Capitolo 4

La ricerca e l'innovazione per uno sviluppo responsabile

«L'età della pietra non finì perché l'uomo rimase senza pietre e l'età del ferro non finì perché rimase senza ferro ... Finirono perché l'uomo seppe escogitare qualcosa di nuovo, di meglio...». Così scrive l'economista indiano Indur Goklany (Nota 1). La storia dell'umanità è costantemente segnata dal progresso, da innovazioni in grado di cambiare la società in tutti i suoi aspetti, dall'andamento demografico ai cicli economici, senza tralasciare gli interessi culturali.
In questo momento storico l'innovazione rappresenta una strategia fondamentale per avviare le economie mature verso la ripresa e per lasciarsi definitivamente alle spalle il difficile momento di crisi che ha inciso negativamente sugli investimenti e sulla competitività. Per inaugurare un nuovo ciclo di crescita, è però fondamentale che le politiche di innovazione siano basate su requisiti di sostenibilità in chiave strategica, supportate cioè da risorse adeguate e ponderate in un orizzonte di lungo periodo. Nella stessa Strategia Europa 2020 l'asse prioritario "crescita intelligente" promuove la conoscenza e l'innovazione come motori della nostra futura crescita. L'Europa sostiene l'innovazione e il trasferimento delle conoscenze in tutta l'Unione, l'utilizzo ottimale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e incentiva la trasformazione in nuovi prodotti e servizi delle idee innovative. Si riconosce che per affrontare le sfide a cui oggi la nostra società va incontro, dall'efficienza energetica alle trasformazioni demografiche, dovranno essere rafforzati gli investimenti in ricerca e innovazione, così da garantire un futuro più efficiente e più sostenibile, tanto per la società quanto per il nostro territorio.
 
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4.1 La ricerca e l'innovazione nel mondo

