Capitolo 16

L'ambiente e l'energia

L'ambiente, termine che racchiude in sé un'infinità di ambiti, rappresenta un tema di cui si dibatte quotidianamente sui media. La questione dominante riguarda i cambiamenti climatici e la sostenibilità ambientale della società in cui viviamo. Da una parte ci sono coloro i quali attribuiscono alla questione estrema criticità, dall'altra chi la ritiene di minor conto o comunque non così critica. Ci sono motivazioni a favore dell'una e dell'altra teoria. Qualcosa nel mondo sta cambiando: ciò che va realmente capito è quanta parte di questo cambiamento sia da imputare all'intervento antropico e quanta alla naturale evoluzione del pianeta. Sicuramente l'ambiente risente delle attività dell'uomo: la questione è definire quanto queste incidano sui cambiamenti del clima cui stiamo assistendo. Un ulteriore importante punto di riflessione riguarda l'effettiva possibilità per l'uomo, a questo punto, di mutare lo stato delle cose e ridurre l'impatto che la sua esistenza ha sul pianeta. Si parla sovente di un duplice approccio al tema ambientale, ovvero quello della mitigazione e dell'adattamento.
Molti sono gli studi sui molteplici aspetti ambientali su scala globale o anche locale e tantissimi sono i dati prodotti. I "dati ambientali" risentono spesso di una forte componente "tecnica", cosa che li rende difficilmente comprensibili ai non addetti ai lavori, e di una altrettanto forte eterogeneità di rilevazione da un'area ad un'altra. Oltre a questo, i metodi di rilevazione sempre in evoluzione, rendono talvolta difficile la ricostruzione dei trend temporali. Infine, a differenza dei dati demografici o economici, spesso i dati sulla qualità dell'ambiente vengono rilevati a livello puntuale, ad esempio da una centralina di monitoraggio, e per questo diventa difficile ricavare una descrizione dello stato ambientale dell'intera zona di interesse. Pertanto, mentre in ambito demografico è normale parlare di popolazione per provincia, nel settore ambientale, è difficile definire il livello del PM10 provinciale.
In questo capitolo si cerca di unire diverse fonti al fine di ricostruire alcune serie storiche in base alle quali individuare verso quale direzione stiamo andando.
I temi specifici trattati sono quelli dell'aria, dell'acqua, dell'uso del suolo, dei rifiuti e dell'energia in termini di qualità, sfruttamento, consumo e produzione a seconda del caso.
 
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16.1 L'ambiente e sviluppo sostenibile

