Capitolo 3

Le imprese nell'era della green economy

Nella definizione della Strategia Europa 2020, la Commissione europea dà una precisa indicazione sul significato della priorità "Crescita sostenibile": "crescita sostenibile significa costruire un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse, sostenibile e competitiva, sfruttare il ruolo guida dell'Europa per sviluppare nuovi processi e tecnologie, comprese le tecnologie verdi, accelerare la diffusione delle reti intelligenti che utilizzano le Tecnologie d'Informazione e Telecomunicazione (ICT), sfruttare le reti su scala europea e aumentare i vantaggi competitivi delle nostre imprese, specie per quanto riguarda l'industria manifatturiera e le Piccole Medie Imprese (PMI), e fornire assistenza ai consumatori per valutare l'efficienza sotto il profilo delle risorse. In tal modo si favorirà la prosperità dell'UE in un mondo a basse emissioni di carbonio e con risorse vincolate, evitando al tempo stesso il degrado ambientale, la perdita di biodiversità e l'uso non sostenibile delle risorse e rafforzando la coesione economica, sociale e territoriale" (Nota 1).
Due concetti che fino a qualche decennio fa risultavano incompatibili, competitività e sostenibilità, ora si rafforzano a vicenda. Nella definizione dei glossari di microeconomia, la competitività d'impresa era un tempo considerata sinonimo di massimizzazione del profitto, "la capacità di vendere quantità positive con profitto positivo" e nella concezione comune agli imprenditori rievocava l'idea di contesa, rivalità; ora viene rivista riprendendo l'origine etimologica di tale parola, ricondotta al latino cum-petere. Il verbo petere ha in sé un'idea di azione, non necessariamente conflittuale, è chiedere per avere, aspirare, tendere e anche colpire; la preposizione cum perlopiù aggrega, anziché contrapporre, anche se, laddove indica specificatamente unione, può al contempo significare congiunzione o distacco, accordo o disaccordo (Cellini, Soci, 2008). La Commissione europea intende sostenere l'accezione collaborativa del termine, non più concorrenza a tutti i costi e con sfruttamento irresponsabile delle risorse, ma creazione delle condizioni in cui le imprese europee possano prosperare, aiutandole a massimizzare il loro contributo allo sviluppo sostenibile.
Sviluppo sostenibile per un'impresa significa conciliare la qualità della vita delle persone con lo sviluppo economico e con il profitto. Ne segue, da parte dell'azienda, la garanzia della rinnovabilità delle risorse utilizzate e il rispetto dell'ambiente, l'osservanza dell'equilibrio delle dinamiche sociali mondiali.
Nell'opinione delle imprese profitto ed etica possono essere coniugati se l'etica diviene una guida alla quale ispirare le scelte aziendali.
Da queste riflessioni nasce la nuova visione organica del rapporto tra business e società, basato sull'integrazione sociale del ruolo dell'impresa, pianificato e rendicontato con gli strumenti della Responsabilità Sociale d'Impresa (RSI). Ovviamente nessuna azienda è in grado di risolvere tutti i problemi della società, né di sostenere i costi necessari per farlo, ma tutte dovrebbero selezionare e affrontare con responsabilità sociale i temi che più si intersecano con la propria area di business specifica. Così si può sviluppare un rapporto nel quale il successo dell'impresa e il successo della comunità, nella sua accezione più ampia, si rafforzano a vicenda (Conti, 2011).
Tradizionalmente considerata prerogativa delle imprese di grandi dimensioni, la Responsabilità Sociale d'Impresa è diventata centrale anche per le PMI e costituisce un obiettivo fondamentale ai fini di migliorare il sistema economico italiano ed europeo (Nota 2).
Se un comportamento responsabile da parte delle aziende è essenziale per infondere fiducia nell'economia di mercato, è necessario individuare anche delle strategie precise d'investimento e occupazione. Qual è la soluzione? Ban Ki-Moon, segretario generale dell'ONU scrive che "la risposta è quella di trovare soluzioni comuni alle difficili sfide che ci attendono. Quando si tratta di due tra le più gravi - la crisi finanziaria e il cambiamento climatico - la risposta è la "green economy".
La "green economy" è infatti un modello di sviluppo che si concentra sulla creazione di posti di lavoro, la promozione della crescita economica sostenibile, la prevenzione dell'inquinamento ambientale e del riscaldamento globale mediante un uso efficiente delle risorse naturali e non a disposizione. Parte integrante della "green economy" sono quegli elementi dei settori economici tradizionali che puntano a diminuire i propri usi energetici da fonti d'energia tradizionali, al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nella biosfera.
Le pagine seguenti hanno la finalità di fornire alcune informazioni statistiche che, oltre ad analizzare la situazione congiunturale delle imprese venete, vogliono quantificare il mondo delle PMI, oggetto della Strategia 2020, e dare una panoramica delle informazioni statistiche inerenti alla sensibilità ambientale delle imprese e alla green economy.
 
