U.O. Sistema Statistico Regionale U.O. Sistema Statistico Regionale
Capitolo 10

Dalla crisi le opportunità per far ripartire le imprese

Comunemente si data l'inizio della crisi internazionale a settembre 2008, ma essa ha investito il sistema produttivo italiano e veneto nel mezzo di un processo di ristrutturazione che era già iniziato da tempo. Come raccolto da vasta e recente letteratura (Nota 1), il contesto competitivo in cui operano le imprese manifatturiere è radicalmente mutato dalla metà degli anni Novanta. I vecchi fattori del vantaggio competitivo veneto basati prevalentemente sul contenimento dei costi di produzione, sono stati assunti da altre aree geografiche (in particolare dai paesi dell'est Europa, Cina e India). Ne è conseguito lo stallo della produttività che dura ormai da anni ed è antecedente la recessione internazionale. Le evidenze pre-crisi indicavano tuttavia che alcune imprese di successo avevano già modificato il loro modello di business, focalizzando la loro strategia sia su attività a monte che a valle del processo produttivo. La strategia vincente sembra essere quella di differenziare e qualificare i propri prodotti rispetto quelli dei concorrenti e sfuggire alla pura competizione di prezzo attraverso l'attivazione di attività di Ricerca & Sviluppo, design, pubblicità specifiche, ma anche la realizzazione di reti distributive ad hoc, l'accesso agevolato a nuovi mercati, la garanzia di assistenza. Questa trasformazione, definita come una sorta di "terziarizzazione dell'attività manifatturiera" (Nota 2), è un processo nel quale acquisiscono importanza gli investimenti immateriali, rispetto a quelli materiali.
 
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10.1 Il Veneto è ancora competitivo?

Sullo sfondo della peggior crisi economica e finanziaria della storia recente, l'Unione europea ha adottato l'ambiziosa strategia "Europa 2020" finalizzata alla ripresa di lungo periodo e con l'obiettivo di perseguire una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile, promuovendo, in ambito strettamente economico, la competitività. (Figura 10.1.1)
La Commissione europea ha definito un nuovo indice regionale di competitività per tutte le regioni europee, costituito da una serie di indicatori che riguardano oltre agli aspetti puramente economici, anche fattori relativi alla qualità della vita e alle aspettative di vita ponderati per la percezione della salute e la fiducia e aspetti relativi all'innovazione e alla disponibilità tecnologica (Nota 3).
Nel panorama europeo il Veneto si trova in una posizione media, lontana dalle altamente concorrenziali regioni tedesche e dalla Gran Bretagna meridionale, ma anche superiore rispetto alle regioni meno sviluppate di Grecia, Est Europa, Portogallo e Sud Italia. Ma come è possibile che un territorio obiettivamente ricco come quello veneto non risulti tra i più competitivi?
Anche in Veneto la crisi economica ha evidenziato il fatto che le fonti di crescita non erano abbastanza equilibrate, sottolineando così la necessità di migliorare i parametri della performance economica, includendo anche gli elementi indispensabili per una crescita economica sostenibile.
Come i manuali insegnano, la crescita del PIL di una regione viene determinata dall'aumento del valore aggiunto dei beni e dei servizi prodotti per il mercato interno ed estero. Incrementi del valore aggiunto, dovuti a guadagni di efficienza e all'intensità di capitale e di lavoro nei settori di riferimento, possono influenzare la crescita dell'occupazione. L'equilibrio al quale deve puntare un'economia regionale consiste nell'assicurare da un lato che i beni e i servizi prodotti abbiano un prezzo competitivo e, dall'altro, che gli stipendi percepiti consentano ai lavoratori una buona qualità di vita.
L'incremento della produttività è essenziale per ottenere stipendi più elevati senza perdere competitività. E' anche la fonte principale di crescita del PIL pro capite e si prevede che lo diventi sempre più con la contrazione della quota di popolazione in età lavorativa nelle regioni più avanzate. (Tabella 10.1.1)
Da letteratura, l'incremento del PIL pro capite può suddividersi in: variazioni nella produttività del lavoro, tassi occupazionali e percentuale della popolazione in età lavorativa sul totale. Da uno studio della Commissione europea (Nota 4) si evince che, nel periodo 2000-2007, il PIL pro capite nelle regioni UE nel loro complesso è aumentato dell'1,8% annuo e la produttività è cresciuta dell'1,4% annuo, producendo quasi l'80% della crescita. L'occupazione è aumentata dello 0,4% annuo, producendo il 20% della crescita. La percentuale di popolazione in età lavorativa è rimasta in linea di massima invariata. Si osserva che nelle regioni economicamente più in ritardo la produttività è aumentata più della media comunitaria proprio perché si trovano in una fase di transizione con uno spostamento in termini di prodotto e occupazione da attività meno produttive ad attività a più alto valore aggiunto. Di conseguenza, l'occupazione in questo gruppo è salita solo di uno 0,2% annuo, contribuendo solo per il 7% alla crescita complessiva del PIL pro capite. In media, in queste regioni la quota di popolazione giovane è più alta rispetto al resto dell'UE, con il risultato che la popolazione in età lavorativa è in aumento rispetto al totale, malgrado il declino in termini assoluti.
Al contrario, nelle regioni in transizione le variazioni del tasso di occupazione hanno contribuito al PIL pro capite più della produttività. Invece, la crescita nelle regioni economicamente più evolute, tra le quali il Veneto, è stata procurata quasi interamente dall'incremento di produttività, mentre il calo della quota di popolazione in età lavorativa, segno dell'invecchiamento demografico, ha portato a una leggera diminuzione della crescita del PIL pro capite. Ecco provato quindi che, tra le regioni con la miglior performance, la produttività è stata il fattore più importante della crescita. Naturalmente la crescita è data dal bilanciamento dello sviluppo di produttività e mantenimento dell'occupazione, quindi un'indicazione socialmente equa per aumentare la crescita dovrebbe basarsi sulle modalità di aumento di produttività.
La Commissione europea indica tra le fonti di crescita della produttività del lavoro gli effetti combinati dei miglioramenti della produttività nei settori (innovazione) e dei movimenti tra i settori (ristrutturazione). (Figura 10.1.2)
Dall'analisi condotta si evince che nella maggioranza delle regioni dell'UE12, nucleo primitivo dell'Unione europea, si è verificato un incremento prodotto più dal primo fattore, ossia dall'introduzione di metodologie produttive e organizzative tecnicamente più avanzate ed efficienti. L'innovazione, nel senso ampio del termine, inclusi gli investimenti nella R&S e l'ottimizzazione delle tecnologie e delle risorse esistenti, oltre a nuove tecniche gestionali organizzative, risulta dunque un'importante fonte di competitività. Dall'altro lato, la ristrutturazione dovrebbe spostare l'occupazione in settori più produttivi, ossia a più elevato valore aggiunto. Il passaggio dall'agricoltura all'industria è stato ovviamente più marcato nelle regioni europee meno sviluppate; nelle regioni economicamente più evolute, tra cui il Veneto, i movimenti occupazionali tra settori sono stati minimi, quindi quasi il 90% dell'aumento di produttività deriva dalla crescita della produttività dei settori. In queste regioni che possiedono già una quota occupazionale maggiore nei settori ad alto valore aggiunto, i movimenti occupazionali dovrebbero avvenire principalmente a livello di comparto, ad esempio da quelli meno tecnologici a quelli high-tech, oppure dall'industria ai servizi, in particolare servizi finanziari e alle imprese. (Tabella 10.1.2)
Obiettivo del seguente capitolo è la comprensione delle modalità attraverso le quali le imprese venete possono accrescere la propria produttività attraverso l'analisi delle ristrutturazioni in termini di specializzazione produttiva, in termini di sviluppo dell'innovazione e di accrescimento delle competenze del capitale umano all'interno dell'impresa.

