I mutamenti degli scenari economici internazionali stanno imponendo una figura nuova di imprenditore agricolo, rivolto non solo alla produzione di beni alimentari ma anche capace di agire nel mercato globale. In quest'ottica le nuove sfide del mondo moderno, se da una parte richiedono un notevole sforzo di adattamento, soprattutto per il settore agricolo, penalizzato dallo scarso dinamismo e dalla bassa propensione all'innovazione, dall'altra possono rappresentare delle opportunità per i produttori in grado di coglierle adeguando il loro modo di fare impresa.
Alcuni tra i temi più importanti attorno ai quali si collocano queste nuove criticità/opportunità sono certamente la globalizzazione, la qualità e il valore immateriale del prodotto, agricoltura e tecnologia, le reti di impresa e l'imprenditorialità in agricoltura.
Questi temi, fortemente correlati tra loro, sono stati sviluppati da uno studio realizzato da Veneto Agricoltura
(Nota 2) nell'aprile. Si riporta qui una sintesi dei temi trattati.
La globalizzazione
Il fenomeno chiamato "globalizzazione" in tempi relativamente recenti ha investito con forza anche il sistema produttivo e commerciale dei beni destinati all'alimentazione umana, determinando un aumento dei consumi, della produzione e degli scambi.
Tale situazione sta ponendo serie e stringenti questioni nella riformulazione delle politiche di settore che vanno a influenzare lo sviluppo agricolo di sistema come quello della singola impresa. Punti di criticità come i rapporti di filiera, l'organizzazione e il posizionamento nei mercati, la rete di collaborazioni e l'innovazione divengono quindi fattori centrali nella gestione delle imprese ed elementi caratterizzanti e propulsori dell'agroalimentare. L'ambiente competitivo internazionale richiede capacità imprenditoriale, flessibilità decisionale, velocità di risposta al cambiamento, crescita, innovazione, organizzazione e sviluppo di filiera e di rete. In questa direzione si sono orientate alcune imprese agricole venete "pioniere", che hanno perseguito un costante incremento qualitativo dei prodotti associato a miglioramenti nell'organizzazione aziendale, nell'innovazione, nell'ottimizzazione dei fattori produttivi, investendo anche nel marketing e nella rete di vendita a presidio di mercati vicini e lontani.
Il fenomeno della globalizzazione sta incidendo in misura notevole anche sull'economia italiana e veneta, della quale uno dei punti di forza è l'orientamento all'export. Nel 2011 si è osservato un incremento delle esportazioni dal Veneto e significativi aumenti si registrano per l'export dei prodotti dell'industria agroalimentare e delle bevande, tra cui va sottolineato il valore di 1,3 miliardi di euro per la vendita all'estero dei vini provenienti dal Veneto. Per contro, l'esportazione dei prodotti veneti non trasformati di agricoltura e pesca segna una contrazione del 2,6%.
Appare pertanto evidente che il sistema agricolo veneto ha delle caratteristiche intrinseche di valore che possono ulteriormente essere valorizzate e sviluppate per potersi trasformare in vantaggi competitivi anche a livello internazionale. La specializzazione produttiva in alcuni prodotti di nicchia quali vini, formaggi e ortofrutticoli hanno fornito valore, ma in una dimensione che finora si è limitata soprattutto al livello locale. Si tende cioè a vendere a poche decine o centinaia di chilometri dal luogo di produzione, anche per rispondere all'esigenza di accorciare le filiere (vendita diretta e farmers market). Tuttavia esempi di successo, osservati soprattutto nel settore vitivinicolo, testimoniano che la globalizzazione offre delle opportunità per i prodotti made in Italy di essere conosciuti e venduti anche in mercati lontani.
Un ruolo, forse decisivo, nel favorire il superamento del vincolo territoriale e nel promuovere rapporti commerciali per le piccole realtà imprenditoriali può essere soddisfatto dall'operare in rete.
