RAPPORTO STATISTICO 2010

il Veneto si racconta , il Veneto si confronta

Presentazione  Presentazione  

Sintesi

Interconnessione : Reti e Sinergie

Le reti sociali dello sviluppo

Capitolo 1

Qualità della rete abitativa

Capitolo 2

Centro e periferia: diversi sistemi di mobilità

Capitolo 3

Famiglia e solidarietà

Capitolo 4

La qualità della rete educativa

Capitolo 5

Vivere la rete lavorativa


Le reti economiche

Capitolo 6

Le interconnessioni del sistema economico

Capitolo 7

La rete mercantile

Capitolo 8

La rete agroalimentare veneta

Capitolo 9

Le sinergie per la montagna

Capitolo 10

Le reti produttive

Capitolo 11

La rete distributiva

Capitolo 12

Turismo: sinergia tra settori e reti tra individui


Le istituzioni e i servizi

Capitolo 13

Lavorare in rete per la salute

Capitolo 14

Il modello veneto di integrazione dei servizi sociali e socio-sanitari

Capitolo 15

Pubblica amministrazione, servizi per il cittadino e per l'impresa

Capitolo 16

Le reti telematiche in Veneto

Capitolo 17

Le reti di controllo dell'ambiente e del territorio

Capitolo 18

Reti istituzionali oltre confine

Capitolo 19

Modelli interistituzionali locali


Fonti

Bibliografia

Lista dei testi utilizzati

Sitografia

Lista dei siti consultati



Sintesi

Inizio Pagina  La rete dello sviluppo

Oggi più che mai la società può essere vista come una rete di relazioni fra molteplici soggetti, rappresentati da persone, imprese e istituzioni. Le persone hanno bisogno di spostarsi, comunicare, incontrarsi, condividere esperienze e idee, le imprese devono ampliare gli orizzonti e intensificare i propri rapporti, condividendo risorse e progetti, per diventare più efficienti e competitive nel mercato; analogamente le istituzioni devono collaborare fra loro ai vari livelli e con altri soggetti, anche privati, al fine di rendere più efficace l'azione pubblica e soddisfare i reali bisogni dei cittadini.
La parola "rete", che un tempo evocava prevalentemente la pesca, ha trovato utilizzo sempre più esteso nel campo dei sistemi sociali della produzione e dello sviluppo: reti telefoniche e telematiche, dell'energia elettrica, del gas, dell'acqua, reti radiotelevisive, internet, reti istituzionali e della solidarietà, reti scolastiche, reti decisionali e operative, per citare solo alcune espressioni entrate ormai a far parte del linguaggio corrente.
Una rete è fatta di "nodi" e di "collegamenti" fra i nodi. Nell'area dei sistemi dello sviluppo sociale ed economico delle comunità, assumono quindi sempre maggiore rilievo i collegamenti tra nodi costituiti da soggetti, fenomeni, ruoli e responsabilità. Integrazione e coordinamento sono i termini utilizzati per indicare gli aspetti rilevanti delle relazioni tra i nodi - integrazione intesa come apporto congiunto di più soggetti, portatori di valori e di competenze tecnico-professionali e politiche diverse a processi vitali, decisionali e operativi, organicamente mirati a fini da perseguire; coordinamento inteso come processo di governo di sistemi organizzativi di risorse e di soggetti dotati di autonomia per mantenerli orientati ai risultati da raggiungere.
Il governo dei sempre più complessi sistemi sociali dello sviluppo delle comunità ai vari livelli istituzionali ed operativi comporta oggi crescenti bisogni di integrazione e di coordinamento dei soggetti coinvolti e dei fenomeni oggetto delle decisioni assunte e dei relativi percorsi attuativi. Il ricorso ai concetti di base e ai principi ispiratori della teoria e della metodologia delle "reti sociali" può contribuire al miglioramento dei processi di analisi statistica dei sistemi socio-economici, in vista delle scelte di politica e di strategia dello sviluppo delle comunità.
Come nella rete da pesca un insieme di fili collega e sostiene una serie di nodi, nella società, qualsiasi sia l'ambito di riferimento (economico, istituzionale, etc.), si osserva l'instaurarsi di relazioni fra più unità. La caratteristica fondamentale della rete è che ogni suo elemento (sia esso una persona o una cosa) è collegato con altri elementi, cosicché si crea interdipendenza fra tutte le unità, che si influenzano a vicenda. La rete da pesca perde la propria funzionalità qualora un filo o un nodo si spezzi. Lo stesso accade negli altri tipi di rete, dove nodi e collegamenti sono inoltre più o meno rilevanti per il funzionamento del sistema: quando si disfano nodi importanti o questi diventano irraggiungibili per interruzione dei collegamenti, gli effetti sulla rete si ripercuotono sull'intero sistema.
La relazione sta nella natura dell'uomo
L'uomo, fin dai suoi primi giorni di vita, ha bisogno del contatto con le persone, innanzitutto con la madre, per il proprio sviluppo psico-fisico; in tutto l'arco della vita l'individuo costruisce rapporti che gli permettono di raggiungere una condizione di benessere affettivo e materiale. E' stato dimostrato che chi ha un solido background familiare alle spalle affronta con successo le sfide della vita: dalla scuola al lavoro, dagli affetti alla partecipazione sociale. Allo stesso modo, una fitta rete di amicizie e conoscenze sono un fattore determinante per la propria affermazione personale. La società, in tutti i suoi ambiti, deve saper fare "rete" per progredire. E di tale necessità si avverte ancor più il bisogno oggi che stiamo uscendo da un periodo di profonda crisi.
Queste motivazioni hanno orientato la scelta dei contenuti e dello stile redazionale del Rapporto Statistico 2010, ispirati all'approccio delle "reti sociali" di soggetti e di fenomeni dello sviluppo economico e sociale delle comunità locali e regionale.
E' possibile ricondursi a un macromodello generale per la rappresentazione del sistema di pianificazione dello sviluppo. Tale modello risulta costituito da quattro nodi fondamentali: i soggetti - persone, famiglie, imprese e decisori sociali; i fenomeni dello sviluppo - livello e qualità della vita (fini e politiche dello sviluppo); i fenomeni della produzione - produzione economica e sociale (mezzi e strategie di sviluppo); i ruoli e responsabilità - istruttori, deliberativi, partecipativi, operativi, di controllo.
Dal punto di vista sistematico-editoriale i contenuti conoscitivi del rapporto sono articolati in 19 capitoli, raggruppati in tre parti. La prima parte, Le reti sociali dello sviluppo, è in prevalenza dedicata alle variabili finali dello sviluppo, cioè a dimensioni significative del livello e della qualità della vita della popolazione che vive e lavora nel territorio regionale. Si tratta delle variabili che nel modello generale del sistema dello sviluppo di comunità sono espressione diretta dei fini da perseguire e, quindi, nei processi di pianificazione sono oggetto delle scelte di "politica dello sviluppo".
Esse riguardano i fenomeni rilevanti sulla qualità della vita delle persone: abitare, muoversi, apprendere, lavorare e relazionarsi con altri nel senso della solidarietà affettiva e sociale. I soggetti maggiormente coinvolti in questi aspetti dei processi vitali sono le persone e le famiglie.
Nella seconda parte del rapporto, Le reti economiche, sono presentati i risultati sintetici delle elaborazioni statistiche effettuate con riferimento a caratteristiche rilevanti ai fini del governo dei processi di sviluppo concernenti la produzione economica del sistema sociale: soggetti, processi e prodotti dei settori primario (agroalimentare) e industriale, delle reti distributive e mercantili, delle reti turistiche e relative interconnessioni tra soggetti e reti, visti assieme ai pertinenti fenomeni della produzione economica in senso lato. Conoscenze statistiche aggiornate sugli aspetti strutturali e dinamici oggetto di questa parte del rapporto contribuiscono in maniera rilevante alle scelte di strategia dello sviluppo, ovvero alle decisioni riguardanti gli interventi di cambiamento dell'organizzazione e del funzionamento del sistema produttivo economico con la finalità di garantire il perseguimento delle tendenze e dei traguardi di livello e qualità della vita previsti dalle politiche dello sviluppo. Le decisioni di strategia produttiva economica assumono oggi grande significato in quanto riguardano variabili dello sviluppo fortemente condizionate dai processi di globalizzazione in atto. Nell'ultima parte del rapporto, Il sistema di servizi e le reti istituzionali, è presentato un profilo sintetico di contenuti informativi concernenti soggetti, decisori sociali, reti e fenomeni della produzione sociale del sistema dello sviluppo: istituzioni, enti, servizi sociali e loro processi e prodotti.
