Capitolo 8

Famiglie di oggi e di domani, una questione di equilibrio

Lo sviluppo sostenibile, inteso come capacità di soddisfare i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere quelli delle generazioni future (Brundtland, World Commission on Environment and Development, 1987), è un concetto accettato da tempo e obiettivo fondamentale fissato dai trattati internazionali, tanto da essere centrale anche nelle politiche dell'Unione Europea.
La sfida consiste nel mantenere o nel migliorare la qualità della vita in modo duraturo, non a scapito delle possibilità di sviluppo delle generazioni future, ma garantendo ai nostri figli le possibilità che noi abbiamo avuto e la libertà di scegliere come costruire il proprio presente e il proprio futuro. A tal fine è necessario impegnarsi per lasciar loro risorse sufficienti, adeguati livelli di capitale economico, ambientale e sociale: lo sfruttamento eccessivo delle risorse e dello spazio vitale, ma anche l'indebitamento, gli alti tassi di disoccupazione giovanile o il deficit di istruzione, la mancanza di fiducia nella società e nelle istituzioni possono, infatti, ostacolare il benessere delle nuove generazioni.
Il concetto così articolato è antropocentrico, pone al centro la persona, chiedendo di assumersi responsabilità per il futuro. Ha in sé un'ottica intergenerazionale, fondata su criteri di equità, giustizia sociale e uguaglianza nei diritti, ma, vi si evince, seppur in maniera meno esplicita, un riferimento all'equità intragenerazionale, ossia fra le attuali generazioni, anche perché gli squilibri di oggi possono essere la premessa per ancora più gravi livelli di disuguaglianza di domani. Al rispetto della libertà della generazione futura si affianca quindi il rispetto e l'attenzione per le generazioni contemporanee alla nostra che vivono, però, in condizioni più svantaggiate.
Dopo una breve introduzione sul concetto di sviluppo, in questo capitolo si intende affrontare il tema della sostenibilità in un'ottica prevalentemente intragenerazionale, a livello di nuclei familiari, oltre che di individui.
 
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8.1 - Sviluppo non è solo crescita