Che cos'è il cambiamento climatico di cui si sente parlare? E qual è lo stato attuale dell'ambiente che ci circonda?
Diversi sono gli indicatori usati per monitorare lo stato dell'ambiente e l'evoluzione di tutto l'ecosistema. Le analisi vengono solitamente condotte su due versanti, uno inerente le "cause", ovvero le pressioni esercitate sull'ambiente stesso, e uno che riguarda gli effetti osservabili e le modificazioni progressive delle caratteristiche del pianeta.
Del primo versante di analisi fanno parte le fonti di pressione ambientale, quali lo sfruttamento delle risorse naturali, l'uso del suolo, i prelievi di acqua, la produzione di rifiuti, l'emissione di sostanze inquinanti.
Nel secondo versante invece rientrano gli impatti sull'ambiente veri e propri, ossia il livello di inquinamento misurato nelle diverse aree, i cambiamenti climatici, le condizioni di vita delle specie animali e vegetali del pianeta. Questi sono monitorati attraverso specifici indicatori quali l'Indice del Pianeta Vivente o LPI, l'andamento delle temperature e delle precipitazioni, le concentrazioni di inquinanti nell'aria, nel suolo e nell'acqua, e quelle di sostanze ad effetto serra nell'aria).
Che cosa si sta facendo per contrastare questi fenomeni, ovvero quali sono gli obiettivi fissati in ambito internazionale e gli interventi in atto? L'insieme di misure già intraprese o comunque in progetto e finalizzate ad uno sviluppo economico e sociale che sia anche rispettoso dell'ambiente, vanno sotto il nome di "sviluppo sostenibile" (Nota 1).
Il contesto internazionale e la strategia "Europa 2020"
Vediamo ora come la situazione si sta evolvendo a livello internazionale, partendo dal contesto europeo.
L'Europa è in prima linea già da diversi anni nella lotta contro i cambiamenti climatici. Nel 2008 la Commissione Europea ha approvato un pacchetto di interventi finalizzati alla riduzione dell'inquinamento e alla salvaguardia dell'ambiente. In particolare sono stati individuati degli obiettivi in materia di energia/ambiente denominati "20-20-20". In dettaglio consistono nella riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra del 20%, a livello di UE, entro il 2020 rispetto al 1990; l'incremento dell'uso delle fonti energetiche rinnovabili che, sempre entro il 2020, dovrà coprire il 20% dei consumi finali; il miglioramento dell'efficienza energetica, ovvero la riduzione dei consumi, sempre a livello UE, del 20% (questo obiettivo è ancora in fase di puntuale definizione).
Il 3 marzo 2010, la Commissione Europea ha presentato la strategia Europa 2020 finalizzata a rilanciare l'economia e ad affrontare le sfide del nuovo decennio. Essa presenta tre priorità che sono la crescita intelligente, la crescita sostenibile e la crescita inclusiva.
In questo capitolo il maggiore interesse è rivolto alla crescita sostenibile. All'interno di questa l'UE ha, di fatto, confermato gli obiettivi "20-20-20" già decisi due anni prima.
A livello mondiale la situazione è più complicata vista la necessità di mettere d'accordo paesi con realtà ancora più eterogenee di quelle che si trovano all'interno dell'UE: dalle economie emergenti ai paesi in forte espansione come la Cina o, ancora, gli Stati Uniti per i quali l'impatto con la nuova cultura della green economy è un salto epocale molto importante.
Dagli obiettivi di Kyoto, al trattato di Lisbona, fino alla conferenza di Copenaghen e a quella di Cancun, il dibattito è sempre aperto, e il processo verso il raggiungimento dell'obiettivo comune dello sviluppo sostenibile è lungo e complesso.
Dopo i risultati scoraggianti della Conferenza di Copenaghen a fine 2009, segnali più positivi sono emersi dall'ultima conferenza sul clima e l'ambiente, svoltasi a Cancun dal 29 novembre all'11 dicembre 2010. L'esito principale si è avuto nell'adozione dei cosiddetti "Accordi di Cancun" ("Cancun Agreements"), un pacchetto bilanciato di decisioni che, come riportato nelle conclusioni della Conferenza stessa, include tra l'altro:
  • "il riconoscimento ufficiale, nel processo multilaterale, degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra dei Paesi industrializzati (promessi con l'Accordo di Copenaghen), accompagnato dal rafforzamento del reporting da parte di questi Paesi e la richiesta di valutare ed elaborare relativi piani e strategie di sviluppo a basse emissioni di carbonio, anche attraverso meccanismi di mercato;
  • il riconoscimento ufficiale delle azioni di mitigazione dei Paesi in via di sviluppo, l'istituzione di un registro per documentare e confrontare tali azioni con il supporto finanziario, tecnologico e di capacity-building fornito dai Paesi industrializzati, e la pubblicazione di un rapporto biennale delle azioni sottoposto ad analisi e consultazione internazionale;
  • il rafforzamento dei Meccanismi di sviluppo pulito (Clean Development Mechanisms - CDM) nell'ambito del Protocollo;
  • il lancio di una serie di iniziative e istituzioni a sostegno dei Paesi più vulnerabili;
  • il riconoscimento dell'impegno di 30 miliardi di Dollari per il finanziamento rapido ("fast start finance") entro il 2012, e dell'intenzione di mobilizzare 100 miliardi di Dollari all'anno entro il 2020 da parte dei Paesi industrializzati per sostenere le azioni di mitigazione e adattamento nei Paesi in via di sviluppo;
  • la creazione del "Green Climate Fund" e il lancio di un processo per definirlo nell'ambito della Convenzione;
  • il rafforzamento del programma REDD (Nota 2) ("Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation", Riduzione delle Emissioni causate dal Disboscamento e dal Degrado Forestale), ovvero delle azioni di mitigazione delle emissioni derivanti da deforestazione e degrado forestale e delle azioni di conservazione delle foreste nei Paesi in via di sviluppo, con l'adeguato supporto tecnologico e finanziario.
Obiettivi 20-20-20
Gli obiettivi 20-20-20, come detto in precedenza, sono inseriti all'interno della seconda priorità della strategia Europa 2020, ovvero la crescita sostenibile. Sono stati fissati con l'idea di preservare la competitività dell'UE e la sua leadership sul mercato delle tecnologie verdi perfezionando un sistema di uso sempre più efficiente delle risorse. Questo ultimo punto dovrebbe contribuire, da una parte a ridurre le emissioni, dall'altra a diminuire i consumi e quindi a risparmiare, favorendo la crescita economica.
Dal punto di vista prettamente ambientale si tratta di un approccio duplice, da una parte la "mitigazione" degli effetti generati dalle attività umane limitando i cambiamenti climatici tramite la riduzione nella produzione di gas serra, dall'altra "l'adattamento", ossia modificare le nostre stesse infrastrutture in modo da renderle tali da sostenere l'impatto dei cambiamenti climatici comunque in atto e i conseguenti eventi, talvolta estremi, che ne derivano.
I tre obiettivi coinvolgono tutti i paesi membri e, al fine di perseguirli, sono state approvate a livello comunitario varie misure relative al pacchetto clima-energia.
Nel dettaglio sono stati adottati il sistema di scambio delle emissioni di gas ad effetto serra (ETS); il sistema di ripartizione degli sforzi per ridurre le emissioni; una direttiva che istituisce un quadro giuridico per la cattura e lo stoccaggio geologico del biossido di ossigeno (CO2); un accordo sulle energie rinnovabili; un regolamento sulla riduzione della CO2 da parte delle auto e, infine, una direttiva che fissa un target del 6% di diminuzione delle emissioni di gas serra prodotte durante il ciclo di vita dei combustibili da conseguire entro il 2020.
Il sistema ETS nasce con l'obiettivo di ridurre le emissioni dei gas serra del 21% nel 2020 rispetto al 2005 in alcuni specifici settori particolarmente critici e si applicherà a partire dal 2013. Coinvolge più di 10.000 impianti dei settori energetici e industriali, che sono responsabili di alte emissioni di CO2 globali, e prevede un meccanismo di aste per l'acquisto di quote di emissione, i cui introiti dovranno finanziare misure di riduzione delle emissioni. Tale meccanismo è un'estensione del sistema già avviato nel 2005 e, rispetto a quello, si propone di coinvolgere un maggiore numero di industrie e di includere anche altri gas oltre alla CO2.
Per tutti gli altri settori che non rientrano nel sistema di scambio delle quote (ETS), il Parlamento europeo ha adottato una decisione che prevede una ripartizione degli sforzi tra gli stati membri al fine di giungere ad una riduzione delle emissioni del 10% nei settori stessi.
E' stato altresì istituito un apposito quadro giuridico per la cattura e lo stoccaggio geologico ecosostenibile della CO2. Gli impianti industriali e le grandi centrali elettriche dovranno ricorrere a sistemi di immagazzinamento permanente della CO2 in formazioni geologiche sotterranee al fine di "prevenire e, qualora ciò non sia possibile, eliminare il più possibile gli effetti negativi e qualsiasi rischio per l'ambiente e la salute umana".
Un altro punto molto importante riguarda la promozione delle energie rinnovabili. L'obiettivo del 20% dei consumi di energia da fonti rinnovabili nel 2020 passa attraverso differenti obiettivi nazionali che, a certe condizioni potranno includere, nel conteggio, anche l'energia prodotta nei paesi terzi. La direttiva sulle rinnovabili fissa anche al 10% la quota di energia "verde" nei trasporti.
Il quinto aspetto riguarda l'approvazione di un regolamento che fissa il livello medio di CO2 delle auto nuove a 130 g di CO2/km a partire dal 2012, tramite il miglioramento tecnologico dei motori.
Infine la sesta misura consiste nella direttiva sul controllo delle emissioni di gas serra nel ciclo di vita dei carburanti: il target fissato è pari ad una riduzione del 6% delle emissioni, però potrebbe salire fino al 10% mediante l'uso di veicoli elettrici e l'acquisto di crediti previsti dal Protocollo di Kyoto (questo obiettivo supplementare sarà valutato dalla Commissione europea entro il 2012).
L'Italia rispetto agli obiettivi comunitari 20-20-20
Come detto in precedenza, ciascun paese membro dell'UE deve portare il proprio contributo al perseguimento della strategia 20-20-20 in una misura compatibile con le proprie possibilità. Per ciascuno dei target fissati anche l'Italia ha un proprio obiettivo da raggiungere.
Per quanto riguarda la riduzione dei gas ad effetto serra, il nostro paese deve riuscire a ridurre le proprie emissioni complessive del 14% entro il 2020, prendendo come anno base il 2005. Questo valore dovrà essere raggiunto tramite riduzioni del 21% delle emissioni nei settori energetici ed industriali e, contemporaneamente, del 13% di quelle relative a tutti gli altri settori, tra i quali i più rilevanti sono il trasporto stradale, marittimo, aereo e l'agricoltura.
Secondo il Protocollo di Kyoto i gas serra sono l'anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), l'ossido di zolfo (N2O), l'esafluoruro di zolfo (SF6), gli idrofluorocarburi e i perfluorocarburi.
Osservando i trend dal 1990 fino al 2008, ultimo anno disponibile, la situazione impone delle riflessioni sull'impegno da profondere da qui al 2020. Nell'UE si è assistito ad un complessivo calo del 13,3%, però, questo dato incoraggiante è controbilanciato in negativo dagli USA, dove si è assistito addirittura ad un incremento di oltre il 15%. L'Italia, dal canto suo, non è ancora in linea con il resto dell'Europa avendo mantenuto pressoché inalterati i propri livelli di emissioni di gas serra. Seguendo le indicazioni della nuova strategia 2020 e considerando il 2005 come anno base, la situazione sembra più incoraggiante. L'UE, sempre in prima linea per quanto riguarda la questione ambientale, nel 2008 ha segnato una riduzione delle emissioni del 4%, gli USA del 2,7 e l'Italia del 5,5. (Figura 16.1.1)

