U.O. Sistema Statistico Regionale U.O. Sistema Statistico Regionale
Capitolo 15

L'agricoltura evolve, il Veneto sta al passo

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15.1 Le nuove opportunità per le imprese agricole (Nota 1)

I mutamenti degli scenari economici internazionali stanno imponendo una figura nuova di imprenditore agricolo, rivolto non solo alla produzione di beni alimentari ma anche capace di agire nel mercato globale. In quest'ottica le nuove sfide del mondo moderno, se da una parte richiedono un notevole sforzo di adattamento, soprattutto per il settore agricolo, penalizzato dallo scarso dinamismo e dalla bassa propensione all'innovazione, dall'altra possono rappresentare delle opportunità per i produttori in grado di coglierle adeguando il loro modo di fare impresa.
Alcuni tra i temi più importanti attorno ai quali si collocano queste nuove criticità/opportunità sono certamente la globalizzazione, la qualità e il valore immateriale del prodotto, agricoltura e tecnologia, le reti di impresa e l'imprenditorialità in agricoltura.
Questi temi, fortemente correlati tra loro, sono stati sviluppati da uno studio realizzato da Veneto Agricoltura (Nota 2) nell'aprile. Si riporta qui una sintesi dei temi trattati.
La globalizzazione
Il fenomeno chiamato "globalizzazione" in tempi relativamente recenti ha investito con forza anche il sistema produttivo e commerciale dei beni destinati all'alimentazione umana, determinando un aumento dei consumi, della produzione e degli scambi.
Tale situazione sta ponendo serie e stringenti questioni nella riformulazione delle politiche di settore che vanno a influenzare lo sviluppo agricolo di sistema come quello della singola impresa. Punti di criticità come i rapporti di filiera, l'organizzazione e il posizionamento nei mercati, la rete di collaborazioni e l'innovazione divengono quindi fattori centrali nella gestione delle imprese ed elementi caratterizzanti e propulsori dell'agroalimentare. L'ambiente competitivo internazionale richiede capacità imprenditoriale, flessibilità decisionale, velocità di risposta al cambiamento, crescita, innovazione, organizzazione e sviluppo di filiera e di rete. In questa direzione si sono orientate alcune imprese agricole venete "pioniere", che hanno perseguito un costante incremento qualitativo dei prodotti associato a miglioramenti nell'organizzazione aziendale, nell'innovazione, nell'ottimizzazione dei fattori produttivi, investendo anche nel marketing e nella rete di vendita a presidio di mercati vicini e lontani.
Il fenomeno della globalizzazione sta incidendo in misura notevole anche sull'economia italiana e veneta, della quale uno dei punti di forza è l'orientamento all'export. Nel 2011 si è osservato un incremento delle esportazioni dal Veneto e significativi aumenti si registrano per l'export dei prodotti dell'industria agroalimentare e delle bevande, tra cui va sottolineato il valore di 1,3 miliardi di euro per la vendita all'estero dei vini provenienti dal Veneto. Per contro, l'esportazione dei prodotti veneti non trasformati di agricoltura e pesca segna una contrazione del 2,6%.
Appare pertanto evidente che il sistema agricolo veneto ha delle caratteristiche intrinseche di valore che possono ulteriormente essere valorizzate e sviluppate per potersi trasformare in vantaggi competitivi anche a livello internazionale. La specializzazione produttiva in alcuni prodotti di nicchia quali vini, formaggi e ortofrutticoli hanno fornito valore, ma in una dimensione che finora si è limitata soprattutto al livello locale. Si tende cioè a vendere a poche decine o centinaia di chilometri dal luogo di produzione, anche per rispondere all'esigenza di accorciare le filiere (vendita diretta e farmers market). Tuttavia esempi di successo, osservati soprattutto nel settore vitivinicolo, testimoniano che la globalizzazione offre delle opportunità per i prodotti made in Italy di essere conosciuti e venduti anche in mercati lontani.
Un ruolo, forse decisivo, nel favorire il superamento del vincolo territoriale e nel promuovere rapporti commerciali per le piccole realtà imprenditoriali può essere soddisfatto dall'operare in rete.
Ritorna quindi in primo piano la capacità non solo di produrre delle eccellenze ma di rendere concreti i rapporti di collaborazione su progetti di sviluppo condivisi, sia per fare massa critica ma soprattutto per poter concentrare lo sforzo di specializzazione nel marketing e nella rete di vendita. In questo contesto fattore determinante per la creazione del valore è la conoscenza. E' il capitale umano che, se in possesso di un avanzato livello di educazione formale tradotta in talento, capacità e creatività, diviene elemento determinante di successo. Un tempo la conoscenza era quasi esclusivamente orientata alla ricerca della migliore allocazione delle risorse finalizzata all'efficienza. Oggi essa deve produrre nuovi servizi e nuovi prodotti che ancorano il bene fisico materiale a elementi di immaterialità, a desideri, esperienze e significati. Quello che il made in Italy rappresenta nel mondo con prodotti di altissimo livello in nicchie del lusso, dell'abbigliamento, dell'arredamento e delle automobili può, ancora di più in futuro, concretizzarsi per molti prodotti dell'agroalimentare. Valori immateriali, propri della nostra cultura enogastronomica, quali la tradizione, l'artigianalità, il legame con il territorio, il paesaggio e il marchio possono essere venduti nel mondo ampliandone la diffusione e il bacino di consumo nello spazio e nel tempo moltiplicandone così il valore.