La prima microrete, la famiglia
La famiglia, anagrafica o di fatto, ristretta o allargata, può essere considerata come una microrete di persone legate da vincoli affettivi, di sangue, di convivenza solidale o economica. Persone e famiglie fanno parte o interagiscono in vario modo con altri soggetti, singoli o in rete (reti informali e formali della solidarietà, associazioni, enti, imprese). Conoscenze su tipologia, composizione, dimensioni, relazioni interne ed esterne delle famiglie e loro evoluzione nel tempo sono di grande interesse ai fini delle scelte di politica e di strategia dello sviluppo delle comunità.
Le profonde trasformazioni demografiche e sociali che hanno investito i Paesi sviluppati nel corso degli ultimi decenni hanno contribuito a modificare profondamente la struttura della famiglia e, quindi, la natura delle relazioni familiari. La struttura familiare tende ad allontanarsi sempre più dal modello tradizionale, risultando quanto mai frammentata e destrutturata, con una dimensione media ad oggi di 2,4 componenti in Veneto, quando trent'anni fa, nel 1978, era di 3,3 individui. La persistente bassa fecondità, la propensione dei giovani a rimandare il momento di creare una propria famiglia e di diventare genitori, il progressivo invecchiamento e l'instabilità coniugale hanno, infatti, portato a un aumento delle persone sole e delle coppie senza figli.
Sempre più dominante è, dunque, il modello di famiglia nucleare, ossia con un solo nucleo, di solito una coppia con o senza figli, talvolta con la presenza di un altro familiare, generalmente un genitore vedovo. Si affermano, inoltre, nuove forme di vita familiare, come le famiglie ricostituite, quelle monogenitoriali o le libere unioni, vissute non più come passo preliminare al matrimonio ma come forma stabile alternativa alle nozze e che prevedono anche la nascita di figli. Oltre a ciò, la crescente partecipazione al mondo del lavoro delle donne sta avendo un impatto decisivo sulla vita familiare, richiedendo una riorganizzazione dei tempi e dei carichi di lavoro, delle reciproche responsabilità e quindi delle relazioni intra e intergenerazionali.
Una delle preoccupazioni prioritarie per il nostro Paese e per molti dei Paesi industrializzati è, pertanto, la capacità di sostenere in futuro il crescente bisogno di cura di persone anziane, specie se gravate da problemi di salute, che sempre meno potrà essere garantito pienamente dalla sola rete familiare. Se in passato gli anziani potevano contare sull'assistenza dei numerosi figli e delle donne di casa che non lavoravano, molti degli anziani di domani, senza figli o con uno al massimo, saranno costretti a cercare assistenza fuori dalla famiglia. Considerando che in una famiglia il carico dell'assistenza agli anziani grava soprattutto sulla donna moglie-madre-figlia-nuora, che sempre più si divide tra gli impegni lavorativi e quelli familiari, si può prevedere per il futuro una situazione di faticosa sostenibilità.
In caso di difficoltà e disagi la rete familiare è, dunque, la prima risorsa cui si ricorre per un appoggio materiale e morale. Relazioni, vincoli e affetti hanno la capacità di compensare fragilità e di integrare le potenzialità dei vari membri. La forza delle reti parentali non sta solo nella capacità di attutire problemi di grossa entità, fornendo prestiti, sostegno, disponibilità di tempo, ma soprattutto si esprime nelle necessità quotidiane di cura, di appoggio affettivo, di aiuto nelle pratiche burocratiche e negli spostamenti, grazie al supporto morale disinteressato e gratuito che viene fornito. I punti chiave di questa rete definita "primaria" sono essenzialmente tre: la gratuità, e quindi la reciprocità che si instaura tra i membri di natura più affettiva che funzionale, la vicinanza fisica dei membri della famiglia e la tempestività con cui si attivano i legami quando dovesse insorgere un bisogno.
La solidarietà tra le famiglie in Veneto è significativa, anche più che in altre realtà italiane; in un confronto regionale, infatti, la nostra regione, come tutta l'area del Nord-Est, emerge per disponibilità e propensione delle famiglie a dare aiuto, a conferma di una maggiore centralità della famiglia, quale punto di riferimento e sistema di relazioni.
Oltre alle relazioni familiari e quelle con altri soggetti, la qualità dell'abitare, del muoversi, dell'apprendere, del lavoro, sono tutti fattori di naturale importanza nel determinare il livello e la qualità della vita complessivi delle persone. Modalità e livelli assunti dagli indicatori che misurano tali variabili e la relativa variabilità interpersonale e interfamiliare presentano spesso legami forti con le caratteristiche strutturali e funzionali dei soggetti della produzione economica e sociale e delle loro reti.
La rete abitativa
Oggi in Veneto si contano 4.885.548 abitanti, le famiglie sono invece 1.985.191. Dal 2001 la popolazione è aumentata del 7,9%, mentre le famiglie sono cresciute a un ritmo più sostenuto, del 15,8%, diventando anche sempre più nucleari. I cambiamenti demografici influenzano anche lo sviluppo edilizio residenziale: la domanda abitativa è conseguenza non tanto della crescita della popolazione, quanto piuttosto dell'aumento dei nuclei familiari. Le abitazioni, secondo la fonte statistica sui permessi di costruire, hanno un ritmo di crescita più simile a quello delle famiglie: dal 2001 lo sviluppo del patrimonio abitativo è del 9,7%. Le nuove abitazioni seguono il ritmo delle famiglie non solo in termini di quantità, ma anche di dimensione: come i nuclei familiari, infatti, anche le nuove case sono sempre di più ridotte dimensioni.
La maggioranza delle famiglie (56%), e delle persone che sono in famiglia (60%), vive in villa, villino, casa uni o plurifamiliare, forma abitativa che garantisce alla famiglia il massimo di libertà e di privacy. Chi è in appartamento vive per lo più in contesti di piccoli condomini, con meno di 10 appartamenti.
La percentuale di famiglie venete che dichiara di essere soddisfatta o molto soddisfatta dell'abitazione in cui vive è pari all'86%. Il Veneto occupa una posizione mediana nella distribuzione delle regioni italiane, la media nazionale presenta un valore molto prossimo (84,5%).
La soddisfazione per la qualità dell'abitare è influenzata soprattutto dalle condizioni oggettive della casa, oltre che dalla disponibilità di spazio interno: vivere in un'abitazione adeguata alle proprie esigenze, sufficientemente spaziosa, confortevole, dotata dei servizi che si ritengono necessari contribuisce ad aumentare la qualità di vita. L'abitazione è, infatti, il luogo dove si trascorre quotidianamente gran parte del tempo, è il centro della vita familiare ma anche delle relazioni con amici, parenti e vicini; in senso più ampio è un elemento essenziale per garantire l'inclusione sociale. Avere una propria casa, e sentire di viverci bene, accresce nelle persone un senso di sicurezza, stabilità e anche di benessere psicologico.
Un aspetto rilevante della qualità abitativa è il comfort spaziale, definito come rapporto tra dimensione (metri quadrati o numero di stanze) e numero di componenti e tipologia della famiglia. Situazioni di disagio si possono verificare se una famiglia si trova a vivere in uno spazio ristretto, in un alloggio non adeguato per dimensioni al numero dei suoi componenti, che rischiano così di vedere limitata la propria privacy e la propria libertà. Rapportando la superficie dell'abitazione al numero di componenti della famiglia, per il Veneto si contano 54 mq a disposizione in media per ogni persona, uno dei valori più elevati tra le regioni, contro i 49 mq a livello italiano.
In una realtà come quella del nostro Paese, in cui il numero di componenti del nucleo familiare tende a ridursi, il sovraffollamento abitativo sembra correlarsi in maniera più netta a situazioni di povertà. È pertanto considerato un importante indicatore per misurare la povertà abitativa e, più in generale, il livello di povertà di una famiglia: in Veneto il 6% delle famiglie (circa 122.700 famiglie) si trova in una situazione di sovraffollamento abitativo, il 32% in condizioni di normalità. Il 62% delle famiglie vive, invece, in abitazioni sottoutilizzate, ossia dispone di una superficie che può ritenersi al di sopra del normale fabbisogno. Inoltre il problema del sovraffollamento risulta meno grave che in Italia, dove l'11% delle famiglie vive in questa condizione.
