambientale. Tra questi è compreso il Piano di Tutela delle Acque orientato all'individuazione dei mezzi per la protezione delle risorse idriche. Uno degli obiettivi da raggiungere riguarda lo stato ambientale dei corpi idrici, che dovrebbe essere almeno di livello "buono" ovunque entro il 22/12/2015 (Nota 12). Con la stessa deliberazione vengono altresì stabiliti gli interventi per migliorare la situazione dei corpi idrici stessi e salvaguardare le riserve d'acqua attraverso un loro uso equilibrato.
Gli ultimi dati relativi allo stato qualitativo delle acque dei fiumi e dei laghi mostrano una situazione in miglioramento rispetto al passato, segno che le politiche attuate a livello regionale stanno dando i loro frutti. L'indice LIMeco, introdotto dal D.M. 260/2010 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (che va a modificare quanto precedentemente stabilito dal D.Lgs. 152/2006), sintetizza il livello dell'inquinamento dei corsi d'acqua attraverso 5 classi che vanno quella "cattiva" fino a quella "elevata". Nel 2010 oltre il 50% delle stazioni di rilevamento rientra nelle due classi "buona" o "elevata", il 33% in quella "sufficiente", mentre quelle scadenti o cattive coprono complessivamente meno del 16%. (Figura 16.3.7)
Focalizzando l'attenzione a livello dei singoli bacini si osserva come la maggiore concentrazione di stazioni che registrano uno stato ecologico buono o elevato sia focalizzata sul Piave. In generale, all'interno dei singoli bacini le più altre concentrazioni di livelli almeno buoni si trovano in corrispondenza dei tratti montani o pedemontani. (Figura 16.3.8)
Relativamente ai laghi sulla base dei risultati di monitoraggio relativi al 2010, la maggioranza dei laghi bellunesi presenta un valore dell'indice pari a 2, corrispondente a Buono: Mis, Corlo e Misurina, che confermano la classificazione del quadriennio precedente, Centro Cadore e Santa Caterina, che migliorano di una classe rispetto al 2009. Due laghi risultano in classe 3 (Sufficiente): Santa Croce, come nel 2009, ed Alleghe, che mostra un miglioramento.
I laghi del Trevigiano, Santa Maria e Lago, ricadono rispettivamente nelle classi 4 (Scadente) e 2 (Buono); il primo risulta in linea con la maggioranza delle classificazioni precedenti, mentre il secondo presenta un miglioramento.
Nella provincia di Verona, il lago di Garda presenta un valore dell'indice pari a 2 in tutte le stazioni classificate.
In provincia di Vicenza, il lago di Fimon risulta in classe 2, migliorando di una classe rispetto all'anno precedente.
Nel 2010 lo stato complessivo a livello regionale può considerarsi mediamente buono. Ampliando l'analisi ad un arco temporale decennale, si osserva come tutti i principali laghi abbiano visto quantomeno il mantenimento dello stato ecologico iniziale e, nella maggior parte dei casi, questo sia anche un po' migliorato, probabilmente grazie agli interventi attuati tramite il Piano di Tutela delle Acque. (Figura 16.3.9)
Un altro aspetto legato all'acqua è quello, fondamentale, delle acque destinate all'uso potabile, e quindi alla distribuzione e consumo di tale risorsa. In Veneto il 90% delle risorse idriche distribuite tramite gli acquedotti provengono da fonti sotterranee, mentre i fiumi e i canali coprono il rimanente 10%. L'organizzazione ed erogazione del sistema idrico regionale prevede il controllo da parte delle Autorità d'Ambito Territoriale Ottimale (AATO) che affidano la gestione degli acquedotti ai diversi Enti gestori. I Servizi di Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN) delle AULSS svolgono a loro volta i controlli di qualità sulle acque erogate.
Uno dei parametri di particolare interesse ai fini del monitoraggio della qualità delle acque potabili è la presenza dei nitrati. Essi si trovano, in basse quantità, nelle acque, ma la loro concentrazione va tenuta sotto controllo poiché si tratta di sostanze dannose alla salute umana. Se la loro presenza supera determinati valori limite si è probabilmente in presenza di un inquinamento indotto dalle attività antropiche . Secondo stime dell'Organizzazione Mondiale della Salute (Nota 13) concentrazioni al di sopra dei 9 mg/l per le acque sotterranee e 18 mg/l per quelle superficiali indicano la presenza di apporti antropici.
In Veneto Arpav si occupa del monitoraggio delle acque potabili e, dal 2007, misura le concentrazioni dei nitrati in ogni comune. Sono state costruite delle classi di valori che vengono attribuite ai singoli comuni in base al risultato dei controlli.
La normativa di riferimento (D.lgs. 31/01) prevede che la concentrazione di nitrati nelle acque che fuoriescono dai rubinetti, utilizzati per il consumo umano, non debba superare i 50 mg/l.
Nel 2010, così come negli anni passati, la situazione si presenta positiva in quanto le mediane delle concentrazioni di nitrati contenuti nelle acque potabili non superano mai il livello limite previsto.
In particolare si vede come i valori si mantengano al di sotto dei 25 mg/l praticamente ovunque a parte alcuni casi isolati nelle province di Treviso, Verona e Vicenza. (Figura 16.3.10)
Analizzando il trend dal 2007 al 2010 della distribuzione dei comuni nelle varie fasce di concentrazione dei nitrati si osserva la riduzione di quelli con valori inferiori a 5 mg/l e il contemporaneo aumento dei comuni con valori compresi tra 5 e 15 mg/l. (Figura 16.3.11)
Meritano infine un accenno le acque di balneazione, per le quali la situazione nel 2010 è stata ottimale essendo risultati idonei alla balneazioni tutti i 167 punti di controllo.
I rifiuti
La salvaguardia del territorio passa anche attraverso una attenta gestione dei rifiuti, dal controllo della quantità che ne viene prodotta ai sistemi di raccolta, smaltimento e riciclo. Per questo motivo la questione dei rifiuti viene costantemente monitorata su scala europea. Fino al 2008 i dati Eurostat mostrano una continua crescita nella produzione dei rifiuti urbani. Nel 2009, per la prima volta, c'è stata un'inversione di tendenza, imputabile però alla crisi economica e al conseguente calo dei consumi. Complessivamente si sono prodotti in quell'anno 255.813.000 t di rifiuti urbani, con una riduzione dell'1,2% rispetto all'anno precedente. Rapportando il valore di produzione alla popolazione residente ne esce una media europea di 512kg per abitante all'anno nel 2009, con una situazione abbastanza eterogenea tra i diversi paesi membri dell'UE. Si va infatti dagli 831kg/ab della Danimarca ai 316 della Repubblica Ceca. L'Italia segue pressoché lo stesso trend del resto dell'Unione e la produzione per abitante è di poco superiore alla media europea attestandosi sui 532 kg/ab all'anno.
In Veneto si sono prodotte nel 2010 2.408.569 t di rifiuti urbani, valore in aumento rispetto al 2009 dell'1,6%. Da considerare però che la produzione pro capite, pur cresciuta anch'essa, si è limitata ad un +1%, raggiungendo i 488 kg/ab all'anno, e questo indica che parte dell'incremento assoluto è spiegabile con l'aumento della popolazione. Confrontando i valori regionali del 2009 con quelli nazionali ed europei, si vede come la produzione di 483 kg/ab di rifiuti urbani annui sia nettamente al di sotto della media italiana e di quella dell'UE27. Studiando la dinamica dell'ultimo decennio si conferma quanto detto poco sopra: infatti a fronte di un incremento complessivo della quantità di rifiuti prodotti pari al 12,7% dal 2000 al 2010, l'incremento, nello stesso periodo, del valore pro capite è contenuto al 3,6%.
A livello territoriale, la produzione pro capite per provincia cambia parecchio tra l'una e l'altra, registrando il picco di quasi 625 kg/ab a Venezia, legato al fenomeno turistico, e il minimo di 381 a Treviso. (Figura 16.3.12)
La regione Veneto da tempo risulta ai primi posti tra le regioni italiane per la raccolta differenziata e, nel 2009, con il 56,3% si collocava al secondo posto dopo il Trentino-Alto Adige. Nel 2010 è cresciuta ancora, raggiungendo il 58,3%, ovvero un ulteriore 2% in più. Grazie a questo valore, l'obiettivo del 60% per il 2011 posto dal D.Lgs. 152/2006 è sempre più vicino. In realtà la provincia di Rovigo ha già superato questo obiettivo e quella di Treviso, con il 72,4%, è già oltre anche all'ultimo target previsto per il 2012 pari al 65%. (Figura 16.3.13), (Figura 16.3.14)