Figura 16.1.1

Andamento delle emissioni di gas serra (Tonnellate equivalenti CO2 compresi gli assorbimenti, indice 1990 = 100). USA, UE27, Italia - Anni 1990:2008
 
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16.2 L'ambiente nel Veneto

L'aria
La qualità dell'aria viene costantemente monitorata attraverso la rete regionale di centraline istallate su tutto il territorio da ARPAV. I valori di concentrazione dei diversi inquinanti sono confrontati con i limiti imposti dalla normativa vigente e, sulla base dei risultati, sono tratte le conclusioni sullo stato ambientale dell'aria.
Sono monitorati, tra gli altri, i dati relativi al PM10, all'ozono (O3) e al biossido di azoto (NO2) in diverse zone di background all'interno delle diverse province. (Tabella 16.2.1)
Il particolato o polveri sottili (PM10) è uno degli inquinanti dei quali si sente maggiormente parlare negli ultimi anni. Si tratta di micro particelle di polveri e fumo che si depositano in prossimità del suolo. Il PM10 è prodotto sia da fonti naturali che antropiche. Per quanto riguarda le prime, si parla per lo più di incendi, erosione del suolo, eruzioni vulcaniche, mentre relativamente alle cause antropiche, derivano dalle attività delle fabbriche, dagli impianti di riscaldamento e dai gas di scarico dei mezzi a motore.
Le zone critiche, come si può dedurre, sono quelle urbane, dove maggiori sono il traffico stradale e la densità abitativa. Dal monitoraggio di alcune centraline particolarmente significative di questi due contesti di background si nota come la media annuale di concentrazione del PM10 nel periodo dal 2005 al 2009 sia tendenzialmente diminuita. Nel 2009 quasi tutte le centraline prese in esame hanno registrato un valore medio di PM10 entro il limite di 40 microgr/m3 previsto dal Decreto 2 aprile 2002, n.60 del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio di concerto con il Ministro della Salute. In alcuni casi il progressivo miglioramento della situazione è stato molto marcato, come nel caso della centralina posta a Verona, Borgo Milano. Nel 2005 indicava una concentrazione media annua di oltre 70 microgr/m3 di PM10 e, nell'arco di 4 anni si è ridotta fino a 40. (Figura 16.2.1)
Un ulteriore parametro tenuto in considerazione dal DM 60/2002 riguarda i superamenti del valore limite giornaliero di 50 microgr/m3 di PM10 nell'arco dell'anno che non devono eccedere il numero di 35.
Nelle medesime zone di background considerate poco sopra, la situazione risulta piuttosto critica. Solo la centralina situata a Belluno ha registrato nel 2009 un valore inferiore ai 35 superamenti del limite di legge, ovvero 23. In tutti gli altri casi si è sempre al di sopra dei 70 giorni di superamento.
L'aspetto positivo è comunque il trend nel tempo. Considerando sempre il 2005 come anno base, si osserva in tutti i casi, a parte Belluno, una netta diminuzione nei giorni di sforamento dei 50 microgr/m3 di PM10 stabiliti, segno che le politiche di tutela ambientale e la lotta per la riduzione delle emissioni qualche frutto iniziano a darlo. (Figura 16.2.2)
Oltre al PM10 è costantemente monitorato anche l'ozono, O3, un gas velenoso, presente prevalentemente negli strati alti dell'atmosfera terrestre e che, a quel livello, funge da filtro per i raggi ultravioletti provenienti dal sole. Negli strati più bassi è presente a causa delle attività antropiche e costituisce un inquinante. In attuazione della direttiva 2008/50/CE, sono fissati dei limiti di concentrazione di O3 ritenuti fondamentali per la protezione della salute umana. In particolare sono definite la soglia di informazione, la soglia di allarme e un obiettivo di lungo termine, che corrispondono rispettivamente a concentrazioni di O3 nell'aria pari a 180, 240 e 120 microgr/m3. Ciascuna centralina di monitoraggio registra il numero di superamenti di queste tre soglie. Considerando alcune centraline poste in zone di background urbano e traffico urbano e osservando il numero di superamenti della soglia di allarme di 180 microgr/m3 dal 2007 a 2009, emergono situazioni molto eterogenee. Se in un paio di casi, come a Treviso-via Lancieri e a Venezia-parco Bissuola ci sono state delle notevoli riduzioni degli sforamenti, in tutti gli altri casi, la situazione è altalenante. Questo dipende in gran parte dalle condizioni climatiche che, certamente, influiscono molto sulla concentrazione dell'ozono in atmosfera. (Figura 16.2.3)
L'acqua