La qualità e il valore immateriale del prodotto
La bravura dell'imprenditore, che sia agricolo o di qualsiasi altro settore, è quella di sapere cogliere le opportunità date dal mercato, nel sapere cioè prevedere le esigenze del cliente e nel saperle tradurre in nuovi prodotti e servizi. È questo, in sintesi, quello che fanno le imprese innovatrici, quelle che aprono la strada.
Uno degli elementi su cui puntano le imprese maggiormente innovative per acquisire un vantaggio competitivo sulle altre imprese è proprio quello di fornire "prodotti di qualità". Ma quale qualità? Quella organolettica, commerciale o tecnologica? E come ottenerla? Il percorso per trasformare la "qualità" in "opportunità" di business è vario come il concetto stesso di qualità, oggi intesa sempre più come un mezzo che veicola risposte a esigenze espresse o latenti del consumatore. La qualità non è più concepita, infatti, solo come un fattore intrinseco al prodotto ma più propriamente come un attributo che si aggiunge alle caratteristiche del prodotto stesso.
Si può inoltre affermare che il nuovo mercato non è più mosso dai bisogni, ma dai desideri: si pone quindi la necessità per i produttori di appagare i desideri dei consumatori più che di soddisfarne un bisogno. Dalle indagini di mercato emerge infatti chiaramente come il consumo, compreso quello dei prodotti agroalimentari, diventi sempre più consumo di significati, di emozioni, di esperienze immateriali anziché consumo di beni materiali. "Smaterializzazione" vuol dire questo, ossia passare dall'economia dei bisogni all'economia dei desideri, utilizzando la conoscenza come risorsa condivisibile e riproducibile.
Alcune imprese hanno colto i cambiamenti dello stile di consumo e di acquisto dei prodotti alimentari da parte del consumatore e hanno puntato sull'offerta di prodotti pronti all'uso, altre hanno puntato sulla differenziazione, altre ancora sull'attribuzione al prodotto di "valori" e "significati" legati al benessere, al rispetto dell'ambiente e alla tradizione. Alcune hanno puntato a soddisfare le esigenze del consumatore finale, altre invece hanno posto maggiormente l'attenzione alle esigenze del cliente intermedio presente nella filiera. L'imprenditore agricolo ha, generalmente, come suoi principali riferimenti i clienti intermedi dati dai grossisti, dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO), dai negozianti o dall'industria. Ma tutti gli attori della filiera agricola hanno come punto di riferimento il consumatore finale, le sue esigenze e aspettative. L'imprenditore, se vuole cogliere le opportunità del mercato ed essere competitivo, deve quindi captare le esigenze esplicite e latenti del consumatore, cosa il cliente vuole consumare e come usa i prodotti. In definitiva deve conoscere i suoi stili di vita.
Questo significa cogliere l'opportunità di soddisfare le esigenze di quei consumatori che, ad esempio, richiedono prodotti pronti all'uso o adempiere alle richieste della GDO per quanto riguarda i quantitativi di prodotto e gli standard qualitativi, introducendo in azienda innovazioni tecniche e organizzative, investendo nella realizzazione di piattaforme di trasformazione e nell'organizzazione non solo della produzione ma anche delle consegne che devono essere effettuate in poche ore mantenendo la catena del freddo.
Si tratta quindi di sapere utilizzare i moderni canali di distribuzione e adottare le necessarie innovazioni di prodotto per poter essere competitivi adottando metodiche e procedure che prevedono certificazioni, controlli, etichettatura, tracciabilità, segregazione e confezionamento dei prodotti.
Agricoltura e tecnologia
Da quando l'agricoltura nacque, da quando l'uomo sviluppò un nuovo sapere, da quel momento, l'osservazione, la sperimentazione, la pratica e l'esperienza hanno favorito il miglioramento, il perfezionamento e la nascita di nuove tecniche agricole, ma soprattutto di nuove tecnologie. La tecnologia non è altro che la concretizzazione del sapere, il mettere in pratica il sapere acquisito con un modo di fare.
Ebbene, dopo diecimila e più anni di storia dell'agricoltura, si possono oggi individuare due paradigmi dell'utilizzo della tecnologia.
Il primo è il paradigma dell'hard technology. E' il mito della tecnologia applicata all'agricoltura, dalla ricerca di innovazioni, allo spasmodico utilizzo di sempre maggiore "potenza" tecnologica per aumentare la produttività agricola. La tecnologia infatti si traduce in valore economico nel momento in cui si pone l'obiettivo di aumentare la produttività per ettaro e per unità di lavoro. Questo paradigma dell'hard technology, o dell'agricoltura industriale, ha rappresentato un esempio di successo tecnologico per il mondo industrializzato, non solo in relazione alla capacità di produrre più cibo usando meno terra, ma anche e soprattutto per la capacità di produrre molto più cibo usando meno lavoro umano. Ancora oggi continua a prevalere questo modello di sviluppo: nonostante i costi energetici ed economici elevati e le forti ripercussioni a livello climatico, ambientale e sociale, le più avanzate tecnologie sia meccaniche che biologiche aiutate dalla chimica e dalla genetica dominano l'agricoltura dei paesi industrializzati e stimolano continuamente nuove spinte innovative in campo tecnologico.