Ambiente, territorio e reti urbane
L'analisi del fenomeno abitativo porta a tenere alta l'attenzione oltre che sulle condizioni e percezioni delle famiglie in relazione alle proprie condizioni residenziali, anche su tutto ciò che riguarda l'impatto delle loro scelte sul territorio veneto, ad esempio in termini di mobilità, assieme a quello derivante dall'insediamento delle unità produttive.
Difatti la peculiare tendenza dei residenti nel Veneto a preferire tipologie abitative di dimensioni ridotte, unita allo sviluppo produttivo estensivo in termini territoriali, determinatosi nel corso dei decenni passati soprattutto per ciò che riguarda la fascia centrale veneta, costituiscono evidenti fattori di pressione sul territorio, da cui conseguono una serie di misure introdotte nella legislazione, quale lo sfruttamento dell'altezza in ambito edilizio. A questo scopo le reti di monitoraggio ambientale e territoriale, gestite dalla Regione Veneto (Nota 1), consentono di ottenere una approfondita conoscenza dei fenomeni in atto tendendo a garantire non solo di poter attuare una efficace protezione ambientale del territorio, ma anche di monitorare ed intervenire laddove si registrino eventi di particolare rilevanza, quali dissesti, eventi franosi o altro. Inoltre proprio attraverso la costruzione di alcuni indicatori, quali l'Impronta Ecologica e la biocapacità, è possibile valutare la "porzione di territorio" di cui una popolazione necessita per produrre in maniera sostenibile tutte le risorse che consuma e per assorbirne i rifiuti. Per il Veneto, oramai giunta ad essere riconosciuta una delle aree a più elevato sviluppo del Paese, come del resto d'Europa, questi indicatori segnalano un certo livello di insostenibilità. Del resto, l'Italia stessa risulta in uno stato di deficit ecologico, e le regioni limitrofe che hanno condotto studi di questo tipo (come ad esempio l'Emilia-Romagna), confermano il trend del Veneto.
Venendo al nodo cruciale dei collegamenti in ambito urbano, nell'Unione Europea si è consapevoli che "un approccio integrato dovrebbe idealmente occuparsi di vari aspetti: la complessità dei sistemi di trasporto urbani, le questioni di governance e dei collegamenti tra le città e le aree o regioni limitrofe, l'interdipendenza tra i modi di trasporto, le limitazioni all'interno dello spazio urbano, nonché il ruolo dei sistemi urbani nel più ampio sistema dei trasporti europeo. Un approccio integrato non è necessario soltanto per lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi di trasporto, ma anche per garantire una politica volta ad armonizzare trasporti e tutela dell'ambiente, ambienti salubri, pianificazione territoriale, edilizia abitativa, aspetti sociali dell'accessibilità e della mobilità, nonché politica industriale." (Nota 2)
E' da considerare che "nel 2007, il 72% della popolazione europea viveva in aree urbane, che sono la chiave della crescita e dell'occupazione". "Lo sviluppo di una pianificazione strategica dei trasporti integrati, l'istituzione di organizzazioni per la pianificazione della mobilità, nonché l'identificazione di obiettivi realistici sono elementi essenziali per affrontare le sfide a lungo termine lanciate dalla mobilità urbana e sostenere nel contempo la cooperazione con e tra gli operatori dei trasporti". Le indicazioni del documento europeo si addicono in toto a quella che è la realtà e la situazione del Veneto, come se la nostra regione rappresentasse tutte le questioni aperte in tema di mobilità.
Infatti, trattare di mobilità in Veneto implica affrontare questioni quali le conseguenze della posizione geografico-economica del territorio regionale, il livello dei servizi stradali, la logistica, il costo della mobilità di merci e persone, le esternalità negative del traffico, il particolare piano insediativo che caratterizza il territorio.
Negli anni, aumentano la distanza percorsa e il tempo dedicato alla mobilità quotidiana, restano nettamente predominanti gli spostamenti con mezzo di trasporto a motore. Ogni giorno in Veneto, nel 2008, si percorrono mediamente 43 km (33 nel 2005) e ci si impiegano 67 minuti (57 nel 2005).
Negli spostamenti quotidiani delle persone si conferma anche nel 2008 il ruolo predominante dell'auto: secondo i dati Isfort, il 77% di quanti escono di casa (79% il dato Italia) per motivi di lavoro, studio, gestione familiare o tempo libero utilizza mezzi di trasporto a motore e nel 78% dei casi si tratta appunto dell'auto privata (71,4% il dato Italia).
Nell'ambito della mobilità urbana si registra un aumento generalizzato della dotazione di motocicli, con il fenomeno più marcato nei comuni capoluogo maggiori: a Padova nel 2008 circolavano 122 motocicli ogni 1.000 abitanti - 42 in più rispetto al 2000 - a Verona 118 - 45 in più rispetto al 2000.
Quindi nei centri urbani maggiori si conferma forte l'uso di mezzi privati per poter arrivare dovunque ed in tempo utile, ma la preferenza sembra orientarsi verso i motocicli a discapito dell'auto.
Muoversi per istruirsi
Il motoveicolo è un mezzo comodo e veloce in città, ed è utilizzato soprattutto dagli studenti. Il punto di partenza per un'offerta di istruzione equa e qualitativa è senza dubbio la capillare distribuzione di ogni tipologia di istituto sul territorio.
Nella nostra regione si nota che, nell'anno scolastico 2008/09, è presente in media una struttura formativa superiore (scuole secondarie di secondo grado o corsi regionali di formazione professionale) ogni 33,9 chilometri quadrati di superficie. Tale indicatore ci permette di confrontare la differente distribuzione delle varie tipologie scolastiche sul territorio e può essere considerato quindi una misura di accessibilità alle strutture formative; non da meno bisogna tener conto che l'accessibilità dipende da più variabili tra cui la disponibilità di mezzi pubblici più o meno adeguati.
Per il Veneto si registra un'accessibilità territoriale lievemente più marcata per i licei che contano 104,5 chilometri quadrati per istituto, seguiti dagli istituti tecnici con un valore pari a 110,1, mentre gli istituti professionali si attestano ad una quota di 154,5 chilometri quadrati per istituto.
Quanto a partecipazione, dopo una progressiva crescita registrata negli ultimi anni, la partecipazione complessiva alla scuola secondaria di II grado è lievemente in calo in Veneto: la quota di giovani di età fra i 14 e i 18 anni che è iscritta alla scuola superiore risulta pari a 88,5% nell'anno scolastico 2008/09, un punto percentuale in meno rispetto all'anno precedente e inferiore al valore medio italiano (92,5%). Migliore, invece, la performance della nostra regione se si considerano i giovani che abbandonano prematuramente gli studi: nel 2008 in Veneto la percentuale di popolazione in età 18-24 anni che non è in possesso di un titolo di scuola media superiore e che non sta effettuando percorsi formativi superiori ai 2 anni è pari al 15,6%, oltre quattro punti al di sotto del valore nazionale.
Considerando poi la quota di studenti che si immatricola in un determinato anno, rispetto ai diplomati usciti nell'anno scolastico precedente, nell'anno accademico 2007/08 la nostra regione registra una percentuale d'immatricolati rispetto ai diplomati 2006/07 pari al 61,7%, al di sotto del valore italiano di quattro punti percentuali. Se in passato l'introduzione dei percorsi di laurea triennali ha spinto un maggior numero di ragazzi ad intraprendere un cammino universitario, osservando il trend storico per gli ultimi tre anni ci si rende conto che nell'ultimo periodo la percentuale di immatricolati sui diplomati nell'anno precedente è in diminuzione, seppur con lieve ripresa per alcune realtà quali il Veneto e il Friuli Venezia Giulia.
In linea con il dato nazionale, per l'anno accademico 2007/08, l'area didattica che catalizza massimamente le immatricolazioni di studenti veneti è quella economica-statistica, ottenendo il 16,2% delle preferenze totali, segue l'area ingegneristica con il 10,7% delle immatricolazioni, quella giuridica con il 9,5% e quella letteraria con il 9,1%.
Il sistema produttivo
Certamente ricco quindi il capitale umano cui possono attingere le imprese venete, per le quali, fare rete costituisce certamente un vantaggio: le imprese più attive e innovative sono proprio quelle che, abbandonato il modello classico di business in autonomia, si sono mosse verso forme reticolari di organizzazione produttiva. Grazie alla collaborazione in network, le imprese possono infatti raggiungere economie di scopo e di scala, senza perdere la propria indipendenza, ma evitando sprechi e duplicazioni, in vista di una maggiore competitività e specializzazione.