Figura 10.1.1

Indice di competitività delle regioni europee - Anno 2010

Tabella 10.1.1

Fonti di crescita economica per grado di sviluppo delle regioni europee - Anni 2000:2007

Figura 10.1.2

Crescita della produttività nei settori (a sinistra) e crescita della produttività dovuta a spostamenti di forza lavoro tra settori nelle regioni europee - Anni 2000:2007

Tabella 10.1.2

Fonti di crescita della produttività del lavoro per grado di sviluppo delle regioni europee - Anni 2000:2007
 
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10.2 La trasformazione strutturale rivolta ad una specializzazione produttiva vincente

La configurazione del tessuto produttivo è in continuo divenire, ancor più nel periodo di precaria stabilità che l'impresa italiana sta attraversando. Capire quali trasformazioni abbiano interessato il sistema produttivo veneto negli ultimi anni può permettere di riconoscere le dinamiche di medio periodo ed intravedere gli scenari e le opportunità che si aprono per le attività venete e i loro modelli di sviluppo.
Abbiamo ritenuto utile a questo proposito analizzare la struttura e le trasformazioni dell'imprenditoria regionale, suddividendo l'arco temporale dal 2005 al 2011 in tre periodi biennali che possono essere letti come la situazione pre-crisi, la fase acuta della recessione e l'ultimo biennio di parziale ripresa seguita dalla crisi dei debiti sovrani. Sono stati studiati i cambiamenti sulla base di fattori strutturali delle imprese, come la forma giuridica (Nota 5) e il settore di attività economica prevalente (Nota 6), ma anche all'interno di precisi comparti produttivi, rivolgendosi ai settori ad alto contenuto tecnologico e di conoscenza, che dovrebbero essere uno dei principali punti di forza delle economie avanzate. E' stata utilizzata a questo scopo una classificazione che raggruppa i settori dell'industria manifatturiera in quattro classi definite in base al tipo di attività, all'intensità tecnologica e alle caratteristiche della produzione e dei mercati, basata su una rielaborazione della tassonomia di Pavitt (1984) (Nota 7): sono i Settori dell'industria "tradizionale", Settori caratterizzati da "offerta specializzata", Settori caratterizzati da una "elevata intensità di ricerca e sviluppo", Settori con "elevate economie di scala".
Per conoscere i cambiamenti nel contenuto di conoscenza del terziario abbiamo voluto inoltre studiare le trasformazioni delle attività sulla base della classificazione che raggruppa i servizi (Nota 8) in quattro classi definite in base al tipo di attività e al contenuto di conoscenza, derivata da una classificazione Eurostat/Ocse (Nota 9): Servizi tecnologici ad alto contenuto di conoscenza o ad alta tecnologia, Servizi di mercato ad alto contenuto tecnologico di conoscenza o di mercato, Servizi finanziari, Altri servizi.
Un ulteriore approfondimento riguarda le trasformazioni nel medesimo intervallo temporale degli scambi di merci con l'estero: a questo proposito sono stati analizzati i valori delle esportazioni rispetto l'area geografica di destinazione e la categoria merceologica delle merci.
Gli indici di cambiamento strutturale (Nota 10) non vanno letti in base al valore numerico che assumono, ma rispetto al loro segno (+ o -) e al loro andamento. L'indice di cambiamento strutturale assumerà quindi valori positivi quando nell'intervallo temporale considerato aumenta la diversificazione delle attività in relazione ad ognuna delle caratteristiche analizzate. Quelli da noi calcolati ci consentono di leggere un continuo crescere della diversificazione del sistema produttivo veneto, descrivono dinamiche già in atto ma anche nuove tendenze: tra il 2005 e il 2011 si è assistito ad una differenziazione delle attività produttive, con cambiamenti nel peso relativo dei settori, in linea con il processo di trasformazione della produzione veneta che vede alcuni settori tradizionali di grande peso lasciare spazio a settori più nuovi, a più alta intensità tecnologica e contenuto di conoscenza.
Dopo un intensificarsi dei processi di riorganizzazione del sistema produttivo veneto osservabile fino al 2009, si nota un leggero rallentamento di questa tendenza nell'ultimo biennio, ad eccezione dell'intensità tecnologica; in ogni caso i valori rimangono sempre positivi per tutte le caratteristiche, dimostrandone la continua evoluzione. (Figura 10.2.1), (Figura 10.2.2)
E' così che notiamo come soprattutto la manifattura più tradizionale a basso contenuto tecnologico sia oggetto di un lento ma continuo ridimensionamento, passando dal 9,4% delle imprese venete nel 2005 al 6,4% nel 2011, mentre i settori manifatturieri caratterizzati da un'offerta specializzata crescono, in evidente controtendenza rispetto all'andamento generale del manifatturiero, dall'1,8% delle imprese venete nel 2005 al 2,9% nel 2011 (Nota 11). Il peso di tali settori "strategici" nel tessuto produttivo regionale è superiore rispetto al dato medio nazionale, che vede nel medesimo anno le attività manifatturiere caratterizzate da un'offerta specializzata coprire il 2,1% delle imprese attive italiane.
Analogo è il comportamento dei settori del terziario ad alto contenuto di conoscenza, i quali recuperano quota di imprese attive a discapito degli altri settori. I servizi tecnologici e di mercato ad alto contenuto di conoscenza in Veneto, infatti, partono da una quota di imprese attive dell'11,8% nel 2005 e arrivano nel 2011 a sfiorarne il 14%. In Italia nello stesso anno sono il 12,4% delle imprese a svolgere attività di servizi ad alto contenuto di conoscenza.
La finalità strategica del terziario avanzato in Veneto viene confermata anche dalle prime stime dell'Osservatorio permanente sui servizi innovativi e tecnologici del Veneto (Nota 12). I dati confermano la rilevanza delle attività dei servizi innovativi e tecnologici nella nostra regione e l'importanza del loro ruolo a supporto della stessa imprenditoria veneta. Le imprese ne sono infatti la principale clientela, poiché l'80% del fatturato complessivo del segmento è realizzato proprio nell'ambito di rapporti con le altre imprese; il restante 13,5% è acquisito per prestazioni per la P.A. e il 6,1% per attività richieste da privati. (Figura 10.2.3), (Figura 10.2.4)
Questa transizione verso nuove conformazioni dell'economia produttiva regionale coinvolge anche la forma giuridica d'impresa: osserviamo cambiamenti nel peso relativo delle diverse forme societarie, con uno spostamento che riguarda le ditte individuali, le quali cedono gradualmente quota alle società di capitali, pur mantenendo una assoluta prevalenza. Nel 2011 in Veneto le ditte individuali sono ancora il 59,3%, ma le società di capitali superano il 18,2%, quattro punti percentuali di quota in più rispetto al 2005 (14,2%). (Figura 10.2.5), (Figura 10.2.6)
La tendenza alla riorganizzazione del sistema produttivo veneto può essere letta anche rivolgendo l'attenzione al sottoinsieme delle imprese venete presenti sui mercati esteri, attraverso l'analisi dei flussi commerciali con l'estero. Bisogna tener presente che tali imprese appartengono quasi esclusivamente al comparto manifatturiero e rappresentano, quindi, un particolare segmento delle imprese analizzate fino ad ora.
Nell'ottica degli scambi commerciali con l'estero la riorganizzazione della produzione veneta e della relativa commercializzazione si concretizza in una chiara tendenza alla diversificazione (Nota 13) dei mercati di sbocco (Nota 14) per le merci provenienti dalla nostra regione: le esportazioni verso l'Unione europea, primo mercato per i prodotti veneti, si contraggono dal 61,6% del 2005 al 59,1% del 2011, così come gli scambi verso il Nord America diminuiscono dal 10% al 6,8% nel medesimo intervallo temporale. I flussi di merci verso l'Asia, l'America Latina, la Svizzera e la Turchia crescono di molto, nonostante le quote siano in alcuni casi ancora esigue.
L'analisi dell'andamento delle esportazioni per settori merceologici (Nota 15) di export vede d'altro canto cambiamenti nella specializzazione che portano nell'ultimo biennio le imprese venete a concentrarsi nella produzione di alcuni beni; nel biennio 2009-2011, infatti, l'indice di cambiamento strutturale delle esportazioni sulla base della categoria merceologica assume un valore negativo. Nel periodo di osservazione è infatti rilevante la crescita delle quote di export dei prodotti della meccanica (20,2% nel 2011), della metallurgia (12,1% nel 2011) e dell'agroalimentare (8,9% nel 2011); uno dei più importanti settori produttivi veneti, la moda, continua invece a perdere lentamente quota di mercato estero, passando dal 21% del 2005 al 17,6% del 2011. I prodotti della chimica e i minerali perdono circa un punto percentuale di quota nel medesimo intervallo temporale, scendendo sotto l'11% nel 2011, così come si contraggono le esportazioni di mezzi di trasporto (6% nel 2005 e 3,8% nel 2011).
Abbiamo visto quindi come negli anni il sistema imprenditoriale veneto sia stato oggetto di alcune trasformazioni strutturali, già presenti precedentemente alla crisi economica scoppiata nel 2008, ma riconoscibili ancora oggi. In un momento in cui la crescita di un territorio come il nostro è trainata di fatto dalla domanda estera, la concentrazione commerciale su prodotti di punta per il made in Veneto permette che oggi le esportazioni continuino a sostenere l'economia regionale. Contestualmente la diversificazione dei partner economici per le merci venete permette la conseguente diversificazione dei rischi e apre nuove opportunità offerte da economie emergenti in rapida crescita.