L'altro paradigma è quello della soft technology. Negli ultimi decenni il settore agricolo dei Paesi industrializzati sembra essere vittima del successo tecnologico del passato e appare in difficoltà di fronte allo sviluppo dell'economia e del ruolo che il sistema agroalimentare assume nei mercati soprattutto dei Paesi più sviluppati. Allo stato attuale, infatti, "produrre più cibo" non è più la sola priorità, posto che la disponibilità di cibo è ormai considerata - non sempre a ragione - come acquisita. Altri criteri sono considerati più rilevanti e questo cambiamento di percezione muta anche la definizione di quali siano le priorità da seguire nello sviluppo tecnologico dell'agricoltura, che appare sempre più in una fase di transizione da un'applicazione di tecnologia tesa alla "potenza", verso una tecnologia più "dolce" ma più efficace e redditizia. Esiste un legame forte tra i cambiamenti socio-demografici e della domanda alimentare e il diffondersi di nuove tecnologie nel settore agroalimentare. Quest'ultimo, attraverso sperimentazioni e immissione di innovazioni nelle varie fasi del processo produttivo cerca di mantenere il passo, se non di anticipare, l'evoluzione delle esigenze dei consumatori, che sempre più ne determinano i contenuti, gli orientamenti e i percorsi di sviluppo. In una società sviluppata ciò che si paga di un prodotto alimentare sono soprattutto i suoi attributi di "servizio" e la sua convenienza viene intesa in ordine alla capacità di soddisfare i bisogni dei consumatori legati, ad esempio, all'esigenza di ridurre il tempo di preparazione dei cibi (prodotti "ready-to-eat", precotti e surgelati, IV gamma, monodose, ecc.), di soddisfare richieste di qualità e sicurezza alimentare (cibi salutistici e/o dietetici, alimenti light, funzionali o arricchiti, prodotti biologici, ecc.) e di garantire accessibilità e conservazione (packaging, logistica, rintracciabilità, ecc.).
Le imprese agricole più innovative hanno già intuito che il maggior valore marginale ottenibile dalla tecnologia risiede nella sua applicazione alle fasi precedenti o successive alla produzione agricola: quelle della ricerca (genomica, biotecnologie e nano-tecnologie), della raccolta, trasformazione, conservazione e movimentazione delle merci (automazione delle lavorazioni, packaging, marketing, logistica, information technology, ecc.) o su settori alternativi (utilizzo della biomassa a fini energetici, fotovoltaico, ecc.). Proprio perché in questi ambiti la tecnologia genera differenziazione, l'industrializzazione dell'alimentare connesso con l'agricolo costituisce un vantaggio competitivo che risulterà vincente per la permanenza sul mercato e il suo presidio.
Le reti di impresa
La rete - in senso lato - non è un'invenzione recente. Nel nostro sistema produttivo le reti sono note da tempo e nel processo di evoluzione delle interrelazioni tra imprese va sottolineato che proprio il settore agroalimentare è stato spesso protagonista, se non pioniere, nella creazione di reti.
Basti pensare alla consolidata presenza nel Veneto del sistema cooperativo agricolo, una storia che parte dalla fine dell'800, quando gruppi di agricoltori decisero di mettersi insieme per superare i vincoli dimensionali delle loro proprietà e dotarsi di adeguate strutture produttive. Un problema presente tuttora, se si considera che la polverizzazione della base produttiva e l'esiguità della superficie media aziendale rappresentano alcuni dei fattori limitanti più significativi per la crescita imprenditoriale del settore primario nel Veneto.
L'esigenza di superare le criticità e le inefficienze dovute ai vincoli dimensionali ha pertanto creato negli anni passati le condizioni per la nascita di numerose Cooperative, Consorzi e Associazioni. Queste prime forme di reti tra produttori, in grado di concentrare il prodotto, attuare economie di scala e consentire i necessari investimenti, si sono talvolta evolute verso forme di reti di filiera, occupando in parte o in toto i segmenti dalla produzione al consumo. La partecipazione alle reti di impresa offre infatti la possibilità di andare oltre il mero aspetto produttivo stabilendo relazioni stabili con distributori, importatori e buyer o dando vita ad apposite strutture per la promozione e commercializzazione.
Uno dei meriti delle forme cooperative, consortili e associative in agricoltura è stato quello di aver reso possibile il superamento della frammentarietà aziendale senza abbandonare l'individualismo, che è una delle caratteristiche principali del tessuto imprenditoriale veneto. La rete consente infatti al piccolo imprenditore di non perdere il controllo della propria azienda, anzi di rimanere al proprio posto di comando ampliando però orizzonti, possibilità e opportunità: pensare in grande senza rinunciare alla propria autonomia.
