RAPPORTO STATISTICO 2009

Il Veneto si racconta / Il Veneto si confronta

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Presentazione  Presentazione  

Sintesi

Dove va il Veneto, nuovi paradigmi della mobilità



Il Veneto si racconta

Capitolo 1

Cicli e struttura del sistema economico
La congiuntura
La mobilità del sistema economico
I numeri raccontano

Capitolo 2

I flussi commerciali e l'impresa mobile
Le merci in entrata e in uscita
L'impresa veneta mobile
I numeri raccontano

Capitolo 3

Dinamicità del tessuto produttivo
La congiuntura per le imprese
La ricomposizione settoriale
La mobilità delle imprese: innovazione, sopravvivenza
La dinamica territoriale
I numeri raccontano

Capitolo 4

Le facce della mobilità
La mobilità reale
La mobilità virtuale
Gli spostamenti per motivi di cura
I numeri raccontano

Capitolo 5

Il lavoro: un mercato in movimento
I diversi volti dell'occupazione
La flessibilità dei lavoratori
I numeri raccontano

Capitolo 6

Competizione sociale tra vantaggi ereditati e nuove opportunità
Le trasformazioni nelle classi sociali
Muoversi per colmare le disuguaglianze
I numeri raccontano

Capitolo 7

I poli di sviluppo del capitale umano
L'orientamento alle superiori
L'attrattività universitaria
La mobilità territoriale
I numeri raccontano

Capitolo 8

Popolazione migrante tra passato e presente
I numeri raccontano

Capitolo 9

La cultura si muove nel Veneto
La mobilità dei beni culturali
Lo spettacolo dal vivo
I numeri raccontano

Capitolo 10

Il turismo e i turisti in movimento
Le nuove tendenze
Le vacanze dei veneti
L'economia turistica veneta
I numeri raccontano

Capitolo 11

La mobilità dell'agricoltura
L'evoluzione dell'agricoltura veneta
Le garanzie del sistema alimentare
I numeri raccontano