Se parlare di crescita per una società implica un aumento in termini monetari e quantitativi, il concetto di sviluppo è ben più ampio, include considerazioni sia di tipo quantitativo che qualitativo e coinvolge molteplici aspetti della vita.
A livello macro, pur riconoscendo l'importanza della ricchezza per misurare il progresso, è sempre più condivisa la convinzione che la crescita economica di per sé non basti a definire lo sviluppo di un Paese. In alternativa, in letteratura diverse sono le proposte per stimare il grado di sviluppo di un territorio in un confronto internazionale: alcuni indicatori sono più adatti per i Paesi avanzati, altri sono pensati per quelli in via di sviluppo. Per i Paesi più evoluti, ad esempio, viene proposto l'Indice di Povertà Umana per i Paesi Ocse, formulato dalle Nazioni Unite (United Nations, Human Development Report 2009), che misura l'estensione e l'intensità della privazione non solo in termini monetari e non solo attraverso misure macroeconomiche. Lo sviluppo umano si delinea come concetto multidimensionale, pertanto oltre a considerare la sfera del reddito, l'indicatore tiene conto della mancanza di opportunità concrete che un individuo incontra nella società in cui vive e che gli rendono faticoso raggiungere alcuni dei traguardi a cui aspira: vivere una vita quanto più lunga possibile e godere di buona salute, istruirsi per rafforzare la capacità di compiere scelte informate e responsabili, partecipare attivamente alla vita della società, garantire un certo standard di vita per sé e per la propria famiglia. L'indicatore sintetico può essere inteso come la percentuale di persone che vivono in uno stato di deprivazione e di svantaggio nella possibilità di farsi strada nella società: più alto è il valore, meno favorevole è la situazione di quel Paese.
Sulla base di questo indicatore, tra i Paesi Ocse l'Italia non occupa una posizione tra le più favorevoli; la situazione al suo interno però appare molto differenziata, con un evidente gradiente Nord-Sud. Se si punta lo sguardo sul Veneto, questo si colloca tra i primi posti nella graduatoria dei Paesi Ocse e delle regioni italiane, con valore dell'indice simile a quello di alcuni Paesi nordici europei. (Figura 8.1.1)
Rispetto al Prosperity Index (Legatum Institute, Legatum Prosperity Index Report 2010), indicatore molto più articolato del precedente per numero di dimensioni coinvolte, l'Italia risulta al 25° posto in una graduatoria di oltre cento Paesi, che vede in testa la Norvegia. Gli ambiti considerati per valutare le performance degli stati sono economia, imprenditorialità e accesso alle opportunità, governance, educazione, salute, sicurezza, libertà individuale e tolleranza sociale, capitale sociale, per un totale di 90 indicatori elementari. (Figura 8.1.2)
A livello italiano, in analogia con quanto sta avvenendo in altri Paesi su raccomandazione dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) e della Commissione Stiglitz, Cnel e Istat hanno avviato la costituzione del "Gruppo di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana", con l'obiettivo di sviluppare un approccio multidimensionale del benessere equo e sostenibile, che integri il PIL con altri indicatori, compresi quelli relativi alle diseguaglianze e alla sostenibilità. Il lavoro, che si dovrebbe concludere entro il 2012, prevede di sviluppare otto ambiti del benessere, quali: lo stato psicofisico delle persone, la conoscenza e la capacità di comprendere il mondo in cui viviamo, il lavoro, il benessere materiale, l'ambiente, i rapporti interpersonali, la partecipazione alla vita della società e l'insicurezza.
Per quanto riguarda la sostenibilità dello sviluppo, questa è intesa nelle sue varie dimensioni e va misurata guardando agli stock di capitale economico, ambientale, sociale e umano che la generazione attuale lascia in dote a quelle successive.
Il benessere deve riguardare anche la soddisfazione e la felicità personale. La soddisfazione per la propria vita nel complesso e per determinati aspetti ritenuti importanti, il senso di autorealizzazione e l'ottimismo per il futuro incidono in modo positivo sulla qualità della vita; inoltre l'insicurezza di oggi può limitare le capacità di mettere a frutto le potenzialità attuali e aumentare così l'incertezza futura.
In base al giudizio espresso dalle persone sulla qualità della propria vita e della società in cui vivono, all'interno dell'Unione Europea emergono alcune differenze in termini di benessere soggettivo: nei Paesi dell'EU15 le persone si dichiarano mediamente più felici e più soddisfatte della propria vita, anche perché non troppo diversa da come vorrebbero che fosse. Si sentono maggiormente integrate nella società, adeguatamente valorizzate e apprezzate e non lamentano problemi di tipo emozionale, come la mancanza di allegria o di interesse per la vita. Chi vive nell'area dell'Est Europa, nonostante i minori livelli di soddisfazione e di inclusione sociale, tuttavia si dichiara ugualmente ottimista per il futuro, per lo meno come rilevato nel 2007, prima cioè della crisi economica.
Tra tutti gli Stati membri si distinguono positivamente quelli del Nord Europa, mentre nel contesto europeo l'Italia si posiziona su livelli di benessere soggettivo medio-bassi. Ad esempio, secondo l'ultima indagine Eurofound del 2007 (Nota 1), alla domanda "In questi giorni, quanto si ritiene soddisfatto della sua vita nel complesso?" gli italiani, in una scala tra 1 e 10, rispondono mediamente con un punteggio di 6,6, quando nell'area EU15 è di 7,2.
A partire da quest'anno Istat pubblica il dato per l'Italia e le regioni, tuttavia non è perfettamente confrontabile con il precedente utilizzato a livello europeo (Nota 2). Per il 2010 a livello nazionale il punteggio medio di soddisfazione per la vita nel suo complesso risulta pari a 7,2. Per il Veneto la stima è di 7,3 e quasi il 47% delle persone di oltre 14 anni di età si sbilancia in giudizi ancora più positivi, rispondendo 8 o più (il 43% in Italia). Non vi sono significative differenze di genere, mentre si esprimono più positivamente i giovani e il livello di soddisfazione diminuisce al crescere dell'età. (Tabella 8.1.1)
La soddisfazione riguarda non solo i bisogni di base che garantiscono di condurre una vita dignitosa, ma in una società avanzata acquistano valore anche bisogni superiori di tipo immateriale, come la qualità dell'istruzione o della salute, il senso di realizzazione, l'intensità delle relazioni, la partecipazione sociale, l'utilizzo del tempo libero e la capacità di sostenere scelte consapevoli.
Si è meno contenti della propria situazione economica, della qualità del proprio lavoro e della disponibilità di tempo libero, mentre ci si sente appagati dalle relazione e dai legami con amici e parenti e si è soddisfatti per il proprio stato di salute. Rispetto ad altre dimensioni della qualità della vita, ovviamente il giudizio sulla propria situazione economica risente in misura maggiore degli effetti della congiuntura economica del momento: i più alti livelli di soddisfazione espressi negli anni 2001-2002, in un periodo di espansione economica, vanno via via diminuendo, specie nel biennio che comprende il 2008, l'anno di avvio della crisi. A risentirne sono soprattutto i giovani di età tra i 25 e 34 anni, che faticano a gestire in maniera economicamente autonoma la propria vita, ma anche le persone più mature, tra i 35-54 anni, che devono far fronte ai molteplici bisogni familiari. Sempre dagli inizi degli anni 2000 diminuisce anche la soddisfazione per il proprio lavoro, seppur in misura minore. In questo caso sono i più giovani, da poco inseriti nel mondo del lavoro, a dimostrare ora i maggiore segnali di disagio e di scontentezza. E in effetti la crisi economica ha colpito soprattutto i lavoratori più giovani, con contratti a tempo determinato e non assunti in modo stabile. Oltre alla difficoltà di trovare un lavoro adeguato alle proprie competenze, adesso devono fare i conti con la paura o la mancanza di sicurezza di riuscire a mantenere il posto di lavoro.
Abbastanza stabile nel tempo il giudizio sulla qualità e disponibilità di tempo libero, che risente della possibilità di conciliare gli impegni lavorativi con quelli personali e della distribuzione dei carichi familiari, visto che la soddisfazione è maggiore tra i più giovani, per lo più non ancora con una famiglia propria, e gli anziani, ormai in pensione. Sempre molto positivo il giudizio sul proprio stato di salute e sui rapporti con gli amici, mentre nonostante l'importanza e il valore riconosciuti alla famiglia, quale supporto morale e affettivo oltre che materiale, diminuisce con il tempo la soddisfazione per le proprie relazioni familiari.
Deprivazione, disoccupazione, bassi livelli di istruzione e scarsa salute sono alcuni dei fattori individuali che hanno un largo impatto sulla soddisfazione per la vita nel suo complesso. A questi si aggiunge anche la percezione sulla qualità delle società in cui si vive, in termini di efficienza dei servizi pubblici, di credibilità delle istituzioni ma anche di fiducia verso il prossimo e nei rapporti interpersonali. Per quest'ultimo aspetto in Veneto il 23% delle persone dichiara di avere un atteggiamento di fiducia verso gli altri, come a livello nazionale (22%), mentre il 75% si dimostra molto cauto e sospettoso. In generale, inoltre, la diffidenza è più sentita tra i giovani e le persone più anziane, piuttosto che tra coloro di età 35-64 anni. (Figura 8.1.3)
Benessere collettivo e disuguaglianza
Si può ritenere che una società sia sulla strada dello sviluppo sostenibile se la crescita economica è in armonia con la natura e la coesione sociale, con i concetti di giustizia, opportunità e uguaglianza dei diritti tra gli uomini, se garantisce l'equa ripartizione del benessere e l'accesso equilibrato alle risorse economiche, sociali e ambientali.
Di seguito ci concentriamo principalmente sulle opportunità economiche che un territorio garantisce ai suoi cittadini, mentre tralasciamo altri aspetti del concetto più ampio di sostenibilità, come l'educazione o il lavoro, la socialità e il sostegno della rete familiare e comunitaria, trattati in altri capitoli di questo volume o già approfonditi nel precedente Rapporto Statistico 2010.
D'altra parte chi dispone di scarse risorse economiche può vedere limitate le proprie opportunità di sviluppo in termini di formazione e lavoro e rischia di non acquisire competenze e abilità, anche di base, che gli consentano di raggiungere in futuro livelli di vita accettabili.
La ricchezza e la disponibilità economica contribuiscono a far progredire una società, ma questo sviluppo si fa sostenibile nella misura in cui garantisce una crescita quanto più equa tra la popolazione, senza stridenti disparità tra classi sociali. A livello europeo dall'analisi dei dati emerge che i Paesi europei e le regioni italiane con il più alto PIL pro capite sono caratterizzati anche da una minore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. Sembra esistere una relazione positiva tra equità e crescita economica, che dipende in parte anche dal fatto che una società più egualitaria riesce a garantire a tutti maggiori livelli di istruzione: se si estende anche ai giovani provenienti dalle famiglie meno abbienti l'accesso ad alti livelli d'istruzione, ciò tende a tradursi in una migliore utilizzazione delle capacità individuali e in una maggiore produzione di ricchezza. (Figura 8.1.4)
L'Italia si colloca non molto distante dalla media europea, con un PIL pro capite nel 2008 di 26.000 euro in parità di potere d'acquisto e un indice di disuguaglianza di 5,2, vale a dire che il 20% più ricco della popolazione detiene una quota complessiva di reddito che è cinque volte superiore a quella a disposizione del 20% più povero. La distribuzione dei redditi è meno equa rispetto a quella dei Paesi scandinavi e dell'area continentale più ricca. Al contrario, è più equilibrata in confronto agli stati più poveri dell'Est Europa (Lettonia, Romania, Bulgaria e Lituania) e della zona mediterranea (Portogallo e Grecia).
La relazione tra ricchezza e uguaglianza non si riscontra in maniera così evidente e netta per tutti i Paesi, perché dipende anche dai diversi modelli di welfare. Ad esempio, il Regno Unito e la Spagna sono caratterizzati da una maggior disuguaglianza rispetto alla media europea, pur disponendo di maggiori risorse in termini di PIL pro capite.
Restringendo l'analisi ai confini nazionali, emerge chiaramente la consueta dualità territoriale tra il Centro-Nord, dove le maggiori ricchezze economiche risultano anche meglio distribuite, e il Sud, dove invece le scarse risorse si accompagnano a più forti squilibri. In Veneto il grado di disuguaglianza, pari a 3,9, è nettamente inferiore alla media nazionale e non troppo distante da quello osservato nei Paesi europei più egualitari come Finlandia, Svezia e Austria. Assieme a poche altre regioni dell'Italia, il Veneto si colloca ai primi posti in una virtuale graduatoria regionale dello sviluppo economico sostenibile, dimostrando di sapersi arricchire senza sacrificare la giustizia sociale.