La gestione dei rifiuti urbani in Veneto è caratterizzata dalla diffusione della raccolta separata della frazione organica, che rappresenta una realtà oramai consolidata. In 534 comuni del Veneto su 581, dove risiedono circa 4,6 milioni di abitanti pari al 93% circa della popolazione, viene effettuata la raccolta secco-umido, ovvero viene attuata dai cittadini la separazione domestica dell'umido, delle frazioni secche recuperabili e del rifiuto residuo secco non riciclabile. Tra questi la modalità domiciliare o porta a porta risulta essere la prevalente con 449 comuni interessati (circa il 66% della popolazione).
Sono inoltre 332 i comuni, corrispondenti al 46% degli abitanti residenti nel Veneto, che applicano la raccolta domiciliare spinta, ossia la modalità domiciliare estesa a tutte le frazioni di rifiuto intercettate.
E' interessante a tale proposito osservare come si sia modificata negli anni la composizione percentuale dei comuni con la raccolta dei rifiuti urbani indifferenziati e di quelli con la raccolta secco-umido. Con un trend di cambiamento continuo, dal 1999 al 2010 si è passati dal 40% di comuni che effettuavano la raccolta differenziata secco-umido fino a quasi il 92%. (Figura 16.3.15)
Analizzando i sistemi di trattamento dei singoli materiali si osserva, nel tempo, come sia drasticamente diminuita la pratica del conferimento in discarica - dal 39,3% del totale dei rifiuti nel 2001 al 9,5% nel 2010 - a favore del recupero delle frazioni organiche e secche. Si mantiene intorno al 23-24% il trattamento meccanico biologico (Nota 14), ovvero la produzione di combustibile derivato (CDR), che nel 2010 è stata pari a 156.000 tonnellate. (Figura 16.3.16)
Va segnalata anche l'analisi svolta da Arpav sulla qualità della raccolta differenziata. Al di là dei numeri della raccolta differenziata stessa, si è cercato di dare una misura della qualità di quest'ultima, traducendola in effettiva quantità di materia recuperata, togliendo quindi gli scarti presenti nei rifiuti avviati al recupero, e sommando i materiali di spazzamento, i rifiuti ingombranti e il secco residuo avviato al recupero. Da questa operazione è stato costruito l'indice di recupero di materia (IR), calcolato rispetto al totale dei rifiuti raccolti.
A livello regionale, nel 2010, l'IR è stato pari al 55%: tra le province spicca ancora una volta Treviso con oltre il 75%, mentre più in difficoltà è Venezia, i cui valori sono però da considerare a parte vista la particolare struttura morfologica e la forte presenza turistica che incide sulla città praticamente per tutto l'arco dell'anno.
Una breve nota infine sui costi del sistema di gestione dei rifiuti urbani. Nonostante un incremento nel 2010 del 2,6% rispetto all'anno precedente che ha portato ad una spesa media di 127,92€ per cittadino all'anno, il costo si mantiene ancora al di sotto del valore di 130,64€ registrato nel 2007 su scala nazionale.
L'ambiente urbano
Focalizzando l'attenzione sull'area urbana, tramite l'osservazione di alcuni indicatori, si può cercare di fornire una misura della qualità ambientale nelle zone residenziali. Di un certo interesse sono gli aspetti legati alla quantità di aree di verde pubblico, di piste ciclabili, di isole pedonali e di zone a traffico limitato.
Riguardo al verde pubblico, i valori sono rilevati nei 116 comuni capoluoghi di provincia italiani e risultano molto eterogenei dipendendo in gran parte dall'area geografica circostante. In Veneto ad esempio, si nota subito come il valore di Belluno non sia quasi nemmeno confrontabile con quello delle altre città: oltre 870mq per abitante contro i 66,5 di Verona che comunque è al secondo posto e, a sua volta, possiede cinque volte tanto il verde di Rovigo. La media italiana si attesta intorno ai 106 mq per abitante. Utile però può essere osservare la dinamica nel decennio e, infatti, rispetto al 2000 ci sono aumenti in quasi tutti i comuni capoluogo di provincia, dal +15,7 di Vicenza fino al +42% di Verona, segno di un mutamento nelle politiche ambientali delle amministrazioni locali, maggiormente attente alla salvaguardia del territorio, e alla qualità dell'ambiente in cui viviamo. (Figura 16.3.17)
Il secondo aspetto relativo all'ambiente urbano è quello legato alla presenza di piste ciclabili nel territorio urbano. In Italia, considerando i comuni capoluogo, ci sono, in media, 13,7km di piste ciclabili per 100km2 di superficie nel 2009, valore più che raddoppiato dal 2000 quando superava di poco i 5km.
In Veneto quasi tutti i comuni capoluogo sono molto al di sopra del valore nazionale, rispecchiando la tendenza delle regioni del nord dove queste particolari "strade" riservate alle biciclette (o condivise coi pedoni) sono più diffuse. Spicca in particolare Padova con quasi 149km di piste ogni km2, risultato raggiunto nell'arco dell' ultimo decennio grazie alla forte sensibilizzazione dell'amministrazione locale verso questo aspetto della mobilità, sicurezza e vivibilità nella città. (Figura 16.3.18)
Terzo aspetto dell'ambiente urbano è quello relativo alla disponibilità di aree pedonali e zone a traffico limitato. Riguardo alle prime, la disponibilità media a livello nazionale è, nel 2009, di 33,3 m2 ogni 100 abitanti, valore che però presenta un'alta variabilità da città a città. Si è comunque registrato un aumento dal 2000 di oltre 10 m2. Nei comuni capoluogo veneti la presenza delle aree pedonali è al di sotto della media nazionale in 4 casi, mentre a Padova con 80 m2 il valore è decisamente più elevato. Venezia, per la particolare struttura geografica, ha il valore più alto di tutta la penisola con oltre 487 m2. (Figura 16.3.19)
Riguardo alle seconde, le zone a traffico limitato (ZTL), sono stati presi in esame gli anni 2006 e 2008. La situazione tra i diversi comuni capoluogo di provincia appare anche in questo caso piuttosto eterogenea: si va dai 7.615 m2 di Treviso nel 2008 fino a 1.300.000 m2 per Padova nel 2008. Complessivamente le aree ZTL sono cresciute e, in taluni casi, in modo anche considerevole, come ad esempio a Verona, dove si passa dagli 88.500 m2 del 2006 agli 870.000 m2 del 2008, ma anche a Padova che da 832.700 m2 cresce fino al già menzionato milione e 300.000 m2. Oltre ai valori assoluti, si sono rapportate le superfici di ZTL dei comuni capoluogo con le densità abitative degli stessi. Ne emerge qualche differenza rispetto al semplice calcolo delle superfici assolute. Ad esempio il valore più elevato dell'indicatore, nel 2008, compete a Verona, a dispetto di una superficie complessiva di Padova che è oltre una volta e mezza superiore. E così pure per la crescita dal 2006 che, sempre a Verona, è stata quasi del 900%. (Figura 16.3.20)
Sempre legata alla qualità dell'ambiente urbano, c'è un'altra categoria di indicatori che concorre alla valutazione della stessa. Essi sono legati più direttamente alla salute delle persone. In particolare si è qui considerato il livello di concentrazione dei pollini da graminacee, per il quale è calcolato l'indice pollinico annuo (IP), che indica il livello di esposizione della popolazione ai pollini delle piante graminacee dal punto di vista sanitario. Esso è formato dalla somma delle concentrazioni giornaliere misurate da apposite stazioni di rilevamento (captaspore) nel periodo gennaio-novembre. L'indicatore non ha valori limite fissati dalla normativa, ma può essere un riferimento per la valutazione dell'esposizione della popolazione. La stazione di rilevamento di Padova, nel 2011, ha registrato la concentrazione annua più elevata, seguita da Verona e Vicenza, mentre il valore più basso si è avuto a Treviso. Rispetto al 2010 le concentrazioni polliniche delle graminacee sono state in generale aumento, eccezione fatta per Treviso dove c'è stata una riduzione di oltre il 65%. (Figura 16.3.21)
L'Associazione Italiana di Aereobiologia (AIA) classifica la concentrazione gionaliera di pollini in: alta, media e bassa (Nota 15). Questo consente di valutare la frequenza dei giorni in cui la popolazione è maggiormente esposta. Nel 2011 sono aumentati i giorni con un'alta concentrazione di pollini di graminacee in quasi tutte le province, con il picco a Padova, dove si sono toccati i 58 giorni. Anche in questo caso l'unica città in controtendenza è Treviso. (Figura 16.3.22)