D'altra parte va sottolineato il fatto che molte delle reti aziendali o territoriali presenti nel settore agroalimentare veneto sussistono su rapporti di interrelazione tra soci che solo parzialmente possono essere considerati legami di rete veri e propri, e spesso tali sistemi reticolari risultano obsoleti e/o inadeguati alle esigenze delle imprese più innovative, che necessitano di forme di aggregazione più moderne e incisive. Si tratta in effetti di reti territoriali in cui spesso non c'è specializzazione delle competenze né condivisione del rischio, e la necessità di trovare soluzioni mediate, accettabili da tutti i soci, impedisce la realizzazione di strategie adatte agli innovatori.
Le esperienze di rete consolidate nel mondo agricolo stanno quindi, in molti casi, mostrando i propri limiti in uno scenario economico sempre più complesso dove l'organizzazione dell'impresa richiede il ricorso alla flessibilità e all'outsourcing. Il moderno concetto di rete non può più essere assimilato a un agglomerato di soggetti che desiderano diventare parti attive di un sistema più grande svolgendo però, grosso modo, tutti lo stesso ruolo con le medesime competenze, ma esige un approccio diverso: la rete come sistema di rapporti tra operatori che accettano di essere interdipendenti tra loro, di ripartire costi, rischi e investimenti e di specializzarsi su alcune funzioni per condividere l'eccellenza della loro professionalità con i partner. Le altre funzioni, per le quali l'imprenditore agricolo stenta a essere professionale e competitivo, in particolare le attività che esulano dalla produzione e riguardano i segmenti più a valle della filiera come il marketing, la comunicazione e la logistica, possono essere delegate ad altri attori della rete.
Questo passaggio presuppone da parte dell'azienda un ripensamento del proprio ruolo, un cambiamento culturale prima ancora che gestionale.
L'imprenditorialità in agricoltura
Ravvisare nello sviluppo di una moderna imprenditorialità un'opportunità per l'agricoltura di domani non può essere solo una speranza, ma è ormai una necessità. Sempre più l'imprenditore agricolo si confronta con la variabilità dei prezzi, la crescita dei costi di produzione e la concorrenza internazionale. Come affrontare tali sfide?
Alcune aziende lo hanno fatto partendo dalla propria storia e specificità, proiettandola nel futuro attraverso la rielaborazione delle proprie esperienze verso nuovi obiettivi. Questo approccio consente di affrontare il problema dell'innovazione, della qualità, dell'organizzazione, dei rapporti con clienti e fornitori dando spazio al vissuto delle persone coinvolte, alle relazioni interpersonali sviluppate, alle reti intrecciate che creano lo spazio comune per l'esplorazione delle possibilità. Ciò significa, per l'azienda di oggi che vuole diventare impresa, riuscire a rielaborare l'attività ricevuta dal passato all'insegna delle nuove opportunità e dell'innovazione.
Altre aziende hanno lavorato soprattutto sulle differenze e sulla capacità di interpretarle in senso positivo, in modo da trasformarle in valore dando risposta a quesiti del tipo: cosa so fare di diverso? Cosa posso fare di diverso partendo da quello che so fare? La mia specificità come può integrarsi in una filiera in maniera innovativa? Come può la mia azienda non essere una delle tante?
Il futuro quindi non viene da solo ne può derivare da automatismi messi in moto da altri. Anche l'agricoltura deve crearsi il futuro da sé. E qui entrano in gioco l'aspettativa che si vuole dare alla propria azienda, mediata dalle idee, dalla voglia di rischiare, di effettuare investimenti, ma soprattutto dalla capacità di leggere la propria differenza attraverso la storia che l'ha prodotta. Perché è questa differenza che deve acquisire valore utile per gli altri (Perché sono diverso? Perché la mia diversità sarà un valore per gli altri?).
Si può evincere una caratteristica comune dalla storia imprenditoriale di successo di molte aziende industriali o dei servizi: quello che le distingue non è solo l'attenzione alla qualità, alla modernità o al livello tecnologico dei beni e servizi offerti sul mercato, ma l'innovazione (diversità) incorporata nel prodotto, che fonda le radici esplorative verso il futuro possibile di una società sempre più complessa e interconnessa sia nella dimensione locale che in quella sovranazionale. Ciò diventa concretizzabile perché sempre più le aziende si aprono alla reciproca collaborazione secondo il modello a rete che comprende anche il consumatore finale. In questo modo l'innovazione non è più il frutto di un colpo di genio isolato di una persona o di una azienda, ma va a beneficiare di comportamenti convergenti da parte dei molti soggetti, che costituiscono i nodi delle reti di relazioni, rivolti a sviluppare il nuovo possibile. Caratteristiche di un operare economico che gli economisti ormai chiamano "economia della conoscenza".
L'imprenditore agricolo, quindi, non ha bisogno solo di innovare per migliorare la propria efficienza produttiva rinnovando il prodotto, aggiornando i processi produttivi e i macchinari, migliorando l'organizzazione, ecc., ma per dare risposte ai bisogni culturali - quindi, non solo di costo - del cliente, dei mercati e del consumatore.
Le possibilità che può esprimere l'agricoltura veneta in questo senso sono sicuramente molte, non solo legate alla forza dei prodotti tipici, IGP e DOP, che stanno mostrando notevoli potenzialità sui mercati mondiali, ma anche per le opportunità offerte dalla multifunzionalità, dalla specializzazione e dalle filiere corte o di nicchia.
 