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3.1 La congiuntura

In Italia
L'anno 2010 si è chiuso per l'imprenditoria italiana con una sostanziale stabilità relativa al numero di imprese attive sul territorio nazionale, sintesi di oltre 410 mila iscrizioni e 389 mila cessazioni, queste ultime in forte diminuzione (18 mila cessazioni in meno rispetto al 2009). Il saldo imprenditoriale (Nota 3), infatti, nel 2010 diventa positivo per la prima volta dal 2006, facendo tornare il tasso di natalità (Nota 4) a valori superiori rispetto al tasso di mortalità (Nota 5) (rispettivamente, 7,8% e 7,4%). Il contributo più rilevante al saldo annuale viene ancora una volta dalle società di capitale, cresciute del 2,8% nell'ultimo anno; anche le altre forme societarie, tra cui cooperative e consorzi, sono cresciute del 2,6% tra il 2009 e il 2010. Rallenta la contrazione delle ditte individuali, diminuite nell'ultimo anno solo dello 0,6%, quando nel 2009 erano diminuite dell'1,6%; sono le società di persone a chiudere il 2010 con il calo maggiore, -1,2% annuo.
Continua la progressiva riduzione del peso dei settori tradizionali, industria e agricoltura, a favore dei servizi, nuovamente l'unico comparto ad aver chiuso l'anno con un aumento del numero di imprese attive: la vitalità del terziario è evidente in particolar modo nei servizi alle imprese (Nota 6) e nei servizi di alloggio e ristorazione, ognuno con un +2,6% annuo, e i servizi alla persona (sanità +4,3%, istruzione +3,7%, altri servizi sociali e personali, +2,1%).
Il comparto artigiano non è stato invece investito dalla recente ripresa che ha coinvolto il sistema imprenditoriale italiano: le imprese artigiane hanno mantenuto un andamento ancora negativo nel corso del 2010, con un saldo imprenditoriale pari a -0,5% e con una contrazione del numero di imprese artigiane attive anch'essa pari a -0,5%.
Più della metà delle regioni italiane nel 2010 è riuscita a reagire alle difficoltà congiunturali dell'anno precedente, chiudendo con una variazione positiva delle imprese attive: prime tra tutte Lazio, Umbria e Puglia, le quali hanno fatto rilevare una variazione percentuale annua pari o superiore allo 0,5%. Le realtà territoriali in cui il tessuto produttivo ha vissuto le flessioni maggiori sono prima tra tutte la Sicilia, -1,4%, a seguire la Sardegna, -0,6%, e le Marche, -0,5%. (Figura 3.1.1)
In Veneto
Il tessuto imprenditoriale veneto ha iniziato il lento recupero che lo riporterà alla situazione degli anni precedenti alla crisi: nel 2010 le imprese attive venete rimangono pressoché costanti, -0,2% rispetto all'anno precedente. Escludendo il settore primario, la variazione delle imprese attive tra il 2009 e il 2010 è positiva, +0,3%.
I principali indicatori sulla demografia d'impresa aprono comunque uno scenario di ripresa per il Veneto: il saldo imprenditoriale nel 2010 torna finalmente ad essere positivo, con una natalità imprenditoriale (7,01%) che dopo 3 anni riesce nuovamente a superare la mortalità (6,95%).
Le imprese venete sono state anche nel 2010 pari all'8,7% delle imprese italiane: il Veneto, dopo la Lombardia e la Campania, rimane la terza regione, assieme al Lazio, per quota di imprese attive sul totale nazionale.
E' continuata anche nel 2010 la lenta contrazione delle ditte individuali, -0,9% annuo, e delle società di persone, -0,6%. In ogni caso queste forme societarie riguardano ancora quote rilevanti di imprese venete: precisamente le imprese venete sono ditte individuali per il 59,6% e società di persone per il 21,1%. Buona la crescita fatta registrare nell'ultimo anno dalle società di capitali, +2,1%, (per una quota del 17,8% delle imprese venete) e anche quella relativa alle forme giuridiche minori, +1,6% annuo (per appena l'1,5% delle imprese). (Figura 3.1.2)
I due settori che nel corso del 2009 avevano riportato le maggiori contrazioni conseguenti alle difficoltà dei mercati, l'agricoltura e l'industria, non riescono a recuperare il terreno perduto nemmeno nel corso del 2010: il settore primario ha perso nell'ultimo anno il 2,8% delle imprese attive, l'industria manifatturiera l'1,5% e le costruzioni lo 0,9%. Allo stesso tempo è stata evidente la vitalità del terziario: le imprese del comparto sono cresciute nel 2010 dell'1,3%, proseguendo nella direzione del consolidamento all'interno del tessuto produttivo veneto dei servizi, che raggiungono nel 2010 una quota del 53,3% delle attività produttive. Nell'ultimo decennio le attività dei servizi, infatti, hanno visto aumentare sia la quota di imprese, sia la quota di valore aggiunto nell'aggregato regionale; l'industria, invece, pur avendo conquistato ancora qualche punto percentuale nella distribuzione per comparto delle imprese attive, ha perso quota di valore aggiunto. Il peso del settore primario, infine, si è ridotto in relazione ad entrambe le dimensioni.
Gli aumenti più importanti del 2010 riguardano i servizi alle imprese e i servizi di alloggio e ristorazione, cresciuti rispettivamente del 2,6% e 2,5% annuo; rilevante è stata anche la crescita dei servizi alle persone, con un +2,5% per l'istruzione, +5,3% per la sanità e l'assistenza sociale, +2,1% per gli altri servizi alla persona. Il settore finanziario e quello commerciale fanno rilevare una modesta crescita (rispettivamente, +1,3% e +0,5% rispetto al 2009), mentre il settore dei trasporti non vede ancora segnali di miglioramento, chiudendo il 2010 con una contrazione dell'1,7% annuo. (Figura 3.1.3) e (Figura 3.1.4)
All'interno del ramo manifatturiero, anche gli unici due settori che erano cresciuti nel corso del 2009, l'industria meccanica e quella alimentare, hanno mostrato segnali di difficoltà nel corso del 2010: essi hanno perso, nel corso del 2010, rispettivamente l'1,7% e lo 0,5% delle proprie imprese attive sul territorio veneto. Segnali negativi continuano ad arrivare da due settori ad elevato peso nel tessuto produttivo veneto: l'industria dei metalli chiude il 2010 con una riduzione del 2,4% del numero di imprese attive e le imprese appartenenti all'industria delle moda diminuiscono del 2,3% annuo. Anche il comparto del legno e della stampa-carta, quello dell'ottica ed elettronica e quello chimico-farmaceutico subiscono ognuno una riduzione delle imprese attive tra uno e due punti percentuali: l'industria del legno e della stampa-carta perde nell'ultimo anno l'1,9% delle proprie imprese attive, l'ottica e l'elettronica l'1,6%, l'industria chimica e farmaceutica l'1,1%. L'industria di costruzione dei mezzi di trasporto, il cui peso nell'industria veneta non supera però il 2%, è stata l'unica a mantenere, nel corso del 2010, il numero di imprese attive dell'anno precedente. (Figura 3.1.5)
L'analisi delle dinamiche sull'imprenditoria a livello provinciale evidenzia una buona tenuta dell'attività produttiva vicentina, forte della consolidata predisposizione all'apertura internazionale delle imprese attive sul proprio territorio, le quali detengono quasi il 30% del totale delle esportazioni venete, a fronte di una quota di imprese pari al 16,8% sul totale regionale. A fianco ad una sostanziale stabilità delle attività produttive delle province di Belluno e Padova, le contrazioni maggiori riguardano Verona, Treviso e Venezia: le imprese di quest'ultima, in particolar modo, hanno subìto nel corso del 2010 una riduzione dello 0,9%, imputabile soprattutto al settore agricolo e in parte anche a quello industriale. (Figura 3.1.6)
L'imprenditoria artigiana riesce nel corso del 2010 a frenare la notevole contrazione che l'aveva riguardata nel corso del biennio precedente, chiudendo l'anno con una diminuzione delle imprese artigiane dello 0,4%; i settori che hanno sostenuto l'artigianato veneto sono stati ancora una volta i servizi alle imprese e i servizi di alloggio e ristorazione (rispettivamente +5,6% e +5,3% annui) e a seguire i servizi sociali e personali diversi da istruzione e sanità (+1,2%). I settori prevalenti dell'imprenditoria artigiana veneta continuano, però, a portare avanti i segni della crisi economica: si chiude infatti l'anno con un -1,4% per l'industria manifatturiera e -0,7% per le costruzioni, settori che insieme costituiscono oltre il 70% dell'artigianato regionale. Difficoltà congiunturali persistono anche nel corso del 2010 per i trasporti (-2,9% annuo) e per l'agricoltura (-1,7%). Diversamente dagli anni precedenti l'artigianato veneto ha chiuso il 2010 in modo migliore rispetto alla media nazionale (-0,5%); i dati sulle regioni mostrano come, tra i territori con una quota rilevante di artigianato sul totale nazionale, l'Emilia Romagna abbia subìto la contrazione più rilevante, mentre Lombardia, Veneto, Piemonte, Toscana e Lazio hanno tutte chiuso l'anno con variazioni migliori o in linea rispetto all'andamento nazionale. (Tabella 3.1.1)

Figura 3.1.1

Quota e variazione percentuale annua delle imprese attive per regione - Anno 2010

Figura 3.1.2

Quota e variazione percentuale annua delle imprese attive venete per forma giuridica - Anno 2010

Figura 3.1.3

Quota e variazione percentuale annua delle imprese attive venete per categoria economica - Anno 2010

Figura 3.1.4

Quota % delle imprese attive e del valore aggiunto per comparto di attività economica. Veneto - Anni 2000 e 2010

Figura 3.1.5

Quota e variazione percentuale annua delle imprese attive manifatturiere venete per categoria economica - Anno 2010

Figura 3.1.6

Quota e variazione percentuale annua delle imprese attive per provincia - Anno 2010

Tabella 3.1.1

Imprese artigiane del Veneto. Numero, quota e variazione percentuale annua per categoria economica - Anno 2010
 
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3.2 Che sia il momento di pensare in piccolo?