Figura 8.1.1

Indice di Povertà Umana per alcuni Paesi Ocse e per le regioni italiane (IPU-2) - Anno 2009

Figura 8.1.2

Prosperity Index nel mondo - Anno 2010

Tabella 8.1.1

Indicatori di benessere soggettivo nei Paesi europei e in Italia - Anno 2007

Figura 8.1.3

Percentuale di persone che si ritengono molto o abbastanza soddisfatte di alcuni aspetti della propria vita per classe d'età. Veneto - Anni 1993-94:2008-09

Figura 8.1.4

Ricchezza e disuguaglianza nei redditi per i Paesi dell'UE27 e per le regioni d'Italia - Anno 2008
 
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8.2 - Famiglie con storie diverse

Dopo una prima analisi macroeconomica, scendiamo ora a indagare le dinamiche della gestione delle risorse economiche all'interno della famiglia, specie ora messa alla prova da un contesto di difficile congiuntura.
Per le famiglie la sostenibilità economica si traduce principalmente nella capacità di impiegare il proprio reddito per far fronte oggi alle esigenze di spesa e di consumo, e domani per riuscire a garantire ai figli una solida base su cui fondare la propria vita da adulti.
Dall'ottimismo alla cautela
In concomitanza alle evoluzioni culturali ed economiche della società, la famiglia italiana ha imparato nel corso dei decenni a sostenere in maniere diverse i figli nella costruzione del loro futuro. Uno studio del Censis (Censis, 2003) ha cercato di tracciare le principali tappe dell'evoluzione della famiglia italiana nel tempo in termini di gestione della propria funzione economica.
Uno dei grossi cambiamenti sta nella mutata visione dell'infanzia e dell'adolescenza: dopo il boom economico, nel passaggio dalla famiglia patriarcale di origine contadina a quella moderna, i figli non sono più considerati principalmente come forza-lavoro da impiegare nel lavoro in casa o nei campi, ma diventano oggetto di attenzioni sui quali investire risorse per la loro realizzazione. Sostenere oggi sacrifici per dare domani un futuro certo ai figli.
Dopo la ripresa economica del Paese, negli anni Settanta si assiste a una modernizzazione economica con una crescente mobilità sociale. Progressivamente si affaccia la nuova società dei consumi di massa e la famiglia si vede impegnata nell'accrescere la propria capacità di spesa e di risparmio, grazie alla moltiplicazione delle attività lavorative e, quindi, alla disponibilità di più redditi da lavoro: per questo si può parlare di "Famiglia combinatoria", una famiglia che emerge come forza economica e soggetto di reddito e che, attraverso lavoro e risparmio, contribuisce alla costruzione di un futuro economico per le successive generazioni.
Negli anni Ottanta, a seguito di un accumulo e di un consolidamento stabile della ricchezza, la famiglia in maniera sempre più diffusa punta a patrimonializzare quanto messo da parte (si parla di "Famiglia S.p.a"), valorizzando il risparmio anche attraverso forme di investimento sicure come i titoli di stato. La scelta di rischiare per sedimentare e incrementare la propria ricchezza, forte di un benessere sociale diffuso e della crescita dei mercati finanziari, va letta come evoluzione naturale del modo di garantire ai figli un futuro economico sereno.
Nei successivi anni Novanta la famiglia accresce il proprio reddito familiare, attraverso sia redditi da lavoro che investimenti finanziari, andando così ad allargare notevolmente la classe di reddito medio. Un patrimonio ben consolidato e i segnali positivi dei primi investimenti sostenuti portano la famiglia a una gestione più spinta del proprio risparmio, massimizzando gli investimenti verso più alti rendimenti anche grazie alla progressiva liberalizzazione del mercato finanziario con l'estero. La crisi del welfare statale spinge però le famiglie a rivedere alcune modalità della gestione della propria funzione economica, legata al benessere futuro dei figli: cresce nella sanità, nell'assistenza, nella formazione, nella previdenza l'investimento privato finalizzato all'integrazione dell'offerta pubblica, avvertita non sempre di sufficiente qualità o poco tempestiva nella soddisfazione delle esigenze familiari. Una crescente competizione globale chiede alle imprese maggiore flessibilità e ai nuovi lavoratori maggiore adattamento anche attraverso soluzioni lavorative meno stabili e sicure. La famiglia è chiamata a fare da rete di protezione ai figli: si parla allora di "Famiglia competitiva", impegnata a moltiplicare gli sforzi per supportare i suoi membri nella crescente concorrenza sociale.
Dagli anni Duemila serpeggia un certo senso di insicurezza: l'approccio agli investimenti si fa più cauto e si fa largo con più insistenza una cultura assicurativa per tutelare il benessere dei figli, anche attraverso impegni di spesa per la formazione. Le scorte monetarie non hanno solo la finalità della redditività, ma sempre più possono servire come supporto in caso di precarietà lavorativa e intermittenza dei redditi. Si parla di "Famiglia tutor", che accompagna i figli nella costruzione del proprio futuro, non solo mettendo a disposizione risorse per la formazione, ma anche assicurando cuscinetti di denaro in caso di brusche cadute.
Nelle tasche delle famiglie
Poter contare su un reddito stabile, proporzionato alla dimensione della famiglia e adeguato allo stile di vita desiderato, dà sicurezza alla famiglia, trasmette desiderio di progettualità anche alle generazioni successive, quelle dei figli e dei nipoti. Si tratta di un'esigenza che la "Famiglia tutor" di oggi non può ignorare.
I bisogni materiali, e in una certa misura anche quelli immateriali, possono essere soddisfatti solo se si dispone di risorse finanziarie sufficienti. Non tutte le famiglie, però, riescono a garantirsi standard di vita accettabili con la stessa tranquillità e le difficoltà che incontrano cambiano nel corso degli anni e con l'evoluzione del ciclo di vita della famiglia.
Secondo i dati del 2008, le famiglie venete dispongono mediamente di 37.465 euro all'anno, poco più di 3.100 euro al mese, oltre 3.000 euro in più rispetto alla media nazionale (Nota 3) e in leggera crescita rispetto all'anno precedente. Tuttavia, la maggioranza delle famiglie consegue un reddito inferiore all'importo medio appena indicato, visto che la distribuzione del reddito è asimmetrica e la media non è perfettamente il valore centrale. Ne risulta che in Veneto metà delle famiglie dispone di un reddito al massimo di 33.200 euro all'anno, mediana della distribuzione, e l'altra metà di un reddito superiore. (Figura 8.2.1)
La situazione tra le regioni italiane appare eterogenea: il Veneto si posiziona tra le prime, assieme a molte regioni del Nord e alcune del Centro, chiudono la graduatoria invece le regioni del Sud. Diversi sono i motivi che spiegano la variabilità territoriale, oltre alla vivacità del sistema produttivo-imprenditoriale e alla diffusione dell'occupazione.
Il posizionamento di una famiglia lungo la scala dei redditi dipende anche dalla fonte di reddito di ciascun membro, ossia se da lavoro dipendente, autonomo o da pensione, dal numero di percettori e dalla dimensione della famiglia. (Figura 8.2.2)