Uno degli obiettivi proposti dalla strategia Europa 2020 per il raggiungimento di una crescita intelligente è che il 3% del PIL dell'UE sia investito in ricerca e sviluppo. Nel 2009 la spesa in R&S dell'Unione europea a 27 Paesi è stata pari al 2% del Prodotto Interno Lordo, in leggera crescita rispetto al dato dell'anno precedente. Questa dinamica, non molto sostenuta, è trainata dalle performance di alcuni Paesi del Nord Europa: Finlandia, Svezia e Danimarca, rinforzati da una forte presenza di attività operanti in settori a forte intensità tecnologica, hanno già raggiunto la soglia del 3% fissata come obiettivo per il 2020. Per l'Italia nella bozza del Programma Nazionale di Riforma viene indicato un target da raggiungere per il 2020 pari all'1,53%. Nel 2009 la spesa per R&S su PIL in Italia è stata pari all'1,27%, mentre per il Veneto risultava 1,05% nel 2008, valore più basso rispetto a quello nazionale, ma quasi raddoppiato in 3 anni.
Gli investimenti europei rimangono inferiori a quelli di Stati Uniti e Giappone, che rispettivamente raggiungono il 2,8% e il 3,4% del PIL nell'ultimo anno.
Attualmente anche la Cina spende circa l'1,4% del suo PIL in R&S ed entro il prossimo decennio probabilmente supererà gli Stati Uniti nella capacità di trasformare la sua ricerca in prodotti e servizi. La previsione è del prestigioso Georgia Institute of Technology statunitense. Già ora, il gigante asiatico per il numero di lavori scientifici pubblicati è secondo solo agli Usa (120mila articoli contro i 350mila), ha il più alto numero di studenti (25 milioni) iscritti in istituti e università di qualsiasi altro paese, ha lo stesso numero di ricercatori degli USA, 1,4 milioni, e la sua spesa in ricerca ha avuto un aumento medio annuo del 18% negli ultimi 10 anni (Nota 2).
L'1 febbraio 2011 è stato pubblicato l'Innovation Union Scoreboard 2010, un'analisi comparata dell'Indice di Innovazione tra i 27 Stati membri dell'UE e i suoi principali concorrenti internazionali tra i quali gli USA e il Giappone, ma anche Cina e Brasile. Scopo della misurazione è monitorare lo sviluppo e la realizzazione degli obiettivi di innovazione e competitività del programma Europa 2020 nei vari stati membri ed identificare i punti di forza e le debolezze del sistema. L'Innovation Union Scoreboard si basa su 25 indicatori relativi a ricerca e innovazione raggruppati in tre principali categorie: "Elementi abilitanti", ovvero gli elementi fondamentali che rendono possibile l'innovazione (risorse umane, finanziamenti e aiuti, sistemi di ricerca aperti, di eccellenza e attrattivi); "Attività delle imprese" che mostrano in che modo le imprese europee sono innovative (investimenti, collaborazioni e attività imprenditoriali, patrimonio intellettuale); "Risultati" che mostrano come ciò si traduce in benefici per l'intera economia (introduzione di innovazioni di prodotto/processo/organizzazione, effetti economici).
In base ai risultati (Nota 3) i paesi europei si possono dividere in quattro tipologie di approccio all'innovazione:
  • I leader dell'innovazione: Danimarca, Finlandia, Germania e Svezia presentano risultati molto al di sopra della media dell'UE-27;
  • I paesi che tengono il passo: Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia e Regno Unito presentano risultati che si avvicinano alla media dell'UE-27;
  • Gli innovatori moderati: i risultati di Croazia, Repubblica ceca, Grecia, Ungheria, Italia, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Spagna sono inferiori alla media dell'UE-27.
  • I paesi in ritardo: i risultati di Bulgaria, Lettonia, Lituania e Romania sono molto inferiori alla media dell'UE-27.
(Figura 4.1.1)
Un confronto tra gli indicatori di UE27, Stati Uniti e Giappone evidenzia che l'Unione non riesce a colmare il divario nelle prestazioni in materia d'innovazione che la separa dai suoi principali concorrenti.
Nel rapporto citato è stato calcolato un indicatore sintetico per misurare la performance in innovazione dell'Unione europea paragonata ai suoi principali concorrenti (Nota 4) ed i risultati sono visualizzati nei grafici seguenti. I valori nei grafici indicano quanto in termini percentuali il rendimento in innovazione del paese considerato è migliore (se positivo) o peggiore (se negativo) rispetto all'intera UE27. Ad esempio nel 2010 gli Stati Uniti stanno rendendo il 49% in più rispetto all'UE27, il Giappone il 40% in più; complessivamente l'UE27 rimane in posizione più avanzata rispetto a India e Russia, mentre sta perdendo il proprio vantaggio sul Brasile e soprattutto sulla Cina, il cui deficit in termini di prestazioni si sta rapidamente assottigliando. (Figura 4.1.2)
Le differenze maggiori del ritardo dell'Unione europea con gli USA si riscontrano nelle co-pubblicazioni pubblico/privato, nella spesa delle imprese per attività di R&S e, rispetto al Giappone, nei brevetti. Questi dati sembrano suggerire che il deficit di innovazione dell'Europa derivi innanzitutto dal settore privato.