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15.2 Il Censimento: un'occasione per cogliere i cambiamenti

Quali sono le trasformazioni che negli ultimi anni caratterizzano l'agricoltura veneta? Quali i nuovi scenari che si stanno delineando? Quali opportunità da cogliere?
E' possibile trovare alcune delle risposte più importanti nei dati dell'ultimo Censimento generale dell'agricoltura, tenutosi nell'ottobre del 2010 ed in grado di evidenziare quanto accaduto negli ultimi 10 anni (Nota 3).
Nelle pagine successive i primi risultati saranno posti a confronto con quelli del precedente censimento del 2000: prima di procedere all'analisi, è necessario specificare alcune premesse circa la natura dei dati che sono stati analizzati (Nota 4): i dati provvisori a disposizione sono attribuiti alla regione o provincia autonoma nella quale è localizzato il centro aziendale (Nota 5), indipendentemente dalla residenza del conduttore e dall'Ufficio di censimento che ha rilevato l'azienda agricola: solo con i dati definitivi sarà possibile effettuare le eventuali e necessarie compensazioni tra regioni, province e comuni dei terreni censiti.
Al 24 ottobre 2010 erano presenti in Veneto 120.735 aziende agricole (Nota 6), più del 30% in meno rispetto al 2000, per una superficie agricola utilizzata (SAU) pari a 806.319 ettari, quest'ultima in diminuzione del 5%: si conferma quindi il processo di ridimensionamento in corso ormai da qualche decennio, che sta portando l'agricoltura veneta ad una concentrazione dei terreni agricoli e del numero di aziende.
La diretta conseguenza è un aumento della superficie media, che passa dai 4,8 ettari del 2000 ai 6,7 attuali, comunque al di sotto della media italiana (7,9 ha) e dell'Europa a 27 (17,9 ha). (Figura 15.2.1)
Il netto calo del numero di aziende è un fenomeno che coinvolge tutta la penisola indistintamente (-32,2% la media italiana), la SAU invece a livello nazionale cala appena del 2,3% ed addirittura in alcune regioni cresce, soprattutto nelle prime tre con i valori più elevati (Sicilia, Puglia e Sardegna).
Cresce di conseguenza la SAU media, con la concentrazione dei valori più elevati nelle regioni del nord, dove le aziende storicamente sono maggiormente improntate ad un carattere imprenditoriale. (Figura 15.2.2)
Scendendo nel dettaglio veneto, se quasi la metà delle aziende risiede nelle province di Padova e Treviso, rispettivamente il 25% ed il 24% del totale regionale, è la provincia di Verona ad accaparrarsi la maggior fetta di superficie agricola utilizzata (21%). (Figura 15.2.3)
La provincia che registra il maggior incremento di SAU media è Belluno, caratterizzata dalle estensioni di prati e pascoli, quasi un terzo del totale veneto, che conferivano alle aziende di qui già nel 2000 una delle SAU medie più elevate della regione, sebbene per il 2010 si assista anche all'effetto congiunto del crollo del numero di aziende ed una inferiore diminuzione della SAU. (Figura 15.2.4)
Scendendo in un dettaglio geografico maggiore, per regione agraria, si nota come la maggior perdita di aziende si concentri in tutta la fascia pedemontana, il veneziano ed il Cadore. (Figura 15.2.5)
Molte di queste stesse zone hanno evidenziato un rischio idrogeologico importante negli ultimi anni e l'abbandono del territorio da parte di aziende agricole e terreni lo potrebbe privare di alcune tra le sentinelle più preziose per la sua cura e salvaguardia.
Il Veneto conferma la sua vocazione a seminativi: con oltre mezzo milione di ettari, copre il 70% (in Italia poco più della metà) della SAU, seguono prati e pascoli con il 16% (quasi il 27% in Italia), legnose agrarie con il 13,4% (18,4% a livello nazionale). Sia in Veneto che in Italia gli orti familiari ricoprono quote marginali di SAU, pari in entrambi i casi allo 0,2% (Figura 15.2.6)
E sono proprio prati e pascoli e orti ad accusare il calo di superficie più consistente, rispettivamente -20,1% e -23,6%, a fronte di una sostanziale stabilità per seminativi (-2%) e legnose agrarie (-0,4%), queste ultime grazie alla legnosa principale coltivata in Veneto: la vite, che nel corso dei 10 anni considerati perde appena il -0,1% di superficie, attestandosi a 73.708 ettari. (Figura 15.2.7)
In questo modo la vite veneta aumenta il suo peso sul territorio italiano, raggiungendo quasi il 12% del totale nazionale. E se ogni 100 ettari coltivati a legnose nella nostra regione, quasi 70 sono a vite, capita invece che il numero di aziende con questa coltivazione nel corso degli ultimi 10 anni si sia più che dimezzato, in coerenza con quel fenomeno di specializzazione e concentrazione dei terreni agricoli che coinvolge l'intera penisola. Seppure in raddoppio, rimane comunque al di sotto della media regionale la SAU a vite per azienda, raggiungendo un valore pari a due ettari.
Dettagliando per provincia, si scopre che a Padova, Treviso e Venezia risiedono oltre i due terzi delle aziende a seminativi del Veneto, mentre tra Treviso e Verona si distribuisce la fetta più grossa di aziende a legnose agrarie (soprattutto a vite): oltre la metà di quelle di tutto il Veneto risiede in queste due province. (Figura 15.2.8)
Quanto agli allevamenti (Nota 7), per il 2010 il Veneto risulta, come accadeva dieci anni prima, una delle regioni con più allevamenti d'Italia (al terzo posto, dopo Lombardia e Sardegna): di certo la specializzazione più rappresentata in Italia, come in Veneto, è quella a bovini. Oltre la metà delle aziende con allevamenti in Italia alleva questa specie animale e la percentuale raggiunge il 65% per la nostra regione, infatti il Veneto è una delle tre regioni d'Italia, assieme a Lombardia e Piemonte, con il più alto numero di capi e di aziende. (Figura 15.2.9)
Il Veneto spicca a livello nazionale anche per il numero di capi avicoli allevati: con oltre 58 milioni di capi e quasi tremila aziende è di gran lunga la prima regione italiana con questa specializzazione. Fenomeno analogo accade per i conigli: con oltre 2 milioni e mezzo di capi è sempre il Veneto ad accaparrarsi la prima posizione.
Treviso e Padova sono le due province con il maggior numero di aziende con capi zootecnici, realizzando assieme quasi la metà del totale regionale. (Figura 15.2.10)
Come per le coltivazioni, anche nell'ambito degli allevamenti ciascuna provincia evidenzia una propria specializzazione territoriale, così se il maggior numero delle aziende con bovini si concentrano tra Treviso, Padova e Vicenza, quelle con avicoli caratterizzano le provincie di Verona e Padova, quelle a suini Treviso e Padova, Belluno si distingue per le aziende ad ovini, Venezia e Treviso per gli allevamento a bufalini e Rovigo per gli struzzi. (Figura 15.2.11)
L'agricoltura è una delle componenti essenziali in ambito economico e sociale: l'importanza di questo settore è tale che il non sostenerlo a dovere provocherebbe certamente una diminuzione del prodotto interno lordo e di conseguenza dell'occupazione anche in molti altri settori economici direttamente correlati, come ad esempio la filiera agroalimentare, il settore delle attività rurali connesse al turismo, i trasporti, i servizi locali e pubblici. Il settore agricolo esercita un'importante attività anche nei riguardi dell'ambiente e del presidio territoriale con funzioni di freno dell'abbandono che troppo spesso riguarda soprattutto le aree rurali.
Sicuramente gli obiettivi che si prefigge l'Unione Europea, quali il miglioramento della competitività del settore agricolo-forestale e dello spazio e della qualità della vita nelle zone rurali, attraverso la diversificazione dell'economia e al contemporaneo rispetto della sostenibilità ambientale, promuovendo le capacità ed i talenti locali di creare occupazione, saranno di importanza cruciale per la salvaguardia di un'attività così importante e con equilibri altrettanto a rischio.