Figura 10.2.1

Indici di cambiamento strutturale delle imprese per alcune caratteristiche. Veneto - Anni 2005:2011

Figura 10.2.2

Coefficienti di diversificazione delle imprese per alcune caratteristiche (numero indice 2009=100). Veneto - Anni 2005:2011

Figura 10.2.3

Quota % delle imprese attive manifatturiere per intensità tecnologica sul totale delle imprese. Veneto e Italia - Anno 2011

Figura 10.2.4

Quota % delle imprese attive dei servizi per contenuto di conoscenza sul totale delle imprese. Veneto e Italia - Anno 2011

Figura 10.2.5

Indici di cambiamento strutturale delle esportazioni per alcune caratteristiche. Veneto - Anni 2005:2011

Figura 10.2.6

Coefficienti di diversificazione delle esportazioni per alcune caratteristiche (numero indice 2009=100). Veneto - Anni 2005:2011
 
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10.3 L'importanza di investire in ricerca e innovazione

In questo momento storico l'innovazione rappresenta una strategia fondamentale per avviare le economie mature verso la ripresa e per lasciarsi definitivamente alle spalle il difficile momento di crisi che incide negativamente sugli investimenti e sulla competitività. Nella stessa Strategia Europa 2020 l'asse prioritario "crescita intelligente" promuove la conoscenza e l'innovazione come motori della nostra futura crescita e chiede di mantenere monitorato il parametro inerente alla spesa in Ricerca & Sviluppo (R&S) in rapporto al PIL. Maggiori investimenti in ricerca e sviluppo permetterebbero, infatti, non solo di stimolare la crescita nel medio-breve periodo, ma avrebbero anche modo, in tempi di contrazione economica, di innescare un effetto anticiclico a favore dell'economia locale: i paesi che hanno aumentato gli investimenti in ricerca e sviluppo, proprio perché hanno intrapreso provvedimenti per contrastare la depressione dell'attività economica, hanno maggiori possibilità di uscire dalla crisi.
L'Unione europea sta avanzando a poco a poco verso la propria meta, ovvero investire il 3% del PIL in R&S: nel 2009 la spesa in R&S dell'Unione raggiunge il 2% mantenendosi ancora a distanza dai maggiori concorrenti mondiali (Stati Uniti e Giappone), ma nello stesso anno sono stati 23 i Paesi membri a riuscire a mantenere o ad accrescere la propria spesa in R&S.
In Italia nel 2009 è stato destinato all'attività di ricerca l'1,26% del Prodotto Interno Lordo, valore che porta la nostra nazione sempre più vicina all'obiettivo nazionale fissato per il 2020, pari all'1,53%. La distanza dal target continua quindi a ridursi per l'Italia, arrivata a soltanto 0,3 punti percentuali al di sotto della soglia.
Tra i principali paesi europei anche Finlandia, Germania e Svezia mostrano una ridotta distanza dall'obiettivo fissato, mentre Repubblica Ceca e Danimarca nel 2009 hanno già superato il target per il 2020. (Figura 10.3.1)
Sono molte le realtà in cui però l'introduzione di innovazioni non è necessariamente connessa ad attività di ricerca e sviluppo: si stima infatti che un'impresa innovatrice su due in Europa non effettui alcun investimento in R&S (Nota 16). E' quindi di grande interesse la misurazione dei processi innovativi, i quali si mostrano molto poco omogenei all'interno dell'Unione europea: varia notevolmente tra le regioni, infatti, il potenziale innovativo, indicatore sintetico calcolato dalla Commissione europea sulla base del livello di innovazione tecnologica, l'assimilazione e la diffusione delle innovazioni. Alcune regioni dell'Europa settentrionale e centro-occidentale sono i "forti generatori di innovazione", qualificati da importanti investimenti in ricerca, innovazione e accumulo di capitale umano specializzato. L'indicatore descrive il Veneto come un "assimilatore debole", regione che sta procedendo verso i livelli del primo gruppo, per la quale sarà indispensabile un innalzamento dei livelli di istruzione della propria forza lavoro affinché si riduca il ritardo rispetto alle regioni maggiormente innovatrici. (Figura 10.3.2)
La spesa in R&S in Veneto
L'incidenza della spesa in ricerca sul PIL in Veneto continua a crescere anche nel 2009, raggiungendo l'1,08%, dato inferiore rispetto al valore nazionale, ma in continua crescita dal 2005. La composizione della spesa mostra inoltre come quasi i 2/3 di questa siano riconducibili al comparto privato, il quale però nell'ultimo anno ha riportato una leggera contrazione della spesa rispetto al 2008. Nell'anno più influenzato dalla crisi globale, anche il settore pubblico ha subito una variazione negativa, -3,5%, mentre università e istituzioni private non profit hanno fatto registrare un aumento della spesa nello stesso periodo, rispettivamente del 9,8% e del 5,8%. Nel 2009 la spesa complessiva per ricerca e sviluppo in Veneto ammonta a 1.530 milioni di euro, collocando la nostra regione al quinto posto nella graduatoria delle regioni italiane, dopo Lombardia, Lazio, Piemonte ed Emilia Romagna. Complessivamente in Veneto gli addetti alla ricerca e sviluppo, in equivalenti tempo pieno, sono 21.619 e in rapporto alla popolazione sono 4,4 ogni 1.000 abitanti, valore appena superiore al dato medio nazionale di 3,8 addetti ogni 1.000 abitanti. (Figura 10.3.3) (Figura 10.3.4)
Imprese e investimenti in R&S: i settori interessati
La spesa complessiva in R&S dell'imprenditoria in Veneto, pari a 981 milioni di euro, proviene per l'86,8% da imprese aventi sede legale in Veneto e per il 12,8% da imprese con sede fuori Veneto, ma che svolgono attività di ricerca anche all'interno di unità produttive localizzate nella nostra regione.
Nel complesso di aziende, venete e non, il settore economico più coinvolto è quello manifatturiero, dal quale proviene oltre il 70% della spesa. Il secondo settore per importanza interessato alla ricerca è il commercio. In realtà, il 14,2% della spesa in ricerca è effettuato da aziende classificate come commerciali perché queste imprese svolgono sia attività produttiva che distributiva ma, poiché realizzano un maggior fatturato nella seconda, vengono classificate nel comparto del commercio. Le altre categorie economiche rilevanti riguardano i servizi di informazione e comunicazione e le attività professionali, scientifiche e tecniche.
Si è ritenuto opportuno approfondire il fenomeno all'interno del settore manifatturiero, in quanto più interessato ad elevare i propri contenuti tecnologici. Il 25,7% della spesa di ricerca nel manifatturiero in Veneto viene da aziende meccaniche, seguite da tutto il settore del tessile, abbigliamento, pelli e accessori, da ottica ed elettronica, dalla chimica-gomma-plastica e dai metalli, con quote di spesa che vanno dal 9,3% a quasi il 18%. (Figura 10.3.5), (Figura 10.3.6)