Il divario è particolarmente ampio e in rapido aumento per quanto riguarda le entrate dall'estero derivanti da licenze e brevetti. Questo elemento è un indicatore importante del dinamismo economico ed evidenzia che nell'UE il modello economico e il funzionamento del mercato interno della conoscenza protetta devono essere migliorati. Esso dimostra inoltre che l'Unione produce meno brevetti ad alto impatto (che generano entrate significative da paesi terzi) rispetto a USA e Giappone e che non raggiunge una posizione adeguata nei settori a crescita globale elevata. Bisogna riconoscere però che negli ultimi cinque anni la maggiore crescita degli indicatori di innovazione dell'UE-27 si è registrata nei sistemi di ricerca aperti, di eccellenza e attrattivi (co-pubblicazioni scientifiche internazionali, pubblicazioni ad alto impatto, dottorandi extraeuropei) e nel patrimonio intellettuale (deposito di marchi UE, brevetti PCT e disegni e modelli dell'UE).
Inoltre si sta riducendo lo scarto, ancora notevole, riguardante il numero di persone che portano a termine gli studi di istruzione terziaria, con una crescita relativamente elevata nell'UE.
L'UE27 ottiene invece risultati migliori rispetto agli USA nell'ambito della spesa pubblica per R&S e delle esportazioni di servizi ad elevata intensità di conoscenze.
La lettura dei singoli indicatori presentati nel Rapporto chiarisce la posizione dell'Italia che complessivamente risulta mediocre. In realtà non tutti i valori italiani sono sotto la media europea. Se da un lato le Università italiane non attirano studenti extraeuropei per il dottorato, le lauree di dottorato italiane sono del 14% in più rispetto alla media europea. Se l'Italia non viene citata nel 10% delle riviste scientifiche più lette al mondo, è anche vero che supera del 56% la media europea delle pubblicazioni scientifiche nel mondo. La spesa in Ricerca e sviluppo è inferiore alla media europea, ma l'innovazione che le Piccole e Medie Imprese realizzano al loro interno supera del 12% la media europea. La presentazione di brevetti italiani all'ufficio europeo di brevettazione non è elevata, ma il deposito di disegni/progetti comunitari in rapporto al PIL hanno un valore del 44% più elevato della media. In conclusione si può ragionevolmente affermare che non vi è assenza di innovazione, ma si tratta di innovazione che, rispetto al tessuto economico, si inserisce nella tradizione economica del paese. Da un lato c'è innovazione di processo, che si traduce in recuperi di efficienza nei processi produttivi, dall'altra c'è un'innovazione riconducibile all'espressione di vocazioni tipiche del sistema Italia, al made in Italy del design e della creatività.
La ricerca in campo "green" (Nota 5)
Da un'analisi sugli investimenti in Ricerca e Sviluppo per le sole fonti rinnovabili si osserva che ogni paese ha caratteristiche e specializzazioni proprie. L'Italia mostra di puntare molto sulle energie rinnovabili con una spesa complessiva pari a quasi 70 milioni di dollari d'investimento annui per la ricerca e lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili, collocandosi al quarto posto nel mondo, alle spalle di Stati Uniti, Giappone e Germania, "leader" mondiali nel campo. Italia e Germania hanno puntato nettamente sull'energia solare, Regno Unito e Danimarca sull'eolico, Svezia e Finlandia sulle biomasse mentre paesi come Spagna e Stati Uniti cercano di mantenere una rete di investimenti più variegata per rispondere alle maggiori possibilità territoriali. (Figura 4.1.3)
Il comparto idroelettrico mostra livelli d'investimento piuttosto ridotti e con pochi margini di sviluppo futuri; il geotermico è diffuso solo in piccole realtà locali e non a livello globale; il solare si conferma la fonte rinnovabile su cui s'investe maggiormente, in particolare, per aumentare la produttività giornaliera dei pannelli; l'eolico è alquanto stabile e gli investimenti maggiori si concentrano in Germania, Regno Unito e Danimarca, paese in cui si sta diffondendo e sviluppando l'eolico off-shore. L'Italia punta molto sul solare mentre è interessante osservare la performance spagnola che mostra di puntare sulle fonti di energia rinnovabile solo nella fase di realizzazione degli impianti, mentre lascia la "leadership" nella fase di sviluppo agli altri paesi. (Figura 4.1.4)
Quando si parla di sostenibilità e innovazione è importante chiedersi quanto si stia facendo per risolvere il problema alla fonte. Analizzare, quindi, non soltanto gli investimenti per ottenere energia pulita, ma gli investimenti volti a ridurre l'uso energetico migliorando l'efficienza negli usi finali.
In questo caso, come per gli investimenti in nuove fonti di energia rinnovabile si nota la supremazia di Stati Uniti e Giappone. Inoltre risulta ancora più netta la differenza tra i paesi europei ed i due paesi "leader": il Giappone ha realizzato tra il 2000 ed il 2007 un investimento sei volte più grande di quello francese, terza per spesa realizzata. L'Italia in questa speciale classifica ha una buona performance rientrando tra i primi cinque Paesi. Su questo risultato ha avuto certamente effetto l'investimento realizzato dall'ENEL sugli "smart meters", che ha reso l'Italia il paese al mondo con la maggior diffusione di contatori intelligenti.