È indubbio che il rapporto tra numero di percettori e familiari a carico abbia un peso significativo sulla disponibilità economica di una famiglia. È percettore di reddito chi contribuisce, anche con poco, al reddito complessivo familiare, a carico invece sono tipicamente i figli minorenni, la moglie casalinga, persone disabili o anziani senza pensione o assegni di sostegno economico.
In una famiglia, pensando al classico modello genitori con figli, il numero di redditi al suo interno non dipende solamente dall'investimento in capitale umano negli anni della formazione, dai tempi e dalle opportunità di ingresso nel mondo del lavoro, ma anche dalla negoziazione all'interno della coppia tra gli impegni professionali e i bisogni domestici.
In Italia il modello con un unico principale percettore di reddito, quasi sempre l'uomo, responsabile delle necessità finanziarie della famiglia (man breadwinner), è più tipico al Sud, dove riguarda il 48% delle famiglie, contro circa il 40% al Centro e al Nord, e dove in genere l'unica fonte di reddito proviene da lavoro dipendente. Molto raro è che sia solo la donna a guadagnare, se avviene è in fasi transitorie quando, ad esempio, l'uomo è per breve tempo disoccupato e non certo per un sistema stabile di divisione dei ruoli.
Il modello alternativo al man breadwinner è quello del dual earner, in cui entrambi i partner contribuiscono alle necessità economiche della famiglia anche se con proporzioni diverse, solitamente infatti è l'uomo a guadagnare di più. Fatta eccezione per Sicilia e Liguria, dove per motivi diversi prevalgono le famiglie monoreddito, in tutte le altre regioni italiane la maggior parte delle famiglie ha al suo interno almeno due percettori. In Veneto il 45,9% delle famiglie conta su due redditi, il 17,2% su tre o più.
Inoltre, per la maggiore dimensione familiare ma anche per una più diffusa disoccupazione, nelle regioni meridionali a parità di percettori il numero delle persone a carico è maggiore: si pensi che tra le famiglie monoreddito il 29,4% deve mantenere due o più persone, mentre la quota scende a circa 10% nelle regioni del Nord (15,6% in Veneto). Anche tra le famiglie con più fonti di reddito, tre o più percettori, nel Mezzogiorno il 13,9% delle famiglie ha due o più persone a carico, il 9,7% in Italia, appena 8,1% in Veneto. (Tabella 8.2.1) e (Figura 8.2.3)
I numeri dimostrano come il reddito familiare medio sia cresciuto negli anni, anche nella nostra regione: se mediamente una famiglia nel 2003 poteva disporre di 33.878 euro annui, nel 2008 la cifra sale di poco meno di 4.000 euro. Se però si mette mano al portafoglio, è condivisa da molti la sensazione di una disponibilità economica che non pare essere aumentata, anzi, specie in una situazione di maggiore crisi, sembra che lo stipendio mensile basti sempre meno. In effetti, se si rivaluta attraverso opportuni parametri condivisi a livello nazionale lo stipendio medio degli anni precedenti come se avesse il potere d'acquisto di oggi, si può notare con facilità come il reddito medio familiare sia rimasto pressoché invariato. (Figura 8.2.4)
Non sorprende allora che il 37% delle famiglie venete ritenga che il proprio reddito sia diminuito negli ultimi 12 mesi: questo può essere dovuto in parte a una effettiva riduzione delle entrate, perché si è perso il lavoro, si è entrati in cassa integrazione o si è dovuto lavorare meno ore, come indicato da quasi il 30% delle famiglie venete che giudicano peggiorata la propria situazione, ma più facilmente entra in gioco la percezione di una disponibilità economica che sembra non riuscire a rincorrere il crescente aumento dei prezzi di beni e servizi. A segnalare la fatica di far bastare il salario sono soprattutto le famiglie con figli, impegnate a garantire loro adeguati standard di vita e a sostenere le spese per la loro crescita.
Disparità tra famiglie: a ogni tappa della vita il suo reddito
Se si considerano le diverse tipologie familiari emerge la stretta relazione tra le condizioni economiche e il ciclo di vita della famiglia. Nel corso della vita le persone attraversano diverse tappe, durante le quali la loro struttura familiare e la loro situazione finanziaria cambiano, venendosi a modificare anche bisogni e preferenze.
Per confrontare le condizioni economiche delle famiglie con diversa dimensione e composizione, quindi con differenti bisogni, e per tener conto delle economie di scala, è più opportuno considerare il reddito familiare equivalente, frutto dell'applicazione di opportuni parametri (Nota 4).
Sono le famiglie di monogenitori con figli a carico quelle con minore disponibilità economica, tanto che il 26% si trova al di sotto del primo quinto di reddito (Nota 5) (12.276 euro). Inoltre sono sempre le famiglie di monogenitori quelle che negli ultimi anni hanno conosciuto una diminuzione maggiore del proprio reddito. Qualche disagio anche per i single giovani e gli anziani soli, mentre a godere di una maggiore tranquillità economica sono le coppie giovani senza figli. (Tabella 8.2.2)
Pur avendo redditi medi non così elevati, sono le coppie di anziani senza figli a carico la tipologia familiare che registra un aumento di reddito contenuto ma costante negli ultimi anni. In leggero aumento anche il reddito per le "altre tipologie familiari", che mediamente possono contare su redditi elevati e che sono costituite per la maggior parte da coppie mature con figli già adulti non più in casa.
Andamenti altalenanti invece per i single e le coppie giovani, per le quali non si osserva un trend di crescita o decrescita preciso negli ultimi anni, probabilmente per una stabilità economica non ancora raggiunta, influenzata anche dagli andamenti del mercato occupazionale, anche se non si può ignorare il brusco calo di reddito dell'ultimo anno. (Figura 8.2.5)
Dal confronto europeo emerge che in Italia alcune tipologie familiari risultano particolarmente svantaggiate. All'interno di ogni Paese si è inteso confrontare la disponibilità economica per una specifica tipologia familiare rispetto a una famiglia media generica, rapportando i relativi redditi, in modo da mettere in evidenza le disparità e i livelli di disuguaglianza in termini di forme familiari: valori superiori all'unità indicano una disponibilità economica per quel tipo di famiglia superiore alla media, mentre i valori inferiori a 1 si trovano in corrispondenza dei profili familiari con redditi più bassi rispetto alla media. (Tabella 8.2.3)
Quasi ovunque in Europa le famiglie che risultano più avvantaggiate sono le coppie adulte senza figli a carico, in cui generalmente si sommano più redditi, in quanto anche i figli ormai adulti, se continuano a vivere nella famiglia di origine, contribuiscono con il loro reddito a incrementare la ricchezza della famiglia. La nascita di figli non determina sempre un aggravio delle condizioni economiche delle famiglie: nei Paesi del Nord, ad esempio, le coppie con due figli dispongono di redditi superiori alla media nazionale, grazie probabilmente a sistemi di welfare che sanno rispondere alle esigenze delle famiglie, oltre che a una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. In Italia e nella nostra regione la presenza di figli comporta, invece, maggiori fatiche, più che negli altri Paesi dell'UE15, soprattutto se i figli iniziano a essere più di due. Ovunque gli anziani soli e i genitori soli con figli si trovano in situazioni di maggiore vulnerabilità.