Capitolo 12

Le foreste: la mobilità di un patrimonio immobile
I numeri raccontano



Il Veneto si confronta

Capitolo 13

Il Veneto e le sue province

Capitolo 14

Il Veneto, i competitor e le regioni europee


6.1 - Le trasformazioni nelle classi sociali

I profondi cambiamenti avvenuti in campo economico e occupazionale in Italia dal dopoguerra ad oggi hanno contribuito a modificare in maniera significativa la struttura sociale del Paese. Il processo di industrializzazione prima e quello di terziarizzazione dopo hanno determinato innanzitutto una forte contrazione delle classi agricole di ogni livello, sia proprietari di azienda che lavoratori dipendenti; fino ai primi anni '70 si assiste ad una consistente crescita della classe operaia, successivamente tale condizione sociale, pur rimanendo quella più diffusa, registra un rallentamento a favore dell'espansione della classe media impiegatizia. Soprattutto il passaggio da economia rurale a industriale ha modificato profondamente la composizione delle classi sociali, molto più di quanto sia avvenuto nelle successive fasi di consolidamento industriale e di terziarizzazione.
Le stesse trasformazioni hanno investito il Veneto, ma con una intensità e una velocità nell'evoluzione che non hanno paragone in alcuna altra regione italiana. La tabella ripresa da una recente pubblicazione dell'Istituto di ricerche economiche e sociali del Veneto (Ires Veneto) a cura di Anna De Angelini (Nota 1), evidenzia la ricaduta delle trasformazioni economiche sulla composizione delle classi sociali in Veneto e in Italia. (Tabella 6.1.1)
Nel 1951 è ben evidente l'origine rurale della società veneta e le classi agricole rappresentano nel complesso oltre il 40% dell'occupazione regionale, più di quanto osservato mediamente a livello nazionale; spicca soprattutto una maggiore presenza della piccola borghesia agricola, cui viceversa si contrappone una percentuale minore di salariati agricoli. Ad eccezione di alcune limitate aree di concentrazione industriale, il Veneto rimane una regione prevalentemente agricola fino alla fine degli anni '50, per lo più ancora estranea alle dinamiche di sviluppo che già sperimentano, ad esempio, le regioni del triangolo industriale. In questi anni è una delle aree più povere del Paese e il ritardo economico spinge la popolazione, specie quella delle campagne, ad emigrare verso altre zone d'Italia o all'estero. Nessun'altra regione risente di un fenomeno migratorio di dimensioni altrettanto importanti: l'esodo colpisce tutti i comuni minori del territorio, ma soprattutto le aree litoranee e della bassa pianura, dove appunto si concentrano i salariati agricoli.
Ma già negli anni '60 inizia ad arrestarsi l'esodo rurale a partire dai piccoli comuni dell'area centrale, i quali cominciano a muovere i primi passi verso l'industrializzazione che andrà consolidandosi nel corso del decennio successivo. Il nuovo modello di sviluppo industriale si caratterizza per la presenza di imprese di piccole dimensioni che affondano le proprie radici nel mondo rurale. Diversamente da altre regioni italiane, protagoniste in quegli stessi anni del processo di industrializzazione, in Veneto la classe dei nuovi imprenditori industriali si sviluppa proprio dalla piccola borghesia agricola, anziché da quella urbana.
Gli anni '80 e i primissimi anni '90 segnano un momento importante per lo sviluppo economico della nostra regione, si registrano livelli di crescita superiori a quelli di gran parte del Paese e il sistema di piccole imprese si dimostra vincente, resistendo alla crisi che coinvolge invece l'impresa di maggiori dimensioni. Nel contempo, la crescente offerta occupazionale fa invertire la direzione del processo migratorio e il Veneto diventa terra d'immigrazione, richiamando dapprima la manodopera dei lavoratori meridionali e, successivamente, quella dall'estero.
Il ciclo recessivo dei primi anni 2000, che vede coinvolte l'Italia e tutta l'area dell'euro, sollecita un ripensamento del sistema produttivo veneto, tanto che, negli anni della globalizzazione e dell'introduzione della moneta unica, le imprese reagiscono alla perdita di competitività attraverso un processo di selezione e riposizionamento su vasta scala. La piccola impresa si trasforma, viene assorbita da aziende più grandi o diventa essa stessa una società più strutturata, mentre parallelamente si modifica il profilo dell'imprenditore che, se prima rivestiva il ruolo di padrone-accentratore di funzioni, poco incline a delegare le mansioni aziendali, poi sente la necessità di ricorrere a figure e servizi di alta professionalità, anche in outsourcing. In termini di occupazione questo comporta uno sviluppo sostenuto del settore terziario e delle qualifiche ad esso collegate.
Con il tempo, dunque, la composizione sociale va nettamente modificandosi, sebbene il Veneto continui a mantenere determinate caratteristiche che lo differenziano dal tessuto sociale dell'Italia, come una classe operaia urbana più numerosa, soprattutto nel settore industriale e nel commercio, e un peso generalmente minore della borghesia e della classe media impiegatizia. La borghesia veneta rimane meno sviluppata, non tanto per la quota di imprenditori, ma per la minore presenza di professionisti. D'altra parte la particolare struttura insediativa urbana del Veneto, per lo più distribuita in centri di dimensioni ridotte, non ha sempre agevolato e sostenuto lo sviluppo dei servizi e la conseguente domanda di figure professionali terziarie della classe media impiegatizia, tipiche delle grandi città.