Figura 16.3.1

Emissioni totali* di gas ad effetto serra per contaminante (valori percentuali). Veneto - Anni 1990:2005

Figura 16.3.2

Emissioni totali* (Tonnellate all'anno di CO<small><sub>2</sub></small> equivalente) di gas ad effetto serra per settore di emissione. Veneto - Anni 1990:2005

Figura 16.3.3

Numero di superamenti della soglia di informazione (180microg/m<small><sub>3</sub></small>) dell'ozono in alcune centraline di contesto urbano e traffico urbano - Anni 2007:2010

Figura 16.3.4

Numero di superamenti del valore limite giornaliero(*) di PM10 in alcune centraline di contesto urbano e traffico urbano - Anni 2005:2010

Figura 16.3.5

Media annuale del PM10 in alcune centraline di contesto urbano e traffico urbano* - Anni 2005:2010

Figura 16.3.6

Media annuale del PM2,5 nelle centraline di rilevamento dell'Arpav - Anno 2010

Figura 16.3.7

Corsi d'acqua. Percentuali di stazioni che ricadono nei diversi Livelli di Inquinamento dai Macrodescrittori per lo stato ecologico (LIMeco). Veneto - Anno 2010

Figura 16.3.8

Corsi d'acqua. Percentuali di stazioni che ricadono nei livelli di Inquinamento dai Macrodescrittori per lo stato ecologico (LIMeco) elevato o buono per bacino idrografico del Veneto. Anno 2010

Figura 16.3.9

Stato Ecologico (SEL) dei laghi e serbatoi significativi del Veneto per classe di appartenenza. Anno 2010

Figura 16.3.10

I comuni del Veneto per classe di concentrazione di nitrati nelle acque potabili. Anno 2010

Figura 16.3.11

La distribuzione percentuale dei comuni veneti per classe di concentrazione di nitrati nelle acque potabili. Anni 2007:2010

Figura 16.3.12

Produzione pro capite di rifiuti urbani per provincia (Kg/ab all'anno). Veneto - Anni 2009-2010

Figura 16.3.13

La percentuale di raccolta differenziata. Veneto - Anni 2000:2010

Figura 16.3.14

La percentuale di raccolta differenziata per provincia. Veneto - Anno 2010

Figura 16.3.15

Numero e percentuale dei Comuni veneti con sistema di raccolta differenziato secco-umido dei rifiuti urbani (RU). Veneto - Anni 1999:2010.