Le acque di balneazione

Da sempre l'acqua è stata un elemento fortemente caratterizzante del territorio veneto. Dai laghi alla fitta rete fluviale, dall'ampia costa bagnata dal mare Adriatico alle acque sotterranee, la regione deve parte della sua ricchezza proprio a questo prezioso elemento naturale. La tutela dell'acqua è pertanto un aspetto fondamentale nella gestione del territorio, e per fare questo, viene costantemente monitorata la qualità delle diverse risorse idriche.
Le acque di balneazione sono controllate attraverso 167 punti di controllo, dove sono rilevate le caratteristiche chimico-fisiche e quelle microbiologiche.
Nel 2009 quasi l'86% dei punti di controllo è risultato idoneo alla balneazione. Al di là dei valori complessivi, che sono influenzati dal notevole peso, in termini di punti di controllo, del mare Adriatico e del lago di Garda, va segnalato come la situazione sia migliorata nel tempo presso i laghi di Santa Croce e del Mis che, partiti da una situazione negativa nel 2005, hanno raggiunto la piena balneabilità nel 2008, poi confermata anche per il 2009. (Figura 16.2.4)

Le acque sotterranee

La normativa italiana, così come quella comunitaria, definisce lo stato ambientale di un corpo idrico sotterraneo in base allo stato quantitativo e a quello chimico. Qui si fa riferimento al solo aspetto chimico-qualitativo.
L'indice dello stato chimico delle acque sotterranee (SCAS) esprime la qualità chimica delle acque di falda, sintetizzando i valori di sette parametri di base (Nota 3) e di altri inquinanti organici e inorganici.
Nel 2008, così come in passato, le contaminazioni riscontrate più frequentemente sono quelle derivanti dai nitrati, seguite dai pesticidi e dai composti organo alogenati.
Solo il 14% del totale dei campioni presenta contaminanti di origine antropica (classe 4), mentre il 31% contaminanti di origine naturale (classe 0). Il 41,4% dei campioni è rappresentativo di acque di buona/ottima qualità (classi 1 e 2), mentre il 14% è caratterizzato da livelli di contaminazione in soglia di attenzione (classe 3 dell'abrogato dlgs. 152/99). (Figura 16.2.5)
Dal confronto dello stato chimico 2008 con quello 2007 emerge una situazione sostanzialmente stazionaria; per l'87% dei punti di monitoraggio la classe chimica è rimasta invariata, per il 5% è migliorata e per l'8% è peggiorata.