La scomposizione della spesa del manifatturiero per intensità tecnologica dell'attività d'impresa permette di osservare come oltre un terzo della spesa in R&S delle imprese manifatturiere venga effettuata da imprese appartenenti a settori caratterizzati da "offerta specializzata", principalmente settori della meccanica, dell'ottica e dell'elettronica e della metallurgia. Il 28,3% della spesa in R&S in Veneto è opera di imprese appartenenti ad "elevate economie di scala" e l'8,5% della spesa veneta è riconducibile ad attività formalmente riconosciute come "ad elevata intensità di R&S", prime tra tutte le attività di ottica ed elettronica e relative alla produzione di apparecchi medicali. E' interessante osservare come anche i settori dell'industria "tradizionale" siano in ogni caso dei buoni investitori in ricerca, contribuendo, infatti, per il 28% della spesa complessiva in R&S.
Per quanto riguarda invece la scomposizione della spesa in R&S effettuata dalle imprese del terziario (Nota 17) per contenuto di conoscenza dell'attività d'impresa si osserva che il 42,3% della spesa proviene da imprese dei servizi tecnologici o di mercato ad alto contenuto di conoscenza: i settori coinvolti riguardano sostanzialmente i servizi all'impresa, in primo luogo i servizi di informazione e comunicazione, seguiti dalle attività professionali, scientifiche e tecniche. (Figura 10.3.7)
Andando nel dettaglio, dall'ammontare totale dedicato allo sviluppo o miglioramento di prodotti e di tecniche di produzione, emergono i prodotti dell'industria farmaceutica, a cui è finalizzato il 12,2% della spesa, seguiti da quelli dell'industria tessile, 7,7%, e delle confezioni, 6,5%, dell'industria della fabbricazione di apparecchi elettrici, 6,2%, della fabbricazione dei veicoli, 4,2%, della meccanica, 4%, dell'industria alimentare, 3,8%. Dal confronto con la situazione dell'anno precedente, si osserva che nel 2009, anno della crisi economica, i settori tradizionali del made in Veneto, da molti considerati ormai a "tecnologia matura", stanno recuperando terreno nella ricerca e progettazione per una continua evoluzione e miglioria del prodotto. (Figura 10.3.8)
Le imprese venete che fanno ricerca
Nel 2009 le imprese investitrici in R&S con sede in Veneto sono circa 1200 per una spesa media di circa 750 mila euro per azienda.
Il 55% degli investimenti viene da imprese con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro, un altro 22,5% è originato da imprese con una classe di fatturato tra i 10 e i 50 milioni di euro, un altro 9,7% da quelle con fatturato tra i 5 e i 10 milioni di euro.
La spesa in R&S delle imprese venete è attribuibile per il 98% alle aziende con forma giuridica società di capitale e, dal punto di vista dimensionale, proviene per ben oltre la metà da imprese con più di 250 addetti. Com'è ovvio il volume d'investimento è proporzionale alla dimensione e al fatturato, ma non si può non rilevare che quasi l'86% delle imprese venete che investono in R&S appartengono alla categoria delle Piccole Medie Imprese (Nota 18), le quali, in termini di spesa, contribuiscono al 42,2% dell'intero ammontare. (Figura 10.3.9), (Figura 10.3.10)
E' interessante monitorare la ricerca nei campi più innovativi e a maggior contenuto tecnologico: l'energia, la bio e la nanotecnologia.
Le imprese venete hanno investito nel 2009 oltre 58 milioni di euro in ricerca nel settore energetico, pari al 6,5% del totale della spesa in R&S. Per la ricerca sulle biotecnologie sono stati spesi dalle imprese venete circa 4 milioni di euro e cresce a 11 milioni di euro la spesa nel settore delle nanotecnologie: le principali aree di ricerca sono state le applicazioni delle nanotecnologie in campo medico-sanitario e nel settore delle scienze della vita, lo sviluppo di nanomateriali e l'utilizzo di nanotecnologie nei processi elettro-chimici.
Il capitale immateriale e la creazione di valore per mantenere la competitività nel mercato globale
La valorizzazione del capitale immateriale, come le risorse umane e la ricerca, è una componente cruciale per lo sviluppo del nostro territorio: l'obiettivo di avvicinarsi alla frontiera tecnologica richiede una maggior qualificazione della forza lavoro, le cui capacità intellettuali dovranno garantire uno sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche in Italia e in Veneto. Dai primi anni 2000 ad oggi sono stati fatti alcuni passi avanti: il numero di laureati 20-29enni in scienza e tecnologia per 1000 abitanti è cresciuto in Veneto da 6 nel 2000 a 10,7 nel 2009; analogamente all'interno del mercato del lavoro è cresciuta di 4 punti percentuali in 5 anni la quota di laureati tra gli occupati, raggiungendo il 14,4% nel 2009. Meno positivi i dati relativi al ricorso all'apprendimento permanente, in leggera diminuzione tra il 2000 e il 2009 e al peso della spesa pubblica per istruzione sul PIL, stabile sui livelli di 10 anni fa. Gli sforzi per potenziare il capitale umano stanno contribuendo di anno in anno a riscontrare in Veneto un incremento degli investimenti in ricerca e del contenuto tecnologico delle attività produttive; anche l'intensità brevettuale aumenta nel medesimo intervallo temporale, dagli 11,7 ai 12,5 brevetti depositati ogni 10 mila abitanti in Veneto. Ed è proprio al fine di aiutare l'impresa veneta ad affrontare le sfide della competizione globale che l'Amministrazione Regionale sta mantenendo un impegno costante di sostegno alle imprese in tema di infrastrutture e servizi digitali, come la banda larga e il cloud computing, in modo tale da trasformare il loro modo di stare sul mercato e creare nuove opportunità. (Figura 10.3.11)
La sfida a investire di più nelle conoscenze rimane una priorità anche in presenza delle attuali forti debolezze del ciclo economico, ancor più per le imprese che operano nel mercato internazionale per la necessità di salvaguardare il proprio vantaggio competitivo. Incrociando gli archivi statistici delle imprese venete che fanno ricerca e quelle che esportano i propri prodotti all'estero con una terza banca dati relativa ai bilanci depositati dalle stesse, siamo in grado di dare una valutazione di tali imprese in termini di classe dimensionale, di spesa, di fatturato e di andamento ciclico (Nota 19).
Le imprese che investono in R&S hanno caratteristiche comuni con quelle che operano all'estero, ossia hanno dimensioni più elevate in termini di addetti e di fatturato complessivo e sono più strutturate rispetto alla media. Rispetto alla classe di fatturato estero abbiamo la prevalenza degli investimenti in ricerca da parte dei grossi esportatori: un quarto degli operatori con classe di fatturato estero superiore ai 10 milioni di euro copre il 63% della spesa, mentre gli operatori minori, ossia con vendite estere minori di 5 milioni di euro sono più della metà, ma coprono il 25% della spesa.
Fare ricerca ripaga in termini di redditività? Rispetto all'andamento medio dell'intera manifattura veneta, risulta che gli operatori con l'estero che investono in R&S abbiano avuto maggiori chance nel periodo di espansione (2010/2009) con il 66% di essi che aumenta il fatturato nel 2010 contro il 58% dell'intera manifattura. Anche i principali indici di redditività del capitale, così come il ricorso al debito, recuperano nel 2010 la contrazione registrata nell'anno precedente. (Figura 10.3.12), (Figura 10.3.13)