Figura 16.3.16

Quantità (in valori percentuali) di rifiuti urbani suddivisi per modalità di gestione nel Veneto negli anni 2001-2010

Figura 16.3.17

Il verde urbano nei comuni capoluogo di provincia. Veneto - Anni 2000 e 2010  (m2 per abitante) a) b)

Figura 16.3.18

Le piste ciclabili nei comuni capoluogo del Veneto (km per 100 km2 di superficie comunale)(a). Anni 2000 e 2009

Figura 16.3.19

Disponibilità di aree pedonali  (m2 per 100 abitanti) nei comuni capoluogo di provincia(a) - Anni 2000- 2009 (b)

Figura 16.3.20

Le ZTL nei comuni capoluogo del Veneto (m2 rispetto alla densità abitativa). Anno 2008

Figura 16.3.21

L'indice pollinico delle graminacee nelle città venete (pollini*m<small><sub>3</sub></small>/anno). Anni 2010 e 2011

Figura 16.3.22

Numero dei giorni con 'alta' concentrazione di pollini di graminacee per città. Anni 2010 e 2011
 
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16.4 - Il territorio boschivo e il rischio degli incendi

L'analisi generale (Nota 16)
Anche se in Veneto le cronache registrano incendi di dimensioni elevate con frequenza molto inferiore a quella che si può vedere in altre regioni, le statistiche mostrano chiaramente come il fenomeno sia significativo e richieda un impegno costante di tutte le componenti del sistema antincendi boschivi regionale. Infatti gli incendi boschivi rappresentano uno dei principali fattori di rischio per il territorio collinare e montano della nostra Regione, dove le aree boscate costituiscono un elemento fondamentale del territorio. Gli incendi provocano disagi alla popolazione, danni economici e soprattutto comportano gravi danni ambientali, quali lo sconvolgimento del paesaggio naturale, la compromissione di habitat essenziali alla sopravvivenza della fauna selvatica, la distruzione della vegetazione erbacea ed arbustiva con la conseguente erosione del suolo cui frequentemente si associano frane e cadute di sassi.
Il patrimonio boschivo della Regione Veneto, secondo i dati rilevati dalla nuova Carta Forestale Regionale ammonta a 414.894 ettari, oltre la metà dei quali risiede nella provincia di Belluno.
Le formazioni più consistenti si identificano in orno-ostrieti e ostrio-querceti (19,8%) e faggete (18,2%). (Tabella 16.4.1)
E' su questo patrimonio boschivo che hanno principalmente insistito gli incendi che andremo ad analizzare specificatamente nel decennio 2002-2011.
Prima di affrontare questa analisi, giova una veloce panoramica sugli ultimi 3 decenni di dati raccolti dai Servizi Forestali Regionali in applicazione a quanto previsto dai piani regionali antincendi boschivi.
E' possibile infatti osservare una notevole e rapida diminuzione sia del numero d'incendi, che delle superfici percorse dal fuoco che quindi delle superfici medie per incendio: si passa infatti dagli oltre 13.000 ettari che hanno interessato il decennio 1982-1991 ai 2.703 del 2002-2011, con una superficie media che passa da 9,6 ettari a 7,3. Questo risultato è stato raggiunto certamente per il miglioramento dei meccanismi di intervento e per una maggiore celerità nell'avvio delle operazioni di spegnimento dalla segnalazione. (Figura 16.4.1)
Quanto al decennio appena trascorso si sono verificati 369 fenomeni (Nota 17): l'anno con il maggior numero di eventi è stato il 2003, storicamente noto per la scarsa piovosità e le elevate temperature estive, con quasi 100 segnalazioni. L'anno successivo invece è stato l'anno meno interessato da incendi, con appena 12 segnalazioni. (Figura 16.4.2)
Le superfici complessivamente percorse dal fuoco, nel corso dei dieci anni analizzati, hanno interessato oltre 2.700 ettari, con una media annua per incendio di 7,3 ettari. L'anno con la superficie maggiormente interessata da fenomeni d'incendio, sia come computo totale (1.420 ha) che come superficie media/annua (24,9 ha), è stato il 2002, seguito dal 2011 con 604 ettari totali e 18,9 ettari di media: si precisa che l'elevata superficie bruciata di questi due anni è dovuta principalmente a pochi incendi di grandi dimensioni (Figura 16.4.3), (Figura 16.4.4)
Quanto alla distribuzione degli incendi nel corso dei mesi, la maggior concentrazione avviene a marzo, sia per numerosità (109 fenomeni) che per superficie interessata (1.374 ha), seguito da febbraio (71 incendi, 449 ha) e Gennaio (28 incendi, 335 ha): le superfici medie per mese quindi evidenziano una maggiore intensità nei primi tre mesi dell'anno. (Figura 16.4.5)
La concentrazione degli incendi nel periodo tardo invernale è tipica di tutta la regione alpina ed è dovuta all'elevata siccità di questo periodo, unita allo stato di riposo vegetativo delle piante. Si ha poi un picco secondario estivo nei mesi di luglio ed agosto dovuto principalmente a eventi che si verificano nell'area dei colli euganei e nelle pinete litoranee, li dove il clima è di tipo mediterraneo e il periodo corrisponde alla massima siccità estiva.
Quanto alle classi di superficie interessata da incendi, il 68% di essi ha una superficie bruciata inferiore ad un ettaro, evidenziando come nella maggior parte dei casi l'intervento di spegnimento riesca a contenere fortemente i danni. A contrario solo il 5% degli incendi supera la superficie di 10 ettari causando oltre l'80% della superficie bruciata. Sono invece inferiori al 2% gli eventi con superfici oltre i 100 ettari. Ciò premesso nella nostra regione possiamo considerare i 10 ettari come soglia per la definizione di grande incendio. (Figura 16.4.6)
Gli incendi boschivi non interessano esclusivamente le aree boscate ma riguardano anche le aree prative, pascolive ed incolte adiacenti ai boschi, infatti il 40% della superficie bruciata risulta non essere ricoperta da boschi.