Ritorna quindi in primo piano la capacità non solo di produrre delle eccellenze ma di rendere concreti i rapporti di collaborazione su progetti di sviluppo condivisi, sia per fare massa critica ma soprattutto per poter concentrare lo sforzo di specializzazione nel marketing e nella rete di vendita. In questo contesto fattore determinante per la creazione del valore è la conoscenza. E' il capitale umano che, se in possesso di un avanzato livello di educazione formale tradotta in talento, capacità e creatività, diviene elemento determinante di successo. Un tempo la conoscenza era quasi esclusivamente orientata alla ricerca della migliore allocazione delle risorse finalizzata all'efficienza. Oggi essa deve produrre nuovi servizi e nuovi prodotti che ancorano il bene fisico materiale a elementi di immaterialità, a desideri, esperienze e significati. Quello che il made in Italy rappresenta nel mondo con prodotti di altissimo livello in nicchie del lusso, dell'abbigliamento, dell'arredamento e delle automobili può, ancora di più in futuro, concretizzarsi per molti prodotti dell'agroalimentare. Valori immateriali, propri della nostra cultura enogastronomica, quali la tradizione, l'artigianalità, il legame con il territorio, il paesaggio e il marchio possono essere venduti nel mondo ampliandone la diffusione e il bacino di consumo nello spazio e nel tempo moltiplicandone così il valore.
La qualità e il valore immateriale del prodotto
La bravura dell'imprenditore, che sia agricolo o di qualsiasi altro settore, è quella di sapere cogliere le opportunità date dal mercato, nel sapere cioè prevedere le esigenze del cliente e nel saperle tradurre in nuovi prodotti e servizi. È questo, in sintesi, quello che fanno le imprese innovatrici, quelle che aprono la strada.
Uno degli elementi su cui puntano le imprese maggiormente innovative per acquisire un vantaggio competitivo sulle altre imprese è proprio quello di fornire "prodotti di qualità". Ma quale qualità? Quella organolettica, commerciale o tecnologica? E come ottenerla? Il percorso per trasformare la "qualità" in "opportunità" di business è vario come il concetto stesso di qualità, oggi intesa sempre più come un mezzo che veicola risposte a esigenze espresse o latenti del consumatore. La qualità non è più concepita, infatti, solo come un fattore intrinseco al prodotto ma più propriamente come un attributo che si aggiunge alle caratteristiche del prodotto stesso.
Si può inoltre affermare che il nuovo mercato non è più mosso dai bisogni, ma dai desideri: si pone quindi la necessità per i produttori di appagare i desideri dei consumatori più che di soddisfarne un bisogno. Dalle indagini di mercato emerge infatti chiaramente come il consumo, compreso quello dei prodotti agroalimentari, diventi sempre più consumo di significati, di emozioni, di esperienze immateriali anziché consumo di beni materiali. "Smaterializzazione" vuol dire questo, ossia passare dall'economia dei bisogni all'economia dei desideri, utilizzando la conoscenza come risorsa condivisibile e riproducibile.
Alcune imprese hanno colto i cambiamenti dello stile di consumo e di acquisto dei prodotti alimentari da parte del consumatore e hanno puntato sull'offerta di prodotti pronti all'uso, altre hanno puntato sulla differenziazione, altre ancora sull'attribuzione al prodotto di "valori" e "significati" legati al benessere, al rispetto dell'ambiente e alla tradizione. Alcune hanno puntato a soddisfare le esigenze del consumatore finale, altre invece hanno posto maggiormente l'attenzione alle esigenze del cliente intermedio presente nella filiera. L'imprenditore agricolo ha, generalmente, come suoi principali riferimenti i clienti intermedi dati dai grossisti, dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO), dai negozianti o dall'industria. Ma tutti gli attori della filiera agricola hanno come punto di riferimento il consumatore finale, le sue esigenze e aspettative. L'imprenditore, se vuole cogliere le opportunità del mercato ed essere competitivo, deve quindi captare le esigenze esplicite e latenti del consumatore, cosa il cliente vuole consumare e come usa i prodotti. In definitiva deve conoscere i suoi stili di vita.
Questo significa cogliere l'opportunità di soddisfare le esigenze di quei consumatori che, ad esempio, richiedono prodotti pronti all'uso o adempiere alle richieste della GDO per quanto riguarda i quantitativi di prodotto e gli standard qualitativi, introducendo in azienda innovazioni tecniche e organizzative, investendo nella realizzazione di piattaforme di trasformazione e nell'organizzazione non solo della produzione ma anche delle consegne che devono essere effettuate in poche ore mantenendo la catena del freddo.
