U.O. Sistema Statistico Regionale U.O. Sistema Statistico Regionale
Capitolo 1

Il nuovo decennio inizia all'insegna dell'incertezza del ciclo economico (Nota 1)

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1.1 La congiuntura

L'economia internazionale
Dopo un 2009 di recessione internazionale, un 2010 di timida ripresa, il 2011 si chiude in decelerazione per l'economia globale. Il 2011 si può definire un anno all'insegna dell'incertezza, con evidenti elementi di fragilità, fiaccato ulteriormente dalla crisi finanziaria, pur con molteplici divergenze a seconda delle economie per la persistenza di una significativa difformità fra paesi emergenti ed economie avanzate.
Sebbene le tensioni sui mercati finanziari abbiano concentrato l'attenzione sulle tendenze dell'Area dell'euro, in realtà il peggioramento del quadro congiunturale ha interessato tutte le maggiori aree dell'economia mondiale indistintamente, anche se con intensità diversa.
Ma, tornando all'analisi di quanto accaduto nel 2011, la situazione si deteriora particolarmente nell'ultimo trimestre dell'anno, quando si registra un rallentamento della domanda interna nella maggior parte delle economie avanzate, non compensato da un apporto positivo delle esportazioni nette alla crescita. In questo contesto, la domanda dei paesi emergenti, nonostante il loro sviluppo più vivace, non fornisce un contributo rilevante alla crescita delle economie avanzate.
Da ciò si arriva ad una crescita del PIL mondiale nell'anno del 3,9% rispetto al 5,3% del 2010. Per i paesi emergenti l'aumento è del 6,2%, per le economie avanzate la crescita si dimezza rispetto al 2010 passando dal 3,2% all'1,6%. Tali andamenti risultano in linea con quanto osservato dalla metà degli anni Duemila, con una dinamica sostenuta nelle economie emergenti, a fronte di una crescita sotto tono nel complesso delle economie avanzate. A soli due anni dall'avvio del nuovo ciclo economico la ripresa sembra affievolita, soprattutto nell'Area euro il cui contributo alla crescita delle economie avanzate è stato addirittura negativo nell'ultimo quadrimestre del 2011. (Figura 1.1.1), (Figura 1.1.2), (Tabella 1.1.1)
Il paese che già nel 2011 vede una riduzione della propria ricchezza, -0,9%, è il Giappone che risente degli effetti derivanti dal terremoto che lo ha colpito e causato le interruzioni al ciclo produttivo. Il recupero dei livelli produttivi da parte del Giappone è comunque completato, anche se l'attività economica rimane relativamente fragile nel corso degli ultimi mesi.
L'economia Usa continua a crescere nel corso del 2011, ma a ritmi moderati. Anche negli Stati Uniti gli indicatori congiunturali nella seconda parte del 2011 evidenziano un deterioramento, anticipando una crescita moderata nel quarto trimestre. In ogni caso, considerando il quadro generale di rallentamento dell'economia globale, gli USA danno dimostrazioni di tenuta, grazie ai miglioramenti delle vendite nelle grandi catene, e al calo del tasso di disoccupazione.
Come ben evidenzia l'economista Uri Dadush (Nota 2), gli Stati Uniti si avvantaggiano di tre peculiari punti di forza: rimangono di gran lunga la più grande economia del pianeta (tre volte più grande di quella cinese) e la più competitiva, flessibile e produttiva fra tutte quelle del G-20; sono l'economia più innovativa del mondo: con solo il 5% della popolazione mondiale, gli Usa vantano il 28% dei brevetti e il 40% delle università migliori; la forza lavoro nei prossimi vent'anni dovrebbe crescere, secondo le proiezioni, del 17%, mentre negli altri Paesi dell'Ocse rimarrà ferma. Questi tre punti di forza fanno degli Stati Uniti la nazione potenzialmente meglio posizionata per cogliere le enormi opportunità offerte dalle tendenze di ampio respiro del mondo contemporaneo: l'ascesa dei mercati emergenti, la globalizzazione e l'innovazione tecnologica. (Figura 1.1.3)
L'Europa, l'indebitamento e l'euro
L'Unione europea chiude l'anno con una crescita debole, pari a +1,5%, stessa percentuale registrata per l'Area euro, con andamento decrescente nel corso dell'anno fino a registrare una variazione congiunturale negativa pari a -0,3% nell'ultimo quadrimestre del 2011. L'incremento delle esportazioni ha continuato a fornire il principale stimolo alla dinamica del prodotto; la variazione della domanda interna (0,6%) ha scarsamente recuperato il calo subito nella fase acuta della crisi.
Nell'Area dell'euro l'impulso più forte alla crescita è impresso dall'economia tedesca, ma anche da Austria, Finlandia, Slovacchia ed Estonia (quest'ultima è cresciuta del 7,7%). Si contrappone, d'altra parte, l'andamento delle economie periferiche: oltre al trend strutturalmente debole dell'Italia e della Spagna, preoccupa la recessione di Grecia (-6,9%) e Portogallo (-1,6%). (Tabella 1.1.2), (Figura 1.1.4)
Le analisi economiche individuano (Nota 3) in quattro fattori i principali elementi che hanno contribuito al rallentamento del ciclo europeo.
In primo luogo l'iniziale ripresa del 2010 in diversi paesi non è riuscita a riportare sui valori pre-crisi il grado di utilizzo della capacità produttiva. Nello specifico si è verificata una saturazione del comparto immobiliare, data la quantità di immobili costruiti in molti paesi durante il ciclo degli anni Duemila. Di conseguenza non si è verificato il contributo degli investimenti alla crescita del PIL, diversamente da quanto comunemente accade nei cicli tradizionali, che traggono una spinta significativa dalla ripresa degli investimenti dopo un paio di anni dal superamento del minimo.
Un secondo aspetto è legato ai prezzi delle materie prime: i rialzi nei prezzi delle materie prime sono stati tali da smorzare il ciclo della domanda mondiale sul nascere.
A questo effetto si è poi aggiunta le lentezza della ripresa della domanda di lavoro. In molte economie le imprese hanno cercato di sfruttare il recupero del ciclo per migliorare la propria redditività dopo il crollo del 2008-2009; le nuove assunzioni sono state contenute al minimo, e in molti casi la disoccupazione non ha beneficiato che in misura marginale degli effetti della ripresa del 2010. Fondamentale è stato l'aspetto delle politiche di bilancio. I bilanci pubblici si sono ritrovati gravati da forti perdite conseguenti agli effetti della crisi del 2008-2009 e alle stesse politiche attuate per attenuarne l'intensità. Ciò ha portato la politica di bilancio ad essere in diversi casi neutrale, assumendo frequentemente una intonazione di segno restrittivo. A ciò si ricollega l'ultimo, basilare, elemento, legato alla crisi fiscale dei paesi che hanno cumulato maggiori squilibri sul versante delle finanze pubbliche, e alle conseguenze dei rischi di default del debito sovrano di alcune economie dell'Area euro sull'andamento dei mercati finanziari. (Figura 1.1.5)
In particolare la congiuntura finanziaria è segnata dal fatto che per Grecia, Portogallo e Irlanda il debito pubblico remunera un premio al rischio elevato, e insostenibile nel medio termine. Solo l'Irlanda ha evidenziato recentemente segnali di miglioramento, mentre negli ultimi trimestri del 2011 anche gli spread di Spagna e Italia si sono mantenuti su valori non sostenibili a lungo.
I mercati finanziari, che avevano a lungo sottovalutato la possibilità d'insolvenza di un Stato dell'Area dell'euro, al punto da escluderla tacitamente, hanno iniziato ad attribuirle probabilità eccessive, coinvolgendo paesi i cui fondamentali avrebbero dovuto suggerire valutazioni meno negative. I mercati, gli operatori, gli analisti fanno evidentemente fatica a interpretare coerentemente tutta l'informazione disponibile, a volte incompleta o poco trasparente; soprattutto nelle fasi di elevata incertezza, gli operatori tendono a ricorrere a comportamenti imitativi che alimentano il contagio finanziario.
Nel dibattito giornalistico, inizia ad acquisire, con un certo grado di probabilità, anche un'ipotesi che inizialmente sembrava costituire semplicemente un esercizio accademico, ossia la disgregazione della moneta unica europea. Si discute dell'opzione di un'uscita dalla moneta unica della Grecia, almeno per un periodo limitato e con un reingresso con un cambio più debole. Se anche il Portogallo e altri paesi periferici ne fossero coinvolti si genererebbe la fine dell'euro.