All'interno della superficie boscata prevalgono nettamente i cedui con il 45% della superficie totale, in quanto si distribuiscono nelle situazioni ambientali più favorevoli alla propagazione degli incendi e nelle zone a maggiore antropizzazione e quindi a maggior rischio di innesco. (Figura 16.4.7)
Quanto all'analisi per fasce altitudinali, oltre la metà degli incendi è concentrata entro i 500 metri e 3 incendi su 4 avvengono entro gli 800 metri, infatti essendo la grande maggioranza degli incendi legati all'attività umana questi si distribuiscono alle altitudini dove si ha il maggior carico antropico. Più variabile la distribuzione delle superfici percorse dal fuoco, che vedono i picchi più elevati tra i 300 e i 400 metri, tra gli 800 e i 1000 e tra i 1300 e i 1500.
La superficie media, a seconda delle fasce altitudinali considerate, vede i due picchi maggiori tra 1300 e 1400 metri (40,3 ettari) e nella fascia successiva 1400-1500 metri (112,5 ettari). Ciò si può spiegare con il fatto che alle quote elevate aumenta la difficoltà di spegnimento a causa della scarsa accessibilità dei versanti e alla maggiore velocità di propagazione del fuoco a causa delle pendenze elevate. (Figura 16.4.8)
Anche l'esposizione prevalente del versante su cui è insistito l'incendio risulta avere una certa influenza: in oltre il 60% degli incendi, infatti, il versante interessato è rivolto a sud (sud, sud-est o sud-ovest); analogamente anche la superficie interessata, per oltre la metà è situata nella medesima posizione, sebbene le superfici medie ad incendio totalizzino i valori più alti rispettivamente nei versanti est (19,7 ha) e nord (19 ha), dato però legato solo a pochi incendi di grandi dimensioni. I versanti sud ricevono una maggiore insolazione e quindi hanno una condizione di siccità più elevata e di conseguenza condizioni ambientali più favorevoli alla propagazione del fuoco.
La giacitura indica che quasi l'80% dei fenomeni si concentra a mezzacosta, con un'equa suddivisione della restante percentuale tra fondovalle e vetta.
Mentre dall'analisi della pendenza, se ne ricava che la stragrande maggioranza della superficie interessata da incendio (oltre il 70%) appartiene alla fascia con pendenza superiore al 45%, così come due incendi su tre si concentrano nelle due fasce con maggiore pendenza (oltre il 25%). Come già riportato la pendenza del terreno ha una forte influenza sulla velocità di propagazione del fuoco e sulla difficoltà di accesso all'area per l'intervento di spegnimento. A questo si aggiunge anche il fatto che generalmente le aree pianeggianti sono per lo più coperte da colture agrarie o urbanizzato.
Non si riscontra alcuna significativa prevalenza fra i giorni della settimana in cui parte la segnalazione di incendio, una certa importanza viene assunta invece dall'ora: il picco si concentra nella fascia pomeridiana dato che tra mezzogiorno e le cinque vengono segnalati oltre la metà degli eventi con l'apice identificato alle ore 15.00: questo il momento della giornata in cui si hanno le più alte temperature dell'aria e la maggiore disidratazione della vegetazione. (Figura 16.4.9)
Quanto alle cause degli incendi, ben il 45% è di origine dolosa, segue l'origine colposa 23% perlopiù legata a attività agricole, mentre una quota cospicua di incendi, il 25%, rimane di origine dubbia ma comunque riconducibile ad attività umane. Le cause naturali, che nella nostra regione consistono esclusivamente nei fulmini, ricoprono appena il 3% degli eventi. Gli incendi provocati da fulmine richiedono una particolare attenzione perché seppur poco numerosi risultano spesso essere di difficile spegnimento. (Figura 16.4.10)
Gli interventi di spegnimento degli incendi nel corso degli ultimi 10 anni hanno coinvolto 8 mila soggetti, e quasi la metà di questi rappresentati dai volontari antincendi boschivi (AIB). La suddivisione del lavoro fra gli enti che intervengono sugli incendi vede i volontari AIB ed il personale del Servizio Forestale Regionale intervenire per lo spegnimento degli incendi boschivi, i Vigili del Fuoco per lo spegnimento degli incendi di interfaccia urbana-foresta e il Corpo Forestale dello Stato e le altre forze di polizia per le attività di pubblica sicurezza, sorveglianza ed indagine. (Figura 16.4.11)
Il numero medio di personale impiegato per incendio, nel corso degli anni analizzati, totalizza 22 soggetti ed annovera 3 persone per ogni ettaro di superficie percorso dal fuoco. Anche se nel tempo l'aumento dei mezzi a disposizione e il miglioramento delle tecniche di spegnimento hanno permesso una diminuzione della manodopera necessaria, l'incendio boschivo rimane comunque un intervento emergenziale che richiede un elevato numero di operatori.
L'analisi provinciale
Se nel decennio analizzato è stata la provincia di Vicenza a totalizzare il maggior numero di incendi (102), è a Belluno che si son localizzate sia le superfici su cui il fuoco ha insistito maggiormente (1.753 ettari) sia le superfici medie più estese (24 ettari). Ciò è dovuto alle superfici boscate più ampie e alle caratteristiche del territorio montano di cui si è già parlato. La provincia di Verona invece, pur avendo un numero elevato di incendi si caratterizza per avere una superficie media bassa grazie al carattere più collinare e più antropizzato del territorio, unito all'elevata prontezza del sistema AIB locale. Nella provincia di Padova le aree boscate e di conseguenza gli incendi si concentrano nella zona dei colli euganei, mentre nelle provincie di Venezia e Rovigo le aree boscate interessate da incendi consistono essenzialmente nelle pinete litoranee. (Figura 16.4.12), (Figura 16.4.13)