Già nel 2008 la Commissione europea pubblicò lo Small Business Act (SBA), nato dalla volontà di riconoscere il ruolo centrale delle piccole e medie imprese nell'economia europea, ora confermato dalla Strategia Europa 2020. Il sistema produttivo europeo conta nel 2008 oltre 20 milioni di PMI, che danno occupazione al 67% degli occupati del settore privato e richiede che siano intraprese delle azioni politiche che supportino la crescita e l'affermazione delle piccole e medie imprese, attraverso la valorizzazione del loro potenziale di crescita, di innovazione e di creazione di posti di lavoro, in linea con le priorità tracciate da Europa 2020. Alcune delle linee guida per i paesi membri sono il perseguimento di obiettivi quali la regolamentazione intelligente per consentire alle PMI di concentrarsi sulle loro attività principali, l'accesso più facile al credito e il supporto nello sfruttamento delle possibilità offerte dal mercato unico.
Il contesto internazionale
Le piccole e medie imprese (PMI), cioè le imprese che hanno meno di 250 occupati e un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro (Nota 7), sono state la spina dorsale dello sviluppo economico di buona parte dei paesi europei, fornendo una fonte importantissima di occupazione e crescita economica per il territorio. Le piccole e medie imprese dell'Europa a 27 paesi sono nel 2008 il 99,8% del totale delle attività produttive appartenenti al settore non finanziario, per oltre due terzi del volume di occupati. Nove piccole e medie imprese su 10 non superano i 10 occupati e un fatturato annuo di 2 milioni di euro e per questo rientrano nella fascia delle microimprese. E' proprio per l'importanza della microimpresa in Europa che si sta espandendo la necessità di modificare l'acronimo PMI, piccole-medie imprese, in MPMI, micro-piccole-medie imprese.
I dati della Commissione europea mostrano come le PMI siano state tra il 2002 e il 2008 il principale driver dello sviluppo imprenditoriale europeo: la crescita del numero di PMI tra il 2002 e il 2008 è stata costantemente più rapida rispetto a quella delle grandi imprese; ancora più evidente è il confronto sul numero di occupati, cresciuti più del doppio nelle PMI rispetto alle grandi imprese nello stesso intervallo temporale (+1,9% per le PMI, +0,8% per le grandi imprese).
Il valore aggiunto al costo dei fattori è cresciuto nelle PMI europee del 4,2% medio annuo dal 2002 al 2008, a fronte di un aumento del valore aggiunto relativo alle grandi imprese leggermente inferiore, 3,9% medio annuo. (Tabella 3.2.1)
La crescita più rapida del valore aggiunto rispetto a quello dell'occupazione, ha fatto sì che la produttività del lavoro riportasse un chiaro aumento nel periodo in analisi, questa volta più evidente per le grandi imprese: la crescita media annua della produttività del lavoro nel periodo 2002-2008 è stata del 2,3% per le piccole e medie imprese e del 3,1% per le grandi imprese.
I settori con più alta quota di PMI sono le costruzioni, il commercio, gli alberghi e ristoranti, i servizi alle imprese e i trasporti, che sono anche i settori che hanno fatto registrare, nel corso del periodo 2002-2008, una maggiore crescita occupazionale.
Gli effetti della crisi economica degli ultimi anni si intravedono nelle stime di Eurostat, riportate dalla Commissione europea (Nota 8), che calcolano una diminuzione degli occupati nelle PMI, che andrà però verso un lento esaurimento, partendo da un -1,9% del 2009 al -0,5% relativo all'anno in corso, il 2011. Anche il valore aggiunto delle PMI, sceso del 5,5% nel 2009, avrà una ripresa dello 0,9% nel 2010 e dell'1,9% nel 2011.
L'Italia, come alcuni paesi europei mediterranei e alcuni scandinavi, quali la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia, Cipro, la Svezia e la Finlandia, è un paese a tradizione di micro-piccola impresa a forte diffusione sul territorio. Altro dato di rilievo è che l'Italia e la Francia hanno un'importante presenza di imprese artigiane che rappresentano, rispettivamente, il 27% e il 23% delle imprese artigiane europee (Ministero dello Sviluppo Economico, 2010). Analizziamo ora la dimensione e le caratteristiche delle PMI in Veneto.
Le PMI in Veneto
L'Italia è stata tra i primi Paesi europei ad attuare le indicazioni della Commissione europea, delineando nel 2010 la Direttiva sullo Small Business Act, la quale introduce una politica produttiva rivolta alle MPMI, complementare alla politica industriale rivolta soprattutto alle grandi imprese. La Direttiva riguarda in particolar modo il sostegno all'innovazione e all'internazionalizzazione, l'agevolazione dell'accesso al credito, la semplificazione dei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione, la diffusione delle reti imprenditoriali, il sostegno per la partecipazione a incentivi statali e regionali per le piccole e medie imprese. Particolare attenzione dovrà essere dedicata all'imprenditoria femminile, all'artigianato e all'imprenditoria extracomunitaria.
Alcune delle iniziative intraprese dall'Amministrazione regionale veneta in favore delle PMI riguardano gli aiuti agli investimenti delle nuove PMI giovanili e di quelle a prevalente partecipazione femminile, l'istituzione di fondi di rotazione per il sostegno alle PMI, i contributi per servizi di consulenza finalizzati all'ottenimento di certificazioni da parte delle PMI.
Le piccole e medie imprese in Veneto nel 2008 sono 406.011, escluso il settore agricolo, e raggiungono una quota pari al 99,8% dell'intero sistema imprenditoriale; le grandi imprese, nonostante non superino le 800 unità, coprono comunque il 18,7% dell'occupazione privata veneta.
Oltre il 92% delle PMI non supera i 10 addetti e i 2 milioni annui di fatturato e per questo rientra nella categoria delle microimprese, tipologia imprenditoriale che dà occupazione al 42,4% di tutti gli occupati in Veneto.
Le piccole imprese venete sono 26.793, il 6,6% delle PMI, di cui la metà non supera comunque i 2 milioni di euro di fatturato annuo, avendo però più di 10 addetti; il 23,5% degli occupati in Veneto svolge la propria attività in una piccola impresa.
Soltanto l'1% delle attività produttive appartiene alla classe delle medie imprese, per una quota di addetti del 15,3% sul totale addetti veneti. Delle 4.224 medie imprese venete, sono più di 1.000 quelle che non superano i 10 milioni di euro di fatturato annuo, pur avendo fino a 250 addetti. (Tabella 3.2.2) e (Tabella 3.2.3)
Rispetto al 2000 il peso delle PMI in Veneto rimane pressoché stabile (perde un decimo di punto percentuale), mentre a mostrare cambiamenti più evidenti è la distribuzione degli occupati: dal 2000 al 2008 il peso degli occupati nelle piccole e medie imprese diminuisce di 4 punti percentuali, passando dall'85,3% all'81,3% dell'ultimo anno. Il peso delle medie imprese si è mostrato stabile nell'intervallo temporale considerato (15,3% del totale delle attività produttive), mentre le categorie delle piccole e delle micro imprese hanno perso negli ultimi 8 anni ognuna due punti percentuali di quota sul totale delle attività produttive. (Figura 3.2.1)
Nel 2008 le PMI dei settori dei servizi e delle costruzioni sono quasi esclusivamente micro imprese (95%); le PMI dell'industria manifatturiera sono per due terzi micro imprese, il 21,2% sono piccole imprese e il rimanente 4% sono medie imprese. (Tabella 3.2.4)
Data la prevalenza di ditte individuali unipersonali o comunque con un numero davvero limitato di addetti, si ritiene utile dare qualche informazione sulle imprese con almeno 3 occupati: probabilmente sono quelle non del tutto flessibili di fronte ad eventi avversi e più sensibili agli interventi di politica industriale. Complessivamente le PMI con almeno 3 addetti sono 115.561: il 26,5% appartiene al manifatturiero, il 14,2% alle costruzioni e il 59,3% al terziario. Escluse quindi le imprese sotto i tre addetti, si osserva una ricomposizione nelle classi dimensionali a favore delle piccole e delle medie: le 30.577 PMI dell'industria in senso stretto sono abbastanza distribuite tra micro (57,1%) e piccole (36,1%) e vedono crescere la quota delle medie (6,8%). Nelle costruzioni (16.379 PMI) e nel terziario (68.605 PMI) si abbassa a circa l'80% la quota delle microimprese; le piccole imprese rappresentano ora più di un sesto delle PMI e aumenta anche la quota di medie imprese, 1,4% per le costruzioni e 2,6% per i servizi.