Figura 4.1.1

Indice di innovazione 2010 e sua variazione % 2010/06. Alcuni Paesi europei

Figura 4.1.2

Performance di innovazione di Stati Uniti, Giappone, Brasile, Cina, India e Russia rispetto all'indice di innovazione di UE 27 - Anni 2006:2010

Figura 4.1.3

Spesa per la R&S delle energie rinnovabili per paese: percentuale per fonte (calcolata sulla media annua 2000:2007)

Figura 4.1.4

Spesa in R&S per l'efficienza energetica per paese. Media annua 2000:2007, in milioni di USD$ (a prezzi correnti)
 
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4.2 La Ricerca&Sviluppo in Veneto

Nel 2008 la spesa per ricerca e sviluppo in Veneto ammonta a 1.542 milioni di euro, collocando la nostra regione al quinto posto nella graduatoria delle regioni italiane, dopo Lombardia, Lazio, Piemonte ed Emilia Romagna. La spesa veneta in R&S del 2008 ha fatto registrare una variazione positiva del 24,1% rispetto all'anno precedente, a fronte di una crescita nazionale annua del 5,9%. L'incremento annuo della spesa veneta è secondo soltanto a quello valdostano, che presenta però valori assoluti decisamente più bassi. La forte diffusione degli investimenti in ricerca anche nelle piccole e medie imprese ha contribuito all'incremento della spesa totale per R&S soprattutto in quei contesti in cui le PMI sono il cuore del tessuto produttivo: è così che l'andamento più che positivo della spesa complessiva veneta è stato trainato dall'importante contributo delle attività imprenditoriali, cresciute nell'ultimo anno del 36,4%. (Tabella 4.2.1) e (Figura 4.2.1)
Questa rapida crescita degli investimenti delle imprese ha fatto sì che il Veneto abbia quasi raggiunto l'altro vincolo che era stato posto come obiettivo dalla Strategia di Lisbona, ossia la condizione che i due terzi della spesa siano sostenuti dalle imprese. Le imprese in Veneto, infatti, hanno investito nel 2008 il 64,6% della spesa complessiva in R&S; a seguire l'università ne ha speso una quota pari al 25,1% e le istituzioni pubbliche e private non profit il rimanente 10,2%. Molto simile è la distribuzione per settore istituzionale del personale addetto alla R&S: il 66,2% degli addetti -calcolati in equivalenti tempo pieno- impiegati in attività di ricerca appartiene alla realtà imprenditoriale veneta, il 25,3% al sistema universitario e il restante 8,5% a pubbliche amministrazioni ed organizzazioni non profit. Complessivamente in Veneto gli addetti alla ricerca e sviluppo sono 23.884 e in rapporto alla popolazione sono 4,9 ogni 1.000 abitanti, rispetto al valor medio nazionale di 4 addetti ogni 1.000 abitanti. (Figura 4.2.2)
La spesa complessiva in R&S veneta del 2008 ha assorbito l'1,05% del PIL regionale, valore ancora inferiore rispetto al dato nazionale, 1,23% nel 2008 e 1,27% nel 2009. Se focalizziamo l'attenzione sull'andamento di questo indicatore negli ultimi anni possiamo osservare come il Veneto sia stata la regione italiana a far registrare il maggior aumento medio annuo, con una crescita di più di mezzo punto percentuale del PIL dal 2000 al 2008. La quota di spesa per ricerca in rapporto al PIL in Veneto è infatti più che raddoppiata in questi 8 anni, passando dallo 0,51% all'1,05% del prodotto interno lordo, quando nello stesso arco temporale in Italia la crescita registrata è del 17,7%. (Figura 4.2.3) e (Figura 4.2.4)
Le imprese che investono in Veneto
La spesa complessiva dell'imprenditoria in Veneto, pari a quasi 1 miliardo di euro, proviene per l'87,3% da imprese aventi sede legale in Veneto e per il 12,7% da imprese con sede fuori Veneto, ma che svolgono attività di ricerca anche all'interno di unità produttive localizzate nella nostra regione. Gli investimenti in R&S di imprese non venete riguardano per oltre la metà imprese del centro e sud Italia, probabilmente per la concentrazione delle sedi di grossi gruppi presso la capitale, mentre il terzo della spesa originato da imprese con sede nel Nord Ovest riguarda principalmente aziende lombarde. (Figura 4.2.5) e (Figura 4.2.6)
Nel complesso di aziende, venete e non, il settore economico più coinvolto è quello manifatturiero, dal quale provengono oltre i sette decimi della spesa in R&S. Il secondo settore per importanza interessato alla ricerca è il commercio. Può sembrare strano che un'attività commerciale sia interessata alla R&S intesa non già come innovazione ma come "il complesso di lavori creativi intrapresi in modo sistematico sia per accrescere l'insieme delle conoscenze (ivi compresa la conoscenza dell'uomo, della cultura e della società), sia per utilizzare dette conoscenze per nuove applicazioni" (Nota 6). In realtà, quasi il 15% della spesa in ricerca è effettuato da aziende classificate come commerciali poiché queste imprese svolgono sia attività produttiva che distributiva ma, poiché realizzano un maggior fatturato nella seconda, vengono classificate nel comparto del commercio. Le altre categorie economiche rilevanti riguardano i servizi di informazione e comunicazione e le attività professionali, scientifiche e tecniche. (Figura 4.2.7) e (Figura 4.2.8)
Si è ritenuto opportuno approfondire il fenomeno all'interno del settore manifatturiero, in quanto più interessato ad elevare i propri contenuti tecnologici per mantenere il proprio vantaggio competitivo.