Tabella 16.4.1

Quadro delle superfici forestali suddivise per categoria. Veneto - Anno 2005

Figura 16.4.1

Superficie percorsa dal fuoco (ha), numero incendi e superficie media ad incendio (ha) negli ultimi 3 decenni. Veneto - Anni 1982:2011

Figura 16.4.2

Numero incendi per anno. Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.3

Superfici percorse dal fuoco (ha) per anno. Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.4

Superficie media percorsa dal fuoco (ha) per anno.  Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.5

Numero incendi per mese. Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.6

Numero di incendi per classi di superficie percorse dal fuoco.  Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.7

Distribuzione % degli incendi per uso del suolo.  Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.8

Superficie media percorsa dal fuoco (ha) per fasce altitudinali di 100 m. Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.9

Incendi per ora di segnalazione. Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.10

Distribuzione % degli incendi per causa di innesco. Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.11

Distribuzione % del personale intervenuto per tipologia. Veneto. Anni 2002:2011

Figura 16.4.12

Numero incendi e superficie media (ha) per provincia. Veneto - Anni 2002:2011

Figura 16.4.13

Distribuzione % di incendi, superficie percorsa (ha) e personale intervenuto per provincia. Veneto - Anni 2002:2011
 
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16.5 - Tutela dell'ambiente e best practices

Il Patto dei Sindaci
Allo scopo di coinvolgere le comunità locali nel raggiungimento degli obiettivi comunitari in tema di ambiente ed energia, il 29 gennaio 2008, in occasione della Settimana Europea dell'Energia Sostenibile, la Commissione Europea ha lanciato il "Patto dei Sindaci: un impegno per l'energia sostenibile". Si tratta di un documento programmatico di carattere generale sulla base del quale gli enti che vi aderiscono si impegnano ad andare oltre il 20% entro il 2020 nella riduzione delle emissioni di CO2, a preparare un inventario base delle emissioni, a presentare il Piano di Azione per l'Energia Sostenibile, entro un anno dall'adesione al Patto, e ad attivare una serie di iniziative concrete nel proprio territorio.
Alla data del 18 aprile il Patto dei Sindaci è stato sottoscritto da 3.780 Comuni appartenenti a tutti i paesi della UE. Di questi ben 1.771 sono italiani. Anche in Veneto tale iniziativa sta avendo successo: infatti sono già 85 su 581 i Comuni aderenti e l'elenco si allunga costantemente. (Figura 16.5.1)
Ca' Foscari e la sostenibilità ambientale: il calcolatore informatico di CO2
L'Università Ca' Foscari Venezia ha formalizzato la propria politica di sostenibilità con l'approvazione da parte del Senato Accademico l'8 luglio 2010 della "Carta degli Impegni di Sostenibilità - C.I.S.", un documento programmatico triennale, soggetto a monitoraggio in itinere e a revisione annuale, che rende pubblici gli impegni assunti e le azioni messe in atto in un'ottica di sostenibilità economica, sociale e ambientale.
In riferimento all'ultimo ambito, Ca' Foscari ha posto particolare attenzione alle azioni volte al miglioramento della propria performance energetica e varato il progetto "Carbon Management", altamente innovativo e dedicato in particolare al mondo universitario.
Il progetto ha trovato riscontro e supporto nelle iniziative avviate dal Ministero dell'Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare per la messa a punto delle metodologie di calcolo e delle strategie di gestione della carbon footprint in diversi settori, sia a livello nazionale che internazionale. La carbon footprint (o impronta di carbonio) misura le emissioni totali di gas effetto serra causate direttamente o indirettamente da persone, organizzazioni, eventi o prodotti, emissioni che incidono sul cambiamento climatico globale in atto. Ogni singola azione di produzione o consumo di beni e servizi ha un risvolto in termini di impronta di carbonio che, a seconda della modalità adottata, può essere più o meno elevato. (Figura 16.5.2)
Tra le varie attività, è stata data particolare attenzione alla creazione di una consapevolezza di sostenibilità e alla divulgazione dei comportamenti sostenibili all'interno della comunità cafoscarina attraverso la creazione di un tool informatico per il calcolo della CO2 individuale prodotta.
Il progetto prevede il coinvolgimento della compagine studentesca nelle azioni di sostenibilità ambientale definite dalla C.I.S. di Ca' Foscari al fine di ottenere la reiterazione di atteggiamenti quotidiani con basso impatto ambientale e la diffusione di buone pratiche eco-sostenibili. L'innovazione principale del progetto risiede nella sua primaria funzione di education affiancata a quella di informazione. L'agire sull'educazione permette di incidere su comportamenti sia individuali che collettivi e di favorire lo scambio di buone pratiche tra la sfera della vita privata e universitaria. Piccoli accorgimenti, ad esempio evitare l'abuso di alimenti ad alto impatto ambientale, possono ridurre in modo anche significativo la quota di emissioni senza stravolgere il proprio stile di vita.
Dal punto di vista tecnico, il calcolatore è una applicazione informatica realizzata per il web (Nota 18). Considerata la forte spinta all'internazionalizzazione in atto a Ca' Foscari, esso è disponibile sia in lingua italiana che inglese. (Tabella 16.5.1)
Alla prima compilazione del questionario il calcolatore, sulla base delle risposte fornite ad una serie di quesiti sui comportamenti quotidiani, restituisce ad ogni utente la propria impronta di carbonio annua espressa in termini di KgCO2eq. Unitamente ad esso, il programma indica i punti più critici di comportamento, quelli suscettibili di miglioramento e le modalità per conseguire un risultato carbon-friendly. Sulla base del risultato iniziale sarà possibile intraprendere un programma di miglioramento.
I quesiti posti per effettuare il calcolo dell'impronta di carbonio sono stati elaborati tenendo in considerazione tutti gli utenti possibili, ma con un riferimento speciale alla comunità studentesca. Una prova ne è la declinazione social che permette di divulgare i temi di sostenibilità e i risultati conseguiti in termini di carbon footprint innescando una sorta di gara tra utenti per il miglioramento delle proprie emissioni.
Con il fine di stimolare ulteriormente i comportamenti di riduzione delle emissioni, è stato parallelamente avviato un percorso di riconoscimento di CFU extra curriculari (Crediti Formativi Universitari) per premiare l'impegno sostenuto dagli studenti in attività formative sul tema della sostenibilità ambientale quali seminari, progetti specifici e concorsi di idee. In seguito allo svolgimento, tali attività vengono relazionate scientificamente dagli studenti e valutate da docenti incaricati del riconoscimento dei "CFU sostenibili" che, in caso di esito positivo, provvederanno alla loro attribuzione.
L'Università Ca' Foscari, attraverso la promozione di queste attività previste e periodicamente integrate dalla C.I.S, mira a realizzare un percorso green che favorisca la costituzione di una coscienza comportamentale adeguata alle sfide sociali e ambientali odierne e che permetta alle generazioni future di tradurre le competenze acquisite in comportamenti finalizzati alla costruzione di un mondo più sostenibile.

Figura 16.5.1

Comuni veneti aderenti al Patto dei Sindaci (al 18/4/2012)

Figura 16.5.2

Emissioni GHG* suddivise per attività. Mondo - Anno 2004

Tabella 16.5.1

Fattori di emissione GHG (gas effetto serra) degli alimenti a confronto. Anno 2007
 
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16.6 - Energia: situazione e scenari