Figura 15.2.1

Variazione % 2010/00 numero aziende, SAU, SAU media, SAT, SAT media. Veneto e Italia.

Figura 15.2.2

Superficie agricola utilizzata (SAU) media per regione. Italia - Anno 2010

Figura 15.2.3

Distribuzione % numero aziende e SAU per provincia. Veneto - Anno 2010

Figura 15.2.4

Sau media e variazione % rispetto al 2000 per provincia, Veneto ed Italia. Anno 2010

Figura 15.2.5

Variazione % del numero di aziende agricole per regione agraria. Anni 2010/00.

Figura 15.2.6

Distribuzione % della SAU per tipologia di coltivazione - Veneto e Italia. Anno 2010

Figura 15.2.7

Variazione % superficie per tipologia di coltivazione. Veneto e Italia - Anni 2010/00

Figura 15.2.8

Aziende per tipologia di superficie e provincia. Veneto - Anno 2010

Figura 15.2.9

Aziende con allevamenti e aziende con bovini per regione. Anno 2010

Figura 15.2.10

Distribuzione % delle aziende agricole con allevamenti per provincia. Veneto - Anno 2010

Figura 15.2.11

Distribuzione % delle aziende agricole con allevamenti per tipologia e provincia. Anno 2010
 
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15.3 Le esportazioni agroalimentari