Nel 2011 è risultata chiara la consapevolezza dei rischi dell'uso di una moneta unica senza un governo unico. Si stanno facendo i conti con le conseguenze dei ritardi nel passaggio da una politica monetaria ad una vera politica di bilancio e del debito comune nei paesi dell'Area dell'euro. In particolare, la crisi ha amplificato le debolezze già note: una politica monetaria UE centralizzata che si confronta con molteplici politiche economiche; un Patto di Stabilità e Crescita carente sotto il profilo del controllo dei conti pubblici e inefficace sotto quello della promozione di politiche per lo sviluppo; una crescente integrazione finanziaria che manca di regole e pratiche di vigilanza comuni.
Vi è inoltre scetticismo sulle reali capacità del meccanismo intergovernativo di sostegno ai paesi in difficoltà (lo European Financial Stability Facility, EFSF) di far fronte a un aggravamento della crisi. Hanno pesato la mancanza di accordo tra le autorità e la lentezza del processo decisionale, soprattutto con riferimento al potenziamento dell'EFSF.
Nel corso del 2011, i Capi di Stato hanno varato molteplici misure comuni volte a ripristinare la piena funzionalità dei mercati dei titoli sovrani e della raccolta bancaria all'ingrosso: è stata rafforzata la capacità di intervento dell'EFSF, con la possibilità di fornire garanzie alle emissioni di titoli pubblici; è stato adottato un nuovo programma in favore della Grecia; è stato predisposto un piano per fornire capitale e garanzie alle banche, tenendo conto degli effetti della crisi del debito sovrano sul loro bilancio. Si è inoltre intensificata l'azione della Banca Centrale Europea sul piano della riduzione dei tassi, su quello dell'aumento della liquidità nei confronti del sistema bancario e su quello dell'acquisto di titoli di stato sul mercato secondario. L'intervento di ampliamento della liquidità nei confronti delle banche potrebbe avere effetti anche in termini di possibilità per le banche nazionali di sostenere il debito pubblico.
La lezione che si trae da questa crisi, specialmente per la politica monetaria, è che la reazione dell'UE deve essere immediata e di entità uguale alla dimensione del problema, pronta ad utilizzare con flessibilità gli strumenti più adatti all'emergenza.
La "global governance" (Nota 4), insieme all'individuazione della sorveglianza e la strutturazione di riforme da parte dei paesi più in difficoltà sembra siano state accolte nel primi mesi del 2012 con favore dai mercati. (Figura 1.1.6), (Figura 1.1.7)
A fine 2011 per l'Unione europea l'indebitamento netto (Nota 5), corrispondente a 0,9 punti percentuali di PIL nel 2007, e peggiorato al 6,9% nel 2009, raggiunge il valore di 4,5% , in miglioramento dal valore di 6,5% del 2010. Il debito pubblico (Nota 6), che nel 2007 rappresentava il 59% del PIL per la UE27 arriva a raggiungere i 74,8 punti percentuali di PIL nel 2009, e nel 2011 è passato all'82,5% , peggiorando la situazione al 2010 (80%). L'indebitamento netto e il debito pubblico calcolati in percentuale sul PIL sono i due indicatori di riferimento per la valutazione dei conti pubblici, in particolare per la gestione di bilancio il primo, per la gestione della finanza pubblica il secondo.
La maggior parte delle economie europee adotta anche singolarmente nel 2011 misure di aggiustamento fiscale finalizzate alla riduzione dei deficit. A seguito di tali politiche, il deficit pubblico medio dei paesi dell'Area scenderà sotto il 3 per cento del PIL quest'anno e sotto il 2 il prossimo. Sulla base delle stime dell'Ocse, l'Area euro realizzerà in quattro anni - fra il 2010 e il 2013 - una correzione fiscale nell'ordine di cinque punti di PIL. Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), nel prossimo biennio il rapporto tra debito pubblico e Prodotto Interno Lordo continuerebbe a salire in tutti i principali paesi, con l'eccezione della Germania e dell'Italia. Nel nostro paese il rapporto inizierebbe a ridursi nel 2013, grazie alla forte contrazione del disavanzo programmata per il prossimo biennio. Le risorse necessarie a finanziare nel 2012 il debito in scadenza e il nuovo disavanzo ammonterebbero in Italia al 23,5% del PIL, un valore inferiore a quello degli Stati Uniti (30,4%) e del Giappone (58,6%) e di poco superiore a quello di Francia e Spagna.
Gli indicatori tradizionali di sostenibilità del debito pubblico segnalano inoltre per l'Italia una situazione relativamente favorevole. Il nostro paese sta rispettando gli impegni presi su questo fonte con la Commissione europea: dal 2010 al 2011 il rapporto debito pubblico/PIL si è spostato dal valore di 118,4 a 120,1, ma l'indebitamento netto su PIL è migliorato dal valore di 4,6% a 3,9%.
La Commissione europea valuta che il miglioramento dell'avanzo primario necessario a stabilizzare il rapporto debito/PIL sarebbe pari a 2,3 punti percentuali di PIL per l'Italia, contro 6,4% per il complesso dell'Area dell'euro e 9,6% per il Regno Unito. Un indicatore analogo calcolato dall'FMI conferma la posizione favorevole dell'Italia anche rispetto a Stati Uniti e Giappone. Il risultato dell'Italia beneficia delle riforme in campo pensionistico introdotte a partire dagli anni novanta, che hanno significativamente ridotto le spese age-related (le quali a regime aumenterebbero di 1,5 punti percentuali di PIL rispetto a oggi, a fronte di 3,4 per il complesso dell'Area). Indicazioni simili emergono da un altro indicatore sviluppato recentemente dalla Commissione per tenere conto di informazioni aggiuntive circa la vulnerabilità di un paese a rischi macroeconomici. (Tabella 1.1.3)
Nel giudizio degli investitori l'Italia risente dell'alto debito pubblico e, soprattutto, della bassa crescita. Ma il nostro paese presenta elementi di forza quali il contenuto livello del disavanzo di bilancio rispetto ad altre maggiori economie, il basso indebitamento del settore privato, la solidità delle banche, il limitato debito estero.
Le materie prime e i tassi di cambio
I prezzi delle materie prime iniziano a scendere nel corso del 2011 in linea con il rallentamento dell'attività economica mondiale. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le quotazioni rimangono su valori elevati, in una prospettiva storica. Non si è dunque verificata quella ampia correzione che ci si poteva attendere in seguito all'aggravarsi della crisi finanziaria e all'aumentata incertezza sulle prospettive di crescita.
Nel corso del 2011 inizia un percorso di ridimensionamento delle quotazioni del petrolio, dei metalli, delle materie prime alimentari; ma non si verifica una riduzione in grado di compensare l'aumento avvenuto nel 2008; nel complesso l'anno si chiude con un bilancio di costi delle materie prime in aumento rispetto all'anno precedente: dal petrolio, le cui quotazioni in dollari segnano un aumento di quasi il 40% rispetto al 2010, ai metalli (quasi il 20%), alle materie prime agricole (50%), a quelle alimentari (30%). Per i paesi dell'Area euro, inoltre, il quadro di fine anno è stato penalizzato dall'indebolimento dell'euro, che vanifica in parte il beneficio derivante dalla moderata correzione dei prezzi delle materie prime importate. Il petrolio, se valutato in euro, è destinato a chiudere il 2011 con un aumento di poco superiore al 30%.
Data la netta revisione delle aspettative di crescita, ci si sarebbe dunque potuti attendere un calo dei prezzi piuttosto marcato. Così non è avvenuto, fino ad oggi, per diverse motivazioni.
Nel caso dei metalli, per alcuni mesi sono prevalsi problemi legati alla riduzione delle scorte avvenuta nel corso del 2010, e questo avrebbe determinato una relativa difficoltà dell'offerta ad assecondare livelli più elevati della domanda. Per quanto riguarda i mercati petroliferi, la mancata correzione dei prezzi si è dovuta al fatto che la revisione al ribasso dei livelli di domanda associata alla minor crescita mondiale è stata in parte compensata da riduzioni di offerta causate dalla diminuzione della produzione libica. Inoltre, permangono nel mercato pressioni associate all'incertezza sulle tendenze di medio termine della difficile situazione geopolitica dei paesi del Nord Africa. (Figura 1.1.8)