Questi sono solo alcuni degli obiettivi della Legge Sviluppo 99/2009, provvedimento di legislatura emanato per contrastare la crisi economica in Italia. La legge si prefigge, appunto, di rilanciare l'economia del Paese, duramente colpito dalla recessione, grazie alla creazione di "reti di impresa". Tale strumento consente alle imprese appartenenti alla stessa filiera produttiva di dar vita a forme di collaborazione che superano i vincoli territoriali del distretto: le aziende associate possono così beneficiare di agevolazioni finanziarie, amministrative e fiscali, che prima erano riservate ai soli distretti, in modo tale da acquisire un maggior potere contrattuale e dunque condividere know-how, investimenti e progetti.
Pur avendo lo sviluppo demografico imprenditoriale del Veneto nel 2009 subito una battuta d'arresto, chiudendosi con un numero di imprese attive a fine anno pari a 458.352, -0,9% rispetto al volume dell'anno precedente, -0,4% senza considerare il settore agricolo, le imprese attive venete continuano a ricoprire l'8,7% delle imprese nazionali, occupando assieme al Lazio il terzo posto nella graduatoria delle regioni.
Tra l'altro in Veneto, nel 2007, sono presenti 8.954 gruppi di imprese, di cui 7.268 hanno il vertice (Nota 3) nella stessa regione, 765 in altre regioni italiane e 921 in uno stato estero. I gruppi presenti in Veneto comprendono 30.462 imprese attive, di cui 18.660 in territorio veneto; essi occupano complessivamente 1.644.317 addetti, di cui 540.332 in imprese venete. I gruppi presenti in Veneto rappresentano il 12% del totale gruppi in Italia. Le imprese venete che fanno parte di un gruppo sono dunque 18.660, il 4,6% del totale imprese attive della regione; esse occupano 540.332 addetti, ossia quasi un terzo degli addetti impiegati nel complesso delle imprese venete.
La struttura in gruppo permette attraverso l'integrazione a monte, di avere canali di approvvigionamento privilegiati, con un flusso di materiali in entrata con tempi e metodi in linea con le esigenze dell'impresa centrale, con una qualità più controllata e maggiori possibilità di adattamento alle esigenze del cliente; attraverso l'integrazione a valle, consente di avere canali di distribuzione privilegiati e quindi di raggiungere meglio il mercato obiettivo; di creare integrazioni orizzontali nella stessa area di business per aumentare la capacità produttiva e quindi la quota di mercato; di diversificare l'attività, creando più linee di business per puntare su nuovi segmenti di mercato con imprese create ad hoc, in modo da diluire i rischi e non ledere l'immagine dell'azienda principale nel caso di fallimento.
Ricerca, tecnologia e PA in rete per le imprese
Le alleanze tra le imprese e tra queste e gli istituti di ricerca e gli enti destinati all'innovazione è per la maggior parte delle aziende italiane - di tutte le dimensioni - non più un'opzione, ma una necessità per sopravvivere e reggere alla pressione competitiva globale. Nel nostro Paese, i sistemi locali e i sistemi di filiera di fornitura hanno alle spalle una storia di successo di diversi decenni. Ma oggi questo tipo di aggregazioni non è più sufficiente. In una fase in cui il sapere ha assunto un ruolo fondamentale, è necessario creare sistemi che catturino la conoscenza laddove è e ne consentano l'uso su scala dimensionale allargata per ammortizzare i consistenti investimenti connessi agli sviluppi dell'innovazione.
I dati dell'indagine Met (Nota 4) raccolti nel corso dell'estate 2009 evidenziano che quasi la metà delle imprese venete che svolgono attività di ricerca e sviluppo hanno rapporti di collaborazione in materia con soggetti esterni. In generale la preferenza degli imprenditori va alla cooperazione con le Università, sia venete (9,6%) (Nota 5), che di altre regioni (9,7%), sia estere (2,9%). Viene sempre privilegiata la forma più vicina territorialmente: il 5,0% di imprese che nel 2009 svolgono attività di ricerca e sviluppo, lo fanno con imprese venete, il 4,1% con laboratori nella stessa regione.
Tale attività è risultata negli ultimi anni in particolare evoluzione nella regione. Nel 2007 (Nota 6) in Veneto sono stati spesi 1.232 milioni di euro in R&S, valore che pone il Veneto in quinta posizione nella graduatoria delle regioni italiane, ma in seconda posizione in termini di evoluzione: con l'aumento del 29,4% rispetto all'anno precedente, è seconda soltanto alla Provincia Autonoma di Bolzano e alla Valle d'Aosta che presentano però valori decisamente più bassi. Il 59,3% di tale spesa è attribuibile alle imprese.
Soprattutto a favore delle imprese sono anche le riforme che coinvolgono la Pubblica Amministrazione, le Camere di Commercio, gli Enti dedicati all'internazionalizzazione e i Centri per l'Impiego. Grazie allo Sportello Unico per le Attività Produttive (Nota 7) si è ad esempio notevolmente semplificato il rapporto fra impresa e Pubblica Amministrazione, e molto si sta ancora facendo in tal senso. Una burocrazia più snella facilita il fare impresa: basta ora rivolgersi a un solo ufficio per l'adempimento delle complesse pratiche amministrative necessarie per lo svolgimento dell'attività economica; districarsi fra le varie leggi diventa meno oneroso; diminuiscono i tempi di attesa e i costi; viene migliorata l'attività di coordinamento fra le diverse autorità competenti.
Analogamente, si rafforza l'efficienza della rete delle Camere di Commercio a sostegno delle economie locali. Non solo, si promuove una maggiore collaborazione fra questi enti e tutte le istituzioni impegnate per lo sviluppo del territorio. Le Camere di Commercio devono porsi soprattutto quali punti di raccordo fra le unità produttive e le istituzioni, anche scolastiche, al fine di incentivare l'occupazione. In tale direzione si muovono ad esempio i Centri per l'Impiego, elementi fondamentali della rete dei servizi per l'inserimento e la riallocazione occupazionale, in special modo in questo difficile momento congiunturale.
Vivere la rete lavorativa
Nell'ambito del lavoro, nonostante non si possano trascurare e sottovalutare i risultati ottenuti in questi anni nel nostro Paese, molti obiettivi della Strategia di Lisbona sono lontani dall'essere stati raggiunti, e con la crisi dell'ultimo periodo le possibilità si sono ancor più ridotte.
Nel 2009 il numero di occupati diminuisce in maniera significativa e aumentano con forza le persone in cerca di lavoro. Dalla fine del 2008 la disoccupazione ha iniziato a crescere ovunque, allontanandosi così dall'obiettivo prestabilito di ridursi significativamente entro il 2010: nell'UE27 il tasso di disoccupazione è tornato a crescere registrando nel 2009 un valore pari all'8,9%. Tra il 2008 e il 2009 i Paesi più in difficoltà sono la Spagna e gli Stati Baltici con, rispettivamente, un tasso di disoccupazione per la prima pari al 18%, quasi sette punti percentuali in più dell'anno precedente, e tra circa il 14% e il 17,6% per i secondi, tra gli otto e i dieci punti percentuali in più del dato del 2008. Migliore la situazione dell'Italia dove le persone in cerca di lavoro nel 2009 sono il 7,8% delle forze lavoro, poco più di un punto percentuale al di sopra del dato dell'anno prima; il Veneto ritorna ai valori registrati all'inizio del duemila e presenta un tasso pari al 4,8% contro il 3,5% del 2008, comunque, il terzo valore più basso tra le regioni italiane, a pari merito con l'Emilia Romagna.
Sia in Italia che in Veneto nel 2009 diminuiscono poi i tassi di occupazione, allontanandosi ancora di più dalla possibilità di raggiungere i target fissati dalla strategia di Lisbona che prevede per l'Unione Europea di raggiungere un livello occupazionale del 70% entro il 2010. L'Italia, che ha sempre registrato livelli occupazionali piuttosto bassi, passa dal 58,7% del 2008 al 57,5% del 2009, mentre in Veneto, che si pone costantemente su livelli occupazionali significativamente superiori alla media nazionale, nel 2009 la quota di popolazione fra i 15 e i 64 anni che risulta occupata è pari al 64,6%, 1,8 punti percentuali in meno del dato registrato nell'anno precedente.
E' da notare che sebbene tanto il tasso di occupazione veneto quanto quello italiano siano ritornati ai valori registrati quattro anni fa, nell'ultimo trimestre del 2009 nella nostra regione l'occupazione torna a salire registrando un tasso pari al 64,5% contro il 63,9% del III trimestre.