Il 26,7% della spesa di ricerca nel manifatturiero in Veneto viene da aziende meccaniche, seguite da tutto il settore del tessile, abbigliamento, pelli e accessori, da ottica ed elettronica, dalla chimica-gomma-plastica e dai metalli, con quote di spesa che vanno dall'11,1% a quasi il 15%. Non mancano le attività tradizionali tipiche del made in Veneto, relative alla gioielleria, legno e mobili e articoli sportivi, così come l'industria alimentare.
Nella globalizzazione delle merci, è il ritmo dell'innovazione tecnologica che determina i fattori di competitività dei prodotti, dei processi, delle imprese. Ciò induce da un lato all'immissione crescente di risorse intangibili nelle filiere dei settori tradizionali, e dall'altro lato allo spostamento delle specializzazioni manifatturiere nei paesi avanzati verso settori ad alto contenuto di tecnologia.
Ancor più importante del settore economico dell'impresa che fa ricerca in Veneto è la comprensione della tipologia di prodotto o servizio su cui si concentra l'attività di ricerca e sperimentazione. Si osserva che oltre il 90% delle aziende preferisce non disperdere questo tipo di attività, ma concentrarsi su un unico gruppo di prodotto, per un ammontare pari al 90% del totale della spesa in R&S in Veneto.
Dall'ammontare complessivo dedicato allo sviluppo o miglioramento di prodotti e di tecniche di produzione (Nota 7), emergono i prodotti dell'industria farmaceutica, a cui è finalizzato il 12,3% della spesa, seguiti da quelli dell'industria tessile, 7,4%, dell'industria della fabbricazione di apparecchi elettrici, 6,4%, dell'industria delle macchine per impiego generale, 4,9%, dell'industria delle confezioni, 4,6%, dell'industria alimentare, 4,1%, dell'industria chimica, 4,0%, della metallurgia, 3,7%, prodotti, servizi e processi relativi alla distribuzione dell'energia elettrica, del gas e dell'acqua, 3,5%. Le altre attività industriali con percentuali minori di investimento fanno parte della manifattura tipica del made in Veneto, ancora una volta a dimostrare che anche i settori tradizionali e da molti considerati ormai a "tecnologia matura" stanno svolgendo ricerca e progettazione per una continua evoluzione e miglioria del prodotto.
Tra i servizi, si segnala lo sviluppo o miglioramento di servizi di produzione di software, di consulenza informatica e di attività connesse, 2,4% di spesa, lo sviluppo o miglioramento di qualsiasi altro servizio offerto alle imprese o alle famiglie e delle relative tecnologie, 2,1%, e i prodotti, servizi e processi relativi alle attività dei servizi finanziari e di assicurazione, 2,0%. (Figura 4.2.9)
Gli addetti alla ricerca e sviluppo in Veneto sono quasi 16 mila in equivalenti tempo pieno e sono occupati per oltre il 90% in imprese venete. Quasi l'82% del personale addetto alla ricerca e sviluppo è di genere maschile e per oltre il 78% è impiegato in attività di ricerca presso un'impresa dell'industria manifatturiera.
L'identikit dell'impresa veneta che fa ricerca
Nel 2008 le imprese con sede in Veneto hanno investito 910 milioni di euro in R&S di cui oltre 870 milioni in territorio veneto.
Il 51,1% degli investimenti viene da aziende con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro, un altro 25,5% è originato da imprese con una classe di fatturato tra i 10 e i 50 milioni di euro, un altro 10,4% da quelle con fatturato tra i 5 e i 10 milioni di euro. (Figura 4.2.10)
La spesa in R&S delle imprese venete è attribuibile per il 98% alle aziende con forma giuridica società di capitale e, dal punto di vista dimensionale, proviene per oltre la metà da imprese con più di 250 addetti. Com'è ovvio il volume d'investimento è proporzionale alla dimensione e al fatturato, ma non si può non rilevare che l'85% delle imprese venete che investono in R&S appartengono alla categoria delle Piccole Medie Imprese (Nota 8). (Figura 4.2.11)
Le imprese venete hanno investito nel 2008 oltre 50 milioni di euro in ricerca nel settore energetico, ossia quasi il 6% del totale della spesa in R&S. Le aree maggiormente interessate dalla ricerca in questo settore sono l'efficienza energetica (quasi 20 milioni di euro), la ricerca sulle fonti rinnovabili (quasi 10 milioni di euro) e la ricerca sulle tecnologie per la conversione, la trasmissione, la distribuzione e lo stoccaggio di energia (oltre 6 milioni di euro).
La ricerca sulle biotecnologie e sulle nanotecnologie è ancora da considerarsi di nicchia in Veneto: nel 2008 sono stati spesi circa 6 milioni di euro in attività di ricerca riguardanti le biotecnologie (principalmente relative all'utilizzazione di cellule e tessuti e di ingegneria dei processi applicativi in campo biotecnologico) e altrettanti nel settore delle nanotecnologie, soprattutto relative alle applicazioni delle nanotecnologie in campo medico-sanitario e nel settore delle scienze della vita e sui nanomateriali.
Si vuole sottolineare che i dati trattati fino ad ora riguardano l'attività di ricerca intra-muros, ossia quella svolta direttamente dalle imprese all'interno delle proprie strutture e con proprio personale. Oltre ad essa, le imprese venete impiegano una cifra complessiva attorno ai 68 milioni di euro per ricerca commissionata a soggetti esterni (spesa extra-muros). La spesa extra-muros vede il coinvolgimento principalmente di altre aziende italiane, 49,3%, di imprese italiane dello stesso gruppo, 16,0%, di altre imprese estere, 9,7%, di centri di ricerca e laboratori privati italiani, 9,3%, e di imprese estere dello stesso gruppo, 7,5%. E' curioso che soltanto il 6,9% della spesa extra-muros delle imprese sia destinato alle Università e l'1,4% a centri di ricerca, laboratori o istituzioni pubbliche (CNR, ENEA, ecc.).