Si tratta quindi di sapere utilizzare i moderni canali di distribuzione e adottare le necessarie innovazioni di prodotto per poter essere competitivi adottando metodiche e procedure che prevedono certificazioni, controlli, etichettatura, tracciabilità, segregazione e confezionamento dei prodotti.
Agricoltura e tecnologia
Da quando l'agricoltura nacque, da quando l'uomo sviluppò un nuovo sapere, da quel momento, l'osservazione, la sperimentazione, la pratica e l'esperienza hanno favorito il miglioramento, il perfezionamento e la nascita di nuove tecniche agricole, ma soprattutto di nuove tecnologie. La tecnologia non è altro che la concretizzazione del sapere, il mettere in pratica il sapere acquisito con un modo di fare.
Ebbene, dopo diecimila e più anni di storia dell'agricoltura, si possono oggi individuare due paradigmi dell'utilizzo della tecnologia.
Il primo è il paradigma dell'hard technology. E' il mito della tecnologia applicata all'agricoltura, dalla ricerca di innovazioni, allo spasmodico utilizzo di sempre maggiore "potenza" tecnologica per aumentare la produttività agricola. La tecnologia infatti si traduce in valore economico nel momento in cui si pone l'obiettivo di aumentare la produttività per ettaro e per unità di lavoro. Questo paradigma dell'hard technology, o dell'agricoltura industriale, ha rappresentato un esempio di successo tecnologico per il mondo industrializzato, non solo in relazione alla capacità di produrre più cibo usando meno terra, ma anche e soprattutto per la capacità di produrre molto più cibo usando meno lavoro umano. Ancora oggi continua a prevalere questo modello di sviluppo: nonostante i costi energetici ed economici elevati e le forti ripercussioni a livello climatico, ambientale e sociale, le più avanzate tecnologie sia meccaniche che biologiche aiutate dalla chimica e dalla genetica dominano l'agricoltura dei paesi industrializzati e stimolano continuamente nuove spinte innovative in campo tecnologico.
L'altro paradigma è quello della soft technology. Negli ultimi decenni il settore agricolo dei Paesi industrializzati sembra essere vittima del successo tecnologico del passato e appare in difficoltà di fronte allo sviluppo dell'economia e del ruolo che il sistema agroalimentare assume nei mercati soprattutto dei Paesi più sviluppati. Allo stato attuale, infatti, "produrre più cibo" non è più la sola priorità, posto che la disponibilità di cibo è ormai considerata - non sempre a ragione - come acquisita. Altri criteri sono considerati più rilevanti e questo cambiamento di percezione muta anche la definizione di quali siano le priorità da seguire nello sviluppo tecnologico dell'agricoltura, che appare sempre più in una fase di transizione da un'applicazione di tecnologia tesa alla "potenza", verso una tecnologia più "dolce" ma più efficace e redditizia. Esiste un legame forte tra i cambiamenti socio-demografici e della domanda alimentare e il diffondersi di nuove tecnologie nel settore agroalimentare. Quest'ultimo, attraverso sperimentazioni e immissione di innovazioni nelle varie fasi del processo produttivo cerca di mantenere il passo, se non di anticipare, l'evoluzione delle esigenze dei consumatori, che sempre più ne determinano i contenuti, gli orientamenti e i percorsi di sviluppo. In una società sviluppata ciò che si paga di un prodotto alimentare sono soprattutto i suoi attributi di "servizio" e la sua convenienza viene intesa in ordine alla capacità di soddisfare i bisogni dei consumatori legati, ad esempio, all'esigenza di ridurre il tempo di preparazione dei cibi (prodotti "ready-to-eat", precotti e surgelati, IV gamma, monodose, ecc.), di soddisfare richieste di qualità e sicurezza alimentare (cibi salutistici e/o dietetici, alimenti light, funzionali o arricchiti, prodotti biologici, ecc.) e di garantire accessibilità e conservazione (packaging, logistica, rintracciabilità, ecc.).