La crisi economica e finanziaria ha inciso pesantemente sulle finanze pubbliche, sulle imprese, sul mondo del lavoro e sulle famiglie. Donne, stranieri e giovani sono le persone più a rischio ad uscire dalla rete lavorativa: non solo sono quelli che trovano generalmente maggiori difficoltà nella ricerca di un lavoro, ma anche quelli che in situazioni di crisi rischiano di più di rimanere a casa.
Se consideriamo, ad esempio, quanti beneficiano dei sussidi di disoccupazione ordinaria non agricola in Veneto, che copre il 73,6% del totale sussidi richiesti nella nostra regione nel 2009, i percettori sono per il 53,7% donne, il 20,4% sono giovani sotto i 30 anni e quasi una persona su quattro è straniera.
In relazione al problema dell'integrazione degli immigrati presenti nel territorio regionale, la Regione del Veneto ha attivato alleanze territoriali per la realizzazione di numerosi progetti finalizzati al buon inserimento della popolazione extra-comunitaria nel contesto socio-lavorativo veneto. Tali progetti hanno previsto la collaborazione fra diversi soggetti pubblici e privati, soprattutto gli Enti locali, gli istituti scolastici, le organizzazioni produttive e del lavoro, le associazioni di volontariato e di rappresentanza delle comunità degli immigrati.
Proiezioni istituzionali internazionali
Sostenere le persone nei loro percorsi di sviluppo è infatti una delle finalità perseguite da sempre dall'Amministrazione regionale, fin dalla sua istituzione, come con l'approvazione della L.R. 2/2003. Infatti la Regione del Veneto, in collaborazione con altre amministrazioni pubbliche, enti e associazioni, opera per la diffusione all'estero della propria cultura e dei propri valori sostenendo e valorizzando l'attività dei propri corregionali emigrati e dei loro discendenti. Si è creata nel tempo una rete di persone, di istituzioni, di soggetti economici, di comunità di origine veneta stabilitesi nei cinque continenti e la nostra Regione che si prefigge di sviluppare rapporti con la terra di origine. Il maggior numero di tali comunità, i circoli veneti, si è costituito ed è presente in Brasile, Svizzera, Australia, Argentina e Canada.
Un'accezione di rete estesa territorialmente ad un ambito internazionale porta alla considerazione della necessità di operare in collegamento con gli organismi internazionali. Questi, anch'essi oggetto di riforma, perseguono l'obiettivo di rendere più efficienti e adeguate alle nuove esigenze di mercato globale i soggetti economici nazionali in Italia e all'estero. In questa prospettiva, la Regione Veneto ha da tempo intrapreso un percorso di rafforzamento del proprio ruolo internazionale, con un impegno in costante crescita nel reperire risorse ed intessere relazioni. Ciò ha dato luogo alla realizzazione di innumerevoli progetti oltre confine in sinergia con altre Regioni, Enti e organismi nazionali e sovranazionali.
Ad esempio dall'introduzione della legge regionale n. 55/1999, la Regione del Veneto ha contribuito finanziariamente a 642 progetti di cooperazione allo sviluppo realizzati in ogni parte del mondo, principalmente in America centro-meridionale, in Europa orientale, in Medio Oriente e in Africa, per il miglioramento delle condizioni socio-sanitarie, lo sviluppo dell'agricoltura, la valorizzazione della condizione femminile e dell'infanzia, l'istruzione e la formazione professionale, il potenziamento dei servizi e delle infrastrutture.
Inoltre da uno sguardo alla performance del territorio veneto nell'ambito della cooperazione territoriale europea durante la precedente programmazione 2000-2006, si evidenzia la realizzazione di 285 progetti, finanziati nei vari programmi Interreg che hanno attivato 427 partenariati. Queste azioni di intervento comune sono state indirizzate a rafforzare il dialogo e la conoscenza reciproca tra i Paesi partecipanti, contribuendo altresì ad aumentare la responsabilità delle Istituzioni e dei partner privati su argomenti condivisi di rilievo per l'intero territorio europeo. Il periodo di programmazione attuale, che si concluderà nel 2013, vede confermarsi il trend già descritto.
In tutti i settori il modello strategico adottato per raggiungere gli obiettivi prefissati si fonda sulla promozione di reti formate da diversi attori, sia in ambito istituzionale sia sul fronte delle imprese e dell'associazionismo, a livello nazionale e non. Le reti, pertanto, non sono un fine, ma un mezzo per rispondere alla pluralità di domande e bisogni di cui persone, imprese e istituzioni sono portatrici (Lanfranco Senn, 2009).
In generale, si riconosce la necessità di un'azione pubblica che sappia sfruttare appieno le potenzialità del territorio, sostenendo quelle che sono le tendenze più promettenti, per fronteggiare la crisi economica in atto portandosi verso condizioni di maggiore competitività, modernizzazione ed efficienza.
L'efficienza della PA
Le riforme che hanno coinvolto la Pubblica Amministrazione (PA) a partire dagli anni '90 ne hanno profondamente trasformato la struttura e l'organizzazione, orientandola verso una sempre maggiore funzionalità. Tra queste si ricordano: l'introduzione del principio di sussidiarietà, la semplificazione, la trasparenza amministrativa, la privatizzazione del lavoro pubblico, il processo di informatizzazione, quindi il decentramento di funzioni agli enti più vicini al cittadino. Parallelamente si è andata affermando la tendenza alla riduzione del personale addetto al settore della PA. Nel 2008 sono 1.404.664 i dipendenti delle Amministrazioni periferiche in Italia mentre 1.970.667 quelli delle Amministrazioni centrali. Relativizzando tali numeri alla popolazione, a livello nazionale sono 5,6 i dipendenti pubblici ogni 100 abitanti, mentre in Veneto 4,8, a conferma della politica organizzativa all'insegna di una maggiore economicità in termini di risorse umane.
Il rapporto tra la spesa della PA e il PIL riserva al Veneto il primo posto della classifica di virtuosità tra le Regioni italiane: con riferimento all'anno 2007, il settore pubblico della nostra regione spende il 34,9% del proprio PIL, contro una media italiana del 46,5%. Il trend rispetto al 2000 è decrescente sia su scala nazionale che regionale: 1,7 punti percentuali in meno nel primo caso e 1 punto percentuale nel secondo.
L'efficienza della PA è sicuramente crescente grazie alla diffusione della tecnologia al suo interno e ai servizi on-line offerti all'utenza. La diffusione di internet è pressoché capillare un po' in tutti i comuni italiani: il 99,9% sono connessi alla rete; tra questi il 58,9% è dotato di una connessione a banda larga. Anche in Veneto tutti i comuni sono collegati ad internet, la percentuale di quelli che possiedono anche il sistema a banda larga è pari a 69,3, valore che pone la regione al settimo posto nel panorama nazionale.
Molti dei servizi di pubblica utilità non sono però offerti direttamente dalla PA, che si occupa prevalentemente dei servizi non destinabili alla vendita, bensì da enti strumentali, società partecipate o altro, che rappresentano il Settore extra PA e, assieme alla PA stessa, costituiscono il Settore pubblico allargato.
Le public utility
Tali tipi di servizi vanno sotto il nome di public utility e sono, ad esempio, la distribuzione di energia e gas, la raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, il ciclo integrato dell'acqua.
Entrando nel dettaglio dei singoli servizi offerti, quello di fornitura dell'energia elettrica è giudicato complessivamente molto o abbastanza soddisfacente da quasi l'87% delle famiglie venete e dall'88% di quelle italiane, mentre quello di fornitura del gas rispettivamente dal 90,4% e dal 91,8%. Per quanto attiene invece al servizio di erogazione dell'acqua, solo il 9% delle famiglie venete avverte problemi a esso connesse contro l'11,5% della media nazionale.
Il Veneto, nel 2007, è la seconda regione italiana, dopo il Trentino Alto Adige, per la maggior percentuale di rifiuti urbani raccolti in modo differenziato superando il 51%, valore che ha anticipato di 2 anni il target del 50% fissato per il 31 dicembre 2009 in base alla normativa vigente. Tale valore pone la regione molto avanti anche rispetto alla media nazionale, ferma ancora al 27,5%.
Prioritario il settore energetico
Si riconosce ormai di fondamentale importanza l'intervento nel settore energetico, dove attualmente l'Italia dipende dall'estero per la maggior parte dei suoi consumi e il costo dell'elettricità è molto superiore anche rispetto agli altri paesi; senza contare che, come abbiamo visto, dal lato della sostenibilità e della salvaguardia dell'ambiente, l'attuale consumo energetico produce in Italia elevati tassi di inquinamento.