Le acque potabili

Ci sono due aspetti molto importanti legati all'utilizzo delle acque da parte dell'uomo, quello qualitativo e quello quantitativo. Il primo riguarda lo stato chimico dell'acqua destinata al consumo umano, mentre il secondo il livello di preservazione delle risorse idriche e quindi la sostenibilità dell'uso che ne viene fatto.
Per quanto riguarda il primo aspetto, quello qualitativo, una grande importanza viene data alle concentrazioni di nitrati, vista la loro pericolosità per la salute dell'uomo.
Il loro monitoraggio su tutto il territorio regionale avviene in modo sistematico. Secondo la normativa di riferimento (D.Lgs. 31/01) la concentrazione dei nitrati delle acque all'uscita del rubinetto non deve superare i 50mg/l. La valutazione per l'anno 2009 in Veneto mostra una situazione positiva in quanto tutte le medie calcolate non superano mai il livello limite previsto.
Analizzando il trend nel tempo, nel periodo 2006-2009 la situazione è migliorata: infatti i comuni le cui acque potabili presentano concentrazioni di nitrati inferiori a 5mg/l sono cresciuti dal 31 al 41% del totale dei comuni monitorati. (Figura 16.2.6)
Per quanto riguarda l'altro aspetto relativo alle acque potabili, quello quantitativo, è utilizzato un indicatore detto "livello piezometrico" per misurare la sostenibilità nell'uso di tali risorse. Esso misura l'immagazinamento e lo svuotamento delle falde sotterranee.
Al fine di preservare le scorte idriche di una falda, è indispensabile che il livello del corpo idrico sia tale per cui la media annua di lungo periodo delle estrazioni non esaurisca le risorse disponibili. Un livello piezometrico positivo o stazionario indica che l'uso della risorsa idrica è sostenibile e che, quindi, lo stato quantitativo del corpo idrico è buono.
Analizzando i dati, nel periodo 1999-2009, il livello piezometrico risulta stazionario in 89 dei 119 punti monitorati, è addirittura positivo in 18 e negativo in 12. Questi numeri denotano uno stato quantitativo generale buono/stazionario.
Osservando la localizzazione dei punti il cui trend è positivo, si nota che questi sono piuttosto concentrati nella provincia di Venezia. Questo è il risultato di una serie di misure specifiche intraprese per ridurre gli sprechi nelle falde da parte della provincia.
Suolo
Il tema della gestione del suolo è trasversale a vari ambiti delle politiche regionali ed è stato fatto oggetto di attenzione via via crescente nel tempo a causa dell'acquisita consapevolezza circa i rischi di una non razionale utilizzazione di questa risorsa.
Un primo indicatore molto generale relativo all'utilizzo della risorsa suolo è costituito dalla percentuale di superficie urbana, cioè quella porzione del territorio occupata da insediamenti abitativi, produttivi, viabilistici e di altro tipo. Questo indicatore viene costruito in base a rilievi aerofotografici. La situazione a livello regionale è rappresentata dalla mappa che segue, che evidenzia come le provincie maggiormente urbanizzate sono quelle di Padova (19,4% di superficie urbanizzata) e di Treviso (17,6%).
Dall'analisi dell'evoluzione temporale nel periodo 1983-2006 di questo indicatore, si può rilevare che le aree che presentano maggiore variazione percentuale sono quelle della provincia di Verona (+25,6%) e della provincia di Venezia (+21,9%), trascinata quest'ultima dallo sviluppo delle località balneari.
A questo urban sprawl, che porta sempre più alla città diffusa, fa da contraltare la riduzione della superficie agricola utilizzabile (SAU). (Figura 16.2.7)
Per analizzare l'utilizzo del suolo, in questo rapporto, che non è un lavoro specificatamente dedicato a questo tema, si sono scelti alcuni ambiti di indagine ritenuti particolarmente significativi quali le attività estrattive e le attività industriali a rischio di incidente rilevante.
L'attività estrattiva dei materiali di cava è finalizzata alla lavorazione e alla vendita dei materiali estratti e viene considerata sia una opportunità di approvvigionamento e di lavoro, sia un rischio per la tutela dell'ambiente e del paesaggio. Nel corso del tempo la Regione ha affinato i propri strumenti di regolazione, monitoraggio e controllo delle attività estrattive che insistono nel territorio veneto, riscontrando una diminuzione delle cave produttive, che sono scese dalle 367 del 1990 alle 233 del 2009.
Dall'esame dei dati relativi alla produzione di materiale da cava e alle riserve da estrarre, emerge che la provincia di Treviso da sola rappresenta oltre il 40% del bacino estrattivo veneto. Inoltre si rileva che la provincia di Rovigo non è interessata dall'attività estrattiva e che la provincia di Venezia è interessata in modo molto marginale, come la provincia di Padova che nel passato è stata maggiormente coinvolta soprattutto per l'area collinare. (Tabella 16.2.2)
Nella figura che segue viene rappresentata la suddivisione percentuale per tipologia di materiale estratto su base regionale. (Figura 16.2.8)
Il secondo aspetto relativo alla gestione del suolo che qui si vuole esaminare è quello concernente le attività industriali a rischio di incidente rilevante, aspetto che non sempre viene adeguatamente considerato.
Come talvolta si riscontra, la normativa comunitaria e nazionale ha subito una significativa evoluzione a seguito di eventi verificatisi, nel caso specifico i grossi incidenti di Seveso e di Tolosa. La materia è regolamentata dalle direttive comunitarie 82/501/CEE, 96/82/CE e 2003/105/CE, alle quali hanno fatto seguito gli atti di recepimento nell'ordinamento italiano rappresentati dal DPR 17.5.1988 n. 175, dal D.lgs. 17.8.1999 n. 334 e dal D.lgs. 21.9.2005 n. 238. Queste fonti normative hanno dettato la disciplina relativa agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, ossia nei quali sono detenute, oltre determinate soglie, sostanze potenzialmente pericolose, in stoccaggio o per essere utilizzate nel ciclo produttivo.
Nell'Inventario nazionale degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti, tenuto dai competenti uffici ministeriali, sono stati censiti nel territorio veneto 100 stabilimenti, distribuiti nelle diverse province come riportato nella seguente figura. (Figura 16.2.9)
La maggiore concentrazione di stabilimenti si riscontra nel comune di Venezia e precisamente nel polo industriale di Porto Marghera, che da solo ospita 17 stabilimenti a rischio di incidente rilevante.
Lo stesso Inventario contiene una classificazione tipologica degli stabilimenti che, per quanto riguarda il territorio veneto, è riportata nella grafico seguente. (Figura 16.2.10)
La conoscenza di questi dati è la base di partenza per le attività di monitoraggio spettanti agli enti preposti e finalizzate alla verifica del rispetto delle disposizioni in materia e all'informazione verso la cittadinanza, diventata obbligo a seguito dell'emanazione del D.lgs. 19.8.2005, n. 195 "Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale".
I rifiuti
Nel 2009 sono state prodotte in Veneto 2.371.588 t di rifiuti urbani, con una riduzione complessiva dell'1,8% rispetto al 2008. Per quanto riguarda la produzione pro capite, essa è diminuita del 2,6%, portandosi a circa 483 Kg/ab*anno (1,32 Kg/ab*giorno), valore simile a quello del 2005. Questo valore è tra i più bassi a livello nazionale, nonostante il Veneto abbia un PIL elevato e oltre 60 milioni di presenze turistiche.
A livello provinciale la produzione pro capite oscilla tra il valore massimo della provincia di Venezia (620 Kg/ab*anno) e quello minimo della provincia di Treviso (377 Kg/ab*anno). (Figura 16.2.11)
Il Veneto ha raggiunto nel 2009 il 56,3% di raccolta differenziata, con un aumento di 2,4 punti percentuali rispetto al 2008. Tale percentuale consente alla nostra regione di superare, ormai da tre anni, l'obiettivo del 50% stabilito dalla legge 296/2006 per l'anno 2009 e di collocarsi ai primi posti tra le regioni italiane per la percentuale di raccolta differenziata. Da notare che la contestuale diminuzione del rifiuto totale, unita alla crescita della raccolta differenziata ha portato anche alla diminuzione del rifiuto residuo (-6,8%) che ammonta a 1.037.560 t. (Figura 16.2.12)
Scendendo al dettaglio provinciale, quasi tutte le province superano già l'obiettivo del 50%. In particolare la Provincia di Treviso, con il 71% di raccolta differenziata, si conferma al primo posto nella classifica regionale, superando anche l'ultimo obiettivo previsto dal D.Lgs. 152/06 per il 2012. (Figura 16.2.13)
Approfondendo ulteriormente fino al dettaglio comunale, il 55% dei comuni del Veneto (46% della popolazione), ha già raggiunto nel 2009 l'obiettivo massimo del 65% di raccolta differenziata, grazie all'impegno della popolazione, sollecitata da molteplici campagne di sensibilizzazione, e all'attività degli enti locali e delle aziende che svolgono il servizio.
Un aspetto interessante è quello relativo ai sistemi di raccolta, che hanno visto consolidarsi la raccolta separata della frazione organica: infatti, in 519 comuni su 581, viene effettuata la raccolta secco-umido e sono i cittadini stessi a separare in casa l'umido, il secco recuperabile e il secco non riciclabile. La modalità di raccolta più diffusa è quella "porta a porta", che coinvolge 433 dei 519 comuni interessati.
A livello di infrastrutture per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, il Veneto garantisce un servizio di buona qualità grazie ad un sistema molto articolato di impianti. Da una parte, infatti, c'è il recupero della frazione organica, garantito da 18 impianti di compostaggio e digestione anaerobica, di medie e grandi dimensioni, e da una cinquantina di piccoli impianti di trattamento del verde, e la cui potenzialità complessiva è pari a circa 971.000 t/anno, ampiamente sufficiente a soddisfare il fabbisogno regionale di trattamento dell'organico. Dall'altra parte c'è il trattamento delle frazioni secche dei rifiuti, garantito da circa 40 impianti principali a cui si aggiungono circa 150 impianti di piccole dimensioni. L'efficienza nel recupero dei rifiuti risulta così molto elevata, arrivando a toccare il 92% per la plastica e addirittura il 99% per il metallo.
A tale proposito la Regione Veneto, nel 2006, ha stipulato uno specifico Accordo di Programma con CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) al fine di migliorare sempre più i risultati relativi al recupero dei rifiuti di imballaggio sul territorio regionale.
Fra i diversi tipi di trattamento a cui vengono sottoposti i rifiuti, c'è quello meccanico-biologico, finalizzato a trasformarli in combustibile derivato (CDR). Nel 2009 sono state avviate a tale trattamento 514.000 tonnellate, il 21,7% del rifiuto urbano totale, e si sono ricavate da queste 153.000 t di CDR.
Una conseguenza molto positiva della politica attuata nella gestione dei rifiuti è l'abbattimento dello smaltimento in discarica. Dal 2002 al 2009 si osserva infatti un calo del 49,4% nell'utilizzo di questa pratica.
Dal punto di vista economico và osservato che i costi di gestione, nel 2009, si attestano al di sotto dei 125 €/ab all'anno, valore più basso rispetto all'ultimo rilevato a livello nazionale, nel 2007, che superava i 130 €/ab all'anno.
Un ultimo aspetto molto interessante è quello legato al recupero dei rifiuti per la produzione di energia. Nel 2008 sono state avviate ad operazione di recupero energetico 183 mila t di rifiuti.
L'attività di recupero energetico è effettuata dalle attività produttive che utilizzano rifiuti come combustibile alternativo o in compresenza ai combustibili tradizionali. Per quanto concerne le attività produttive che hanno utilizzato i rifiuti come combustibile, la principale industria utilizzatrice di rifiuti è quella della produzione del cemento, seguita da quella del legno e della produzione di energia elettrica (quale, ad esempio, la centrale ENEL di Fusina che utilizza il CDR in co-combustione). (Figura 16.2.14)