Le forti turbolenze sui bond si sono tradotte, nel corso del 2011, in una flessione dell'euro rispetto al dollaro. Per il 2012 sono molti i fattori in gioco: alle variazioni dei tassi reali attesi, che dipendono anche dalle scelte di politica monetaria, si stanno sommando gli effetti dei flussi finanziari legati al deleveraging - la riduzione dei debiti - delle banche europee da una parte e di quelle americane dall'altra, che tendono a rimpatriare le risorse finanziarie investite all'estero. Rimane la convinzione che un euro forte è la cosa di cui un'Europa in recessione ha meno bisogno.
L'Italia e le riforme Monti
Le tensioni nei mercati finanziari internazionali restano alte, ma sembrano fiduciose delle riforme che sta intraprendendo l'Italia. Nel primo semestre del 2011 il differenziale fra il rendimento dei BTP decennali e quello degli analoghi titoli tedeschi era invece rimasto quasi sempre al di sotto dei 200 punti, negli ultimi mesi del 2011 ha raggiunto i 550 punti base, a febbraio 2012 era pari a 370 punti. (Figura 1.1.9)
L'attenzione dei mercati è puntata sulla capacità del nostro paese di portare avanti con decisione il risanamento della finanza pubblica e al contempo di stimolare con riforme strutturali il potenziale di crescita dell'economia.
Il nostro paese è oggi impegnato in uno sforzo particolarmente intenso: il Governo prevede che nel prossimo triennio il rapporto debito/PIL diminuisca significativamente. Gli obiettivi contenuti nel DEF 2012 (Nota 7) che sintetizzano la manovra approvata dal Parlamento lo scorso 22 dicembre, sommati agli interventi di luglio e agosto 2011, dovrebbe portare a un avanzo primario di bilancio l'anno prossimo dell'ordine del 3,6% del PIL; se gli obiettivi di risanamento venissero rispettati, elaborazioni di Banca d'Italia indicano che il rapporto debito/PIL potrebbe ridursi o stabilizzarsi anche qualora i rendimenti dei titoli di Stato registrassero significativi aumenti. Per ridurre in maniera permanente il rischio sovrano sono tuttavia necessarie misure volte a innalzare il potenziale di crescita, che in questa fase sono strettamente collegate con la stabilità finanziaria. Gli impegni presi in sede europea per un'incisiva azione di riforma vanno attuati con rapidità. La strada è stata intrapresa con chiarezza e l'opinione pubblica internazionale lo riconosce: la politica economica in Italia ha compiuto in questi mesi progressi prima ritenuti impensabili in direzione della sostenibilità finanziaria, ad esempio sul fronte del sistema pensionistico. Progressi altrettanto coraggiosi sono attesi su altri fronti, decisivi, su cui il Governo è già impegnato: l'efficienza del sistema tributario e la lotta all'evasione fiscale; la sistematica rivisitazione di tutte le voci della spesa pubblica, alla ricerca di ridondanze e risparmi; la razionalizzazione di norme, istituzioni e prassi che tengono imbrigliate le energie del Paese, comprimono la competitività delle imprese, mortificano le attese dei più giovani.
L'Italia soffre della sua bassa produttività rispetto ai competitor europei e proprio al suo rilancio vanno alcuni provvedimenti in favore delle imprese, in particolare: lo sgravio dell'Irap, il rifinanziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e l'adozione del modello Ace, ossia il cosiddetto Aiuto alla crescita economica, con cui si vorrebbe favorire fiscalmente gli investimenti in capitale aziendale. Sono inoltre previste ulteriori specifiche deduzioni nel caso di assunzioni di donne e giovani per un valore di circa un miliardo di euro.
Ancora sul fronte del rilancio della crescita economica il Governo sta lavorando in particolare sulla concorrenza, sul mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, sul sistema educativo, sul ruolo, dimensione e funzionamento della presenza pubblica nell'economia. Il Governo prevede che gli interventi per aumentare la concorrenza portino ad un aumento di 1,2 punti di PIL. Particolarmente interessante per i suoi effetti non soltanto economici, ma di sostegno ad una maggiore equità sociale, sono le liberalizzazioni nei diversi settori e professioni. (Figura 1.1.10)
Infatti molteplici indicatori dicono che il grado di concorrenza nei servizi (che rappresentano il 73% dell'intera economia nazionale e circa il 65% di quella del Veneto) è ancora basso nel confronto internazionale.
Secondo alcuni studi compiuti dall'OCSE (Nota 8) e dalla Banca Centrale Europea (Nota 9) nel settore dei servizi i margini di profitto erano in Italia, almeno fino alla metà dello scorso decennio, pari a più del 60%, mentre nel resto dell'Area dell'euro erano del 35% per cento. Gli stessi margini, nel settore manifatturiero, in cui la concorrenza è da tempo globale, apparivano invece per l'Italia allineati a quelli dell'Area, su un livello inferiore al 20%.
Un'altra analisi dell'OCSE (Nota 10), ad esempio, osserva che se l'Italia avesse allineato all'inizio del passato decennio la sua regolamentazione dei servizi a quella dei paesi più virtuosi si sarebbe ritrovata ad oggi con un livello della produttività di dieci punti più alta di quella effettivamente osservata.
L'economia italiana
In Italia l'aumento del PIL nel 2011 è pari allo 0,5%, frutto di una ripresa nella prima parte dell'anno che poi si è ridotta, fino a registrare variazioni negative.
Nel 2010 l'aumento era stato più consistente e pari all'1,8%, in deciso recupero rispetto alla flessione del 5,5% manifestatasi nel 2009. Nonostante la crescita degli ultimi due anni, nel 2011 il PIL in volume si è attestato su livelli ancora inferiori a quelli registrati negli anni precedenti la crisi economica del 2008-2009.
Dal lato degli impieghi si evidenzia una stazionarietà dei consumi finali nazionali e una flessione pari all'1,2% degli investimenti fissi lordi. Nel 2011 la spesa per consumi finali delle famiglie residenti ha mostrato un incremento in volume dello 0,2%, con variazioni più contenute rispetto a quelle registrate nel 2010 (+1,2%). A trainare i consumi è stata soprattutto la spesa per i servizi, +1,5%, mentre il consumo di beni è diminuito dello 0,8%; particolarmente marcata nella media dell'anno è stata la flessione della spesa per i generi alimentari.
Gli investimenti fissi lordi hanno registrato nel 2011 una flessione in volume pari a -1,2%, dopo la ripresa che aveva caratterizzato il 2010 (+1,7%). La riduzione è stata particolarmente rilevante per gli investimenti in costruzioni, -2,3%, e in macchinari e attrezzature, -0,3%; risultano invece in crescita gli investimenti in mezzi di trasporto: +1,8%.
Un rilevante contributo positivo alla variazione del PIL è venuto dalla domanda estera netta, mentre l'apporto della domanda nazionale e della variazione delle scorte è stato negativo.
In riferimento ai settori produttivi, il valore aggiunto dell'industria ha segnato una diminuzione nelle costruzioni, -3,1%, ed un aumento nell'industria in senso stretto, +1,7%. Il settore dei servizi ha registrato una crescita dello 0,8%, a fronte di una variazione negativa di mezzo punto percentuale dell'agricoltura, silvicoltura e pesca. (Figura 1.1.11)
A differenza di quanto accaduto nel corso della recessione 2008-09 che aveva origine oltreoceano e ha colpito principalmente le imprese esportatrici e con queste gli investimenti, e solo di riflesso i consumi delle famiglie, questa nuova fase della crisi ha al centro proprio le famiglie perché lese nel valore della loro ricchezza e dall'incertezza delle prospettive. Uno studio recente (Nota 11) riassume l'insieme delle manovre complessivamente approvate nel corso del 2011 per il triennio 2012-14: 48,5 miliardi di euro (3 punti percentuali di PIL) sull'anno in corso a cui si aggiungeranno altri 27 miliardi nel 2013 e 5,5 nel 2014 per un totale di 81,2 miliardi. Si stima che questa manovra graverà principalmente sulle famiglie e quindi saranno i consumi a risentirne principalmente, per una contrazione complessiva presumibilmente di 1,2 punti di PIL. Contribuirà anche l'erosione del potere d'acquisto dovuto all'aumento delle imposte indirette sui prezzi, mentre dal lato estero lo scenario di minore crescita mondiale si coniuga con un lieve deprezzamento dell'euro tale che nell'insieme gli effetti sulla crescita interna risultano modesti. (Figura 1.1.12)