Per una maggiore indipendenza energetica e, quindi, un contenimento dei costi, la Legge Sviluppo riapre la strada al nucleare e incentiva la produzione di energia "pulita" da impianti eolici, fotovoltaici e a biomasse; il maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili produrrà, a sua volta, un taglio nelle emissioni degli agenti inquinanti. Per abbassare le bollette, verranno inoltre costruite nuove reti elettriche di interconnessione con l'estero, semplificando le procedure di realizzazione e intervento delle reti e delle infrastrutture energetiche. Lo sviluppo più ordinato del sistema elettrico permetterà di abbassare il tasso di congestione della rete. Al riguardo, di trattamenti privilegiati potranno godere i grandi poli industriali, connessi con reti elettriche private.
La rete viene così ad assumere un ruolo chiave nel rilancio dell'economia del paese.
Le interconnessioni del sistema economico
Il processo di globalizzazione dell'economia nell'ultimo decennio ha ancor più accentuato il complesso sistema di relazioni che scavalca i confini geografici, dimensionali o settoriali, attraversa ambiti gestionali e normativi differenti, è trasversale rispetto a diverse strutture sociali e forme di governo. Ne è esempio l'andamento congiunturale dell'ultimo anno: la crisi finanziaria sfociata oltreoceano ha avuto forti ripercussioni su tutte le economie reali locali.
I segnali della ripresa
Soltanto verso la metà del 2009 cominciano ad intravedersi i primi segnali di ripresa economica, dopo le profonde flessioni registrate tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009. Nei mesi estivi il PIL mondiale ha rallentato il ritmo di contrazione per mostrare una stabilizzazione dell'attività economica. Negli ultimi mesi dell'anno le misure di stimolo fiscale, monetario o di sostegno sociale adottate dai vari governi hanno cominciato a dare i propri frutti: nelle economie emergenti hanno consentito un rapido ritorno ai ritmi di sviluppo pre-crisi e nelle economie avanzate hanno accelerato il recupero.
Il 2009 alla fine si chiude con un ridimensionamento di 0,8 punti percentuali della ricchezza mondiale, del 2,4% del PIL statunitense, del 4,1% del PIL nell'area euro.
In Italia le tendenze sono moderatamente favorevoli, si intravede la ripresa, ma appare molto lenta e discontinua: dopo i segnali positivi del terzo trimestre, l'ultimo scorcio dell'anno chiude in flessione. L'analisi del ciclo economico italiano evidenzia una recessione non particolarmente lunga rispetto alle crisi dei primi anni '80 e dei primi anni 2000, ma intensa: la flessione è stata ampia non soltanto in termini di Prodotto Interno Lordo e delle sue componenti di domanda e offerta, ma anche rispetto alla produzione industriale ed alle vendite. L'Italia chiude il 2009 con un -5,1% di PIL; come la Germania, ha registrato forti perdite produttive causate dal calo degli scambi internazionali per la forte presenza dell'industria manifatturiera che la caratterizza.
I dati ufficiali di contabilità regionale si fermano all'anno 2008, quindi all'inizio della recessione internazionale, quando il Prodotto Interno Lordo del Veneto ha avuto una riduzione dello 0,8%. Nel contesto nazionale l'economia veneta ha tenuto maggiormente rispetto alla media (-1,3%) (Nota 8) e ai territori considerati suoi competitor, Lombardia, Piemonte. Anche nel 2008 il Veneto si è confermata la terza regione italiana nel contributo al PIL nazionale: la quota del PIL veneto sul totale nazionale è stata 9,4%, superata dal Lazio (10,9%) e dalla Lombardia (20,7%). A tale risultato si è arrivati grazie allo sviluppo dell'agricoltura e alla solidità del comparto dei servizi, al contrario il contributo dell'industria è stato negativo.
La maggiore apertura verso i mercati esteri rende l'economia veneta più sensibile alle dinamiche del commercio mondiale e ciò spiega il forte rallentamento dell'export (Nota 9) subito nell'ultimo anno: nel 2009 la regione subisce una perdita del 20,6% rispetto all'anno precedente, in linea con la dinamica nazionale e delle altre principali regioni (Lombardia -20,9%, Emilia Romagna -23,3%, Piemonte -21,6%). Il saldo commerciale regionale continua ad essere positivo, oltre 8 miliardi e 500 milioni di euro nell'ultimo anno, e presenta valori estremamente positivi nei comparti della meccanica (5,4 miliardi in attivo), delle altre produzioni manifatturiere - mobili, gioielli, articoli sportivi e forniture mediche - (+3,9 miliardi), della moda (+2,1 miliardi) e degli apparecchi elettrici (+1,9 miliardi), in passivo invece per ciò che riguarda il settore dei mezzi di trasporto (-3,9 miliardi).
La rete agroalimentare veneta
Il settore agricolo, quindi, ha mostrato di reggere il confronto con le difficoltà di questo periodo. Una consolidata rete di rapporti all'interno della filiera agroalimentare esiste da tempo e forse è questo uno degli elementi che ha permesso al settore di resistere meglio: esempi ne sono i distretti agroalimentari, come il Metadistretto della zootecnia e quello del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene noto per l'altissima qualità della sua produzione, i consorzi agrari e le strutture cooperative che coinvolgono il comparto cerealicolo, le organizzazioni dei produttori del comparto ortofrutticolo, la nascita di "Siquria srl", società che esegue certificazioni di vini ed uve in alcuni comprensori veneti, nata dalla capacità di mettersi in rete delle aziende vitivinicole.
Ulteriori reti si esplicano in alcune attività di "filiera corta", sia dalla parte della domanda che dell'offerta: i mercati degli agricoltori che evidenziano la capacità dei produttori agricoli di agire in sinergia e proporre ai consumatori prodotti agricoli di qualità a prezzi inferiori rispetto al negozio e i consumatori stessi che attraverso i Gruppi di Acquisto Solidale stanno dando il via ad una nuova mappa dell'economia domestica, non solo allo scopo di ottenere condizioni di prezzo vantaggiose e garanzie di qualità ma anche di costruire una rete di solidarietà tra il gruppo e i produttori, che solitamente vengono scelti secondo criteri del rispetto dell'ambiente, dell'etica e dell'equità.
La rete distributiva
La maggior vicinanza al consumatore risulta una caratteristica che favorisce anche i piccoli esercizi di quartiere, che garantiscono un maggior rapporto di fiducia tra venditore e cliente. Questi però spesso non riescono a competere in termini di convenienza di prezzo sulla merce che supermercati, ipermercati e grandi magazzini riescono a praticare, sfruttando le grandi quantità di prodotto commercializzate. Le ultime tendenze sembrano però dimostrare un "ritorno alla prossimità" (Nota 10), ossia un rallentamento delle nuove aperture di grandi superfici, specializzate e non, alla riduzione della metratura media dei negozi più grandi, al successo dei formati medio-piccoli all'interno delle grandi città, alla nuova ondata di affiliazione di negozi indipendenti medio-piccoli all'interno di grandi catene.
Nel quadro economico regionale, il comparto commerciale, in termini di imprese attive, rappresenta stabilmente oltre un quinto di tutte le attività economiche, la quota più alta tra le imprese di tutto il terziario.
Le imprese commerciali del Veneto, quinta regione per quota sul totale del commercio italiano, dopo Lombardia, Campania, Lazio e Sicilia, si collocano in un contesto nazionale diminuito nell'ultimo anno dello 0,4%. Nonostante il deteriorarsi delle condizioni del mercato internazionale e il conseguente calo dei consumi abbiano avuto effetti anche sulla distribuzione commerciale, il settore ha chiuso l'anno 2009 con maggior stabilità in confronto alle dinamiche dell'intera economia veneta: il commercio in Veneto ha fatto segnare nell'ultimo anno una variazione delle imprese attive vicina allo zero, precisamente -0,2%, quando in media le imprese attive venete sono diminuite nell'ultimo anno dello 0,9%.
Le sinergie nel settore turistico
Il turismo continua sempre a costituire uno dei punti di forza dell'economia del Veneto. Si consideri il valore aggiunto del solo settore degli alberghi e dei ristoranti, che nel 2007 in Veneto è risultato superiore a sei miliardi di euro, 11,5% del valore nazionale, quota seconda solo alla Lombardia. Tra l'altro il peso che il settore alberghi e ristoranti riveste nell'intera economia, sempre in termini di valore aggiunto, è nel Veneto maggiore di quello che si registra a livello nazionale (4,6% contro 3,8%).