Tabella 16.2.1

Numero di centraline per il monitoraggio della qualità dell'aria per provincia e tipologia - Anno 2011

Figura 16.2.1

Media annuale del PM10 in alcune centraline di background urbano e traffico urbano (µg/m3)- Anni 2005:2009

Figura 16.2.2

Numero di superamenti del valore limite giornaliero di PM10 in alcune centraline di background urbano e traffico urbano - Anni 2005:2009

Figura 16.2.3

Numero di superamenti della soglia di informazione (180?g/m3) in alcune centraline di background urbano e traffico urbano - Anni 2007:2009

Figura 16.2.4

Punti idonei alla balneazione per corpo idrico. Veneto - Anno 2009

Figura 16.2.5

Stato chimico delle acque sotterranee per valore di SCAS e classe qualitativa relativa   (% di punti per classe rispetto al totale). Veneto - Anni 2007- 2008

Figura 16.2.6

Percentuale di Comuni del Veneto le cui acque potabili ricadono nelle diverse classi di concentrazione di nitrati. Anno 2009

Figura 16.2.7

Percentuale di superficie urbana per comune. Veneto - Anno 2006

Tabella 16.2.2

Materiale estratto (m3) e riserve autorizzate ancora da estrarre (al 31/12) per provincia. Veneto - Anno 2009

Figura 16.2.8

Distribuzione percentuale della produzione di materiale estratto suddivisa per tipologia. Veneto - Anno 2009

Figura 16.2.9

Distribuzione percentuale degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante per provincia. Ottobre 2010

Figura 16.2.10

Stabilimenti a rischio di incidente rilevante per tipologia (valore assoluto). Veneto - Ottobre 2010

Figura 16.2.11

Produzione pro capite di rifiuti urbani per provincia (Kg/ab all'anno). Veneto - Anni 2008-2009

Figura 16.2.12

La percentuale di raccolta differenziata. Veneto - Anni 2000:2009

Figura 16.2.13

La percentuale di raccolta differenziata per provincia. Veneto - Anno 2009

Figura 16.2.14

Utilizzo dei rifiuti come combustibile per attività produttiva (valori percentuali). Veneto - Anno 2008
 