Le imprese agricole più innovative hanno già intuito che il maggior valore marginale ottenibile dalla tecnologia risiede nella sua applicazione alle fasi precedenti o successive alla produzione agricola: quelle della ricerca (genomica, biotecnologie e nano-tecnologie), della raccolta, trasformazione, conservazione e movimentazione delle merci (automazione delle lavorazioni, packaging, marketing, logistica, information technology, ecc.) o su settori alternativi (utilizzo della biomassa a fini energetici, fotovoltaico, ecc.). Proprio perché in questi ambiti la tecnologia genera differenziazione, l'industrializzazione dell'alimentare connesso con l'agricolo costituisce un vantaggio competitivo che risulterà vincente per la permanenza sul mercato e il suo presidio.
Le reti di impresa
La rete - in senso lato - non è un'invenzione recente. Nel nostro sistema produttivo le reti sono note da tempo e nel processo di evoluzione delle interrelazioni tra imprese va sottolineato che proprio il settore agroalimentare è stato spesso protagonista, se non pioniere, nella creazione di reti.
Basti pensare alla consolidata presenza nel Veneto del sistema cooperativo agricolo, una storia che parte dalla fine dell'800, quando gruppi di agricoltori decisero di mettersi insieme per superare i vincoli dimensionali delle loro proprietà e dotarsi di adeguate strutture produttive. Un problema presente tuttora, se si considera che la polverizzazione della base produttiva e l'esiguità della superficie media aziendale rappresentano alcuni dei fattori limitanti più significativi per la crescita imprenditoriale del settore primario nel Veneto.
L'esigenza di superare le criticità e le inefficienze dovute ai vincoli dimensionali ha pertanto creato negli anni passati le condizioni per la nascita di numerose Cooperative, Consorzi e Associazioni. Queste prime forme di reti tra produttori, in grado di concentrare il prodotto, attuare economie di scala e consentire i necessari investimenti, si sono talvolta evolute verso forme di reti di filiera, occupando in parte o in toto i segmenti dalla produzione al consumo. La partecipazione alle reti di impresa offre infatti la possibilità di andare oltre il mero aspetto produttivo stabilendo relazioni stabili con distributori, importatori e buyer o dando vita ad apposite strutture per la promozione e commercializzazione.
Uno dei meriti delle forme cooperative, consortili e associative in agricoltura è stato quello di aver reso possibile il superamento della frammentarietà aziendale senza abbandonare l'individualismo, che è una delle caratteristiche principali del tessuto imprenditoriale veneto. La rete consente infatti al piccolo imprenditore di non perdere il controllo della propria azienda, anzi di rimanere al proprio posto di comando ampliando però orizzonti, possibilità e opportunità: pensare in grande senza rinunciare alla propria autonomia.
D'altra parte va sottolineato il fatto che molte delle reti aziendali o territoriali presenti nel settore agroalimentare veneto sussistono su rapporti di interrelazione tra soci che solo parzialmente possono essere considerati legami di rete veri e propri, e spesso tali sistemi reticolari risultano obsoleti e/o inadeguati alle esigenze delle imprese più innovative, che necessitano di forme di aggregazione più moderne e incisive. Si tratta in effetti di reti territoriali in cui spesso non c'è specializzazione delle competenze né condivisione del rischio, e la necessità di trovare soluzioni mediate, accettabili da tutti i soci, impedisce la realizzazione di strategie adatte agli innovatori.
Le esperienze di rete consolidate nel mondo agricolo stanno quindi, in molti casi, mostrando i propri limiti in uno scenario economico sempre più complesso dove l'organizzazione dell'impresa richiede il ricorso alla flessibilità e all'outsourcing. Il moderno concetto di rete non può più essere assimilato a un agglomerato di soggetti che desiderano diventare parti attive di un sistema più grande svolgendo però, grosso modo, tutti lo stesso ruolo con le medesime competenze, ma esige un approccio diverso: la rete come sistema di rapporti tra operatori che accettano di essere interdipendenti tra loro, di ripartire costi, rischi e investimenti e di specializzarsi su alcune funzioni per condividere l'eccellenza della loro professionalità con i partner. Le altre funzioni, per le quali l'imprenditore agricolo stenta a essere professionale e competitivo, in particolare le attività che esulano dalla produzione e riguardano i segmenti più a valle della filiera come il marketing, la comunicazione e la logistica, possono essere delegate ad altri attori della rete.