Nel 2009 il turismo veneto ha fatto sistema: il Metadistretto turistico, primo in Italia e con oltre 1.500 iniziali adesioni, rappresenta ora la ricca e frammentata filiera di produzione ed erogazione di servizi turistici. Si vogliono intraprendere azioni sinergiche per superare uniti il periodo di crisi e sorpassare la concorrenza. Nell'anno appena concluso, nonostante la critica situazione congiunturale e le difficoltà internazionali, il sistema turistico veneto ha così saputo reagire, e il flusso di turisti appare sostanzialmente allineato con quello dell'anno precedente, seppur con una lieve flessione: il numero di arrivi è diminuito dell'1,3%, che corrisponde a una contrazione di circa 185 mila unità, mentre le presenze si confermano superiori alla considerevole cifra di 60 milioni (-0,3%). L'aumento dei flussi turistici, ripreso dal 2005 con tassi di crescita rilevanti, è stato frenato nel 2008, ma l'arresto è stato meno pesante di quello registrato nel resto d'Italia e da altri nostri competitors europei.
I turisti tradizionalmente più affezionati alla variegata offerta proposta dalla nostra regione, tedeschi e austriaci, risultano nel 2009 notevolmente aumentati sia nel numero sia nei pernottamenti e gli incrementi, superiori al 10%, hanno fatto recuperare abbondantemente le perdite registrate nel 2008. Anche olandesi, svizzeri, cechi e belgi hanno manifestato un interesse crescente al soggiorno in Veneto. Si nota invece un forte calo di turisti sia inglesi (-21,4%) che americani (-9,8%), che hanno subito più pesantemente gli effetti della crisi economica globale. Sul fronte italiano i veneti continuano ad essere assidui frequentatori di località turistiche della propria regione: in accordo con la tendenza in atto di raggiungere mete vicine e per periodi sempre più brevi, i classici week-end fuori città, aumenta il numero di arrivi (+1,7%) mentre diminuisce quello delle presenze (-0,7%).
La tenuta del settore turistico, in termini di presenze, appare sostenuta da una buona annata del settore extralberghiero (+2,1%), a fronte di perdite del settore alberghiero (-3,0%). L'andamento dei flussi delle strutture tradizionali risulta correlato alla categoria: la perdita è maggiore quando la categoria è bassa e si attenua al crescere del numero di stelle, per giungere a variazioni positive registrate solo negli hotel di più alta categoria. Sembra che la crisi stia operando una selezione e che solo l'alta qualità abbia continuato a trovare conferme, ampliando anche la propria clientela verso nuovi mercati. Se fondamentale rimane il ruolo svolto dalle strutture tradizionali, si nota però un incremento di notevole entità di clienti che scelgono la vacanza in campeggio o in agriturismo: in un solo anno, tra il 2008 e il 2009, si è registrato un aumento dei pernottamenti rispettivamente del 4% e dell'8%, variazioni che seguono un trend in continua crescita.
Sul fronte del turismo straniero nel 2009 il Veneto si conferma la seconda regione italiana per entrate economiche, fatto questo da attribuire all'elevato flusso di turisti. La durata del soggiorno risulta invece una delle più brevi se paragonata a quella delle altre regioni italiane e la spesa pro capite si aggira attorno ai 399 € contro i 454 € di una vacanza in Italia.
La multilevel governance
I contenuti conoscitivi della terza parte del Rapporto, I servizi e le reti istituzionali, riguardano una molteplicità di soggetti e di reti, in una fitta trama che vede come protagonista la Regione come snodo centrale delle relazioni istituzionali, viste sia verso il livello locale, che come elemento di continuità con il livello centrale ed internazionale, secondo la logica della multilevel governance, la nuova forma di governo che si pone alla base di un modus operandi moderno. Il termine "governance" (governabilità) si pone in contrapposizione a quello di "government" (governo), di cui ne è l'evoluzione, tendendo a descrivere un modello di formulazione e gestione delle politiche pubbliche in cui lo Stato non è più l'unico attore coinvolto e le relazioni di controllo gerarchico dall'alto verso il basso perdono la loro centralità.
La governance multilivello è il modello politico attualmente utilizzato nell'Unione Europea, che ne ha dato risonanza nel suo "Libro bianco" (2009). Celebre è la dichiarazione di Berlino, ad opera dei capi di Stato e di governo a cinquant'anni dalla firma dei Trattati di Roma, del 25 marzo 2007: "Molti obiettivi non possono essere conseguiti con un'azione individuale: la loro realizzazione ci impone un'azione collettiva. L'Unione Europea, gli Stati membri e le loro regioni e comuni si dividono i compiti". Questa affermazione sta a significare che l'Europa potrà essere un continente forte solo con una gestione equiparata e condivisa dei poteri fra le varie parti: solamente una stretta cooperazione fra i diversi livelli di governance nella formulazione delle politiche e della legislazione renderà efficace l'azione pubblica. Tale sistema condiviso vuole esserlo sia in senso verticale, con l'interazione fra enti regionali e locali, governo nazionale e Unione Europea, sia in senso orizzontale, favorendo il dialogo sociale e la partecipazione attiva dei cittadini nelle questioni di interesse politico europeo, come abbiamo in parte messo in luce in questa breve sintesi.
Le caratteristiche organizzativo-strutturali e funzionali dei soggetti e delle reti sociali e la qualità e quantità dei relativi prodotti (decisioni e prestazioni sociali) influiscono in maniera rilevante sia sui livelli di benessere e di qualità della vita della popolazione sia sulle variabili strumentali della produzione economica. Informazioni pertinenti e affidabili su stato e dinamica di questo segmento del sistema sociale sono un'importante potenziale risorsa ai fini delle decisioni di strategia sociale da assumere nei processi di pianificazione dello sviluppo ai vari livelli comunitari, cioè per le scelte di cambiamenti strutturali e di processo da apportare alle variabili strumentali della partecipazione sociale in senso lato.
In rete per la salute e per i servizi sociali
Nell'ambito della salute tutti i soggetti che si occupano di migliorare il benessere fisico, psichico e sociale, cioè il benessere globale della persona, hanno come obiettivo comune quello di rispondere ai bisogni del cittadino e offrire servizi per la salute del singolo e della comunità. Un cittadino ritenuto sempre più protagonista attivo, quindi, responsabile delle proprie scelte di salute e che deve essere posto nelle condizioni di poter adottare stili di vita sani. Tali condizioni, pur influenzate da comportamenti individuali, sono fortemente sostenute dall'ambiente di vita e da quello sociale.
In quest'ottica si inserisce il programma Guadagnare Salute, promosso dal Ministero della Salute e nato dall'esigenza di diffondere e facilitare l'assunzione di comportamenti che influiscono positivamente sullo stato di salute della popolazione. Guadagnare Salute segna un momento di forte cambiamento nelle strategie di prevenzione e di salute: viene formalmente adottato dal governo italiano un approccio più ampio di intervento, un nuovo modo di lavorare, che mira a promuovere la salute come bene collettivo, tramite l'ottimale integrazione tra le azioni che competono alla collettività e quelle che sono responsabilità dei singoli individui.
La Regione del Veneto è impegnata anche in altri interventi di prevenzione e promozione della salute che bene rispondono all'esigenza di far rete, come ad esempio il programma di prevenzione cardiovascolare primaria nella popolazione sana, visto che le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte. Il programma prevede modalità organizzative simili ai programmi di screening oncologici e vede la costruzione di una rete che coinvolge dipartimenti di prevenzione, medici di medicina generale, specialisti, ospedali, associazioni di pazienti, enti locali e università.
Anche il modello veneto di welfare, definito dalla legislazione regionale nell'arco di un ventennio (Nota 11), si caratterizza per l'integrazione delle politiche sociali con quelle sanitarie e per l'integrazione delle attività svolte da soggetti pubblici e privati sia all'interno del Comune che a livello intercomunale.