Inizio Pagina  La mobilità sociale

I cambiamenti nel mondo del lavoro sono alla base dei processi di mobilità e di ascesa nella scala sociale; in particolare la crescente richiesta di figure professionali sempre più qualificate, specie nei servizi, ha creato sicuramente nuove opportunità, di cui hanno potuto godere anche i figli delle classi sociali più svantaggiate.
Gli studi di mobilità sociale - intesa come il processo mediante il quale gli individui si muovono da un gradino della scala sociale a un altro nel corso della propria vita (mobilità intragenerazionale) o di una o più generazioni (mobilità intergenerazionale) - permettono di stimare l'entità dei flussi tra classi sociali e, al netto della mobilità attribuibile ai mutamenti strutturali del contesto socio-economico, capire se le opportunità di ascesa sono ugualmente distribuite, ossia accessibili e garantite a tutti, indipendentemente dalla condizione di origine. Nel primo caso si parla di misure di mobilità assoluta, nel secondo di mobilità relativa. Con riferimento a quest'ultimo aspetto, la misura della mobilità sociale approssima bene il grado di equità e apertura, definendo mobili le società che garantiscono uguali possibilità di crescita a tutti, colmando i deficit di chi proviene dalle classi più svantaggiate.
Il confronto internazionale
I diversi studi condotti sulla mobilità sociale concordano nell'evidenziare sensibili differenze tra Paesi, sia in termini di mobilità assoluta, che relativa, ossia se vi siano pari opportunità di crescita o invece persista il condizionamento dell'origine sociale nelle possibilità educative, come in quelle professionali e, in generale, di successo personale.
Ad esempio, se si considerano le professioni economicamente più gratificanti, risulta che in tutti i Paesi europei i figli di manager, professionisti e tecnici hanno una probabilità ben maggiore di raggiungere a loro volta i medesimi profili professionali, mediamente il doppio delle possibilità rispetto ai coetanei figli di padri con un lavoro diverso. I valori più alti si osservano soprattutto nei Paesi dell'Europa meridionale e dell'Est, gli stessi che evidenziano, nel contempo, anche un più forte legame tra il titolo di studio del padre e quello del figlio. In Italia la forza della relazione tra l'occupazione del padre e quella del figlio è di poco superiore alla media europea; i Paesi nordici, invece, si caratterizzano per i più alti livelli di fluidità sociale, essendo minori gli ostacoli che si incontrano per accedere alle professioni più prestigiose.
Ad eccezione di poche realtà, la relazione è, in generale, più forte nei confronti dei figli maschi, che beneficiano in misura maggiore del successo professionale dei loro padri, ereditandone spesso la professione. Invece, in alcuni Paesi dell'Europa centro-settentrionale, come Belgio, Danimarca, Finlandia, Irlanda e Germania, le donne sembrano godere delle stesse opportunità di affermarsi nel mondo del lavoro dei colleghi uomini, a parità di condizione occupazionale del padre. (Figura 6.1.1)
La posizione occupazionale contribuisce a determinare sia lo status sociale che il livello di benessere economico di ciascuno. Di seguito si propongono anche i risultati di una recente pubblicazione dell'OCSE (Nota 2) sull'elasticità del reddito intergenerazionale, ossia sulla forza del legame tra il reddito del padre e quello del figlio.
L'elasticità del reddito può approssimare verosimilmente l'effetto della mobilità tra classi sociali e assume valori massimi, prossimi a 1, quando il reddito del figlio dipende totalmente, o quasi, da quello del genitore, segno che le opportunità di crescita e di avanzamento sociale risentono fortemente dell'origine familiare e non sono quindi uguali per tutti. Viceversa, l'indicatore si annulla quando l'entità del reddito del padre non influenza minimamente quella del figlio, ossia vi è la massima mobilità intergenerazionale.
I dati confermano che in Italia la mobilità sociale è limitata, specie se confrontata con la situazione dei Paesi del Nord Europa: la stima dell'elasticità del reddito è 0,48, mentre per i Paesi nordici, ad eccezione della Svezia, rimane addirittura al di sotto di 0,2. Presentano alti livelli di fluidità sociale anche Canada e Australia, al contrario negli Stati Uniti risulta ancora forte il condizionamento della famiglia di origine. I dati sembrano, così, contraddire l'idea diffusa degli Stati Uniti quale terra delle grandi opportunità; si può ipotizzare che una parte della bassa mobilità osservata nella società americana sia attribuibile alla forte eterogeneità etnica, in quanto, nonostante la crescente integrazione sociale, in molti campi le famiglie bianche continuano a mantenere maggiori privilegi delle altre. (Figura 6.1.2)