Figura 10.3.1

Spesa in R&S sul PIL: distanza in punti percentuali dall'obiettivo nazionale fissato per il 2020 (*) per alcuni Paesi- Anno 2009

Figura 10.3.2

Potenziale di innovazione regionale. UE27 - Anno 2008

Figura 10.3.3

Incidenza della spesa in R&S sul PIL (%). Veneto - Anni 2000:2009

Figura 10.3.4

Spesa in R&S per settore istituzionale (milioni di euro). Veneto - Anni 2008:2009

Figura 10.3.5

Distribuzione % della spesa in R&S per categoria economica. Veneto - Anno 2009

Figura 10.3.6

Distribuzione % della spesa in R&S nel settore manifatturiero per categoria economica. Veneto - Anno 2009

Figura 10.3.7

Distribuzione % della spesa in R&S per livello di intensità tecnologica del manifatturiero e contenuto di conoscenza dei servizi. Veneto - Anno 2009

Figura 10.3.8

Spesa in R&S in Veneto: i principali prodotti e/o tecniche di produzione (*) (Quote %) - Anno 2009

Figura 10.3.9

Distribuzione % della spesa in R&S delle imprese venete per classe di fatturato dell'impresa - Anno 2009

Figura 10.3.10

Distribuzione % della spesa in R&S delle PMI e grandi imprese venete - Anno 2009

Figura 10.3.11

Alcuni indicatori su ricerca, innovazione e investimenti sul capitale umano. Veneto - Anni 2000 e 2009

Figura 10.3.12

Imprese venete manifatturiere che fanno ricerca: distribuzione % della spesa in R&S per classe di fatturato estero dell'impresa. Veneto - Anno 2009

Figura 10.3.13

Analisi dell'andamento del fatturato delle imprese venete manifatturiere totali e di quelle che fanno ricerca ed esportano (*) - Anni 2009:2010
 
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10.4 Il capitale umano come motore di crescita per l'azienda