L'integrazione socio-sanitaria si è concretizzata per mezzo della realizzazione di un sistema di erogazione di servizi sociali e servizi a elevata integrazione socio-sanitaria, della loro gestione unitaria in ambiti territoriali omogenei, corrispondenti a quelli definiti per le unità locali socio-sanitarie, e attraverso la delega da parte dei Comuni della gestione dei servizi stessi all'Azienda Ulss o, alternativamente, la stipula di accordi di programma tra gli enti interessati. La strategia dell'integrazione ha trovato realizzazione, inoltre, nel coinvolgimento del terzo settore nei processi di programmazione locale e nella gestione dei servizi, nella collaborazione e partecipazione dei soggetti privati nella gestione del servizio socio-sanitario regionale e nella erogazione delle prestazioni alla collettività.
Nel modello veneto è stata dunque privilegiata la strategia di integrazione tramite delega di gestione all'Azienda Ulss di una parte delle funzioni socio-sanitarie, lasciando alla facoltà dei Comuni la possibilità di ulteriori deleghe di gestione, fino a un conferimento complessivo di tutte le attività di interesse socio-sanitario.
Il federalismo funzionale
La delega per lo svolgimento di determinate funzioni è oggi il principale strumento utilizzato a livello istituzionale locale per migliorare e razionalizzare la funzionalità dei servizi. E' infatti andata aumentando negli ultimi anni la possibilità per gli enti locali di relazionarsi tra loro in maniera strutturata, attivando una o più forme associative, organizzate per ambiti territoriali ottimali, costituiti in base alla contiguità spaziale e/o alla tipologia di funzioni/servizi da gestire su delega degli enti che ne fanno parte. Il modello relazionale degli enti locali del Veneto prevede la compresenza di una pluralità di forme di questo tipo, più o meno forti: la Convenzione, il Consorzio, l'Unione dei Comuni e la Comunità Montana.
L'associazionismo intercomunale ha iniziato a svilupparsi nel Veneto - così come nelle altre regioni italiane, soprattutto del nord - a partire dal 2000 in attuazione del D.Lgs. 267/2000 (TUEL - Testo Unico degli Enti Locali), ed è stato finalizzato a ridurre i costi della frammentazione istituzionale (i piccoli e i piccolissimi Comuni) nonché a costituire aree territoriali adeguate alla gestione delle funzioni e dei servizi propri di ciascun livello istituzionale. Con tale legislazione favorevole si sono così creati i presupposti per la realizzazione di un federalismo funzionale che vada di pari passo con l'attuazione del federalismo fiscale.
Il fenomeno della rete intercomunale interessa oggi oltre il 70% dei Comuni veneti, partecipanti a una o più forme di associazione. Prendendo in esame tutte le principali forme associative, presenti nel Veneto al 31 dicembre 2009, il 73% dei Comuni è coinvolto in una gestione associata delle funzioni/dei servizi comunali.
I piccoli Comuni, compresi nella fascia demografica fino a 5 mila abitanti, scelgono in prevalenza la Comunità Montana (il 41%) e la Convenzione (il 35%) come forma di gestione associata delle proprie funzioni e dei servizi. Comunque, una frazione rilevante (il 21%) sceglie anche l'Unione dei Comuni, la quale trova maggiore adesione proprio nella categoria dei Comuni più piccoli: il 65% dei Comuni associati in Unioni ha meno di 5 mila abitanti (la percentuale sale addirittura al 95% a livello nazionale). La forma associata del Consorzio è, invece, particolarmente diffusa nell'insieme dei Comuni con una popolazione compresa fra 5 e 15 mila abitanti: più della metà dei Comuni associati attraverso il Consorzio appartiene a questa categoria.
Per quanto concerne le funzioni gestite in forma associata (Nota 12), quelle svolte con maggior frequenza da parte di tutte le tipologie di associazione riguardano la gestione del territorio, l'ambiente e la viabilità. Specificamente per ciascuna forma associativa, altre funzioni esercitate frequentemente sono i servizi sociali per le Unioni dei Comuni; l'amministrazione e la contabilità per le Comunità Montane; i servizi informatici e statistici per le Convenzioni e i Consorzi.
Modelli di governance locale
La Regione Veneto ha avviato da alcuni anni un percorso volto a costruire una "rete" interistituzionale per la sicurezza urbana e territoriale che garantisca il massimo coordinamento operativo tra i diversi soggetti impegnati nelle politiche di sicurezza urbana. Il confronto ed il conseguente coordinamento con le forze di polizia nazionali (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza), grazie alla loro strutturazione verticistica, è stato da sempre caratterizzato dalla univocità di referenti e dalla immediatezza dei rapporti, dovuti alla precisa definizione di ruoli e competenze a livello regionale, provinciale e locale.
Negli anni si è manifestata la necessità di individuare e sperimentare una più efficace modalità di raccordo con le Polizie Locali, che da un lato agevolasse il confronto con la Regione e dall'altro consentisse una concreta e stabile integrazione con le Polizie Nazionali.
Si è inteso quindi procedere parallelamente promuovendo una distrettualizzazione delle Polizie Locali del Veneto da un lato e definendo dall'altro rapporti di intesa e collaborazione con lo Stato, quindi con tutte le forze di polizia nazionali presenti sul territorio, fino a giungere al mutuo riconoscimento dei due sistemi. Si sono così gettate le basi di una reciproca integrazione, che ha visto concretamente affermarsi il ruolo di coordinamento istituzionalmente destinato alla Regione, quale snodo di raccordo delle politiche volte al mantenimento della civile convivenza ed al contrasto della criminalità.
Nel corso dell'ultimo decennio, anche in virtù della modifica del Titolo V della Costituzione, l'attenzione verso il settore della Polizia Locale si è imposta alle Regioni e questo ha comportato un graduale mutamento delle competenze e delle caratteristiche con cui precedentemente si identificavano i "vigili". In virtù di questo nuovo assetto costituzionale e delle relative leggi di attuazione, la Regione vede attribuita in via esclusiva la potestà legislativa in materia di Polizia Locale, seppur rimanendo la stessa una funzione esercitata dagli Enti Locali in forma singola o associata.
Per ciò che riguarda la popolazione coinvolta in questo nuovo modo di gestire il servizio, nel 2010 al 62% della popolazione veneta viene offerto dai Comuni un servizio gestito in forma associata, consolidando così una struttura orientata al "modello veneto" di gestione della Polizia Locale. Sono invece 184 i Comuni che esercitano il servizio in forma singola - il 38% della popolazione totale, corrispondente a 1.835.312 abitanti -, ma se si considera che, nell'ambito della zonizzazione, tre dei sette Comuni Capoluogo (Treviso, Padova, Vicenza), pur avendo deciso di gestire il servizio di Polizia Locale in forma singola, hanno aderito tuttavia come protagonisti alle logiche di coordinamento e raccordo sancite dalla zonizzazione della Polizia Locale, al pari degli altri distretti, il fenomeno associativo assume ancora maggior rilievo. Occorre inoltre precisare che sono aderenti alle logiche della zonizzazione, quali poli di ulteriore raccordo sul territorio, anche le sette Province Venete con i rispettivi comandanti di Polizia Provinciale.
Anche la Protezione Civile è un sistema interconnesso: ognuna delle sue componenti (Dipartimento della Protezione Civile, Ministeri, Vigili del Fuoco, Soccorso Sanitario 118, Forze di Polizia, Regioni ed Enti Locali, Organizzazioni di volontariato, Comunità scientifica, ecc.) forma una maglia della rete chiamata ad intervenire.
A partire dalla necessità di fornire una risposta unitaria ed organizzata in caso di evento calamitoso, le attività svolte in questi anni hanno consentito di creare una sinergia tra i diversi soggetti che operano in questo campo, coinvolgendo le risorse materiali ed umane dedicate, le istituzioni locali e soprattutto i volontari di Protezione Civile, adeguatamente formati ed attrezzati: ad oggi si contano 360 Organizzazioni di Volontariato iscritte all'Albo regionale di Protezione Civile, per un totale di oltre 16 mila volontari.



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I dati elaborati dall'Ufficio di Statistica della Regione Veneto sono patrimonio della collettività; si autorizza la riproduzione a fini non commerciali del presente materiale con la citazione della fonte "Regione Veneto - U.O. Sistema Statistico Regionale".
La traduzione in inglese è a cura del Centro Linguistico di Ateneo dell'Università di Padova.