L'attività industriale

Nel corso del 2011 l'attività industriale ha un andamento abbastanza piatto, gli aumenti del 2010 si sono compressi e non si è ancora riusciti a raggiungere i valori del 2008 pre crisi: l'indice della produzione industriale registra un andamento nullo rispetto all'anno precedente, fermandosi al valore medio annuale di 88,4 (101,7 nel 2008, 105,4 nel 2007). La produzione industriale ha un'evoluzione differenziata rispetto alla tipologia di bene: se per i beni di consumo si registra una contrazione del 2,9%, particolarmente sostenuta nei beni di consumo non durevoli, -3,1%, i produttori di beni strumentali hanno manifestato una ripresa pari a +3,2%.
L'indice del fatturato ha un andamento non omogeneo, ma crescente: nell'anno cresce del 5,6% rispetto al 2010, raggiungendo un valore del 113,1 a dicembre 2011 e riuscendo così a recuperare e superare i valori del 2010, ma non quelli al 2008. Il fatturato è sostenuto più dalla domanda estera, che da quella interna, che nell'ultimo trimestre tende a scemare. La variazione dell'indice degli ordinativi nel 2011 è pari a +5,9%, valore anch'esso supportato principalmente degli ordini dall'estero che subiscono qualche contraccolpo nell'ultimo trimestre. (Figura 1.1.13)

La stretta creditizia

I volumi prodotti dall'industria risultano in flessione dal terzo trimestre 2011, così come sono calanti gli investimenti nei mesi finali del 2011. Sulle prospettive di investimento d'impresa pesa particolarmente l'incertezza sul credito. Banca d'Italia segnala che i fabbisogni finanziari delle imprese, nonostante le esigenze di investimento contenute, sono in aumento. Ma, a fronte di una domanda ancora sostenuta, si osserva invece una decelerazione nell'offerta di credito alle imprese. A fine 2011 la crescita dei prestiti al settore privato non finanziario rispetto all'anno precedente è stata mediamente del 5,6% a livello nazionale, ma se si corregge per le sofferenze e per i pronti contro termine la crescita dei prestiti risulta modesta e in frenata rispetto all'estate. In particolare, la crescita si è azzerata per le piccole imprese per le difficoltà nell'accesso al credito; le imprese stesse, interpellate nell'ambito dell'indagine condotta presso le imprese manifatturiere dall'Istat, segnalano l'aumento del peso dei vincoli finanziari tra gli ostacoli alla produzione. Aumenta la quota di imprese che comunicano un peggioramento delle condizioni di accesso al credito. Da parte loro, le banche avevano indicato già nel terzo trimestre un irrigidimento dei criteri utilizzati per l'erogazione dei prestiti alle imprese; tale irrigidimento riguarda in particolar modo i prestiti a lungo termine e si è tradotto soprattutto in un incremento dei margini della banca, in restrizioni sull'ammontare del credito, sulle scadenze e in particolari clausole. Le restrizioni sull'offerta di credito sono dovute, secondo le banche intervistate nell'indagine Bls (Bank lending survey) (Nota 12), soprattutto ai vincoli derivanti dalla capacità della banca di finanziarsi sul mercato. Le banche, infatti, stanno sperimentando da alcuni mesi delle tensioni notevoli sui propri bilanci, dovendo fronteggiare non solo un recupero delle sofferenze, destinate probabilmente ad aumentare in un contesto di deterioramento economico, ma anche un incremento notevole del costo della raccolta bancaria. La persistenza dei rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine su livelli elevati sta determinando un innalzamento del costo di finanziamento da parte delle banche; ne discendono effetti negativi, che in parte hanno già cominciato a manifestarsi, sull'offerta di credito. (Figura 1.1.14)