Figura 8.2.1

Distribuzione del reddito familiare netto con e senza fitti imputati. Veneto e Italia - Anno 2008

Figura 8.2.2

Reddito familiare netto inclusi i fitti imputati (media e mediana) per regione - Anno 2008

Tabella 8.2.1

Famiglie per numero di percettori e di familiari a carico (valori percentuali). Veneto, Italia e ripartizioni - Anno 2009

Figura 8.2.3

Famiglie per numero di familiari a carico e per regione (valori percentuali) - Anno 2009

Figura 8.2.4

Reddito familiare netto inclusi i fitti imputati, media annuale in euro a prezzi correnti e a prezzi 2008. Veneto, Nord-est e Italia - Anni 2003:2008

Tabella 8.2.2

Reddito familiare netto equivalente annuo (con fitti imputati) per tipologia familiare: media, mediana e coefficiente di variazione. Veneto e Italia - Anno 2008

Figura 8.2.5

Reddito medio familiare equivalente netto annuo (con fitti imputati) in euro a valori 2008 per tipologia familiare . Veneto - Anni 2003:2008

Tabella 8.2.3

Reddito medio familiare equivalente netto: disparità tra tipologie familiari. Veneto e Paesi UE15 - Anno 2008
 
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8.3 - Spendere e mettere da parte