In Italia e in Veneto
Per un'analisi dettagliata sulla mobilità sociale a livello nazionale e regionale si considerano i dati raccolti dall'Istat in occasione dell'indagine multiscopo "Famiglia e soggetti sociali" del 2003, che consente di mettere a confronto la classe sociale raggiunta da ogni individuo rispetto a quella della famiglia di origine.
Le classi sociali sono definite in base alla posizione occupazionale, prendendo in considerazione il tipo di lavoro, il livello di specializzazione e di competenza, la qualifica e il settore economico. Per la classe sociale di origine, l'Istat fa riferimento alla posizione occupazionale del padre quando l'intervistato aveva 14 anni. Sono individuate sei classi sociali: borghesia, classe media impiegatizia, piccola borghesia urbana, piccola borghesia agricola e classe operaia, distinta a sua volta in urbana e agricola (Nota 3). Fra alcune vi è una relazione chiaramente gerarchica, come fra la classe operaia, quella media (piccoli imprenditori, commercianti, artigiani, impiegati o insegnanti) e la borghesia. Altre, invece, si posizionano gerarchicamente allo stesso livello, differenziandosi solo per il tipo di occupazione: così la classe media impiegatizia è considerata di pari rango della piccola borghesia urbana o agricola, come pure la classe operaia urbana rispetto alla classe operaia agricola.
Il confronto tra la classe sociale dei genitori e quella raggiunta dai figli consente di stimare la mobilità da una generazione all'altra, definita mobilità assoluta, che a sua volta si può articolare in mobilità intergenerazionale e intragenerazionale: la prima considera gli spostamenti individuali tra la posizione sociale della famiglia e il primo inserimento lavorativo del figlio, la seconda, anche detta mobilità di carriera, studia i movimenti dalla prima occupazione a quelle successive.
Le misure di mobilità di seguito presentate sono espressione anche degli effetti indotti dai profondi mutamenti strutturali del contesto economico-occupazionale; per meglio capire se nel tempo si è andati verso una situazione di maggiore o minore disuguaglianza nelle opportunità di mobilità sociale, al netto e indipendentemente dai cambiamenti strutturali avvenuti, si rimanda al paragrafo sulla mobilità relativa. Inoltre, riferendosi a tutti gli occupati di 18-64 anni, i dati comprendono le storie di diverse generazioni che hanno quindi vissuto periodi e trasformazioni economiche differenti. La natura campionaria dell'indagine, tuttavia, non ha consentito una più approfondita analisi dettagliata per coorte a livello regionale.
L'origine sociale sembra condizionare le opportunità di cui un individuo dispone all'inizio della propria carriera occupazionale. Al momento del proprio ingresso nel mercato del lavoro, in Italia circa 4 giovani su 10 rivestono posizioni uguali o simili a quelle del padre, ossia rimangono nella stessa classe socio-occupazionale di origine; in alcuni casi, da una generazione all'altra, si trasmette proprio la stessa occupazione, più in generale i figli sembrano ereditare i vantaggi e gli svantaggi associati alle posizioni lavorative dei loro padri. Nel tempo, comunque, vanno aumentando le opportunità di mobilità sociale e in cinque anni il tasso di mobilità intergenerazionale cresce di quasi tre punti percentuali (60% rispetto al 57% del 1998). (Figura 6.1.3)
Tuttavia, solo il 20% dei giovani riesce a collocarsi fin dall'inizio in una classe sociale superiore a quella di origine, piuttosto c'è una mobilità verso il basso (nel 25% dei casi), ossia si inizia con occupazioni di rango inferiore. Questo è in parte anche ovvio, tenuto conto che si sta confrontando la prima occupazione del figlio con quella raggiunta dal padre in un'età matura, ossia più o meno all'apice della sua carriera lavorativa.
La maggior quota di flussi discendenti rispetto a quelli ascendenti in fase di primo inserimento lavorativo non comporta una totale mancanza per i giovani di chances di mobilità verso classi superiori rispetto a quella di origine; questo avviene però successivamente, soprattutto attraverso i percorsi di carriera, ovvero in termini di mobilità intragenerazionale (nel 24% dei lavoratori in Italia).