Questo passaggio presuppone da parte dell'azienda un ripensamento del proprio ruolo, un cambiamento culturale prima ancora che gestionale.
L'imprenditorialità in agricoltura
Ravvisare nello sviluppo di una moderna imprenditorialità un'opportunità per l'agricoltura di domani non può essere solo una speranza, ma è ormai una necessità. Sempre più l'imprenditore agricolo si confronta con la variabilità dei prezzi, la crescita dei costi di produzione e la concorrenza internazionale. Come affrontare tali sfide?
Alcune aziende lo hanno fatto partendo dalla propria storia e specificità, proiettandola nel futuro attraverso la rielaborazione delle proprie esperienze verso nuovi obiettivi. Questo approccio consente di affrontare il problema dell'innovazione, della qualità, dell'organizzazione, dei rapporti con clienti e fornitori dando spazio al vissuto delle persone coinvolte, alle relazioni interpersonali sviluppate, alle reti intrecciate che creano lo spazio comune per l'esplorazione delle possibilità. Ciò significa, per l'azienda di oggi che vuole diventare impresa, riuscire a rielaborare l'attività ricevuta dal passato all'insegna delle nuove opportunità e dell'innovazione.
Altre aziende hanno lavorato soprattutto sulle differenze e sulla capacità di interpretarle in senso positivo, in modo da trasformarle in valore dando risposta a quesiti del tipo: cosa so fare di diverso? Cosa posso fare di diverso partendo da quello che so fare? La mia specificità come può integrarsi in una filiera in maniera innovativa? Come può la mia azienda non essere una delle tante?
Il futuro quindi non viene da solo ne può derivare da automatismi messi in moto da altri. Anche l'agricoltura deve crearsi il futuro da sé. E qui entrano in gioco l'aspettativa che si vuole dare alla propria azienda, mediata dalle idee, dalla voglia di rischiare, di effettuare investimenti, ma soprattutto dalla capacità di leggere la propria differenza attraverso la storia che l'ha prodotta. Perché è questa differenza che deve acquisire valore utile per gli altri (Perché sono diverso? Perché la mia diversità sarà un valore per gli altri?).
Si può evincere una caratteristica comune dalla storia imprenditoriale di successo di molte aziende industriali o dei servizi: quello che le distingue non è solo l'attenzione alla qualità, alla modernità o al livello tecnologico dei beni e servizi offerti sul mercato, ma l'innovazione (diversità) incorporata nel prodotto, che fonda le radici esplorative verso il futuro possibile di una società sempre più complessa e interconnessa sia nella dimensione locale che in quella sovranazionale. Ciò diventa concretizzabile perché sempre più le aziende si aprono alla reciproca collaborazione secondo il modello a rete che comprende anche il consumatore finale. In questo modo l'innovazione non è più il frutto di un colpo di genio isolato di una persona o di una azienda, ma va a beneficiare di comportamenti convergenti da parte dei molti soggetti, che costituiscono i nodi delle reti di relazioni, rivolti a sviluppare il nuovo possibile. Caratteristiche di un operare economico che gli economisti ormai chiamano "economia della conoscenza".
L'imprenditore agricolo, quindi, non ha bisogno solo di innovare per migliorare la propria efficienza produttiva rinnovando il prodotto, aggiornando i processi produttivi e i macchinari, migliorando l'organizzazione, ecc., ma per dare risposte ai bisogni culturali - quindi, non solo di costo - del cliente, dei mercati e del consumatore.
Le possibilità che può esprimere l'agricoltura veneta in questo senso sono sicuramente molte, non solo legate alla forza dei prodotti tipici, IGP e DOP, che stanno mostrando notevoli potenzialità sui mercati mondiali, ma anche per le opportunità offerte dalla multifunzionalità, dalla specializzazione e dalle filiere corte o di nicchia.