L'analisi del reddito come principale risorsa economica della famiglia va integrata con la descrizione del risparmio e dei consumi, per capire quanto e come le risorse sono impiegate. L'equilibrio tra reddito e consumi si inserisce bene nel contesto della sostenibilità economica della famiglia, soprattutto in una fase storica come questa, segnata da una crisi che ha ridotto le risorse e imposto delle rinunce.
Una delle strategie a medio-lungo termine finalizzate a garantire sicurezza alla famiglia è quella del risparmio, che, unito a una maggiore cautela nei consumi, può costituire un salvagente per emergenze e imprevisti. Oggi però non sembra così scontato riuscire a riempire il salvadanaio, sebbene sia un desiderio condivisibile quello di mettere da parte qualcosa per i figli, per fronteggiare tempi più duri o più semplicemente per permettersi un acquisto di un certo peso. Nel 2009 ben oltre la metà delle famiglie venete (63,2%) non è riuscita a risparmiare, di queste il 5,1% si è indebitata, mentre il 19,6% ha subìto una diminuzione del proprio patrimonio, quota in crescita rispetto al 2006. Molte le famiglie che, pur riuscendo a risparmiare, mettono da parte sempre meno (16,4% delle famiglie in Veneto). Sono soprattutto gli anziani soli (66,4%) a lamentare di non riuscire a mettere da parte dei soldi, mentre le coppie giovani, ancora senza figli, ci sono riuscite più di altri nella prospettiva di investire sulla propria futura famiglia. (Tabella 8.3.1)
La limitatezza delle risorse può essere, tuttavia, l'occasione per responsabilizzare il comportamento dei consumatori, inducendoli a scelte d'acquisto attente a limitare gli sprechi e riuscire comunque a risparmiare qualcosa.
Contrariamente a quanto consentono di fare i dati sul reddito, fermi al 2008, la disponibilità delle informazioni sui comportamenti di spesa fino al 2009 permette di indagare come le famiglie abbiano reagito alla recente crisi economica. In termini reali, vale a dire trasformando i valori monetari del periodo considerato in valori del 2009, l'andamento della spesa per consumi dal 2003 a oggi segue un trend sostanzialmente costante, in calo nell'ultimo biennio, proprio in concomitanza della crisi. Nel solo ultimo anno, i consumi delle famiglie italiane registrano una riduzione di 2,5 punti percentuali in termini reali, arrivando nel 2009 a un valore medio per nucleo familiare di 2.442 euro al mese. Metà delle famiglie italiane, però, spende meno di 2.020 euro.
Nonostante una maggiore contrazione dei consumi, pari a una riduzione reale di 4,7 punti percentuali nell'ultimo anno, in Veneto la spesa mensile per consumi si mantiene su livelli costantemente superiori alla media italiana e nel 2009 è pari a 2.857 euro, il secondo valore più alto dopo la Lombardia. (Figura 8.3.1)
La spesa per alimentari e bevande, pari a 444 euro, si riduce del 5,3% (3,7% in Italia) e quella per prodotti e servizi non alimentari del 4,5% (2,2% in Italia). In quest'ultima categoria, tuttavia, si registrano variazioni di segno e ampiezza diversa a seconda del capitolo di spesa considerato: ad esempio, diminuisce significativamente la spesa per servizi sanitari, trasporti, tempo libero e cultura, mentre risulta in crescita la spesa l'istruzione, per l'abitazione, per combustibili ed energia, dato quest'ultimo che risente probabilmente di una stagione invernale particolarmente lunga e rigida. (Figura 8.3.2)
La composizione per voci di spesa evidenzia, soprattutto in un'analisi di lungo periodo, l'evoluzione dei bisogni delle famiglie derivanti dalle trasformazioni nella struttura socio-demografica del Paese. Crescono, ad esempio, i consumi degli adolescenti che condizionano spesso le scelte d'acquisto della famiglia, si affermano le necessità di una popolazione che invecchia ed emergono nuovi bisogni legati allo stile di vita e alle nuove tecnologie. Tuttavia, il periodo di tempo considerato in questa analisi, dal 2003 al 2009, è troppo limitato per consentire di cogliere variazioni strutturali così nette. Dall'analisi emerge, piuttosto, che le scelte d'acquisto negli ultimi due anni sono indicative soprattutto di una minore disponibilità economica. La crisi ha ridotto la spesa per beni voluttuari o non strettamente indispensabili, tra questi l'automobile, alcuni elettrodomestici e l'arredo. Come per altri beni durevoli, infatti, l'acquisto di questa tipologia di prodotti comporta solitamente un esborso notevole e, in periodi di difficoltà economica, può prevalere la strategia di rimandarne la spesa.
La riduzione della spesa per beni alimentari è in linea con il trend decrescente osservato anche a livello nazionale negli ultimi anni ed è attribuibile alla minore disponibilità economica, ma in parte anche all'evoluzione degli stili di vita orientati a un'alimentazione più sana ed equilibrata. Inoltre, a causa degli impegni lavorativi, un numero crescente di individui consuma i pasti fuori casa e tale voce di spesa si trova classificata dall'Istat nel capitolo degli "altri beni e servizi" e non nella spesa per alimentari.
L'effetto della crisi sulla spesa alimentare si traduce in una riduzione delle quantità acquistate e, in alcuni casi, anche nella rinuncia della qualità. Seppur la maggioranza dei consumatori veneti dichiari di continuare a riempire il carrello come prima per quantità e qualità, vi è comunque una percentuale non trascurabile che ammette di dover affrontare delle privazioni. Per non rinunciare alla qualità, circa un quarto delle famiglie venete nel 2009 riduce l'acquisto di beni alimentari di base, come il pane (24,8%), la pasta (24,3%), la carne (28,7%), il pesce (28,8%) e la frutta e verdura (24,5%). Il 4% limita la quantità acquistata di tutti questi prodotti, scegliendone di qualità inferiore.
Per quanto riguarda le spese per l'abbigliamento e le calzature, oltre un terzo delle famiglie in Veneto (38,2% in Italia) compra meno rispetto all'anno precedente e l'11,5%, oltre ad aver limitato l'acquisto, opta per prodotti di qualità inferiore (14,5% in Italia). (Figura 8.3.3)
Anche se in Veneto si presenta una situazione decisamente migliore che altrove, il fatto di dover rinunciare all'acquisto di prodotti necessari fa pensare a un impoverimento generale della famiglia, che fatica a sostenere lo standard di vita desiderato. Da segnalare la riduzione dell'incidenza della spesa destinata ai servizi sanitari: molte famiglie, dopo aver pagato le spese che le normali esigenze quotidiane impongono, come l'abitazione, i prodotti alimentari e il trasporto, dispongono di risorse sempre più limitate per curare il proprio stato di salute, eseguire esami specialistici, visite mediche e controlli dal dentista.
La crisi, infatti, ha imposto la necessità di compiere delle scelte di priorità nell'allocazione del budget, considerando i vincoli dettati da alcune spese irrinunciabili. Tra queste, l'abitazione rappresenta il costo principale e assorbe quasi il 30% della spesa totale per consumi, una quota in crescita rispetto al 2007.
Per questo motivo si vuole dedicare una sezione più approfondita alla sostenibilità economica dell'abitazione.
Sostenere i costi della casa
L'accesso a un alloggio di qualità e a prezzi sostenibili è un bisogno e un diritto fondamentale dell'uomo. Inoltre, la casa è un elemento importante di inclusione sociale in quanto centro della vita familiare e delle relazioni con amici, parenti e vicini.
Da un punto di vista economico rappresenta un bene di consumo durevole, una sorta di riserva di ricchezza, che nel tempo può mantenere o anche incrementare il suo valore. A differenza degli altri beni di consumo, può essere utilizzata come garanzia per ricevere un prestito, incrementando così il potere di acquisto della famiglia.
Tuttavia, non tutte le famiglie hanno la possibilità di accedere a una casa adeguata alle proprie esigenze e di sostenerne i costi. A ciò si aggiunge la crisi economica, che sembra aver aggravato situazioni già difficili. Talvolta le spese per l'abitazione incidono in modo così pesante sul bilancio familiare tanto da esporre le famiglie al rischio di povertà o a situazioni di deprivazione, nel caso in cui, una volta coperti i costi della casa, non si disponga di risorse sufficienti per provvedere in modo adeguato agli altri bisogni essenziali.