Il confronto tra la posizione socio-occupazionale del padre e quella raggiunta dal figlio dopo anni di lavoro (Nota 4), infine, consente di stimare l'effetto congiunto di queste due componenti della mobilità, ossia il condizionamento dell'origine sociale sull'inserimento lavorativo e le opportunità di carriera; si parla di mobilità assoluta. In questo caso le posizioni rivestite dai figli sono un po' meno simili a quelle dei loro padri: rispetto a quanto stimato al momento del primo inserimento lavorativo il tasso di immobilità sociale scende al 36% mentre sale a circa il 30% quello di mobilità ascendente; quest'ultimo, in quanto riferito a chi riesce a progredire nella scala sociale, è sicuramente una della misure più significative e rappresentative della mobilità. Gli spostamenti verso le classi inferiori incidono per il 17% circa, sostanzialmente invariata rimane la mobilità orizzontale (16%) (Nota 5).
In termini di mobilità assoluta non si registrano grosse differenze nelle diverse aree geografiche del nostro Paese: il tasso di mobilità totale, comprensivo di tutti gli spostamenti da una classe all'altra, di rango superiore, inferiore o di pari livello, risulta sostanzialmente identico, anche se le regioni nord-occidentali si distinguono per una maggiore propensione alla mobilità di tipo ascendente, mentre quelle del Nord-Est per una mobilità di tipo discendente. Considerando, invece, la mobilità sociale nelle sue varie componenti, a livello territoriale si osservano modelli e dinamiche differenti. Le regioni meridionali si caratterizzano per una più alta mobilità intergenerazionale, anche di tipo ascendente, ossia i giovani che si affacciano al mondo del lavoro più spesso accedono fin da subito ad un'occupazione di rango superiore rispetto a quella del padre; viceversa al Nord risulta più intenso il condizionamento dell'origine sociale al momento dell'ingresso nel mercato del lavoro e quindi più stretta è l'associazione tra l'occupazione del padre e la prima del figlio. Tuttavia, le occasioni di crescita lavorativa nel corso della vita attiva (mobilità intragenerazionale ascendente) sono significativamente superiori per i lavoratori delle regioni settentrionali, venendosi così a colmare lo svantaggio vissuto in fase di primo inserimento lavorativo. (Figura 6.1.4)
La società veneta rispecchia in generale il modello del Nord-Est e rispetto al resto del Paese si differenzia non tanto per l'intensità della mobilità, piuttosto per la tipologia e la direzione dei movimenti, specie in fase di primo inserimento lavorativo. I giovani veneti più frequentemente iniziano il proprio percorso in una posizione occupazionale di rango inferiore a quello del padre (circa il 29% contro il 25% in Italia), viceversa in misura significativamente minore in una classe più elevata (il 15% contro il 20% a livello nazionale). Ciò trova spiegazione proprio nella particolare realtà produttiva della nostra regione, caratterizzata da imprese di più ridotte dimensioni rispetto alla media nazionale, da una forte concentrazione del settore industriale, e quindi del lavoro operaio, e da uno sviluppo più contenuto del settore dei servizi, da cui consegue una minore presenza della classe media impiegatizia, specie nella pubblica amministrazione. (Tabella 6.1.2)
La mobilità intergenerazionale di tipo discendente riguarda, infatti, soprattutto i movimenti dalle classi medie, o anche più elevate, verso la classe operaia urbana, molto più diffusi ed evidenti in Veneto che in altre regioni (interessano circa il 42% dei giovani delle famiglie venete di estrazione non operaia contro il 33% a livello nazionale). Nella classe operaia urbana confluisce buona parte dei figli delle altre classi sociali, in particolare circa il 29% dei giovani della borghesia veneta, il 37% della classe media impiegatizia e anche il 50% dei figli della piccola borghesia, specie agricola, ossia i figli dei piccoli imprenditori. Per lo più si tratta di una fase di passaggio, una specie di apprendistato sociale durante il quale i giovani, prima di assumere la stessa posizione del padre, trascorrono un po' di tempo in una posizione inferiore, al fine di accumulare risorse ed esperienze. È particolarmente vero per i figli degli imprenditori, specie dei piccoli imprenditori, che lavorano alcuni anni come operai prima di sostituirsi al padre nella conduzione dell'azienda di famiglia.