Le PMI del manifatturiero

I settori manifatturieri con più alta quota nel complesso delle PMI venete sono l'industria del legno e della carta-stampa, l'industria di gioielli, mobili e articoli sportivi, la metallurgia e il settore della moda, tutti con oltre il 99% di piccole e medie imprese sul totale delle attività produttive manifatturiere.
Limitiamo ora l'analisi alle PMI e studiamo la classe dimensionale imprenditoriale. Nell'industria del legno e della carta-stampa, così come nell'industria di gioielli, mobili e articoli sportivi e nell'industria alimentare troviamo le quote più consistenti di micro imprese: in ognuno di questi settori, infatti, le micro imprese superano l'80% del totale delle imprese. Sono invece l'industria meccanica, l'ottica ed elettronica, la chimica-gomma-plastica e l'industria dei mezzi di trasporto a far osservare al loro interno un peso leggermente più ridotto delle micro imprese, a favore delle piccole imprese (più di un'impresa su quattro) e delle medie imprese (oltre il 6% delle imprese). (Figura 3.2.2)

La forma giuridica

La distribuzione per forma giuridica del totale delle imprese venete per classi dimensionali rende evidenti molte differenze strutturali: le microimprese, che ricordiamo essere oltre il 90% del totale imprese, sono per il 64,7% ditte individuali, per il 21,6% società di persone e per il 13,1% società di capitali. Già a partire dalle piccole imprese sale al 60% la quota di società di capitali, il 25,3% sono società di persone e soltanto il 10% ditte individuali. Le medie imprese, in quanto a distribuzione per forma giuridica, sono molto simili alle grandi imprese: per entrambe queste classi dimensionali la quota delle società di capitali è superiore all'85% e le altre forme giuridiche rappresentano oltre il 9%.
Le microimprese appartenenti al comparto industriale mostrano qualche diversità rispetto alla situazione appena descritta: le società di capitali e le società di persone coprono una quota più alta del totale delle imprese, rispettivamente 17,8% e 30%, a discapito delle ditte individuali, che si fermano ad una quota del 51,7%. Diversamente le microimprese delle costruzioni sono ditte individuali in quota pari al 71%, società di persone per il 15,7% e società di capitali per il 12,3%. (Figura 3.2.3)

L'artigianato

Le PMI artigiane rappresentano il 32,9% delle PMI venete, ma all'interno delle micro imprese la quota sale al 33,5%.
E' alta la quota delle imprese a carattere artigiano all'interno delle PMI dei settori industria (70,4%) e costruzioni (81,9%); questi comparti fanno registrare percentuali ancora più alte di imprese artigiane stringendo il campo di osservazione alle microimprese (rispettivamente 81,3% e 84,4%).
Molto diversa è la situazione delle imprese del terziario: il carattere artigiano per le PMI dei servizi riguarda infatti meno di un'impresa su sei. (Tabella 3.2.5)

Tabella 3.2.1

Distribuzione percentuale del numero di imprese e di addetti per classe dimensionale delle imprese appartenenti al settore non finanziario. UE27 - Anno 2008

Tabella 3.2.2

Imprese e addetti alle imprese per classi dimensionali. Veneto - Anno 2008

Tabella 3.2.3

Imprese per classe di addetti e classe di fatturato. Veneto - Anno 2008

Tabella 3.2.4

Imprese per classi dimensionali e macrosettore. Veneto - Anno 2008

Figura 3.2.1

Distribuzione percentuale delle imprese e degli addetti per classe dimensionale. Veneto - Anni 2000 e 2008

Figura 3.2.2

Distribuzione percentuale delle imprese manifatturiere per classe dimensionale e categoria economica. Veneto - Anno 2008

Figura 3.2.3

Distribuzione percentuale per forma giuridica delle imprese per classe dimensionale. Veneto - Anno 2008

Tabella 3.2.5

PMI: Imprese artigiane per classe dimensionale e macrosettore. Veneto - Anno 2008
 
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3.3 La produzione sostenibile

Negli ultimi anni è andata sempre più aumentando, sia negli operatori del settore industriale che nel pubblico, la consapevolezza dell'importanza che la tutela ambientale riveste in una strategia integrata di gestione del territorio e di sviluppo economico.
Molte imprese hanno aderito a partire dal 1991 alla "Carta delle imprese per uno sviluppo sostenibile" (Nota 9) promossa dalla Camera di Commercio Internazionale. Tale adesione dal punto di vista gestionale significa riconoscere nella gestione dell'ambiente un'importante priorità aziendale; migliorare continuamente il comportamento e le prestazioni ambientali; formare e motivare il personale ad una conduzione responsabile dell'ambiente nella propria attività; valutare e limitare preventivamente gli effetti ambientali delle attività aziendali; orientare in senso ambientale le innovazioni tecnologiche e la ricerca; dialogare con i dipendenti e il pubblico affrontando insieme i problemi ambientali; orientare i clienti, i fornitori e subappaltatori nella gestione corretta dei prodotti e dei servizi; ecc.
Questi impegni non implicano automaticamente il perseguimento della sostenibilità, ma sicuramente la favoriscono.
L'impresa che contribuisce alla compatibilità ambientale si garantisce una maggiore sopravvivenza e sviluppo nel lungo periodo e può sfruttare i vantaggi dell'eco-efficienza ai fini della sua competitività. Per le imprese multinazionali di notevoli dimensioni l'esigenza di sostenibilità può essere percepita in modo concreto e diretto, per le altre, considerate individualmente, l'incentivo alla eco-compatibilità può venire solo dalle politiche pubbliche o dal mercato. Inoltre sempre più spesso il possesso di un sistema di gestione per la qualità a largo spettro e la sua certificazione da parte di un organismo accreditato rappresenta un requisito obbligatorio anche per poter partecipare a gare d'appalto.