L'emergere dell'"economia basata sulla conoscenza", già presente nella Strategia di Lisbona e ripresa da Europa 2020, indica che il capitale umano è diventato la chiave della competitività internazionale.
Anche all'interno di un'azienda, lo sviluppo delle risorse umane è un fattore di straordinaria opportunità di successo: gli elementi intangibili della ricchezza aziendale sono insiti anche nel suo capitale umano; il livello di istruzione dei dipendenti, il loro saper fare, le loro qualificazioni professionali, le competenze, sono tutte grandezze che ancora non sappiamo misurare con criteri standard, né trattare in termini monetari, tuttavia esse certamente influenzano i risultati di un'impresa.
Tra i punti di debolezza dell'impresa veneta, oltre alla piccola dimensione, si è spesso citato la gestione di tipo familiare, carente di una struttura manageriale in grado di guidare l'azienda in maniera competente nelle difficoltà di un mercato sempre più globalizzato.
Si è voluto osservare dai dati di statistica ufficiale provenienti dall'indagine Istat sulle forze di lavoro se qualcosa nell'ultimo quinquennio stia cambiando nell'organizzazione del personale aziendale. (Figura 10.4.1)
Dal 2005 al 2010 in Veneto gli occupati nel complesso dei settori produttivi aumentano del 2,4%, ossia sono stati creati quasi 50 mila posti di lavoro, ma la crescita occupazionale risulta differenziata a seconda dei settori di attività, delle professionalità e del titolo di studio del lavoratore.
In Veneto si assiste al continuo spostamento di forza lavoro da agricoltura e industria verso le attività dei servizi e la terziarizzazione comporta una crescita del comparto impiegatizio e delle libere professioni a discapito del lavoro in proprio di tipo artigianale, -6,9%, e a parità di quello operaio, 0,6%.
A livello nazionale si assiste alla stessa tendenza, anche se la contrazione risulta meno marcata in agricoltura e più intensa nell'industria in senso stretto e i settori di costruzioni e commercio registrano un andamento invertito (+0,9% nelle costruzioni contro un -1,6% in Veneto; -1% nel commercio contro +1% in Veneto)
Andando nel dettaglio delle qualifiche professionali in Veneto si osserva nel corso dei cinque anni ad un aumento dei dirigenti dell'1%, concentrato nel settore industriale. Il valore del tasso sembra basso nell'ambito della contestuale globalizzazione, ma si sottolinea che la tendenza dal 2005 al 2008 era di una crescita significativa ad un tasso medio annuale del 2,6%. La crisi ha ridotto l'utilizzo di tale qualifica professionale del 24% nel 2009 e del 9,4% nel 2010. A fronte di ciò, si assiste anche nel corso dei cinque anni ad una riduzione della classe dei quadri (-8,4%), distribuita in tutti gli anni d'analisi. I liberi professionisti, nonostante subiscano anch'essi una contrazione nel 2009, anno nero per tutte le professioni, aumentano nel corso degli anni di oltre 9 mila unità (+10,7%) e l'aumento più importante si registra nel 2010. Questa tendenza, letta assieme al dato relativo ai dirigenti, sembra far pensare che la classe lavorativa più qualificata, espulsa dall'azienda, vi rientri in qualità di consulente. Gli impiegati aumentano del 17,9% e tale andamento è distribuito in tutti i settori economici. Il numero di operai sale dal 2005 al 2010 (+0,6%), ma ha un andamento altalenante che finisce col crollo del 6,1% nel 2010 e il settore più colpito è l'industria.
Il livello nazionale non segue un andamento identico: nel corso dei cinque anni si registra un calo complessivo del 7,3% dei dirigenti, concentrato negli ultimi due anni; i liberi professionisti aumentano ma proporzionalmente in percentuale minore; gli operai aumentano dal 2005 al 2010 dell'1,4%, subendo una lieve contrazione soltanto negli ultimi due anni.
Nello specifico del settore industriale veneto si osservano le trasformazioni più evidenti nei profili professionali presenti in azienda: nel 2005 era presente 1 dirigente ogni 74 operai, 24 impiegati e 3 quadri; nel 2010 le proporzioni cambiano, c'è 1 dirigente ogni 42 operai, 16 impiegati e 1,5 quadri. Il rapporto tra impiegati e operai cambia meno nel tempo: si passa da 3,1 operai per impiegato a 2,5 operai per impiegato. Se però raggruppiamo i dirigenti e i quadri vediamo che il rapporto con il numero di operai non cambia: sono sempre 18 nel 2005 e nel 2010. Questo fa pensare ad un maggiore carico dei quadri che nel 2005 si trovavano in rapporto 1 a 24 operai e 8 impiegati e nel 2010 1 a 32 operai e quasi 13 impiegati.
Andando ad analizzare la qualifica professionale in relazione al titolo di studio del lavoratore si cerca di capire se il mondo del lavoro si stia strutturando in base alle competenze culturali e se queste ultime siano sfruttate in maniera coerente all'interno dell'azienda. Dal 2005 al 2010 gli occupati veneti hanno notevolmente migliorato la propria preparazione culturale: complessivamente i laureati sono aumentati di quasi 61 mila unità e rappresentano oltre il 15% dei lavoratori veneti. La metà dei lavoratori possiede un diploma di scuola media superiore. (Figura 10.4.2)
Nel corso degli anni in Veneto si assiste ad un continuo aumento di impiegati ed operai con il titolo di laurea, cosa che non si verifica tra i quadri e i dirigenti nel complesso dei settori. Dal 2005 al 2010 in Veneto il numero di dirigenti laureati diminuisce del 6,6% (-11,7% in Italia) e i quadri laureati si riducono dell'8,5% (+3,1% in Italia). E' verosimile che l'aumento già notato dei liberi professionisti si configuri come offerta di knowledge altamente qualificata in outsourcing, visto che in cinque anni i consulenti laureati crescono del 15,7%. E' pur vero che queste considerazioni valgono per il complesso dei settori, agricoltura, industria e servizi, mentre da evidenze empiriche possiamo affermare che nello specifico del comparto industriale il numero di dirigenti laureati è aumentato.
Se i lavoratori in proprio in Veneto diminuiscono, il loro livello culturale aumenta: i laureati in cinque anni crescono di quasi 10 mila unità. Questo prefigura una nuova concezione dell'attività in proprio, svincolata dalla tipologia di lavoro un tempo considerata "manuale/artigianale" e invece ora volta a sviluppare la creatività nei campi più disparati del design, comunicazione, tecnologia innovativa, nuove forme di agricoltura, ecc.
In sintesi si può affermare che in Veneto è sicuramente aumentato il patrimonio culturale dei lavoratori, ma non a tutti i livelli. Sembra che ci troviamo di fronte ad una sorta di sottoinquadramento per la presenza di tanti laureati a livelli di "bassa qualifica", mentre ai vertici sembra prevalere la scelta di ricorrere all'outsourcing di qualifiche culturalmente superiori. Si presuppone infatti che il vertice aziendale garantisca le adeguate competenze manageriali, frutto non soltanto di talenti personali guidati da doti "innate" di profilo individuale, quanto il risultato di studio di regole e strumenti che possono essere codificati e, quindi, fatti oggetto di formazione attraverso la laurea.
L'altro elemento che emerge è il cambiamento culturale dei laureati che preferiscono cogliere le opportunità di un mercato aperto e si offrono al mondo del lavoro come liberi professionisti o lavoratori in proprio anziché aspirare al posto fisso.

Figura 10.4.1

Le principali qualifiche professionali: quota % 2010 e variazione % 2010/05. Veneto

Figura 10.4.2

Occupati laureati nelle principali qualifiche. Veneto - Anni 2005:2010
 
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10.5 Il Veneto terreno di sviluppo per le nuove imprese