Il clima di fiducia in Italia

La fiducia delle imprese manifatturiere si deteriora rapidamente nel corso dell'anno: a inizio 2011 si erano recuperati i livelli dei primi anni Duemila, ma nei mesi successivi la fiducia peggiora, per effetto della decelerazione del ciclo e delle turbolenze in atto. Sebbene la situazione per l'industria non appaia così drammatica come era tre anni fa, vi sono comunque elementi di preoccupazione per il futuro. Peggiorano i giudizi sugli ordini alle imprese manifatturiere, soprattutto a partire dall'autunno, ed è soprattutto la componente interna della domanda che si deteriora. La debolezza della domanda interna si riflette anche sul settore terziario, tradizionalmente più orientato al mercato interno: il clima di fiducia nei servizi ritorna ai livelli di Dicembre 2008, ma è specialmente il commercio a risentirne toccando un pessimismo superiore a quello registrato nella fase acuta della crisi nel 2009. (Figura 1.1.15)
Anche il clima di opinione delle famiglie progressivamente si deprime nel corso dell'anno. Fra i fattori che concorrono a questo risultato vi sono elementi oggettivi, legati alle prospettive sull'andamento dell'economia e alle conseguenze delle politiche fiscali. Un ruolo è anche giocato dall'impatto sulla confidence derivante dalle notizie provenienti dai mercati finanziari. Gli scarsi segnali di miglioramento a fine 2011 nell'andamento del premio al rischio pagato dai rendimenti dei titoli pubblici, oltre all'arretramento per il quarto anno consecutivo del proprio reddito disponibile trasmettono alle famiglie sensazioni di preoccupazione. (Figura 1.1.16)
L'economia veneta
I dati ufficiali di contabilità regionale si fermano all'anno 2009, quindi per l'analisi che segue faremo riferimento alle stime e alle previsioni dell'Istituto di ricerca Prometeia.
Nel contesto di incertezza del panorama nazionale il Veneto nel 2011 vede una crescita di 0,6 punti percentuali di PIL. La domanda interna è fiacca, sostenuta per lo più dai consumi delle famiglie, +0,6%, mentre gli investimenti sono in frenata, -1,1%.
L'aumento del PIL, sebbene di poco, risulta superiore a quello nazionale grazie alla struttura produttiva fortemente export-led di questa regione che ha sostenuto la produzione. Infatti, il risultato del 2011 sarebbe attribuibile soprattutto all'aumento dell'industria manifatturiera in senso stretto, il cui valore aggiunto crescerebbe di 1,4 punti percentuali. Il terziario registra una crescita dello 0,9%, l'agricoltura rimane stabile, mentre si stima che il settore delle costruzioni sia ancora in fase discendente, -2,5%.
Nelle previsioni, il 2012 risentirà della recessione in maniera analoga al livello nazionale, se non in misura leggermente minore per l'importante presenza imprenditoriale veneta. La ripresa dovrebbe avviarsi nel 2013 per riportare una crescita attorno al 2% nel 2014. (Tabella 1.1.4), (Figura 1.1.17), (Figura 1.1.18), (Figura 1.1.19)
Nonostante le difficoltà congiunturali, il Veneto rimane la terza regione in Italia per la produzione di ricchezza, dopo Lombardia e Lazio: il 9,3% del Prodotto Interno Lordo nazionale è realizzato in Veneto. Il PIL per abitante veneto stimato nel 2011 risulta di 30.148 euro, superiore del 16% rispetto a quello nazionale. Buono risulta in definitiva anche il mercato del lavoro con un tasso di occupazione in aumento e quello di disoccupazione al 5,0%, in ripresa rispetto alla fase acuta della crisi e tra i più bassi in Italia.

I consumi e il reddito disponibile

La recessione in corso è prevalentemente dovuta all'andamento della domanda interna e dei consumi in particolare. Il peggioramento della fiducia degli operatori, il clima di accresciute incertezze, le tensioni sui mercati finanziari e creditizi e le prime misure di aggiustamento dei conti pubblici influiscono sui comportamenti dei consumatori provocando un rinvio o ridimensionamento dei piani di spesa. Gli effetti sono evidenti sui comportamenti delle famiglie: la spesa in termini reali delle famiglie è in caduta negli ultimi due trimestri del 2011 e si prevede continuerà a scendere fino alla metà del 2013. All'interno di questo andamento è significativo quello dei consumi alimentari, la cui performance negativa, dopo essersi protratta per dieci trimestri nel biennio 2008-2009, si riprodurrà presumibilmente per altrettanti trimestri nel periodo 2011-13. (Figura 1.1.20)
A fronte di queste modifiche nei livelli dei consumi si assiste al calo del reddito disponibile in termini reali, che torna sui livelli di 20 anni fa. Le famiglie risultano quindi particolarmente colpite dalla crisi, ma oltre ai problemi legati al mercato del lavoro e ai mercati finanziari, le manovre fiscali che si stanno attuando peseranno sulla riduzione del reddito disponibile. Alcune misure, come l'aumento delle addizionali regionali Irpef, all'imposizione diretta e indiretta sulle attività finanziarie, l'intervento di deindicizzazione delle pensioni e l'aumento di tassazione della casa, faranno cadere il 74% del proprio onere a carico delle famiglie.
Per il 2011 si stima che i consumi delle famiglie venete ancora tengano (+0,6%) rispetto alla stagnazione nazionale (+0,2%), mentre per il 2012 si prevede una riduzione pari al 2,4%, in linea con quella nazionale del 2,5%. Sempre nel 2012 si vedrà una contrazione del reddito disponibile procapite delle famiglie venete. (Figura 1.1.21)

La ricchezza delle famiglie venete (Nota 13)