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16.3 L'Energia

In tempi recenti si sente parlare sempre più spesso di green economy. I media, le imprese e la società civile sono sempre più sensibili agli argomenti ambientali. Da questi fattori e da studi scientifici sempre più numerosi e condivisi discende che il modello di sviluppo sul quale il mondo avanzato ha basato fino ad oggi la sua crescita non può essere sostenibile nell'era della globalizzazione. Gli equilibri del nostro pianeta potrebbero essere compromessi da una popolazione di oltre sei miliardi di persone che utilizzi risorse ai ritmi di consumo dei paesi sviluppati. Non essendo la nostra terra dal punto di vista termodinamico un sistema chiuso, possiamo imparare a sfruttare con sempre più efficacia l'energia che ci proviene dall'esterno, come quella solare, per mantenere adatte alla vita umana le condizioni della culla che ci ospita anche per i nostri figli.
I sistemi economici occidentali hanno perso negli anni quote nell'industria manifatturiera a vantaggio di altre economie e, con la riduzione del ritmo di sviluppo, il modello strettamente legato al debito per il consumo è collassato. Ciò si è manifestato in particolare dal settembre 2008 con la crisi legata ai mutui subprime (Nota 4). Questa congiuntura ha favorito il cambiamento di strategia di sviluppo verso un modello sostenibile che può essere raffigurato come un'opportunità che deve essere colta. Il comparto energetico è strettamente legato a questo cambio di strategia e potrà contribuire alla sfida di rilancio e mantenimento della nostra economia.
Similmente, in ambito politico, la green economy è da qualche tempo diventata un tema fondamentale. L'economia verde, modello economico che catalizza sempre più l'attenzione interna e internazionale, anche per il fatto di essere innegabilmente politically correct, rinnega, di fatto, l'idea economica classica di sostituibilità del capitale naturale con quello creato dall'uomo, irrobustendo la necessità di trovare un giusto equilibrio tra diverse forme del capitale stesso. Il percorso di transizione che potrà portarci in questa direzione si inquadra in una rivoluzione strategica verso un modello di sviluppo sostenibile dell'umanità e prevede come uno dei fattori più critici una governance energetica degli stati sovrani che in epoca globale non può prescindere dalla lucida cooperazione e condivisione di finalità e obiettivi a livello sovranazionale. La necessità di una governance globale è stata resa più evidente dal cataclisma naturale occorso lo scorso marzo in Giappone, le cui conseguenze, dal punto di vista delle politiche energetiche, hanno di fatto costretto molti paesi a riconsiderare il comparto che produce energia elettrica per mezzo di impianti a fissione nucleare.
La questione energetica è, quindi, al tempo spinosa quanto attuale. Il bisogno energetico deve oggi confrontarsi con i problemi legati alla scarsità delle fonti energetiche delle quali storicamente facciamo uso unita alla rinnovata esigenza di difesa del territorio e di salute delle popolazioni. In conseguenza di questo sono state definite e in parte attuate una serie di politiche per premiare l'uso di fonti energetiche a basso impatto ambientale e tendenti a sfavorire l'uso di fonti tradizionali. Negli scenari futuri la carta vincente nelle politiche energetiche sarà l'uso cosciente e responsabile di un giusto mix delle fonti disponibili, l'aumento dell'efficienza e, di conseguenza, l'investimento in ricerca e sviluppo.
Le motivazioni e i criteri che suggeriscono la trasformazione di questo settore strategico mirano alla finalità di garantire la sostenibilità, la sicurezza e la competitività energetica, rispetto alle quali definire la transizione progressiva dal modello produttivo, distributivo e di consumo tradizionale a elevato impiego di materie prime di origine mineraria ad un altro da esse più indipendente. Nel perseguire queste finalità traducendole in obiettivi quantitativi, i piani nazionali devono tenere conto degli accordi internazionali.
Per ciò che riguarda la sostenibilità, già con il Protocollo di Kyoto del dicembre 1997, sottoscritto in seno alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, si pongono le basi affinché la crescita sia compatibile con l'ambiente, soprattutto nei paesi più sviluppati e responsabili dei maggiori effetti antropologici sul clima. Da qui, riconoscendo il succitato Protocollo come una prima tappa, la sessione straordinaria del Consiglio Europeo del marzo 2000 tenutasi a Lisbona e successivamente il vertice di Goteborg del giugno 2001 definivano le priorità per una crescita competitiva traducendo in target per la sostenibilità ambientale il livello di elettricità generata da fonti rinnovabili. E' in questo contesto che la materia energetica si inserisce nella strategia "Europa 2020" per l'asse della crescita sostenibile. Oltre all'obiettivo europeo di riduzione del 20% rispetto al 1990 dei gas a effetto serra, trattato nel paragrafo concernente le problematiche dell'aria, l'obiettivo energetico legato alla sostenibilità ci dovrebbe portare nel 2020 a un livello del 20% di fonti di energia rinnovabile rispetto al consumo finale di energia in Europa. Per l'Italia l'obiettivo si traduce in una quota del 17% da raggiungere a partire dal 6,8% del 2008. (Figura 16.3.1)
Quanto alla sicurezza essa può essere definita come la necessità di assicurare una sufficiente offerta di energia a prezzi adeguati. In particolare vengono in rilievo gli aspetti della diversificazione del mix energetico, della dipendenza energetica e dell'ammontare assoluto delle importazioni. L'alto valore dell'indicatore legato alla dipendenza energetica rivela la natura dell'Italia quale paese povero di fonti energetiche minerarie. (Figura 16.3.2)
Questa situazione rafforza l'esigenza di diversificare le fonti, sviluppare le energie rinnovabili e cercare di appianare le differenze di prezzo, come ulteriormente dimostrato dalla crisi libica. In questa direzione di diversificazione si pone la recente costruzione di un impianto di rigassificazione di GNL in Veneto, che per quanto fonte tradizionale ha il pregio di basse emissioni di CO2. Anche per questo motivo gli scenari futuri per l'Italia prevedono uno sviluppo nell'utilizzo di questa fonte. (Figura 16.3.3)
La via marittima del gas naturale per il Veneto
Dal novembre 2009 è in funzione il primo terminale offshore di rigassificazione di Gas Naturale Liquefatto (GNL) al mondo sviluppato con l'innovativa tecnologia GBS. Situato 15 Km a largo di Porto Levante, frazione di Porto Viro in provincia di Rovigo, ha di fatto aperto nuove rotte per l'importazione del gas naturale in Italia: dal Qatar, da dove proviene la maggior parte del gas destinato al terminale, dall'Egitto, da Trinidad & Tobago, dalla Guinea Equatoriale e dalla Norvegia. E' stato progettato, costruito ed è ora gestito da Terminale GNL Adriatico Srl, una joint venture italiana, nota anche come Adriatic LNG®, che è stata fondata nel 2005 da Qatar Petroleum, ExxonMobil ed Edison.
Occupando una forza lavoro di 116 persone distribuite in 4 sedi, attraverso un moderno sistema di ricezione e discarica delle navi metaniere, di stoccaggio e vaporizzazione del GNL e di immissione del gas naturale in rete attraverso il metanodotto, il Terminale ha una capacità distributiva annuale di 8 miliardi di metri cubi. Rispetto alla media dei consumi di gas naturale dal 2004 al 2010, tale capacità si attesta ad un valore di poco inferiore ai 10 punti percentuali e, permettendo di diversificare le fonti di approvvigionamento, si pone come un'infrastruttura strategica per il nostro paese. Il metanodotto, che parte dal terminale offshore e arriva alla Stazione di Misura di Cavarzere, dove il gas è immesso in rete nazionale, si sviluppa per una lunghezza di 40 Km tra mare, zona umida e aree agricole. Oltre a queste due sedi, a Porto Viro è situata la Base Operativa di Terra, che svolge il ruolo di coordinamento, supporto e collegamento da e per il terminale offshore di mezzi e di personale. Nella sede centrale di Milano, come centro nevralgico e sede legale, hanno infine posto gli uffici amministrativi e di direzione.
Il terminale utilizza due serbatoi da 125 mila metri cubi che hanno permesso nel 2010 la distribuzione di 7,1 miliardi di metri cubi di gas. E' il secondo impianto di rigassificazione ad essere operativo in Italia dopo quello di Panigaglia, in Liguria. Quest'ultimo è stato costruito negli anni 70 e ha una capacità distributiva nominale di 3,4 miliardi di metri cubi per anno, stoccabili in due serbatoi da 50 mila metri cubi situati sulla costa, in un'insenatura nel comune di Portovenere in provincia di La Spezia. Nel 2010 da questo impianto sono confluiti in rete nazionale 2 miliardi di metri cubi di gas.
Dai dati di bilancio del gas naturale del Ministero dello Sviluppo Economico è evidente l'apporto dell'infrastruttura alla rete italiana del gas che passa da 1,6 GSmc/anno importati via nave nel 2008 quando l'impianto non era operativo, ai 2,9 nel 2009 e ai 9,1 nel 2010. In particolare, nel 2010, anno pieno di produzione, la quota importata e trattata dal Terminale Adriatic LNG pesa per il 9.4% delle importazioni contribuendo all'8,5% dei consumi nazionali, approvvigionandosi nell'arco dell'anno da 81 navi metaniere. (Figura 16.3.4)
L'efficienza energetica
Per ciò che riguarda la competitività, e in stretto legame con il tema della sostenibilità, si pone l'obiettivo di aumento dell'efficienza energetica, misurata dall'indicatore di intensità energetica dell'economia. Se analizziamo la situazione europea, vediamo che per l'Italia l'intensità energetica del PIL ha un valore di 142,6 tep/milione di Euro, migliore rispetto alla media UE27 che è di 167,1, e allo stesso livello di competitors come Francia, Germania e Spagna anche se il valore del Regno Unito si pone a livelli sostanzialmente migliori. Al raggiungimento dell'obiettivo di miglioramento del 20% dell'efficienza in Europa, l'Italia sarà interessata a partecipare soprattutto per aumentare la propria competitività in ambito economico. Le normative e le incentivazioni a favore dell'efficienza energetica del parco edilizio vanno nettamente in questa direzione. L'intensità energetica del PIL per il Veneto, analizzando i dati provenienti da fonte Enea e ISTAT, risulta di poco superiore alla media italiana e in linea con le maggiori regioni del Centro-Nord, eccezion fatta per la Lombardia che presenta un valore nettamente migliore. (Figura 16.3.5) e (Figura 16.3.6)
Per perseguire questa strategia il Ministero dello Sviluppo Economico, in data 30 giugno 2010, ha approvato il "Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili dell'Italia" che prevede dei meccanismi di sostegno in ponderazione delle misure da intraprendere nei tre settori d'azione, il calore, i trasporti e l'elettricità. Tali meccanismi sono variabili e soggetti a revisione in funzione dei fattori esogeni che influenzeranno il comparto, quali le innovazioni tecnologiche o il cambiamento dei prezzi. Analizziamo ora il settore elettrico attraverso il quale si può avere un quadro relativamente recente della situazione italiana e veneta. (Tabella 16.3.1) e (Figura 16.3.7)
La produzione di energia elettrica in Europa segna una tendenza di costante crescita arrivando a toccare nel 2008 il valore di quasi 3.400 TWh, oltre l'11% in più rispetto a quanto prodotto nel 2000. I più grandi produttori europei rimangono Germania e Francia, con l'Italia al terzo posto e la Spagna che si sta sempre più avvicinando ai nostri livelli di generazione. Nel 2009 la generazione di elettricità dell'Italia, per gli effetti della crisi internazionale, segna una netta diminuzione attestandosi ai valori del 2003 per quasi 293 TWh prodotti. Per quanto riguarda il mix di produzione nel nostro paese, è completamente assente la componente nucleare e quindi la generazione da fonti termoelettriche tradizionali pesa per quasi l'80% della produzione. Dal 2000 al 2008 la generazione di energia elettrica per fonte è rimasta pressoché invariata in Italia e in Francia, mentre in Spagna e in Germania le fonti rinnovabili hanno aumentato il loro peso nel mix produttivo. I settori rinnovabili che hanno permesso questo aumento sono l'eolico e la produzione da biomasse, soprattutto in Germania. Anche in Italia si è avuto un aumento in termini assoluti di produzione da fonte rinnovabile, ma al contempo anche la produzione termoelettrica è aumentata di una quota simile. Dal punto di vista delle fonti nel 2008 si nota, rispetto al 2000, una diminuzione produttiva generalizzata a livello europeo nel comparto idroelettrico, conseguenza di una minore disponibilità idrica per questioni climatiche e di impiego alternativo, e, se si esclude la Francia, nel comparto nucleare. In questi otto anni la generazione termoelettrica ha avuto incrementi annui medi di circa 2 punti percentuali con un picco di oltre 6 punti percentuali per la Spagna. Il più alto aumento produttivo è riscontrabile per le nuove fonti rinnovabili, come l'eolico, le biomasse e il solare fotovoltaico.
Nel Veneto esiste un solo impianto eolico, situato a Badia Calavena, mentre si sono significativamente sviluppati gli impianti a biomasse e quelli solari fotovoltaici.
Gli impianti a biomasse sono alimentati da combustibili rinnovabili come legna, residui di potatura e di alcune lavorazioni agro-industriali. Questi combustibili hanno un potere calorico che varia dalle 4.200 alle 4.600 kcal/kg della sostanza secca, il 60% circa rispetto a quello del carbon fossile. Nel 2009 in Veneto risultano situati circa l'11% degli impianti, pari al 6% della potenza nazionale. (Tabella 16.3.2)
Negli ultimi due anni si è riscontrato un vero e proprio boom di installazioni degli impianti solari fotovoltaici, grazie ad una forte incentivazione degli stessi. Dagli ultimi valori disponibili risulta che il Veneto ha visto nel 2010 un incremento della potenza installata di oltre il 300% a fronte di un aumento nazionale di circa il 200%. Significativo è anche il dato sulla potenza media degli impianti che è aumentata in quasi tutte le regioni e, su base nazionale, è cresciuta di quasi il 40% rispetto al 2009. (Tabella 16.3.3)