Le certificazioni EMAS

Per aumentare la sensibilità e la consapevolezza del mondo industriale verso le tematiche ambientali e creare una comunicazione chiara e credibile con tutti i soggetti interessati, la Comunità europea ha emanato il 29 giugno 1993 il Regolamento 1836 sul Sistema Comunitario di Ecogestione e Audit Ambientale (EMAS), che riguarda l'adesione volontaria delle imprese del settore industriale a un sistema comunitario di ecogestione. La logica dell'EMAS (Nota 10) è quella di attivare nelle imprese un miglioramento della qualità ambientale, secondo tempi e criteri che dipendono più dalle pressioni di natura competitiva e sociale percepite dall'azienda che non da prescrizioni normative. Per aderire all'EMAS, infatti, sono richiesti come pre-requisiti la conformità legislativa alle pertinenti disposizioni ambientali e l'impegno da parte del vertice dell'azienda a porsi su un percorso di miglioramento continuo delle prestazioni ambientali dell'impresa. (Figura 3.3.1)
Al 31 dicembre 2010 nell'Unione europea risultano certificati EMAS 7.794 siti (Nota 11) per 4.542 organizzazioni e ciò mostra una notevole evoluzione della sensibilità aziendale al fenomeno se si considera che nel 1998 il numero complessivo di certificazioni (Nota 12) era di 2.140. Nel 2010 l'Italia registra 1.460 siti produttivi e 1.035 organizzazioni certificate EMAS dimostrandosi uno dei paesi in cui il fenomeno è più sviluppato: è la terza nella graduatoria europea, dietro alla Germania che possiede 1.906 siti e 1.402 organizzazioni certificate e alla Spagna che ha 1.542 siti e 1.228 organizzazioni. (Figura 3.3.2)
Nel Veneto l'Ispra (Nota 13) registra al 31 dicembre 2010 82 siti e 60 organizzazioni registrati EMAS. Il principale settore interessato è quello della Pubblica Amministrazione, seguito dal comparto del turismo, della chimica, dell'energia, del recupero e gestione dei rifiuti e dell'industria meccanica. La positiva evoluzione del numero di registrazioni nella Pubblica Amministrazione dimostra il cambiamento culturale in atto: le istituzioni rendono pubblici i propri impegni sull'ambiente in modo trasparente e diventano protagonisti diretti e testimoni dell'attenzione all'ambiente.

Le certificazioni ISO e le altre certificazioni di qualità

L'altro strumento importante per le imprese in ambito di certificazione ambientale è l'ISO 14000, sigla che identifica una serie di standard internazionali relativi alla gestione ambientale delle organizzazioni.
Nel 1996 l'emanazione della norma europea ISO 14001 sui sistemi di gestione ambientale ha contribuito a ribadire l'importanza dell'adesione da parte delle imprese agli accordi volontari finalizzati alla certificazione ambientale. ISO 14001 fissa i requisiti di un "sistema di gestione ambientale" di una qualsiasi organizzazione. La certificazione ISO 14001 (per l'Italia UNI EN ISO 14001:2004) si può ottenere da una società di certificazione, la quale deve essere accreditata da Accredia (Nota 14), che garantisce la qualità della stessa.
La certificazione ISO 14001 non attesta una particolare prestazione ambientale, né dimostra un particolarmente basso impatto, ma accerta che l'organizzazione certificata ha un sistema di gestione adeguato a tenere sotto controllo gli impatti ambientali delle proprie attività e ne ricerca sistematicamente il miglioramento in modo coerente, efficace e soprattutto sostenibile.
EMAS e ISO 14001 presentano scopi e requisiti simili: entrambi gli strumenti consentono di ottenere vantaggi quali una migliore immagine sul mercato e verso le autorità locali, un maggior valore dell'azienda, l'ottimizzazione nell'uso delle risorse e dell'energia, la possibilità di essere inseriti tra i fornitori di imprese estere, soprattutto tedesche, che richiedono la certificazione ai loro fornitori, ecc. L'adesione all'EMAS è però più impegnativa e vincolante per le imprese rispetto alla certificazione ISO 14001. Infatti, attraverso la dichiarazione ambientale vengono presi verso il pubblico dei precisi impegni che devono essere rigidamente rispettati nelle scadenze e nel contenuto. Per questo generalmente le imprese preferiscono fermarsi alla certificazione ISO 14001.
Nel 2010 (Nota 15) i siti produttivi certificati rispetto alla norma ISO 14001 in Italia sono 12.371 ed in Veneto 1.032. (Figura 3.3.3) e (Figura 3.3.4)
Esaminando i dati per settori economici omogenei (Nota 16), si rileva che il Veneto rispecchia la situazione nazionale nelle prime posizioni: il settore dei servizi pubblici rappresenta il 12% dei siti produttivi regionali certificati, segue il commercio con l'11,4%, l'industria del metallo con il 10%, la logistica e trasporti con il 6,3%.
Il rispetto di uno sviluppo sostenibile viene dimostrato dall'impresa non solo in ambito ambientale, ma anche dalla garanzia di una sempre maggiore qualità della produzione. L'adozione di un sistema di gestione per la qualità rappresenta una scelta strategica per l'impresa; lo scopo primario è quello di soddisfare le esigenze e le aspettative dei propri clienti, attraverso un'organizzazione più efficiente, ottenendo vantaggi in termini di competitività e qualità dei prodotti nella tutela del territorio. Questo è dimostrato dalla crescente certificazione di qualità nel complesso delle norme ISO garantite da ACCREDIA: oltre alle ISO 14001, le certificazioni di sistemi di gestione per la qualità, secondo vari riferimenti normativi generici o settoriali (Nota 17), la certificazione di sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro (OHSAS 18001); certificazione di sistemi di gestione per la sicurezza delle informazioni (BS 7799 - ISO 27001); certificazione di sistemi di gestione per la sicurezza alimentare (ISO 22000).
I dati disponibili sui sistemi di gestione per la qualità delle imprese confermano il Veneto seconda regione per certificazione di qualità dopo la Lombardia: nel 2010 sono 13.357 i siti produttivi (Nota 18) con una certificazione di qualità, il 10,6% del totale siti certificati a livello nazionale e circa il 3% del totale delle unità locali presenti nel territorio regionale. (Figura 3.3.5)
Il settore economico prevalente tra i siti che possiedono una certificazione di qualità sia a livello nazionale che regionale è l'edilizia e la costruzione e installazione d'impianti. In Veneto i settori manifatturieri più rappresentativi del fenomeno sono la lavorazione del metallo, la costruzione di macchine e apparecchiature elettriche e meccaniche, la produzione di gomma e materie plastiche e l'industria alimentare. Nel terziario spiccano il commercio, i servizi professionali d'impresa, la logistica e la sanità.