I costi dell'abitazione sono determinati da diversi fattori, come la situazione del mercato immobiliare, le spese di manutenzione e le bollette, ma anche le scelte individuali: si può preferire, infatti, investire nell'abitazione piuttosto che in altri beni, spendere per renderla più attraente e qualitativamente migliore, così da incrementarne non solo il comfort ma anche il valore. Chiaramente tali scelte sono limitate anche dal reddito di cui si dispone. (Figura 8.3.4)
Se si considerano le spese (Nota 6) per le utenze domestiche e per la manutenzione ordinaria, l'affitto e la rata del mutuo, nel 2009 le famiglie venete spendono in media per l'abitazione 423 euro al mese, pari al 15,9% del proprio reddito (Nota 7). Naturalmente le spese sono diverse a seconda se si è in affitto, se si ha un mutuo da pagare oppure no.
I proprietari senza un mutuo da pagare, che costituiscono il 56,3% delle famiglie venete, si trovano nella condizione più favorevole in quanto le spese per l'abitazione si limitano alle bollette e alla manutenzione ordinaria, incidendo per il 9,2% del reddito, circa 260 euro, quota che rimane abbastanza costante negli anni.
Nel tempo aumentano le famiglie venete proprietarie di una casa e che hanno acceso un mutuo per acquistarla: in sei anni passano dal 14,4% al 16,8%, ossia quasi un quarto delle famiglie con abitazione di proprietà. Per scelta o per necessità, nel richiedere il prestito le famiglie tendono a esporsi a rischi maggiori, visto che in pochi anni la rata mensile del mutuo cresce mediamente di circa 200 euro e nel 2009 si attesta a 720 euro, assorbendo il 22,6% della disponibilità economica familiare. Sommando i costi per le bollette si raggiungono i 965 euro mensili, circa il 30% del reddito.
Anche gli affittuari, pari al 15,9% delle famiglie venete, si trovano ad affrontare situazioni di disagio abitativo in termini economici. L'affitto, infatti, incide per il 21,6% del reddito, però la rata media mensile è di poco superiore ai 400 euro, segno che le famiglie in affitto hanno in genere un reddito più basso e pertanto risultano maggiormente gravate dai costi dell'abitazione. Se si aggiungono le quote per le utenze, la percentuale di reddito impegnato per mantenere la casa sfiora il 32% (circa 600 euro). (Figura 8.3.5)
In linea generale la situazione diventa un carico eccessivo e insostenibile nel tempo qualora sia necessario destinare oltre il 40% del proprio reddito per far fronte alle spese correnti (Nota 8) per l'abitazione. L'indicatore calcolato a livello europeo fa emergere notevoli differenze tra i Paesi membri, imputabili a una molteplicità di fattori, tenuto conto anche del diverso contesto socio-economico. In certi casi sono le persone più svantaggiate economicamente a dover sostenere spese per la casa in misura così eccessiva, oltre il 40% del proprio reddito, vivendo tra l'altro in abitazioni di scarsa qualità, con problemi strutturali e di spazio. In questo caso l'indicatore è segnale di un forte disagio economico. Altre volte spendere tanto per la casa può essere invece una scelta, per garantirsi standard di vita elevati; questo è vero naturalmente nei contesti più ricchi in cui le famiglie godono di maggiori disponibilità.
Particolare la situazione degli Stati membri dell'Unione Europea usciti dai regimi comunisti, durante i quali le abitazioni erano di proprietà dello stato; dopo la caduta di tali sistemi di governo molte famiglie sono diventate proprietarie della casa in cui vivevano, che spesso però risultava di scarsa qualità dal punto di vista delle dotazioni strutturali e degli impianti, richiedendo quindi costosi interventi di manutenzione.
Il 12,2% della popolazione dell'Unione Europea spende oltre il 40% del proprio reddito per la casa. I Paesi in cui il carico delle spese risulta più alto sono Danimarca, Germania e Grecia, situazione opposta si osserva invece a Cipro, in Francia, a Malta e in Lussemburgo.
Veneto e Italia si collocano in una posizione intermedia, con rispettivamente il 6,8% e il 7,6% della popolazione in condizioni di alte spese per la casa. In termini familiari, si tratta dell'8,9% delle famiglie venete e del 34,6% di quelle in affitto, percentuale più elevata del valore nazionale e in aumento rispetto al 2004. Anche l'acquisto di una casa può rappresentare un carico eccessivo in rapporto alle risorse economiche, poiché richiede l'investimento di una notevole quota di capitale. Tuttavia la percentuale di famiglie con mutuo che ha dichiarato spese superiori alla soglia di sostenibilità è decisamente più bassa rispetto a quella delle famiglie in affitto. (Figura 8.3.6) e (Figura 8.3.7)
D'altra parte l'8% delle famiglie venete ha problemi a versare regolarmente l'affitto, valore che sale al 12,9% in Italia, e il 7,5% a saldare la rata del mutuo (Nota 9); inoltre il 6,2% dichiara arretrati nelle bollette, contro il 9,2% a livello nazionale. Anche se si riescono a rispettare le scadenze dei pagamenti, le spese per la casa sono comunque giudicate impegnative e difficili da sostenere da gran parte delle famiglie. È ritenuta particolarmente gravosa la rata del mutuo, considerata un onere pesante dal 62,6% delle famiglie venete che vivono in abitazioni di proprietà con mutuo.
Per semplificare i confronti tra Veneto e Italia e per misurare il divario tra le diverse tipologie di famiglie, si è costruito un indicatore sintetico di sostenibilità abitativa, che tiene conto sia dell'entità dei costi per la casa sia di come le famiglie giudicano e percepiscono lo sforzo richiesto per far fronte a queste spese. L'indicatore si compone dunque di una dimensione oggettiva e di una soggettiva e varia tra 0 e 100, dove 100 rappresenta la situazione più favorevole, cioè la massima sostenibilità (Nota 10).
Rispetto alla situazione italiana non si osservano differenze significative in termini di sostenibilità complessiva, visto che il punteggio medio dell'indicatore per il Veneto è di 74,4 su 100, per l'Italia è 75 (Nota 11). Tuttavia il Veneto si colloca tra le regioni in cui la sostenibilità abitativa sembra risultare più difficile; mostrano infatti valori più bassi dell'indicatore soltanto Liguria, Piemonte, Lombardia, Campania ed Emilia Romagna. Le spese per l'abitazione risultano più elevate probabilmente a causa degli alti prezzi imposti dal mercato immobiliare, di una maggiore diffusione del mutuo, ma anche per le differenti aspettative di vita delle famiglie, portate a investire una quota maggiore del proprio reddito nell'abitazione nel tentativo di migliorarne la qualità. (Figura 8.3.8)
Le spese per l'abitazione risultano più sostenibili per le famiglie con figli e soprattutto per le coppie anziane, mentre incontrano maggiori difficoltà le persone sotto i 35 anni che vivono da sole e i monogenitori, come anche le coppie giovani senza figli a carico e gli anziani soli, per cui il valore dell'indice complessivo rimane sotto il punteggio di 70 su 100. Le differenze emerse sono dovute principalmente alla componente oggettiva dell'indicatore, ossia a quanto i costi per la casa incidono sul reddito e se alla famiglia rimangono risorse sufficienti da destinare ad altri consumi e per mantenere standard di vita accettabili. Minore variabilità si osserva nella componente soggettiva, nella percezione e nel giudizio espresso sul carico delle spese.
In generale, rispetto al 2004 la condizione delle famiglie risulta aggravata, soprattutto nelle situazioni che già si presentavano critiche: la sostenibilità economica si abbassa di quasi 10 punti per le persone sole giovani, di circa 6 punti per quelle anziane e di 4 per le famiglie con figli; mentre la sostenibilità percepita peggiora soprattutto per i monogenitori e per gli anziani soli.
A livello nazionale la situazione risulta molto simile: sono confermate le differenze tra le tipologie familiari, anche se con livelli leggermente diversi. Diversamente che in Veneto, però, nell'arco di 5 anni la sostenibilità abitativa risulta peggiorata soprattutto tra le coppie giovani senza figli a carico. (Tabella 8.3.2)