I prodotti agroalimentari italiani sono universalmente riconosciuti per gli elevati standard qualitativi, per la riconoscibile tipicità e per la capacità di comunicare al mondo il concetto del nutrirsi con gusto e salute. Non è un caso, infatti, che la dieta mediterranea, di cui l'Italia è una delle principali interpreti, sia stata riconosciuta dall'UNESCO patrimonio culturale immateriale dell'umanità nel corso del 2010; oppure che il nostro paese detenga il primato europeo per prodotti alimentari a denominazione d'origine (Nota 8) (239 nel 2011, di cui 20 nuovi prodotti registrati solamente nel corso dell'ultimo anno), il cui fatturato alla produzione è cresciuto tra il 2009 ed il 2010 del 13,7% ed il valore della produzione esportata di quasi il 30%, coinvolgendo oltre 80 mila operatori tra produttori e trasformatori.
Di questi 239 prodotti a denominazione d'origine, 35 vengono prodotti nella nostra regione e a questi vanno aggiunti i 368 prodotti agroalimentari tradizionali (4606 presenti in Italia) (Nota 9) regolarmente approvati ogni anno con decreto ministeriale, che fungono da bacino d'utenza per le future denominazioni.
La forte propensione all'export di tutti questi prodotti, quindi, è figlia del grande lavoro che ciascun produttore fa a monte: a partire dall'elevata qualità delle materie prime, per finire con le politiche mirate di marketing.
Questo sforzo negli ultimi anni è stato ripagato da una crescita rapida e continua dell'export agroalimentare negli ultimi anni per l'Italia, ma soprattutto per il Veneto, escludendo la parentesi del 2009, probabilmente l'anno peggiore della crisi economica internazionale. (Figura 15.3.1)
Tra il 2004 ed il 2011 l'export agroalimentare Veneto è cresciuto di oltre il 76% (in Italia del 55%), totalizzando lo scorso anno quasi 4,5 miliardi di euro, in aumento dell'11% rispetto al 2010 e coprendo quasi il 9% del totale delle esportazioni che la nostra regione effettua nel mondo.
E se è un fenomeno ormai ricorrente per il Veneto, come per l'Italia, una bilancia commerciale per l'agroalimentare in deficit, è anche vero che se questa forbice per la nostra regione si è ridotta rispetto al 2004 è grazie ai prodotti dell'industria alimentare, che a partire dal 2010 presenta valori positivi per il saldo normalizzato, mentre aumenta invece il deficit per i prodotti agricoli. (Figura 15.3.2)
Nel dettaglio, i gruppi di prodotti con un import nettamente inferiore all'export sono soprattutto bevande (dove è compreso il vino), tabacchi e preparazioni a base di cereali. Di converso è fortemente deficitario il rapporto per animali vivi, cereali e pesci e crostacei. (Figura 15.3.3)
E rimanendo sui prodotti il più esportato in assoluto è il vino che, con oltre 1,3 miliardi di euro, vede crescere fra il 2004 ed il 2011 la sua performance di oltre 60 punti percentuali, finendo per coprire nel corso dell'ultimo anno il 30% del totale delle esportazioni agroalimentari del Veneto. (Figura 15.3.4)
Tutti i primi 10 prodotti più esportati all'estero hanno visto fra il 2004 ed il 2011 una variazione percentuale in doppia cifra, con particolari picchi raggiunti dal caffè, l'alimentazione per gli animali e le paste alimentari.
Quanto invece ai paesi di destinazione, la Germania è da anni di gran lunga il nostro primo acquirente, assorbendo il 22% del valore delle nostre esportazioni dell'ultimo anno; inoltre tutti i primi dieci paesi della graduatoria indicano valori di crescita superiori al 20% tra il 2004 ed il 2011, con il record dei Paesi Bassi (112,8%). (Figura 15.3.5)
Un aspetto rilevante del nostro e15port è la concentrazione dei mercati per i prodotti agroalimentari: la metà del valore appartiene ai primi 5 Paesi della graduatoria. Le future strategie di sviluppo dovranno perciò puntare ad un allargamento dei mercati stessi, con sbocchi che identifichino e coinvolgano tutti quei Paesi le cui potenzialità non sono ancora pienamente sviluppate.
Dettagliando poi per provincia, scopriamo che Verona detiene quasi la metà dell'export agroalimentare, seguita da Treviso (18,1%) e Venezia (8,5%). (Figura 15.3.6), (Figura 15.3.7)
E sebbene tutte le province venete raccolgano apprezzamenti crescenti all'estero per i prodotti che esportano, è la provincia di Padova quella con la variazione maggiore tra il 2004 ed il 2011: nel corso degli anni considerati più che raddoppia la sua performance, soprattutto grazie all'ottima affermazione dei prodotti nel comparto bevande.
Focalizziamo ora l'attenzione sul prodotto dell'agroalimentare veneto che ha più successo all'estero: il vino.
L'Italia ha esportato 4,4 miliardi di euro di vino nel mondo nel corso del 2011, anno che per la prima volta ha visto il sorpasso in valore degli Stati Uniti sulla Germania, storico primo acquirente di vini italiani.
Il 30% del valore esportato all'estero proviene dalla nostra regione che, con oltre 1,3 miliardi, conferma la testa della classifica fra le regioni italiane per l'ennesimo anno consecutivo, in crescita rispetto al 2010 del 15%. (Figura 15.3.8)
Del resto la crescita dell'export di questo prodotto non ha conosciuto sosta negli ultimi anni per il Veneto, a parte la nota parentesi dell'anno più nero della crisi, prendendo letteralmente il volo a partire dal 2010 e confermando il crescente apprezzamento che i nostri vini riscuotono all'estero, superando in quantità (ma non ancora in valore) lo storico rivale francese. (Figura 15.3.9)
Attraverso i dati di dettaglio è possibile individuare i tratti salienti del nostro export di vino: con particolare riguardo alla tipologia, se da un lato è il vino in bottiglia il principe delle vendite (75%), dall'altro è lo spumante, con il 16% del totale esportato, ad avere la performance migliore negli ultimi anni, con crescite continuamente superiori alle due cifre negli ultimi cinque anni. (Figura 15.3.10), (Figura 15.3.11)
Come per la totalità del comparto agroalimentare, anche per il vino il nostro primo acquirente è la Germania, che si accaparra quasi un quarto del valore del 2011, ed una crescita rispetto all'anno precedente pari al 14,8%. Seguono, con una crescita addirittura superiore alla Germania, Stati Uniti (+16,3%) e Regno Unito (+20,3%). (Figura 15.3.12)
A segnalare le crescite maggiori sono Repubblica Ceca (+35,6%), Norvegia (+23,7%) e Svezia (+22,4%).
Questi ultimi tre Paesi, assieme a Cina, Russia, Ungheria, Hong Kong, Australia e Slovacchia, sono, all'interno dei primi 25 maggiori acquirenti, i paesi con la crescita più forte dal 2004 al 2011, con valori tutti al di sopra del 200%: sarà infatti in questi paesi, la maggior parte dei quali copre ancora piccole porzioni di mercato e dove la cultura del vino ha ancora amplissimi margini di crescita, che i nostri operatori all'estero dovranno saper cogliere l'opportunità per guadagnare nuove fette di mercato e per favorire la divulgazione di un patrimonio culturale che ci ha reso noti in tutto il mondo.
Analizzando il fenomeno dal punto di vista geografico, dal momento che il continente europeo rimane comunque il maggior mercato per il nostro vino concentrando su di sé per il 2011 quasi il 70% dell'export, è possibile notare come nel corso degli ultimi anni siano stati principalmente i paesi nord ed est-europei a segnalare valori di crescita superiori al 200%. (Figura 15.3.13)
Di contro, per i paesi tradizionalmente produttori e consumatori di vino la variazione delle esportazioni di vino è decisamente di intensità minore ed in alcuni casi (come la Spagna) addirittura negativa: e se nei paesi nord-est europei il consumo di vino pro capite è in crescita, in questi ultimi si avverte un consistente calo o tutt'al più una sostanziale stabilità, come se l'ago della bilancia dei consumi si stesse spostando gradualmente da ovest verso est, da chi il vino lo produce tradizionalmente verso chi invece non ne ha ancora la possibilità. (Figura 15.3.14)