Tabella 4.2.1

Ricerca e sviluppo: spesa intra-muros (milioni di euro), addetti (equivalenti tempo pieno) e variazioni % 2008/07 per settore istituzionale. Veneto e Italia - Anno 2008

Figura 4.2.1

Spesa in R&S intra-muros e variazione percentuale annua 2008/07 per regione (milioni di euro) - Anno 2008

Figura 4.2.2

Distribuzione percentuale della spesa in R&S intra-muros e dei relativi addetti per settore istituzionale. Veneto - Anno 2008

Figura 4.2.3

Incidenza della spesa in R&S intra-muros in rapporto al PIL. Veneto - Anni 2000:2008

Figura 4.2.4

Spesa in R&S intra-muros in rapporto al PIL per regione - Anni 2000 e 2008

Figura 4.2.5

Distribuzione percentuale della spesa in R&S intra-muros in Veneto per localizzazione dell'impresa - Anno 2008

Figura 4.2.6

Distribuzione percentuale della spesa in R&S intra-muros in Veneto da parte di imprese non venete per localizzazione dell'impresa - Anno 2008

Figura 4.2.7

Distribuzione percentuale della spesa in R&S intra-muros in Veneto per categoria economica dell'impresa - Anno 2008 (migliaia di euro)

Figura 4.2.8

Distribuzione percentuale della spesa in R&S intra-muros in Veneto nel settore manifatturiero per categoria economica dell'impresa - Anno 2008 (migliaia di euro)

Figura 4.2.9

Spesa in R&S intra-muros in Veneto: i principali prodotti e/o tecniche di produzione (quote %) - Anno 2008

Figura 4.2.10

Distribuzione percentuale della spesa in R&S intra-muros delle imprese venete per classe di fatturato dell'impresa - Anno 2008

Figura 4.2.11

Distribuzione percentuale della spesa in R&S intra-muros delle PMI e grandi imprese venete che investono in R&S - Anno 2008
 
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4.3 I brevetti

L'intensità brevettuale è un indicatore chiave della produzione di innovazione. Con esso si monitorano le prestazioni inventive, il livello di diffusione di conoscenze in aree tecnologiche ed il livello di internazionalizzazione delle attività innovative di paesi, regioni, tecnologie, imprese, ecc. L'importanza dei brevetti è stata ribadita dal presidente dell'Ufficio europeo dei brevetti, Benoit Battistelli: "I brevetti svolgono un ruolo fondamentale nel fornire informazioni sulle tecnologie esistenti, il livello del loro sviluppo e la diffusione geografica".
In sintesi, i vantaggi principali che derivano dall'analisi di quest'indicatore sono che i brevetti hanno uno stretto legame con l'invenzione, coprono una vasta gamma di tecnologie sulle quali non ci sono altre fonti di dati. Tuttavia, va sempre tenuto in considerazione che la distribuzione del valore dei brevetti è distorta in quanto molti brevetti non hanno applicazione industriale e quindi sono di scarso valore per la società, molte invenzioni non sono brevettate perché non sono brevettabili o perché gli inventori hanno altri metodi per proteggere la segretezza della loro invenzione, ed, infine, la propensione a brevettare differisce molto tra paesi e settori industriali.
Il Veneto, con la presentazione di 6.348 brevetti nel 2010, rappresenta il 9,1% del totale nazionale e la quinta regione per importanza nel deposito di brevetti. Nel 2010 sono stati depositati 1.292 brevetti per milione di abitanti, contro 1.155 a livello nazionale, e 13,9 brevetti ogni 1000 imprese (13,2 in Italia). (Figura 4.3.1)
A livello europeo, abbiamo indagato i dati riguardanti il numero di brevetti registrati nel periodo 2000-2006 relativi ai due comparti principali della "green economy": energie rinnovabili ed efficienza energetica. Si rileva, ancora una volta, la "leadership" assoluta che hanno le regioni tedesche, con risultati tre e quattro volte maggiori rispetto a Svezia e Lombardia e dieci volte rispetto al Veneto. L'egemonia tedesca è maggiormente consolidata se si osservano i relativi dati confrontandoli con quelli di venti stati dell'Unione Europea: nelle due regioni, Baden Württemberg e Monaco di Baviera, nel periodo 2000-2006 sono stati registrati quasi il 10% della totalità dei brevetti europei riguardanti prodotti "green". (Figura 4.3.2)
La performance osservata per i brevetti riguardanti le energie rinnovabili può essere scomposta secondo i vari comparti di ricerca: solare, rifiuti, eolico, bioenergia. Anche in questo caso le regioni tedesche si confermano all'avanguardia. La posizione delle regioni italiane è mediana rispetto al campione di riferimento ed è concentrata principalmente sulla registrazione di brevetti per il riutilizzo dei rifiuti nella produzione di energia. Tra le regioni italiane, il dato che attira maggiormente l'attenzione è quello lombardo mentre la posizione della regione Veneto è buona anche se suggerisce un notevole potenziamento dell'attività di ricerca se l'obiettivo è quello di competere con le principali regioni europee. (Figura 4.3.3)

Figura 4.3.1

Brevetti italiani depositati per milione di abitanti per regione - Anno 2010

Figura 4.3.2

Brevetti verdi registrati per fonte. Media annua del periodo 2000:2006, valori assoluti.

Figura 4.3.3

Brevetti in energie rinnovabili registrati per fonte. Media annua del periodo 2000:2006, valori in livello assoluto.
 