Tre corsie per l'energia
Il 15 Marzo 2012 il Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha emanato il cosiddetto decreto Burden Sharing di "Definizione e qualificazione degli obiettivi regionali in materia di fonti rinnovabili e definizione della modalità di gestione dei casi di mancato raggiungimento degli obiettivi da parte delle regioni e delle provincie autonome". Tale decreto (Nota 19) ripartisce tra le regioni gli obiettivi su scala nazionale definiti nel Piano di Azione Nazionale (PAN) inviato alla Commissione Europea il 30 giugno 2010. L'obiettivo finale dovrebbe essere raggiunto progressivamente, attraverso il raggiungimento di mete biennali che le regioni dovranno perseguire. Il governo pone così le regole per la redazione definitiva dei Piani Energetici Regionali. Con esso, di fatto, sono stati definiti i confini entro i quali si dovranno muovere gli strumenti di pianificazione locale affinché si possa, con il contributo di tutte le regioni e secondo le potenzialità e lo stato di ognuna, raggiungere l'obiettivo citato in precedenza e fissato dall'Unione Europea per l'Italia al 17% del consumo interno lordo di energia proveniente da fonti rinnovabili entro il 2020. Pur essendo a tre corsie la strada che porterà al raggiungimento degli obiettivi - settore elettrico, settore del calore e raffrescamento, settore dei trasporti -, in seguito a studi effettuati da ENEA e dalla società "Ricerca sul Sistema Energetico", RSE S.p.a., è stato ritenuto che la ripartizione burden sharing degli obiettivi di consumo di fonti rinnovabili fino al 2020 debba riguardare i soli settori dell'elettricità e del calore e raffrescamento. Questo poiché nel settore dei trasporti l'aumento dei consumi di energia da fonti rinnovabili dipende quasi esclusivamente da strumenti nella disponibilità dello Stato. Infatti, nel 2020, la traiettoria degli obiettivi regionali dovrebbe portare l'incidenza del consumo interno lordo di energia proveniente da fonti rinnovabili (FER) in Italia ad un valore del 14,3% rispetto al consumo interno lordo, al netto dei contributi FER-Trasporti e FER-Estero, che dovrebbero pertanto coprire il rimanente 2,7% fino all'obiettivo del 17%. Le traiettorie del Veneto, dell'Emilia-Romagna, della Lombardia e del Lazio, si mantengono dai 5 ai 2 punti al di sotto della media italiana, in dipendenza dei fattori ambientali di sviluppo, del tessuto residenziale e produttivo e delle potenzialità residue di efficentamento in funzione dei costi di investimento. Trattandosi di uno scenario, non è comunque esclusa la possibilità di ottenere risultati migliori a parità di investimenti o per eventi congiunturali non considerati. Si stima, infatti, che la crisi della produzione e del lavoro, che sta interessando l'Eurozona in questi anni, potrà portare al più facile raggiungimento degli obiettivi per una compressione fisiologica dei consumi dovuta a un minore potere d'acquisto delle famiglie con una conseguente maggiore attenzione ai fattori di costo per energia e per trasporto. In territori come il Veneto dove le potenzialità da fonte rinnovabile di energia sono rappresentate quasi esclusivamente dalla forza idraulica, per lo più già sfruttata, le politiche dovranno concentrare gli sforzi nel miglioramento dell'efficienza nel settore del calore e raffrescamento e nelle FER a filiera corta, valorizzando gli investimenti che possano rimanere nel territorio e sfruttando i generosi incentivi nel caso di riqualificazione di aree compromesse dal punto di vista ambientale. Analizzando i dati più in dettaglio si nota che la crescita maggiore della quota di consumi di energia proveniente da fonti rinnovabili dovrà avvenire in Basilicata, con il passaggio dal 7,9% al 33% di energia pulita. Un aumento significativo è previsto anche per il Molise (dal 10,8 al 35%) e per la Sardegna (dal 3,8 al 17,8%), ma in termini assoluti le quote più alte di energia "verde" sono state assegnate alla Valle d'Aosta (52%), alla Provincia di Trento (35,5%) e a quella di Bolzano (36,5%), che però sono già molto vicine ai rispettivi target, e quindi dovranno crescere ancora poco. Il Veneto parte da una situazione del 3,4% di copertura dei consumi tramite le fonti rinnovabili e, entro il 2020 dovrà arrivare al 10,3%.
Il monitoraggio verso il raggiungimento degli obiettivi avverrà con cadenza annuale a partire dal 2014, quando è prevista la prima verifica. Se ci saranno Regioni inadempienti, per loro vi sarà soltanto un richiamo formale, ma già dalla verifica del 2015, in caso di inadempienza reiterata da parte delle stesse, sarà concesso un intervallo di tempo per correre ai ripari. Scaduto senza esiti il "tempo limite", scatterà infine il commissariamento delle politiche energetiche della Regione inadempiente. (Tabella 16.6.1)
Le fonti rinnovabili elettriche
L'11 Aprile 2012, il Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto col Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e col Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, ha inviato due schemi di decreti ministeriali in materia di energie rinnovabili alla Conferenza Stato-Regioni per il parere propedeutico alla loro emanazione. I due provvedimenti, il V conto energia dedicato al fotovoltaico e quello sulle rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, prevedono una rilevante riduzione delle tariffe di remunerazione dell'energia elettrica rinnovabile immessa in rete, in convergenza verso la media europea. Tale riduzione, basata su un sistema di incentivazione rivisto con la duplice finalità di garantire un maggiore equilibrio e vantaggio per il sistema Paese riducendo l'impatto sulle bollette di cittadini e imprese, entrerà in vigore al superamento della soglia di 6 miliardi di incentivi per il fotovoltaico, previsto nel secondo semestre del 2012, e il primo gennaio 2013 per il non fotovoltaico. Secondo stime del Ministero dello Sviluppo Economico, la riduzione ammonterà a circa il 16% per l'eolico con taglia di 10MW di potenza e fino al 30% per le biomasse che non sfrutteranno i vantaggi di cogenerazione possibili e i combustibili reperiti tramite filiera corta. Per quanto concerne il fotovoltaico, le tariffe del V conto energia vedranno una riduzione intorno al 36% rispetto al IV conto energia, e dovrebbero portare la spesa annua a stabilizzarsi intorno ai 6,5 miliardi dopo il 2013 e fino al 2020, quando gli incentivi non saranno più necessari grazie all'auto-sostenibiltà economica del settore. E' comunque utile specificare che le tariffe sono state allineate al limite superiore di quelle europee, mantenendole quindi elevate nel confronto internazionale. La nuova normativa permetterà di arginare l'elevata crescita della voce "Incentivi rinnovabili (A3)" della bolletta elettrica italiana che ha visto passare la sua incidenza da quasi il 9% del 2008 a oltre il 21% del 2011, per un totale aumento della bolletta che si stima attorno al 24% con un conseguente costo cumulato complessivo degli incentivi su 15/20 anni di durata di circa 170 miliardi di euro. (Figura 16.6.1)
Oltre alle riduzioni sono stati previsti altri criteri per impedire l'esplosione dei costi. Il principale è l'istituzione di un registro per i grandi impianti che saranno contingentati in un tetto massimo di potenza annua installabile per fonte attraverso un meccanismo di aste competitive e che renderà, di fatto, la potenza e la produzione di energia elettrica rinnovabile pianificata dal Ministero. Ciò permetterà di garantire un sostegno costante nel tempo alle rinnovabili senza pagarne un conto salato nella bolletta elettrica e di generare un "circolo virtuoso" di causa-effetto tra aumento dell'efficienza degli impianti, diminuzione dei costi di produzione, ricerca e sviluppo in tecnologia e nei materiali e introduzione di tecnologie più efficienti.