Figura 3.3.1

Certificazioni EMAS nell'UE - Anni 1998:2010

Figura 3.3.2

Siti certificati EMAS per paese. UE - Anno 2010

Figura 3.3.3

Siti produttivi certificati sotto accreditamento per regione - Ottobre 2010

Figura 3.3.4

Siti produttivi certificati sotto accreditamento UNI EN ISO 14001:2004 per settore economico. Veneto - Ottobre 2010

Figura 3.3.5

Distribuzione percentuale dei siti produttivi certificati sotto accreditamento per settore economico: i primi 10 settori. Veneto e Italia - Ottobre 2010
 
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3.4 Il potenziale per lo sviluppo della Green economy

La "green economy" ha portato alla creazione di un mercato globale per beni e servizi volti alla tutela dell'ambiente. L'OCSE definisce questo settore come quell'insieme di attività volte alla "produzione di beni e servizi per misurare, prevenire, limitare o correggere i danni ambientali ad acqua, aria e suolo; nonché i problemi connessi ai rifiuti, il rumore e l'ecosistema. Questo include tecnologie, prodotti e servizi che riducono il rischio ambientale e minimizzano l'inquinamento e l'uso delle risorse".
Il termine green economy sta dunque ad indicare l'insieme integrato di politiche green da parte delle istituzioni, ma anche gestione green da parte delle imprese, sviluppo di tecnologie green da parte del mondo della ricerca, consumatori green oriented, senza tralasciare le occupazioni green.
Lo sviluppo della "green economy" può dare un contributo significativo alla crescita regionale attraverso la creazione di lavoro ed incentivando l'esportazione delle aziende presenti sul territorio. Può essere utile per migliorare la posizione competitiva delle aziende stesse attraverso l'adozione di prodotti e servizi innovativi che aumentino la produttività industriale contenendo gli impatti ambientali. Il mercato globale di beni e servizi ambientali è vasto e continua a crescere rapidamente.
I settori essenziali allo sviluppo di un'economia verde: un confronto internazionale
(Nota 19) Ad oggi non esistono indicazioni precise per poter classificare un'impresa "green", per questo motivo non è possibile quantificare il fenomeno, ma si è ritenuto utile conoscere il potenziale veneto per lo sviluppo della "green economy" nel breve e medio periodo. Per questo l'istituto di ricerca Bak Basel Economics ha condotto un'analisi sulla performance di crescita dei settori collegati all'economia verde e confrontato il Veneto con altre regioni, considerate storicamente sue competitor, che hanno dinamiche economiche molto somiglianti o si sono distinte per la sensibilità nei confronti dei problemi ambientali, Rhône-Alpes, Manchester, Monaco di Baviera, Baden-Württemberg, Finlandia Centrale, Svezia, Cataluña, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Puglia (Nota 20), Toscana.
Dall'analisi della letteratura è possibile restringere l'analisi a nove settori rilevanti: il settore primario, la chimica, la meccanica, l'industria di fabbricazione di apparecchi elettrici, radiotelevisivi e per le comunicazioni, la produzione e distribuzione di energia elettrica, di gas, di vapore e acqua calda, le costruzioni, il settore Ricerca e Sviluppo, le attività professionali e consulenza alle imprese, il comparto dello smaltimento dei rifiuti solidi, delle acque di scarico e simili. L'istituto Bak ha utilizzato le informazioni sul complesso di questi settori perché fossero confrontabili tra territori diversi, ma nel prosieguo del rapporto, al capitolo sul lavoro (n. 11) vi sarà un approfondimento su alcuni sottosettori più specifici, che in relazione all'occupazione, possono definirsi "green".
Una "leadership" ed una buona performance in questi settori può essere la base per avviare un mercato verde, dove un territorio può diventare il principale produttore di macchinari per le energie rinnovabili, e puntare alla relativa esportazione. Questo è un ruolo che ad oggi hanno principalmente le regioni tedesche, dove due sole compagnie (Nota 21) detengono oggi il 26% del mercato mondiale della produzione di pannelli solari.
L'individuazione dei settori sopra citati deriva inoltre dall'analisi del mercato delle bioenergie. Nel mercato delle biomasse vi è una maggior difficoltà nella determinazione di un "leader" mondiale poiché esistono molteplici tecnologie di trasformazione della biomassa in energia: questa è, infatti, l'unica fonte che può essere utilizzata sia per la produzione di calore, che di elettricità, che combustibile. La produzione di questo tipo di energia coinvolge varie filiere produttive: settore agricolo, produzione industriale, gestione dei rifiuti, trasporto, progettazione ed installazione. I settori citati sono analizzati nel loro complesso, osservando le relative dinamiche su occupazione e valore aggiunto. L'assunto alla base è che una migliore performance nei settori considerati sia un forte fattore di attrattività per investimenti futuri.
Il valore aggiunto dell'insieme dei settori supera un quarto della produzione complessiva dell'economia per le regioni tedesche, la francese Rhône Alpes, la regione della Finlandia centrale. La quota di occupazione coinvolta va dal 26 al 30% con eccezione di Svezia, Manchester e Toscana. In Veneto, i settori correlati alla "green economy" ricoprono poco più del 20% del PIL totale e quasi il 27% del totale della forza lavoro.
La crescita media annua del valore aggiunto identifica invece una dinamica elevata per la Finlandia Centrale e la Svezia, tra le più attive sulle tematiche della "green economy".
L'analisi della crescita media annua occupazionale dà risultati differenti: Svezia, Finlandia centrale e regioni tedesche rivelano dei tassi di crescita occupazionale in questi settori più limitati di quelli del Veneto e in generale delle regioni italiane. La differenza tra effetti su occupazione e valore aggiunto è un dato che ricorre abbastanza spesso. Le ragioni di questo risultato rispecchiano le caratteristiche della struttura produttiva italiana, che è limitata da una bassa produttività e cerca con politiche volte ad aumentare l'offerta di lavoro di non perdere il passo in termini di PIL nei confronti degli altri paesi europei. Tuttavia, un'elevata crescita occupazionale nei settori correlati alla "green economy" può essere molto utile per lo sviluppo futuro, quando con l'avvio dell'economia verde, le aziende operanti in questi settori correlati avranno già a disposizione la manodopera che aiuterà a soddisfare nei tempi più brevi possibili la domanda del mercato. In queste condizioni è anche più semplice per le aziende operanti in un settore cambiare la propria offerta ed estenderla a prodotti "green".
Tra i territori analizzati, il Veneto realizza performance molto positive nel settore delle costruzioni. Un buon grado di sviluppo in quest'ambito potrà portare a maggior risparmio energetico e alla diffusione sul territorio di un'edilizia sostenibile. Nonostante l'edilizia negli ultimi due anni stia vivendo una fase di decelerazione, in Veneto nel 2009 contribuisce per il 6,1% alla ricchezza regionale e dimostra di essere un settore con maggiori potenzialità rispetto alle altre regioni. Del resto, il mercato immobiliare si sta ora orientando verso una visione più complessiva dell'impatto ambientale, che coinvolge i criteri di vivibilità e rispetto del territorio circostante e del risparmio energetico secondo le più moderne tecniche della bioedilizia. (Figura 3.4.1)