Di fronte alla riduzione del reddito disponibile, può essere d'aiuto alle famiglie la ricchezza accumulata nel tempo. Un'analisi condotta da Banca d'Italia stima la ricchezza delle famiglie venete nel periodo dal 2002 al 2010 ed, in particolare, permette di osservare quanto ha inciso la crisi economica anche dal lato di questa risorsa familiare.
La ricchezza qui considerata è il complesso dei beni materiali o immateriali che hanno un valore di mercato di cui una famiglia dispone. Essa è data dalla somma di attività reali (pari al valore delle abitazioni, dei terreni e dello stock di capitale delle famiglie produttrici) e attività finanziarie (valore dei depositi, dei titoli, delle azioni, ecc.), che insieme formano la ricchezza lorda, meno le passività finanziarie (mutui, prestiti personali, ecc.). (Nota 14) (Tabella 1.1.5)
In Veneto, in base ad elaborazioni preliminari, si stima che alla fine del 2010 la ricchezza netta delle famiglie consumatrici e produttrici, in termini pro capite, ammontasse a poco meno di 148 mila euro pro capite, un valore superiore a quello medio nazionale del 3,6%, ma in flessione rispetto ai valori dell'anno pre-crisi 2007. (Figura 1.1.22)
Tra la fine del 2002 e la fine del 2007 la ricchezza netta pro capite delle famiglie era aumentata del 9,8% al netto dell'inflazione (l'1,9%, in media, all'anno) soprattutto per effetto dell'aumento delle attività reali. Con la crisi, il calo delle attività finanziarie si è riflesso sull'aggregato complessivo: tra la fine del 2007 e la fine del 2010 la ricchezza è invece diminuita in termini reali dell'8,5%. Il divario positivo rispetto al resto del Paese che nel 2002 era pari all'11%, nel 2010 si era ridotto al 3,6%.
Dall'analisi della ricchezza in termini nominali risulta che nel 2010 le attività reali rappresentavano quasi il 70% della ricchezza netta pro capite (il 62% nel 2002), e ammontavano a 103,2 mila euro pro capite (97,7 mila in Italia). Nel quinquennio 2002-07 esse sono cresciute ad un tasso medio annuo superiore a quello dell'inflazione (4,8%), mentre nel triennio successivo la crescita è rallentata ad un tasso medio annuo dell'1,0%. Tale dinamica è principalmente imputabile al valore delle abitazioni che nel 2010 era pari a 82,2 mila euro pro capite (in Italia 81,8 mila). Il valore delle abitazioni delle famiglie è cresciuto, in media, del 4,2% all'anno nel periodo 2002-10, prevalentemente in seguito all'andamento dei prezzi delle case. Questi ultimi, secondo i dati dell'Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell'Agenzia del Territorio, sono aumentati in Veneto ad un tasso medio annuo del 5,5% tra il 2002 e il 2007 e si sono successivamente fermati con la crisi. Dal 2007 il valore delle abitazioni ha infatti rallentato (1,3% in media all'anno).
Le attività finanziarie, che nel periodo 2002-07 erano passate da 58 a quasi 69 mila euro pro capite, con una crescita media annua del 3,4%, a fine 2010 erano scese a 61 mila euro, scontando un calo medio annuo nel triennio 2008-10 del 3,9%.
Nel 2010 le passività finanziarie delle famiglie erano pari a 16,7 mila euro pro capite (14,6 mila in Italia). Rispetto al 2002, quando si attestavano a circa 10 mila euro, sono cresciute ad un tasso medio annuo del 6,5%. I debiti delle famiglie, favoriti dai bassi tassi d'interesse, sono aumentati in media del 10,1% all'anno nel quinquennio 2002-07 per poi rallentare bruscamente nel triennio successivo (3,3% l'anno). (Figura 1.1.23)

I prezzi in Veneto

In Italia l'inflazione nel 2011 sale al 2,8% segnando il recupero di questa variabile dopo un 2010 abbastanza contenuto (1,5%) e un 2009 in cui l'indice dei prezzi al consumo è stato il più basso degli ultimi 50 anni. L'anno che si è chiuso evidenzia un innalzamento del tasso di crescita, guidato dall'incremento di un punto percentuale dell'aliquota ordinaria dell'IVA, introdotto con un decreto di metà settembre, nell'ambito dell'insieme di misure di stabilizzazione e consolidamento delle finanze pubbliche. All'aumento dell'IVA e di altre imposte indirette, come le accise sui carburanti, si sommano le conseguenze del rincaro delle materie prime, rimaste su livelli ancora molto elevati in rapporto al deterioramento osservato nel ciclo economico internazionale. A sostenere la crescita dei prezzi contribuiscono poi in misura importante anche le tariffe pubbliche e i prezzi amministrati.
L'inflazione media rilevata in Veneto è pari a 2,5%, leggermente inferiore a quella nazionale; i capoluoghi di provincia che si sono distinti per un tasso minore sono stati Belluno, Rovigo e Verona (Nota 15).
Con riferimento ai capitoli di spesa il Veneto mostra un andamento simile a quello nazionale: i contributi alla crescita media dell'ultimo anno più rilevanti riguardano principalmente i trasporti (6,3%) e l'abitazione, acqua, elettricità e combustibili (+5,5%).

Figura 1.1.1

Variazioni percentuali del commercio mondiale di beni e servizi e del Prodotto Interno Lordo. Mondo - Anni 2007:2013

Figura 1.1.2

Il Pil delle economie avanzate: contributo delle diverse aree alla crescita totale (*) - II trimestre 2009: IV trimestre 2011

Tabella 1.1.1

Indicatori economici nei principali paesi industrializzati - Anni 2010:2013

Figura 1.1.3

Variazioni percentuali di PIL, consumi finali e investimenti sul rispettivo periodo dell'anno precedente. USA e Area euro - I trim 07:IV trim 11

Tabella 1.1.2

Indicatori economici nei maggiori paesi dell'Area euro - Anni 2010:2013

Figura 1.1.4

Variazioni percentuali tendenziali del prodotto interno lordo di alcuni paesi - Anni 2008:2011

Figura 1.1.5

Rendimenti dei Titoli di Stato a lungo termine in alcuni Paesi (*) - Gen. 1991:Gen. 2012

Figura 1.1.6

Debito pubblico in percentuale del PIL di alcuni Paesi - Anni 2007 e 2011

Figura 1.1.7

Indebitamento netto in percentuale del PIL di alcuni Paesi - Anni 2007 e 2011

Tabella 1.1.3

Indicatori di sostenibilità finanziaria dei conti pubblici (in percentuale del PIL) per alcuni Paesi - Anno 2010

Figura 1.1.8

Prezzo del petrolio Brent ($/barile) e cambio dollaro-euro - Gen. 2007:Feb. 2012

Figura 1.1.9

Spread: differenza tra Btp italiani e Bund tedeschi (x 100) - Gen. 2011:Feb. 2012

Figura 1.1.10

Regolamentazione e produttività del lavoro. Anni 1998:2010

Figura 1.1.11

Variazioni percentuali di PIL, consumi finali e investimenti sul rispettivo periodo dell'anno precedente. Italia - I trim 07:IV trim 11

Figura 1.1.12

Stima dei contributi alla riduzione dell'indebitamento netto (in % del PIL) in base alle manovre approvate. Italia - Anni 2012:2014

Figura 1.1.13

Indici destagionalizzati della produzione industriale, del fatturato e degli ordinativi. Italia - Gen. 2008:Dic. 2011