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4.4 Le nuove tecnologie al servizio dei cittadini e delle imprese

La spinta verso l'innovazione sta coinvolgendo negli ultimi anni anche la Pubblica Amministrazione, che sta compiendo un grande sforzo di sburocratizzazione dei servizi e dei processi pubblici.
In questo contesto, il nuovo Codice dell'Amministrazione Digitale (CAD), approvato con il D. Lgs n. 235/2010 parte dal presupposto che la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione possa rappresentare uno strumento di efficienza e di risparmio. In particolare, l'art.3 stabilisce che "I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere e ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni" e con i gestori di servizi pubblici: la possibilità di presentare o firmare documenti e di ottenere chiarimenti o informazioni via internet diventa dunque un diritto per il cittadino e per le imprese e al tempo stesso un dovere per la PA, che non potrà più pretendere che le persone si rechino fisicamente agli sportelli. Per compensare gli sforzi da mettere in atto per realizzare questo diritto e al tempo stesso per favorire un più rapido passaggio verso la digitalizzazione, l'art 15 prevede che i risparmi conseguiti in attuazione del nuovo Codice siano riutilizzati per incentivare il personale coinvolto e per finanziare nuovi progetti.
La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, prevista per il 2012, non risponde tuttavia al solo obiettivo di ridurre i costi amministrativi e di aumentare l'efficienza del settore pubblico, ma rappresenta anche uno strumento di inclusione sociale e di diffusione della tecnologia in un'ottica di sviluppo dell'intero paese. La diffusione delle ICT (Information and Communication Technology) consente sicuramente di superare alcune barriere che il cittadino incontra nell'avvicinarsi alle strutture amministrative, basti pensare al risparmio di tempo della risoluzione di alcune pratiche interamente on line o semplicemente la richiesta di informazioni. Ma ciò che risulta importante è la possibilità di includere le categorie più deboli, come ad esempio i disabili, nella vita sociale del paese. A tale proposito, è necessario evitare, però, che la diffusione di questi nuovi strumenti informatici diventi una barriera d'accesso anziché un aiuto, sostenendo quei cittadini che non hanno dimestichezza con la tecnologia e l'uso di internet.
In questo modo, una nuova amministrazione digitale può fungere da traino per la digitalizzazione di famiglie e imprese: la sostenibilità dello sviluppo, in questo particolare momento di crisi economica, non può prescindere dall'aumento delle competenze e dalle capacità tecnologiche dei cittadini; a tal proposito, fra le iniziative della strategia Europa 2020 è prevista la cosiddetta "Agenda europea del digitale", che punta a garantire a tutti l'accesso alla banda larga entro il 2013 e ad assicurare che almeno il 50% delle famiglie europee si abboni a connessioni internet ad alta velocità: solamente preparando le persone alle nuove tecnologie, si può rimanere agganciati al percorso di sviluppo degli altri paesi europei.
Pubbliche Amministrazioni sempre più interattive
L'Italia risulta fra gli stati dell'Unione europea in cui la Pubblica Amministrazione è meglio dotata di tecnologie e strumenti informatici. Prendendo in esame venti servizi pubblici ritenuti di base, Eurostat ha calcolato, per ogni stato membro, quanti di questi sono completamente disponibili on line: l'Italia nel 2010 ha una disponibilità del 100% così come la Svezia, il Portogallo, l'Austria, l'Irlanda e Malta. Inoltre, positivi risultano i cambiamenti intercorsi nell'ultimo decennio: nel 2001 erano fruibili on line solo il 15% dei servizi, nel 2004 il 54,4% e nel 2009 il 68,3%. (Figura 4.4.1)
Scendendo nel dettaglio italiano, le disposizioni informatiche di base sono garantite in modo diffuso fra tutte le amministrazioni (Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane): nel 2009 quasi il 100% è dotato di accesso ad internet, il 98% di sistemi di posta elettronica e il 91% dispone di un sito web. In Veneto la situazione è anche migliore: 100% di amministrazioni con internet, 99% con posta elettronica, 98% con sito web.
Meno diffusa e più variabile, invece, la rete intranet, che permette uno scambio di informazioni all'interno dell'amministrazione più rapido e diretto: a livello italiano solo il 42% delle strutture pubbliche dispone di una rete locale, ma questa quota varia dal 41% dei Comuni al 95% delle Regioni. Discriminante è, quindi, la dimensione e la complessità della struttura, di fatto anche all'interno dei Comuni si passa dal 33% dei Comuni con meno di 5.000 abitanti al 96% di quelli con più di 60.000. In Veneto, non solo è più alta la quota di amministrazioni con intranet (95%), ma è meno evidente il divario fra le tipologie di ente: a livello locale, i valori sono compresi fra il 93% dei Comuni più piccoli al 100% dei Comuni più grandi. Nel complesso, il Veneto è la regione con il secondo valore più alto di Comuni con rete locale interna.