Anche il settore dello smaltimento rifiuti sta vivendo negli ultimi anni in Italia uno sviluppo vivace con tassi di crescita compresi tra il 2 ed il 4%. Ovviamente rispetto ai principali settori del manifatturiero made in Italy e del terziario tradizionale, il suo contributo al PIL regionale è quasi irrisorio, ma il suo sviluppo pari al 3,3% in Veneto dal 2000 al 2009 mostra la sensibilità al fenomeno. Tutte le regioni italiane analizzate, ad eccezione della Lombardia, mostrano una buona performance in questo settore, indice che già sono stati avviati investimenti che potranno avere certamente un impatto positivo anche sul comparto delle biomasse.
L'impatto ambientale e la propensione al green delle imprese
A livello nazionale, Istat rileva che nel 2008 la spesa complessiva per investimenti ambientali (Nota 22) delle imprese dell'industria in senso stretto è risultata pari a 1.853 milioni di euro, di cui 1.464 milioni per gli investimenti in impianti ed attrezzature di tipo end-of-pipe (Nota 23) e 389 milioni di euro per quelli in impianti ed attrezzature a tecnologia integrata (Nota 24). Nel 2008 l'incidenza degli investimenti per la protezione dell'ambiente sul totale degli investimenti fissi lordi realizzati dalle imprese è pari al 3,8%.
I dati 2008 confermano che le imprese industriali realizzano prevalentemente investimenti atti a rimuovere l'inquinamento dopo che questo è stato prodotto, 79% rispetto al totale investimenti di protezione ambientale, piuttosto che integrare i propri impianti con tecnologie più "pulite", che contribuiscono a rimuovere alla fonte l'inquinamento generato dal processo produttivo, 21%. Analizzando la composizione della spesa complessiva del settore manifatturiero, le attività economiche che nel 2008 presentano valori più consistenti sono quelle della fabbricazione di coke e di prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (28,6%), la metallurgia (15,3%) e la fabbricazione di prodotti chimici (15,1%); questi tre settori realizzano, complessivamente, quasi il 60% del totale degli investimenti manifatturieri. Consistente è anche il contributo al totale degli investimenti ambientali delle imprese della fabbricazione di prodotti in metallo (6,4%), della fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (5,6%) e della fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e di preparati farmaceutici (5,1%).
Le informazioni succitate rappresentano soltanto una delle dimensioni di eco-efficienza aziendale. La Fondazione Symbola nel Quaderno "Green Italy" ha analizzato, a livello nazionale, il rapporto impresa - ambiente attraverso le fasi di input ed output del processo produttivo, all'interno del comparto manifatturiero. Nell'ottica del rispetto ambientale gli input sono rappresentati dai consumi energetici. Tra gli output vengono considerate le emissioni atmosferiche e la produzione di rifiuti e la quota di questi avviata al recupero, ossia riutilizzata nel processo produttivo. Incrociando (Nota 25) tali elementi per le varie attività del settore manifatturiero italiano è stato possibile avere una valutazione del grado di impatto ambientale dei diversi settori.
Bisogna precisare che il contributo all'inquinamento complessivo dell'industria manifatturiera è abbastanza circoscritto: le emissioni di CO2 dell'attività manifatturiera italiana rappresentano il 30% delle emissioni totali, quota di poco superiore rispetto a quella causata dalle famiglie, 20% circa. (Figura 3.4.2)
I settori complessivamente caratterizzati da una forma di pressione ambientale più elevata risultano quelli legati alla petrolchimica, ossia fabbricazione di coke, raffinerie e industria chimica, oltre alla lavorazione di minerali non metalliferi e alla metallurgia, che in Veneto rappresentano il 27,5% del manifatturiero totale. Essi assorbono circa il 56% dei consumi del manifatturiero e contribuiscono a produrre il 75% di emissioni atmosferiche. Volendo trovare una nota positiva, si osserva per tutte e quattro queste attività un basso impatto per la componente del recupero. Infatti le imprese di questi settori producono il 75% del volume complessivo di rifiuti del manifatturiero, ma nello stesso tempo ad esse è ascrivibile circa il 70% di rifiuti recuperati.
L'industria alimentare risulta un settore ad alto impatto, ma complessivamente meno preoccupante di quelli già citati in quanto mostra quote di assorbimento più contenute nel campo dell'energia, delle emissioni inquinanti e dei rifiuti.
I settori tradizionali legati al tessile, alla meccanica, editoria, gomma e plastica, mezzi di trasporto e le altre manifatturiere (attività di gioielleria e articoli sportivi), che in Veneto rappresentano il 48,6% dell'imprenditoria manifatturiera, si caratterizzano per livelli medi di impatto ambientale evidenziando intensità diversificate di assorbimento energetico, di produzione e recupero di rifiuti e di emissioni atmosferiche.
Si distingue invece l'industria del legno, ben rappresentata dal 7,5% delle imprese venete, per la minore pressione ambientale grazie a livelli bassi di pressione in ben tre delle quattro dimensioni oggetto di analisi.
Il rapporto della Fondazione Symbola valuta anche la tendenza green delle imprese, ossia misura gli sforzi messi in campo dal sistema produttivo nel riorientare i processi di produzione, sia dal lato dell'input sia da quello dell'output, verso una maggiore sostenibilità ambientale. Dall'analisi risulta evidente che nel quinquennio 2003-2007 si realizza una maggior propensione alla diminuzione di input energetici, all'incremento di recupero di rifiuti, alla diminuzione di emissioni di produzione complessiva di rifiuti.
Il settore tessile e abbigliamento risulta quello con una dinamica complessivamente migliore: ottiene il miglior risultato in termini di riduzione per unità di prodotto di input energetici, una rilevante diminuzione di emissioni atmosferiche e di produzione di rifiuti e un incremento intermedio per il recupero dei rifiuti.
Si distinguono l'industria del legno, il comparto della gomma e delle materie plastiche e anche la fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali, per i risultati nel quinquennio considerato ai fini del miglioramento complessivo rispetto ai valori di partenza.
Le dinamiche green negative interessano principalmente la fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio e trattamento di combustibili nucleari, dove si rileva che il recupero di rifiuti diminuisce, le emissioni aumentano (+1,2% per la CO2), così come la produzione di rifiuti (+2,4%).
Anche il cartario, stampa ed editoria mostra una propensione negativa: ha incrementato negli ultimi anni gli input di energia per unità di prodotto vedendo incrementare oltretutto le emissioni atmosferiche.
Dall'incrocio della dimensione dell'impatto ambientale con la misura della tendenza green dei flussi di input ed output aziendali, si ottiene un buon posizionamento dell'industria della gomma e plastica, ma anche per i settori pelli, concia, cuoio e simili, macchine e appar. elettriche ed ottiche, mezzi di trasporto, altre industrie manifatturiere (gioielleria, art. sportivi) e tessili e abbigliamento.
In generale, in base a questa classificazione nazionale dei settori manifatturieri, le imprese venete che rientrerebbero in una dimensione abbastanza buona sia dal punto di vista della pressione ambientale che della propensione alla sostenibilità rappresenterebbero il 62,1% delle imprese venete (Nota 26). (Figura 3.4.3)
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3.5 Le azioni della Regione Veneto per lo sviluppo sostenibile delle imprese