Figura 1.1.14

Andamento dei prestiti bancari di famiglie e imprese (milioni di euro). Veneto e Italia - Lug. 2011:Dic. 2011

Figura 1.1.15

Saldo mensile del clima di fiducia del comparto dell'industria manifatturiera e del commercio (dati destagionalizzati, 2005=100). Italia - Mar. 2008:Dic. 2011

Figura 1.1.16

Saldo mensile del clima di fiducia dei consumatori (dati destagionalizzati, 1980=100). Italia - Ott. 2008:Dic. 2011

Tabella 1.1.4

Quadro macroeconomico (variazioni percentuali su valori concatenati con anno di riferimento 2000). Veneto e Italia - Anni 2009:2012

Figura 1.1.17

Stima della variazione % 2011/10 del Prodotto Interno Lordo (prezzi 2000)

Figura 1.1.18

Variazione % 2011/10 del valore aggiunto per settore di attività economica. Veneto e Italia

Figura 1.1.19

Prodotto Interno Lordo pro capite (euro correnti) e tasso di disoccupazione per regione - Anno 2011

Figura 1.1.20

Variazioni % annue della spesa delle famiglie italiane per tipologia di bene e della spesa totale delle famiglie venete - Anni 2007:2011

Figura 1.1.21

Spesa per consumi finali e reddito disponibile delle famiglie (euro anno 2000 pro capite). Veneto - Anni 1980:2013

Tabella 1.1.5

La ricchezza delle famiglie venete (in migliaia di euro correnti) e la sua composizione percentuale 2010 (a). Anni 2002, 2007, 2010

Figura 1.1.22

La ricchezza netta pro capite delle famiglie (migliaia di euro correnti) - Veneto e Italia. Anni 2002:2010

Figura 1.1.23

Componenti della ricchezza pro capite (a) (migliaia di euro correnti) - Veneto e Italia. Anni 2002, 2007 e 2010
 
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1.2 Le stime 2012:2014. La domanda tra recessione e ripresa: l'impatto sull'economia veneta (Nota 16)