Le imprese dei giovani
L'impresa è tra le forze che possono contribuire a rilanciare il Paese. Per tornare a crescere, ridurre la disoccupazione e dare nuovo slancio allo sviluppo occorre investire su idee, energie e imprenditori nuovi.
Il futuro dei giovani, il loro successo o il loro fallimento, dipenderà dalla capacità del sistema di indirizzarli verso l'imprenditorialità, di coltivarne l'entusiasmo, l'ottimismo e la motivazione del fare da sé e del fare con gli altri. E i nuovi interventi previsti dal governo Monti sembrano andare proprio in questa direzione.
La prima parte del Decreto Liberalizzazioni approvato dal Governo Monti e in Gazzetta Ufficiale dal 24 gennaio 2012 è in gran parte incentrata su ordini professionali e imprese: misure per la semplificazione delle attività economiche, Srl semplificate per i giovani che vogliono diventare imprenditori, saldo delle fatture arretrate per le Piccole Medie Imprese che vantano crediti con le Pubbliche Amministrazioni per arginare il fenomeno del ritardo dei pagamenti dalla PA, nuove tutele per le microimprese e la lunga lista di interventi per quanto riguarda professioni (taxi, farmacie, avvocati, notai), banche e assicurazioni (conti correnti, Rc auto).
In particolare, l'articolo 3 prevede interessanti novità per i giovani che vogliono tentare la carriera imprenditoriale: nasce una forma semplificata di Srl, società a responsabilità limitata, per giovani al di sotto dei 35 anni, che richiede un semplice atto costitutivo, e un capitale sociale di un solo euro. Praticamente, i giovani possono aprire società senza bisogno del notaio con un solo euro, invece che 10 mila come previsto per una società a responsabilità limitata comune, senza l'obbligo di versare in banca almeno il 25% del capitale, come forma di tutela. E' previsto però che quando un socio perda il requisito di età, ovvero superi i 35 anni, venga estromesso, a meno che l'assemblea non provveda immediatamente a deliberare la trasformazione della società.
L'iniziativa intende incentivare l'attività d'impresa tra gli under 35 e potrà trovare applicazione soprattutto nelle piccole società di servizi. La "società semplificata a responsabilità limitata" potrebbe rivelarsi uno strumento interessante anche per i giovani professionisti che sfruttando le liberalizzazioni di Monti decideranno di intraprendere la loro attività sotto forma di società di capitali. Interessante che tale agevolazione non comporti alcun contributo statale o finanziamenti che costano alla collettività infinitamente di più del beneficio che dovrebbero procurare.
Altre azioni riguardanti le nuove imprese sono riportati all'articolo 90 "interventi per favorire l'afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese (Nota 20)". In realtà, si tratta di una serie di piccole modifiche a quanto già previsto dalla manovra finanziaria di luglio (art. 31 del decreto 6 lulgio 2011 n.98 convertito con la legge 15 luglio 2011 n.111) per finanziare la crescita delle nuove imprese attraverso i fondi per il venture capital, che investono almeno il 75% dei capitali raccolti in società non quotate nelle fasi di sperimentazione (seed financing), costituzione (start-up financing), di avvio dell'attività (early-stage financing) o di sviluppo del prodotto (expansion financing). Rispetto a quanto previsto a luglio, questi fondi non devono più essere armonizzati Ue.
Nel 2011 le persone con meno di 30 anni aventi una carica presso un'impresa veneta sono 33.867, il 4,6% del totale delle persone coinvolte; questo valore mostra il Veneto in leggero difetto rispetto al contesto nazionale, che vede la medesima fascia giovanile occupare in Italia il 5,5% del totale delle persone con carica. Sono proprio le società di persone e le ditte individuali ad impegnare la maggior quota di persone con carica in età giovanile: l'82,1% degli individui con meno di 30 anni aventi una carica presso imprese venete è attivo presso imprese individuali (42,9%) o società di persone (39,2%). Queste due tipologie di forma giuridica sono le più diffuse tra i giovani imprenditori con molta probabilità per il fatto che sono le forme più semplici e meno onerose ad oggi da intraprendere e che probabilmente meglio rispondono alle esigenze di chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro, magari con un'impresa di dimensioni limitate, ad esempio un'attività artigiana piuttosto che commerciale. Infatti il 22,1% dei giovani possiede un'attività nel campo del commercio, ma una buona percentuale si registra anche nel manifatturiero, 10,3%.
Le imprese giovani: le nuove nate
Nonostante le difficoltà economiche dell'ultimo biennio abbiano rallentato la nascita di nuove imprese in Veneto, le nuove registrate nel 2011 sono 30.576 e, escludendo il settore del commercio caratterizzato notoriamente da un forte turn over, le nuove nate sono 25.280.
Da un punto di vista territoriale, le aree più favorevoli allo sviluppo di nuove idee imprenditoriali sembrano i capoluoghi di provincia e le loro cinture, la zona di tutto il litorale adriatico, i comuni lungo la pedemontana e più in generale la fascia centrale del Veneto. (Figura 10.5.1)
Insomma le idee innovative e la voglia di mettersi in gioco non mancano, ma in un mercato così competitivo come quello di oggi sono fondamentali anche la tecnica e le risorse finanziarie, per questo le nuove imprese si appoggiano sempre più ai network di startupper, piuttosto che agli incubatori di idee. Gli startupper sono oggi una comunità in continuo movimento, che utilizza le nuove tecnologie, i social network, i forum specializzati, per confrontarsi e favorire le occasioni d'incontro tra idee innovative e possibili finanziatori. Sono migliaia gli iscritti alle diverse community di sviluppatori di idee nel web, così come sono attivi su Facebook gruppi che organizzano appuntamenti dedicati alla presentazione della propria iniziativa imprenditoriale. E anche le università venete aderiscono al progetto "Start Cup", la Business Plan Competition che premia idee d'impresa innovative con premi in denaro, invitando i giovani ad esporre le proprie idee imprenditoriali in un clima informale a imprenditori di successo disponibili a confrontarsi.
Le imprese giovani: i tassi di sopravvivenza e la dimensione
I tassi di sopravvivenza sono un utile indicatore non semplicemente della performance delle imprese nate, ma anche del territorio che fornisce un background favorevole o meno allo sviluppo di attività economiche.
Analizzando la percentuale di imprese con dipendenti ancora in attività nel 2009 a tre anni dalla nascita avvenuta nel 2006, risulta che il Veneto è tra le regioni con uno dei tassi di sopravvivenza più elevati, 65%, rispetto alla media nazionale di 62,1%.
Si è cercato di approfondire l'argomento a livello di territorio veneto per capire se nel recente passato sia stata una zona fertile per le imprese che vi sono nate. Allungando di un paio di anni il periodo considerato, dal 2004 al 2009, si osserva che il tasso di sopravvivenza al 2009 delle nate nel 2004 rimane nell'ordine del 54% nel complesso dei settori, ossia a cinque anni dalla nascita 54 imprese su 100 sono ancora attive. Tale percentuale è maggiore nel settore dell'industria in senso stretto, 57,1%, nei servizi escluso il commercio, 55,9%, mentre è minore nei comparti di maggiore turn over: le costruzioni, 50,9% e il commercio, 50,9%. La sopravvivenza ad un anno dalla nascita è generalmente molto elevata; si vuole sottolineare che i tassi delle aziende nate nel 2008 sono relativamente più bassi, prova ulteriore della situazione congiunturale particolarmente sfavorevole nella quale si trovano a muovere i primi passi.
Anche considerando questi cinque anni di arco temporale si evince la solidità dell'impresa veneta rispetto alla media nazionale: in Italia è circa la metà delle aziende nate nel 2004 che è ancora attiva al 2009.
Nel confronto provinciale, i tassi di sopravvivenza non si discostano in modo significativo da quello medio veneto, solo le province di Padova e Belluno si differenziano positivamente. (Tabella 10.5.1)
La dimensione media di imprese con dipendenti, sia nell'anno di nascita che negli anni successivi, costituisce un importante indicatore di performance in grado di rilevare la crescita delle imprese in termini di occupazione.
Le imprese con dipendenti che a distanza di cinque anni dalla nascita sopravvivono presentano un aumento della dimensione media dal valore iniziale di 1,5 addetti nel 2004 a quello di 2,3 nel 2009 (Nota 21).