Figura 15.3.1

Valore delle esportazioni agroalimentari e variazione % rispetto all'anno precedente. Veneto - Anni 2005:2011

Figura 15.3.2

Saldo normalizzato (*) dell'interscambio commerciale dell'agroalimentare per categoria. Veneto - Anni 2004:2011

Figura 15.3.3

Saldo normalizzato (*) dell'interscambio commerciale per i principali prodotti agroalimentari. Veneto - Anno 2011

Figura 15.3.4

Esportazioni agroalimentari: graduatoria dei primi 10 prodotti e variazione rispetto al 2004. Veneto - Anno 2011

Figura 15.3.5

Esportazioni agroalimentari: graduatoria dei primi 10 paesi e variazione rispetto al 2004. Veneto - Anno 2011

Figura 15.3.6

Distribuzione % export agroalimentare per provincia. Veneto - Anno 2011

Figura 15.3.7

Esportazioni agroalimentari per provincia e variazione % rispetto al 2004. Veneto - Anno 2011

Figura 15.3.8

Esportazioni di vino (migliaia di euro) e variazione rispetto all'anno precedente per regione. Italia - Anno 2011(*)

Figura 15.3.9

Valore delle esportazioni di vino e variazione % rispetto all'anno precedente. Veneto - Anni 2005:2011(*)

Figura 15.3.10

Distribuzione % per tipologia di vino esportato. Veneto - Anno 2011

Figura 15.3.11

Variazione % rispetto all'anno precedente per tipologia di vino esportato. Anni 2004:2011

Figura 15.3.12

Esportazioni di vino (migliaia di euro) e variazione % rispetto all'anno precedente per paese di destinazione. Veneto - Anno 2011

Figura 15.3.13

Esportazioni di vino: variazioni % per i paesi europei - Veneto. Anni 2011/04

Figura 15.3.14

Consumo di vino pro capite e variazione % rispetto al 2000 per i principali paesi consumatori di vino. Anno 2007