Tabella 8.3.1

Risparmio delle famiglie negli ultimi 12 mesi (valori percentuali). Veneto e Italia - Anni 2006:2009

Figura 8.3.1

Spesa media mensile familiare per consumi in euro, a prezzi correnti e a prezzi 2009. Veneto e Italia - Anni 2003:2009

Figura 8.3.2

Spesa media mensile familiare in euro a prezzi 2009 per capitolo di spesa. Veneto - Anni 2003:2009

Figura 8.3.3

Famiglie per tipo di comportamento nell'acquisto di prodotti alimentari, di abbigliamento e calzature rispetto all'anno precedente (valori percentuali). Veneto - Anno 2009

Figura 8.3.4

Reddito e spese per l'abitazione in euro a prezzi 2009. Veneto - Anni 2004:2009

Figura 8.3.5

Incidenza percentuale sul reddito delle spese totali per l'abitazione per titolo di godimento. Veneto - Anni 2004:2009

Figura 8.3.6

Percentuale di persone con spese correnti per l'abitazione superiori al 40% del reddito. Veneto e Paesi UE27- Anno 2009

Figura 8.3.7

Percentuale di famiglie con spese correnti per l'abitazione superiori al 40% del reddito per titolo di godimento. Veneto e Italia - Anni 2004 e 2009

Figura 8.3.8

Indicatore complessivo di sostenibilità abitativa per regione - Anno 2008

Tabella 8.3.2

Indicatori sintetici di sostenibilità abitativa per tipologia familiare. Veneto e Italia - Anni 2004 e 2008
 

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