Nell'industria in senso stretto si osserva una dimensione più elevata alla nascita e una crescita maggiore nei cinque anni di sopravvivenza analizzati (da 2,3 a 4,2 addetti medi); nel terziario, al contrario si registra la dimensione media più bassa sia alla nascita (1,4 addetti) sia dopo cinque anni (2,1 addetti). Si deve evidenziare che, complessivamente, nel 2009 la crescita dimensionale ha subito un rallentamento rispetto al 2008 e il fenomeno, pur presente in tutti i settori, assume maggiore intensità nell'industria e nelle costruzioni. (Figura 10.5.2)
Dal punto di vista dell'occupazione, l'aumento del numero medio di addetti per impresa sopravvissuta non compensa la mortalità d'impresa intervenuta nel periodo: le imprese nate nel 2004 e sopravvissute nel 2009 occupano circa 30.700 addetti, contro i 34.900 che impiegavano tutte le imprese nate nel 2004; viene perso complessivamente il 12% del personale. L'unico comparto che presenta un aumento dell'occupazione rispetto all'anno di nascita è l'industria in senso stretto (+13,1%); tutti gli altri settori registrano un saldo negativo rispetto al 2004. E' pur vero che la perdita di addetti coincide per tutti i settori, ad esclusione del commercio, con la crisi internazionale sfociata nel 2008. (Tabella 10.5.2)
Ponendo uguale a 100 l'occupazione totale registrata nel 2004 dalla coorte di imprese nate in quell'anno, si nota che le imprese operanti nell'industria in senso stretto e ancora attive nel 2005 registrano per tale anno un indice pari a 146. Questo valore può essere scisso in due componenti: gli occupati presenti alla nascita delle sopravvissute (pari a 94) e quelli assunti in seguito al loro sviluppo (pari a 51). Quest'ultima quota, che indica la creazione di nuovi posti di lavoro da parte delle imprese nate nel 2004 e sopravviventi nel periodo in esame, presenta un andamento sempre crescente nei primi due anni di sopravvivenza, per calare leggermente, passando da 63 nel secondo anno di sopravvivenza a 61 nel terzo, risollevarsi nel quarto a 63 per poi ridursi a 53 nel quinto anno, con una crescita occupazionale complessiva rispetto alla nascita del 13,1%. Il settore delle costruzioni crea nuova occupazione per il 21% nel primo anno di sopravvivenza per poi arrivare al 33% nel terzo anno; nel quarto e quinto anno di sopravvivenza tale percentuale diminuisce (rispettivamente 31% e 27%) e non è sufficiente a compensare la perdita occupazionale: nel 2009, a cinque anni dalla nascita, gli addetti delle imprese sopravvissute sono circa l'80% degli addetti iniziali del comparto. Il commercio presenta una lieve crescita soltanto nel primo anno; la quota di addetti impiegata dalle imprese che sopravvivono non riesce, infatti, a compensare la perdita occupazionale dovuta a quelle che muoiono: il numero di occupati delle imprese della coorte del 2004 si attesta nell'anno 2008 all'89% rispetto al totale degli addetti alla nascita, per scendere all'84% nel quinto anno di sopravvivenza. Anche la quota di occupazione creata dalle imprese sopravvissute nei vari anni è la più bassa rispetto ai settori analizzati, ed è
pari al 15% nel primo anno per crescere limitatamente negli anni successivi, fino a stabilizzarsi intorno al 29% nel quinto anno di sopravvivenza. Infine, anche nel settore degli altri servizi la creazione di nuovi posti di lavoro nelle imprese che sopravvivono è sufficiente solo nei primi tre anni di sopravvivenza a compensare la perdita di occupazione dovuta alle imprese che non sopravvivono. Nel quarto anno di sopravvivenza la decrescita occupazionale è del 6%, mentre nel quinto anno gli addetti delle imprese sopravvissute sono l'86% degli addetti iniziali delle imprese nate nel 2004.
Nella media nazionale, si osserva che la perdita occupazionale complessiva di questo panel di imprese è inferiore rispetto al Veneto (-10,5%), ma la decrescita ha un andamento settoriale simile. Anche a livello nazionale l'unico ambito in aumento è l'industria: +14%. (Figura 10.5.3)
Gli indicatori di performance delle imprese giovani e meno giovani
Si considerano inoltre altri due indicatori proposti da Istat (Nota 22) perché significativi dell'andamento delle imprese: il tasso di "high-growth" e il "tasso di gazelle", entrambi basati sulla crescita occupazionale. Infatti sono portatrici di importanti valori "imprenditoriali", ovvero creano "nuovo valore", non solo le imprese di recente nascita, ma anche quelle che hanno dimostrato una rapida crescita occupazionale in un periodo relativamente breve.
Le due misure di "performance imprenditoriale", il tasso delle imprese "high-growth" e quello delle imprese "gazelle", sono calcolate in base ad una precisa definizione OCSE-Eurostat: si definiscono «"high-growth" in termini di dipendenti tutte le imprese con almeno 10 dipendenti ad inizio periodo che presentano una crescita media annua in termini di dipendenti superiore al 20%, su un periodo di tre anni consecutivi». Sono escluse dalle high-growth tutte le imprese la cui crescita in termini di occupazione è dovuta a eventi di trasformazione (acquisizioni/cessioni di rami d'azienda). Sono inoltre escluse dal calcolo delle high-growth le imprese nate nell'anno di inizio periodo. Viene adottata la soglia dei 10 dipendenti al fine di evitare l'introduzione di eventuali distorsioni che enfatizzerebbero essenzialmente la crescita delle imprese più piccole. La stessa definizione identifica le "gazelle" come il sottoinsieme delle imprese "high-growth" giovani, cioè che hanno 4 o 5 anni al massimo.
In Veneto negli anni dal 2005 al 2009 il tasso di high-growth si mantiene tra il 2,7% e il 2,3% del 2009, anno che ovviamente risente già della recessione internazionale. Ciò significa che nel 2009, 23 imprese su 1000, tra quelle con oltre i 10 addetti, hanno avuto una crescita annua di dipendenti superiore al 20% ogni anno per gli ultimi 3 anni.
Il tasso di gazelle va dal valore di 0,4% nel 2005, allo 0,2% del 2009: nel 2009 2 imprese giovani su 1000, nate al massimo da 5 anni e con oltre 10 addetti, hanno aumentato il numero dei propri dipendenti del 20% ogni anno dal 2007 al 2009.
Entrambi i tassi sono in linea con quelli del Nord Est, ma leggermente inferiore in Veneto rispetto alla media nazionale e nettamente più bassi rispetto a quelli della ripartizione territoriale comprendente il Sud e le Isole. Questo può essere dovuto alla maggior diffusione di imprese nel Nord Est che disperde la crescita occupazionale, ma anche alla maggior presenza dell'attività manifatturiera che misura dei tassi di performance inferiori rispetto a quelli degli altri settori economici. (Tabella 10.5.3)
Se gli stessi indicatori vengono calcolati sulla base della crescita del fatturato anziché dell'occupazione, i valori cambiano di livello, pur mantenendo la stessa tendenza.
In Veneto negli anni dal 2005 al 2009 il tasso di high-growth va dal 5,4% del 2005, cresce fino al 9,3% del 2007 e cala al 3,4% nel 2009. Ciò significa che nel 2009, 34 imprese su 1000, tra quelle con oltre i 10 addetti, hanno avuto una crescita annua di fatturato superiore al 20% nel 2007, nel 2008 e nel 2009. Quello del 2009 è il valore più basso della serie storica, più che dimezzato rispetto a quello dell'anno precedente quando erano 79 imprese su 1000 ad aver aumentato il fatturato ad un tasso superiore al 20% per tre anni consecutivi.
Il tasso di gazelle calcolato sul fatturato va dal valore di 0,6% nel 2005 allo 0,3% del 2009. Anche in questo caso si nota che la percentuale rallenta, ma già dal 2008: nel 2009 3 imprese giovani su 1000, nate al massimo da 5 anni e con oltre 10 addetti, hanno aumentato il proprio fatturato minimo del 20% ogni anno dal 2007 al 2009.
Anche in riferimento al fatturato i tassi di Veneto e Nord Est sono meno elevati del livello nazionale e soprattutto del Sud e Isole. (Tabella 10.5.4)

Figura 10.5.1

Imprese nate per comune (*). Anno 2011

Tabella 10.5.1

Tassi di sopravvivenza delle imprese nate nel 2004, 2005, 2006, 2007 e 2008, negli anni 2005:2009 per macrosettore. Veneto

Figura 10.5.2

Tassi di sopravvivenza e dimensione media delle imprese nate nel 2004 e sopravviventi nel 2009 per settore di attività economica. Veneto

Tabella 10.5.2

Addetti delle imprese nate nel 2004 e di quelle sopravviventi a cinque anni, per settore di attività economica (numero e variazioni %). Veneto

Figura 10.5.3

Andamento degli addetti delle imprese nate nel 2004 e delle imprese nate nel 2004 che sopravvivono al 2009 per settore di attività economica (2004=100). Veneto

Tabella 10.5.3

Tassi di High-growth e Gazelle (per dipendenti) (%). Veneto, Italia e ripartizioni - Anni 2005:2009

Tabella 10.5.4

Tassi di High-growth e Gazelle (per fatturato) (%). Veneto, Italia e ripartizione geografica - Anni 2005:2009