Per il settore fotovoltaico, che ha ancora grossi margini di efficentamento tecnologico, la normativa permetterà di calmierare lo sfruttamento speculativo e di favorire l'autoproduzione con piccoli impianti; per altri settori, più consolidati dal punto di vista tecnologico, come idroelettrico e biomasse, queste modifiche determineranno probabilmente un mutamento di approccio delle imprese al mercato delle energie rinnovabili elettriche. Non sarà più conveniente, infatti, basarsi su un approccio di tipo finanziario basato su realizzi da incentivi troppo generosi e occorrerà imboccare una strada più industriale attraverso l'aumento di efficienza. Sarà ad esempio necessario, ove possibile, sfruttare la cogenerazione vendendo il calore, altrimenti prodotto di scarto nella produzione di energia elettrica.
Se supportato da un adeguamento della rete elettrica, un approccio che favorisce i piccoli impianti fornisce molte opportunità. Considerando la forza lavoro, rispetto a un approccio produttivo centralizzato, il modello richiede più personale distribuito nel territorio, giovane per consulenti commerciali, qualificato per progettisti e formatori, specializzato anche se meno scolarizzato per installatori e manutentori, generando un potere d'acquisto che può contribuire alla stabilità e all'equilibrio sociale sostenendo la domanda interna.
Passando in rassegna alcuni dati aggiornati al 2010 risulta che gli impianti alimentati con fonti rinnovabili hanno raggiunto il numero di quasi 160 mila, più del doppio di quelli presenti a fine 2009, e gli oltre 20 mila presenti nel Veneto rappresentano una quota di quasi il 13% delle installazioni italiane. Tale incremento è dovuto principalmente al "boom" di impianti fotovoltaici che hanno, anch'essi, più che raddoppiato i numeri rispetto all'anno precedente, triplicando la potenza. I numeri del Veneto rispecchiano una realtà che sembra aver colto l'opportunità messa a disposizione dai generosi incentivi disponibili come e più di altre regioni italiane. Non hanno visto grande sviluppo invece il settore eolico e il settore geotermico, per la mancanza di condizioni ambientali e, di conseguenza, economiche adeguate. Si rileva l'elevato sfruttamento delle potenzialità idrauliche presenti nel territorio regionale che permettono una produzione effettiva nel 2010 di 4.511 GWh di energia elettrica, quasi il 9% della produzione idroelettrica nazionale. (Tab 16.6.2)
Come in precedenza sottolineato per l'Italia anche nel Veneto c'è stato un grande incremento di impianti fotovoltaici installati e, nel corso del 2011, il loro numero ha sorpassato le 45 mila unità quasi triplicando la potenza. Anche la potenza media degli impianti è aumentata, più che raddoppiando il valore del 2010. (Figura 16.6.2)
Analizzando i dati per settore di attività si nota come la componente domestica risulti superiore in tutte le ripartizioni provinciali rispetto a quella nazionale se si esclude la provincia di Rovigo nella quale, però, l'impianto industriale di San Bellino, di 70MW, rappresenta da solo quasi il 74% della potenza installata nel territorio provinciale. Tenendo presenti le differenti vocazioni dei territori e il diverso grado di urbanizzazione, si può in ogni caso affermare che, nel suo complesso, nel Veneto, la composizione settoriale della potenza installata rispecchia quella nazionale, con un comparto domestico più consistente di circa 5 punti percentuali nei confronti con l'Italia. (Figura 16.6.3)
Dall'analisi delle ACE alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio
In conformità con i principi e gli obiettivi sull'efficienza energetica, campo nel quale si pone la normativa sulle Attestazioni di Certificazione Energetica (ACE) degli edifici, la U.O. Sistema Statistico Regionale in collaborazione con l'Unità di Progetto Energia della Regione del Veneto, l'Associazione Nazionale Costruttori Edili del Veneto e l'Agenzia Veneziana per l'Energia (AGIRE) ha compiuto un'analisi delle ACE pervenute nell'anno 2010 alla Regione del Veneto.
Le ACE hanno origine amministrativa in conseguenza dell'applicazione del decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 26 giugno 2009, tra le cui finalità vi è la necessità di contribuire a un'applicazione omogenea della certificazione energetica degli edifici coerente con la direttiva 2002/91/CE e con il D.lgs. 19 agosto 2005, n. 192 e ss.mm.ii.
L'attività di analisi, preceduta da operazioni di digitalizzazione, standardizzazione, riattribuzione e normalizzazione dei dati pervenuti in Regione del Veneto su moduli cartacei, ha permesso di avere alcuni dati preliminari del fenomeno e di studiarne alcuni aspetti.
Le variabili considerate sono state il comune e la provincia di appartenenza, la tipologia di ACE (residenziale e non residenziale), l'anno di costruzione, il tipo di alimentazione degli impianti e la classe energetica globale dell'edificio, che rappresenta una misura qualitativa standard dell'efficienza energetica degli edifici.
Come ci si poteva aspettare, l'analisi congiunta tra l'anno di costruzione degli edifici e la classe energetica di appartenenza mostra che l'efficienza degli stessi cresce negli anni evidenziando un netto miglioramento dal 1992, in seguito all'entrata in vigore della legge 10/1991. Quest'ultima, oltre ad introdurre per la prima volta il concetto di certificazione energetica degli edifici, per quanto non obbligatoria, prevedeva incentivi per l'utilizzo di isolante sull'involucro dell'edificio. Sotto lo stimolo della crisi energetica del 1973, la legge 373/1976 aveva già dato indicazioni sulla necessità di riduzione dei consumi energetici i cui presunti effetti non si possono però leggere dalla nostra analisi. Nell'ultimo periodo considerato, dal 2006 al 2010, la ripartizione delle classi energetiche segna un completo cambiamento rispetto alle epoche precedenti, conseguenza diretta dell'applicazione dei criteri costruttivi previsti dal D.lgs. 192/2005. Si nota come oltre il 60% del costruito ricada nelle classi B e C, con un 8,6% di edifici classificati in fascia A+ e A. Si osservano nelle classi temporali fino al 1960 significative percentuali di edifici di classe energetica migliore o uguale a C, soglia di riferimento legislativo per quelli costruiti dal 2010. Tali quote sono verosimilmente distorsioni dovute a informazioni incomplete sugli anni di ristrutturazione degli edifici e non presenti nella variabile anno di costruzione. (Figura 16.6.4)
Tutto ciò ha consentito agli attori coinvolti di aumentare sensibilità, conoscenza e consapevolezza sulla materia, utilizzabile a fini formativi, informativi, pianificatori e gestionali, interessando sinergicamente sia il comparto pubblico, sia quello privato principalmente i settori edile ed artigiano e i professionisti di settore. L'energia, e segnatamente quella impiegata negli edifici, resta un fattore fondamentale per l'ecosostenibilità a livello mondiale e quindi l'analisi suddetta è di notevole rilievo al fine di prendere decisioni in ordine agli interventi legislativi e programmatori di competenza regionale.

Tabella 16.6.1

Traiettoria degli obiettivi regionali e nazionali(*) dall'anno iniziale(**) di riferimento al 2020 - Valori %

Figura 16.6.1

Bolletta elettrica italiana escluse imposte in miliardi di euro. Dettaglio incentivi rinnovabili - Anni 2008 e 2011

Tab 16.6.2

Numerosità, potenza e produzione degli impianti per fonte rinnovabile in Italia e nel Veneto - Anno 2010

Figura 16.6.2

Numero, potenza(**) e potenza media(***) degli impianti fotovoltaici installati  nella Regione del Veneto per anno - Anni 2006:2011

Figura 16.6.3

Potenza fotovoltaica installata per settore di attività al 2010 (valori %)

Figura 16.6.4

Classi energetiche nelle Attestazioni di Certificazione Energetica degli edifici per ciascuna epoca di costruzione - valori %