I servizi on line: dall'offerta...
Nel 2009 in Veneto, il servizio più diffuso on line è il pagamento dell'imposta comunale sugli immobili: l'85% degli enti locali offre sul proprio sito web una sezione dedicata a questo servizio, anche se con diversi livelli di interattività. In particolare, il 28% dei Comuni dà la possibilità ai propri cittadini della sola acquisizione di informazioni (livello 1 di interattività), mentre il 48% permette anche lo scarico della modulistica necessaria (livello 2); il rimanente 8% garantisce livelli superiori, come l'inoltro on line della documentazione e il pagamento.
Buoni livelli di disponibilità telematica anche per la tassa sui rifiuti solidi urbani e la dichiarazione di inizio delle attività produttive, servizi implementati on line rispettivamente dal 65% e dal 64% dei Comuni. Più carenti, invece, le sezioni dedicate ai certificati anagrafici, allo sportello unico per le attività produttive e alla gestione delle visite mediche specialistiche. Rispetto ai valori nazionali, in Veneto i livelli di interattività sono mediamente più alti, soprattutto per quanto riguarda l'imposta comunale sugli immobili e la dichiarazione di inizio delle attività produttive.
Come già sottolineato, la disponibilità e il livello di interattività dipendono dalla dimensione dell'ente locale: sono i Comuni più grandi ad avere un sito web con maggiori opportunità. Incrociando le disponibilità telematiche dei Comuni con la loro dimensione, è possibile stimare la quota di popolazione veneta che attraverso il sito internet del proprio Comune di residenza può accedere ai servizi via web. Ne deriva che quasi il 90% dei residenti in Veneto può ricavare dal sito del Comune informazioni relative all'imposta comunale sugli immobili e, più in dettaglio, il 26% può inviare on line la modulistica o addirittura effettuare il pagamento. Inoltre, compresa fra il 10 e il 13% la quota di popolazione che può disporre di buoni livelli di interattività per quanto riguarda i certificati anagrafici, la dichiarazione di inizio delle attività produttive e lo sportello unico per le imprese. (Figura 4.4.2)
...alla domanda dei cittadini
La Pubblica Amministrazione del Veneto, dunque, offre ai suoi cittadini e alle imprese buoni strumenti telematici che aiutano a ridurre le barriere d'accesso ai servizi pubblici. Rimane da analizzare la capacità della popolazione di utilizzare queste nuove tecnologie e di sfruttare lo sforzo innovativo che sta compiendo il comparto pubblico.
Nel 2010, il 55% delle famiglie venete possiede un accesso ad internet, valore superiore alla media nazionale (pari al 52%) e in continua crescita negli ultimi anni: 16% nel 2000, 38% nel 2005 e 50% nel 2009. Inoltre, poco meno della metà della popolazione veneta dichiara di aver usato internet negli ultimi tre mesi (48%), soprattutto per motivi di studio e di lavoro o per cercare informazioni su prodotti e servizi. Oltre a queste motivazioni, il 28% ha dichiarato di aver usato internet per cercare informazioni dai siti web della Pubblica Amministrazione, valore leggermente inferiore a quello nazionale (29%) e soprattutto inferiore a molte regioni del nord (35% Valle d'Aosta, 34% Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige). Percentuale, inoltre, che cala ulteriormente se si considerano operazioni via via più complesse: solo il 19% ha scaricato moduli dai siti della Pubblica Amministrazione e il 9% li ha rispediti dopo la compilazione.
Il processo di digitalizzazione dei servizi pubblici, dunque, per raggiungere gli obiettivi di efficienza e risparmio, non può dimenticarsi dei cittadini: deve essere un percorso condiviso, nel quale una parte non può correre più veloce dell'altra.
Più alto, invece, il grado di utilizzo delle tecnologie informatiche da parte delle imprese. Nel 2008, il 73% delle aziende venete ha utilizzato internet per ottenere informazioni dalla PA e per scaricare moduli, mentre più del 40% ha concluso un'intera procedura on line. Tuttavia, dal confronto con le altre regioni, il Veneto risulta in svantaggio: è infatti al dodicesimo posto fra le regioni con la percentuale più alta di imprese che si sono rapportati via internet con la Pubblica Amministrazione per richiedere informazioni e al sedicesimo per quanto riguarda la completa conclusione di una procedura. (Figura 4.4.3)

Figura 4.4.1

Percentuale di servizi disponibili on line su un paniere di 20 servizi pubblici di base per paese dell'UE27 - Anni 2004 e 2010

Figura 4.4.2

Distribuzione percentuale dei comuni con sito web istituzionale e della potenziale popolazione che ne può usufruire per tipologia e livello di interattività dei servizi telematici offerti. Veneto - Anno 2009

Figura 4.4.3

Percentuale di persone di 14 anni e più e di imprese che hanno usato Internet per ottenere informazioni dai siti web della Pubblica Amministrazione per regione. Anni 2008 e 2010
 

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