Con lo scorrere del tempo i timori che una nuova recessione colpisca nell'anno in corso l'Italia e le sue regioni vanno sempre più materializzandosi. In particolare le esigenze di risanamento della finanza pubblica si ripercuotono in maniera consistente sui consumi, sia privati che pubblici. In una fase di affanno dell'economia non stupisce che anche gli investimenti risentano di una battuta d'arresto, mentre l'unico sostegno alla crescita sembra risiedere nell'andamento delle esportazioni. Per il prossimo biennio si prospetta un rafforzamento dello sviluppo dell'export che dovrebbe incidere positivamente sull'evoluzione degli investimenti, mentre più lento sarà il recupero dei consumi, in particolare di quelli delle famiglie per i quali non ci si attende un ritorno su variazioni positive prima del 2014.
A partire dallo scenario sinteticamente descritto e che coinvolge, pur con differente intensità, tutte le regioni italiane, ci si propone di valutare l'effetto dell'andamento delle principali componenti della domanda sui diversi comparti dell'economia veneta. A tal fine si utilizza un modello intersettoriale multiregionale che consente di calcolare gli effetti degli shock della domanda finale con ampio dettaglio settoriale e regionale (Nota 17). Una caratteristica rilevante del modello risiede nella capacità di tenere conto degli effetti di trasmissione degli shock tra le regioni italiane. Tali effetti, infatti, sono tanto più grandi quanto maggiore è l'integrazione economica tra le aree e quanto più diffusi sul territorio italiano sono gli shock oggetto di analisi. Questi ultimi nella nostra simulazione sono stati imputati: coerentemente con lo scenario macroeconomico regionale 2012-2014 di Prometeia (Nota 18); su tutte le regioni italiane, con l'ipotesi che si tratti di uno shock differenziato, ma generalizzato; tenendo conto di una spaccatura settoriale che permetta di calcolare con maggiore precisione gli effetti sui singoli settori dell'economia.
Dall'andamento dei consumi delle famiglie per macro-categoria di spesa e quello delle esportazioni per i principali settori d'esportazione, sono stati ricavati gli shock da inserire nel modello. Le considerazioni che seguono sono fatte sulla base di un esercizio di stima econometrica a partire da una situazione di base che può essere confutata dagli eventi che si verificheranno, ma può portare un contributo conoscitivo per l'applicazione di politiche ad hoc.
L'impatto sul valore aggiunto: i consumi delle famiglie
L'Istituto Prometeia stima che le famiglie esprimeranno la propria preoccupazione relativamente all'andamento dell'anno in corso contraendo in modo sostenuto i consumi. Questo porterà ad una riduzione del 2,4% dei consumi delle famiglie venete per il 2012, per poi ritornare ad assestarsi nel 2013 e finalmente riprendere nel 2014, +1,4%. Nel 2012 soltanto i beni di consumo relativi ai servizi vedranno una crescita, mentre la varizione più negativa si stima per l'acquisto di beni durevoli. (Figura 1.2.1), (Tabella 1.2.1)
Tale andamento avrà un impatto sul valore aggiunto settoriale del Veneto (Nota 19). La riduzione dei consumi stimata per l'anno in corso comporta una perdita di valore aggiunto in tutti i comparti. In maniera più marcata sono colpite alcune attività terziarie, come le attività immobiliari e i servizi alle imprese o i trasporti e comunicazioni, mentre relativamente più contenuto sembrerebbe l'impatto sul valore aggiunto del commercio.
Per ciò che concerne il manifatturiero, l'impatto è più consistente sul chimico-farmaceutico e sull'industria di carta, stampa ed editoria, che tuttavia non rappresentano settori di specializzazione dell'economia veneta, ma incide anche sul valore aggiunto dell'alimentare e del tessile e abbigliamento. Sembra, invece, relativamente più modesta la perdita di valore aggiunto di settori importanti, come la meccanica, i prodotti in metallo, il comparto cuoio e pelli. Per il 2013 la persistenza di una riduzione dei consumi delle famiglie, seppure di entità più modesta rispetto a quella prospettata per l'anno in corso, si ripercuote sull'economia veneta con una perdita di valore aggiunto di circa 400 milioni di euro, ossia circa un terzo rispetto alla perdita dovuta alla riduzione dei consumi stimata per l'anno in corso. La ripresa prevista per il 2014 comporta un recupero di valore aggiunto complessivamente pari ad oltre 680 milioni di euro che, pertanto, non compensa le perdite connesse alla flessione dei consumi del biennio 2012-2013.
L'analisi d'impatto tiene conto anche degli effetti di trasmissione tra le economie regionali. Tali effetti incidono notevolmente sulla struttura produttiva del Veneto. Considerando l'elevato livello d'integrazione dell'economia veneta con quella del resto d'Italia, infatti, si rischierebbe di svolgere un'analisi parziale e incompleta, se si trascurassero gli effetti sulla regione di una crisi dei consumi che coinvolge l'intero territorio nazionale. L'andamento del valore aggiunto, infatti, è condizionato tanto dalla domanda interna alla regione quanto da quella proveniente da altre regioni italiane e in alcuni casi lo stimolo proveniente dal resto d'Italia può avere un impatto relativamente più ampio.
Per avere un'idea dell'importanza di tali considerazioni, si evidenzia l'impatto del calo della spesa dei consumi delle famiglie prospettata per il 2012 sul valore aggiunto di alcuni fra i settori più importanti dell'economia veneta, separando gli effetti che scaturiscono dalla riduzione operata dai consumatori veneti (effetto Veneto) da quelli connessi alla flessione dei consumi stimata per le altre regioni italiane (effetto trasmissione). (Figura 1.2.2)
I due effetti nella maggior parte dei settori in esame sono di entità simile; fanno eccezione i casi di settori più direttamente legati al territorio (ad esempio alcune tipologie di servizi, come il commercio), caratterizzati da un effetto Veneto relativamente più consistente e alcuni comparti, come l'agricoltura o il settore dei metalli in cui l'effetto di trasmissione è relativamente più intenso.
L'impatto sul valore aggiunto: gli investimenti fissi lordi
Si stima per il 2012 una riduzione degli investimenti fissi lordi del 3,8% rispetto al 2011, seguita da una crescita del 3,4% nel 2013 e un ulteriore consolidamento nel 2014, +2,6%.
La contrazione degli investimenti stimata per l'anno in corso si ripercuote sull'economia veneta con uno scostamento del -0,6 % in termini di valore aggiunto, corrispondente ad una perdita di quasi 870 milioni di euro. L'impatto coinvolge maggiormente il valore aggiunto delle costruzioni e quello di alcuni comparti rilevanti per l'economia regionale come la meccanica e i metalli. L'evoluzione positiva degli investimenti prevista per il prossimo biennio genera, invece, un effetto positivo sulla formazione di valore aggiunto di tutti i comparti. (Tabella 1.2.2)
L'impatto sul valore aggiunto: le esportazioni
Per il triennio 2012-2014 si prevede una progressiva accelerazione dell'export. Tale andamento generale si declina a livello settoriale tenendo conto delle prospettive della domanda mondiale per singolo settore. (Figura 1.2.3)
La crescita delle esportazioni esercita sul valore aggiunto un impatto positivo che in Veneto risulta particolarmente amplificato, grazie ad una struttura produttiva caratterizzata da un'elevata propensione all'export.
L'evoluzione delle esportazioni prevista per il 2012:2014 comporta, pertanto, un guadagno di valore aggiunto del 3,3%, rispetto allo scenario di base, pari ad un incremento di circa 4,5 miliardi di euro in termini assoluti. L'impatto coinvolge in maniera più intensa il chimico-farmaceutico e due fra i settori d'esportazione più rilevanti della regione, la meccanica e i metalli. L'impatto sul valore aggiunto, inoltre, è relativamente consistente sul cuoio e pelli, sul comparto che comprende legno, gomma-plastica ed altre manifatturiere e non è trascurabile neppure nei trasporti e comunicazione. Al contrario l'impatto è relativamente modesto su altri settori manifatturieri come il tessile e abbigliamento o l'alimentare, anche perché caratterizzati da una minore dinamicità della domanda internazionale. (Tabella 1.2.3)
L'effetto complessivo sul valore aggiunto totale degli shock delle principali componenti della domanda
Come si evince dalla figura, l'evoluzione 2012-2014 delle principali componenti della domanda comporta un impatto cumulato differenziato sul valore aggiunto del Veneto. (Figura 1.2.4)
Nel periodo considerato, la debolezza dei consumi delle famiglie genera una perdita di valore aggiunto di circa 1,5 miliardi di euro; anche la spesa delle amministrazioni pubbliche e delle ISP mostra un impatto debolmente negativo sulla formazione di valore aggiunto, mentre l'apporto che deriva dall'evoluzione degli investimenti è positivo, seppure relativamente modesto (+317 milioni di euro). L'effetto dell'andamento delle esportazioni, invece, genera un impatto positivo pari a circa 4,5 miliardi, tale da più che compensare le perdite di valore aggiunto connesse alle altre fonti di domanda già nel 2013.
Le principali considerazioni che scaturiscono dalla simulazione d'impatto effettuata sono descritte di seguito.
Gli effetti di trasmissione degli shock tra le regioni italiane esercitano un peso rilevante sul valore aggiunto regionale, tenendo conto dell'alto grado di integrazione tra l'economia veneta e il resto d'Italia.
La crisi dei consumi impatta sull'economia veneta in maniera relativamente disomogenea a livello settoriale. In generale il terziario sembra più colpito, specie in certi casi (alcuni servizi alle imprese e i trasporti e comunicazioni), mentre il commercio manifesta una maggiore capacità di arginare le perdite di valore aggiunto. Analogamente il valore aggiunto di alcuni comparti rilevanti del manifatturiero veneto come meccanica, metalli e cuoio e pelli subisce in misura relativamente minore i contraccolpi della riduzione dei consumi; tali settori sono anche fra quelli che più si avvantaggiano dello shock positivo proveniente dalla domanda estera. Per contro alcuni comparti del manifatturiero come il tessile e abbigliamento e l'alimentare risentono relativamente di più dello shock della domanda: nel primo caso l'impatto potrebbe essere ricondotto alla produzione di beni non necessari (e pertanto più agevolmente contraibili nelle fasi recessive), nel secondo ad un ri-orientamento delle scelte dei consumatori verso beni di qualità simile, ma caratterizzati da un prezzo più basso.
La simulazione effettuata conferma il ruolo determinante della domanda estera nell'attivare la crescita dell'economia veneta. Il previsto sviluppo dell'export, infatti, porterebbe un guadagno di valore aggiunto complessivo tale da più che compensare le perdite dovute agli shock derivanti dalle altre componenti della domanda.

Figura 1.2.1

Stima delle spese per consumi delle famiglie  nelle principali categorie di consumo (var. %) - Veneto. Anni 2012:2014

Tabella 1.2.1

Gli effetti sul valore aggiunto di alcuni settori del Veneto della variazione dei consumi delle famiglie prevista per il 2012-2014: scostamenti % dallo scenario di base

Figura 1.2.2

Gli effetti sul valore aggiunto settoriale del Veneto della riduzione dei consumi delle famiglie prevista per il 2012: scostamenti % dallo scenario di base

Tabella 1.2.2

Gli effetti sul valore aggiunto di alcuni settori del Veneto della variazione degli investimenti prevista per il 2012-2014: scostamenti % dallo scenario di base

Figura 1.2.3

Stima dell'andamento delle esportazioni di beni verso l'estero (var. %) - Veneto. Anni 2012:2014

Tabella 1.2.3

Gli effetti sul valore aggiunto di alcuni settori del Veneto della variazione delle esportazioni di beni verso l'estero prevista per il 2012-2014: scostamenti % dallo scenario di base

Figura 1.2.4

Gli effetti sul valore aggiunto complessivo del Veneto della variazione delle principali componenti della domanda prevista per il 2012:2014. Scostamenti assoluti in milioni di euro dallo scenario di base