I bandi regionali
(Nota 27) Così come il tema dello sviluppo sostenibile è attualmente in cima all'agenda politica europea, in questi anni, la Regione del Veneto ha attivato varie misure volte, da un lato a sostenere le imprese che attuano processi di crescita e di innovazione e, dall'altro, a favorire l'accesso al mondo lavorativo di categorie della popolazione svantaggiate, quali donne e giovani.
A fine 2010, nel campo dell'innovazione, è stato approvato nell'ambito del POR 2007-2013 - Azione 1.1.4, un bando con risorse finanziarie comunitarie e regionali per un importo complessivo di euro 5.867.100,00, per la concessione di contributi per i servizi di consulenza finalizzati all'ottenimento di varie certificazioni da parte delle PMI. In particolare tra queste si evidenziano le certificazioni relative alla sostenibilità ambientale:
  • UNI EN CEI 16001:2009 - sistema di gestione per l'energia (SGE), che rappresenta uno standard europeo che definisce azioni di miglioramento continuo verso il risparmio energetico;
  • ISO 14001:2004 - norma accettata a livello internazionale che definisce le modalità per predisporre un sistema di gestione ambientale efficace, ossia progettata per affrontare il delicato equilibrio tra il mantenimento del profitto e la riduzione dell'impatto ambientale. A livello europeo con regolamento CEE n. 1221/2009 EMAS III, si definisce un sistema di certificazione che riconosce il raggiungimento di risultati di eccellenza nel miglioramento ambientale;
  • ECOLABEL, che rappresenta il marchio europeo di qualità ecologica che premia i prodotti e i servizi migliori dal punto di vista ambientale.
Nel contesto della responsabilità sociale, il bando succitato ha previsto inoltre la certificazione SA 8000:2008, accettata a livello internazionale, consistente nel riconoscimento etico e sociale di un'impresa, relativamente al rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, la tutela contro lo sfruttamento dei minori e le garanzie di sicurezza e di salubrità sul posto di lavoro.
Nell'ambito della sostenibilità è annoverabile anche la certificazione OHSAS 18001:2007, strumento organizzativo che consente di gestire in modo organico e sistematico la sicurezza dei lavoratori senza sconvolgere la struttura organizzativa aziendale.
La risposta della realtà produttiva veneta al bando è stata molto positiva, con un risultato di 1.700 domande pervenute e con una quantificazione media presunta di contributo concedibile, pari a euro 6.500, a fronte di una spesa media per singolo progetto pari a euro 13.000.
METAS "Metadistretto dell'Ambiente per lo sviluppo sostenibile"
(Nota 28) Tra i meta distretti veneti che rispondono ai requisiti della L.R. n. 8 del 4 aprile 2003 (e successive modifiche ai sensi della L.R. n. 5 del 16 marzo 2006), troviamo Metas, il Metadistretto dell'Ambiente per lo sviluppo sostenibile. L'idea di realizzare un Metadistretto dell'Ambiente per lo Sviluppo Sostenibile nasce dal Centro Interdipartimentale I.D.E.A.S. e dal Parco Scientifico Tecnologico (PST) VEGA di Venezia. Si ricorda che il Centro Interdipartimentale per l'analisi delle Interazioni Dinamiche tra Economia, Ambiente e Società (I.D.E.A.S.) fu istituito nel 2002 dall'Università Ca' Foscari di Venezia, dove, nel 1989, si creò il primo corso di laurea in Italia in Scienze Ambientali per promuovere, realizzare e coordinare attività di formazione avanzata e di ricerca interdisciplinare. In realtà l'attenzione alle problematiche ambientali, riferito allo sviluppo industriale era nata già nel 1971 con l'istituzione presso l'università di Ca'Foscari del primo corso di chimica della polluzione atmosferica delle acque precursore della contemporanea chimica ambientale. VEGA, il più grande parco scientifico italiano e tra i più importanti Parchi Scientifici e Tecnologici a livello internazionale, opera da oltre dieci anni per la promozione e lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica applicata alle imprese e al territorio.
Scopo del Metadistretto è la creazione di una forte interrelazione tra gli operatori del settore, i quali metteranno a disposizione la loro esperienza specifica e le loro capacità per una politica integrata, rivolta alla salvaguardia e alla qualità dell'ambiente nel proprio territorio e alla sostenibilità, sia delle produzioni sia dei servizi.
Il Patto Metadistrettuale presentato nel 2008 fornisce alcune informazioni, datate 2007, sulla filiera delle imprese, che si occupano a vario titolo di ambiente. Complessivamente si tratta di quasi 2.000 aziende operanti che impiegano circa 40.000 addetti ed hanno un volume d'affari stimato in 21 miliardi di euro. Le aziende aderenti al Metadistretto sono 400 e coinvolgono quasi 17.000 addetti per un volume d'affari stimato in 4,5 miliardi di euro.
Nel Patto di distretto si sostiene che il Metadistretto Veneto dell'Ambiente per lo Sviluppo Sostenibile rappresenti un distretto atipico rispetto ai distretti produttivi classici: individuare la sua filiera e le imprese che si occupano di ambiente in modo restrittivo solo in base ai codici ISTAT, senza una concreta valutazione della specifica attività condotta e dei suoi impatti sull'ambiente, sarebbe infatti apparso assai riduttivo e fuorviante.
"Diversi esempi si possono portare a giustificazione di quanto sopra menzionato, registrati durate i mesi di lavoro e di studio per la realizzazione del Patto qui proposto. Abbiamo infatti riscontrato e conosciuto eccellenze, che attraverso l'asettica analisi formale non sarebbero emersi: ad esempio alcune imprese legate ai settori della cosmetica, piuttosto che alla cartotecnica, le quali devono rientrare a pieno titolo nel settore ambientale, visto che la loro produzione è costituita da prodotti ecocompatibili, che contribuiscono alla salvaguardia dell'ambiente. Il censimento quantitativo della filiera, talvolta restrittivo e rigido, costituisce tuttavia una base di partenza imprescindibile per stimare il peso economico (volume di fatturato, valore aggiunto, ecc.) e sociale (numero di addetti, ecc.) del comparto ambientale" (Nota 29).
La filiera regionale di METAS comprendeva aziende distribuite in tutte le province del Veneto con una maggiore concentrazione a Venezia (23%) e a Padova (16%) e con un numero maggiore di imprese (oltre il 50%) operanti nella produzione e lavorazione delle risorse naturali ambientali (selvicoltura, prodotti legnosi, ecc.) e degli scarti (rifiuti). Il volume d'affari registrato ha una maggiore concentrazione a Venezia con il 23% e a Verona con il 17%. Per quanto concerne gli addetti della filiera, questi risultano complessivamente concentrati principalmente nelle aziende della provincia di Venezia (36%) e Vicenza (33%).

Figura 3.4.1

Il contributo alla crescita del PIL del settore delle costruzioni

Figura 3.4.2

Il grado d'impatto ambientale in Italia e la quota percentuale delle imprese venete per settore manifatturiero - Anno 2010

Figura 3.4.3

Matrice di incrocio tra il grado di impatto ambientale e quello di tendenza green per i settori manifatturieri in Italia e quota percentuale di imprese venete nel 2010
 

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