Figura 16.3.1

Percentuale di energia rinnovabile rispetto al consumo finale di energia. UE27 - Anno 2008

Figura 16.3.2

Tasso di dipendenza energetica (saldo import/export rispetto al consumo lordo - valori %). UE27 - Anno 2008

Figura 16.3.3

Consumo interno lordo di gas naturale (m3 a 38,1 MJ/m3). Italia - Anni 2002:2010

Figura 16.3.4

La prima nave metaniera in fase di attracco al Terminale Adriatic LNG, 10 agosto 2009

Figura 16.3.5

Intensità energetica del PIL (Consumo interno lordo/PIL - Tep/milione di Euro prezzi 2000). UE27 - Anno 2008

Figura 16.3.6

Intensità energetica del PIL (Consumo interno lordo/PIL - Tep/milione di Euro prezzi 2000) - Anno 2005

Tabella 16.3.1

Produzione lorda di energia elettrica per fonte (TWh). Italia, UE27 - Anno 2008

Figura 16.3.7

Produzione lorda di energia elettrica per fonte (valori %). Italia, UE27 - Anni 2000-2008

Tabella 16.3.2

Numerosità e potenza degli impianti a biomasse per regione - Anno 2009 e variazione percentuale 2009/2008

Tabella 16.3.3

Numerosità, potenza e potenza media degli impianti solari fotovoltaici per regione - Anni 2009-2010
 

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