La propensione alla mobilità è diversa a seconda della classe sociale di appartenenza e i soggetti che appaiono più fortemente influenzati dall'origine sociale sono in primo luogo i figli di operai, seguiti da quanti provengono da una famiglia della classe media impiegatizia. In Veneto 7 figli di operaio su 10 iniziano a lavorare anch'essi come operai, circa 1 su 3 riesce ad avanzare nella posizione lavorativa e a progredire, quindi, nella scala sociale, cosicché nel complesso anche dopo anni di lavoro quasi la metà dei figli degli operai è rimasta immobile dal punto di vista sociale e fa ancora l'operaio.
Anche la classe media impiegatizia invia meno i propri figli verso le altre classi e da sempre si caratterizza per un'elevata chiusura in uscita (per il Veneto e per l'Italia il tasso di immobilità, sia assoluto che intergenerazionale, si attesta attorno al 50%); nello stesso tempo si connota anche per un'alta apertura in entrata perché riceve da tutte le altre classi. In effetti negli ultimi decenni c'è stata una forte dilatazione del ceto medio, che costituisce la destinazione quasi esclusiva della mobilità ascendente delle classi operaie o, al contrario, il gradino inferiore a cui è scesa la classe borghese che non è riuscita a tutelare la propria posizione.
Per quanto riguarda la mobilità fra classi diverse, la parte più consistente riguarda movimenti tra classi contigue. I flussi che arrivano alla classe media impiegatizia provengono soprattutto dalle classi urbane medie e superiori, mentre alla classe operaia urbana approdano i figli della piccola borghesia e soprattutto quelli della classe operaia agricola; in particolare quest'ultimi incontrano ancora numerose difficoltà e diversi ostacoli a spostarsi in classi diverse da quella operaia urbana, anche verso il ceto medio.
Nel complesso rimangono modesti gli spostamenti verso la borghesia, la classe più elevata. (Tabella 6.1.3)
Si riscontrano, infine, alcune specificità della società veneta che la differenziano non solo dalle regioni del Nord-Ovest, che hanno sperimentato un diverso modello di sviluppo industriale e occupazionale, ma anche dalle regioni dell'Italia centrale, l'altra grande area di piccola impresa (Nota 6). Rispetto a entrambe le ripartizioni considerate, la classe operaia veneta, sia urbana che agricola, si dimostra più rigida e chiusa, come anche minore è il peso dei movimenti ascensionali da questa verso le classi più elevate. Meno arroccata risulta, invece, la borghesia, poiché gli interscambi tra la classe superiore e le altre classi sono più fitti di quanto non accada altrove. La classe media impiegatizia sembra, infine, presentare un tasso di mobilità ascendente più basso, mentre le piccole borghesie più alto. Ciò a causa appunto della diversa struttura industriale: come per tutte le aree di piccola impresa, i percorsi di carriera passano più spesso che altrove per il lavoro autonomo, mentre sono meno frequenti quelli interni alle grandi organizzazioni private e pubbliche e quindi in un contesto di lavoro dipendente.
Le differenze di genere
Qualunque sia la classe familiare, ivi compresa quella borghese, la destinazione prevalente per le donne è quella impiegatizia, complessivamente vi perviene il 40% delle lavoratrici venete contro il 21% dei maschi. Se questo sia un vantaggio o uno svantaggio per le donne, dipende dalla loro origine: anche molte delle figlie di dirigenti, imprenditori e liberi professioni lavora oggi in occupazioni dei servizi, specie nel pubblico impiego.
Rispetto agli uomini, sicuramente minore è invece la presenza della componente femminile nella borghesia e nella piccola borghesia urbana. Se i maschi, infatti, più frequentemente vengono indirizzati verso l'occupazione industriale o ricevono in eredità le attività del padre, le figlie sono incentivate dalla famiglia ad avere una carriera scolastica più lunga, sia come investimento per la mobilità matrimoniale, sia per accedere a carriere nel settore dei servizi, in posizioni di classe media impiegatizia. Proprio l'innalzamento assai veloce del livello di istruzione ha consentito alle donne in pochi anni di recuperare lo svantaggio occupazionale e competitivo rispetto agli uomini.
Le differenze tra generi stanno soprattutto nel tasso di mobilità orizzontale, più alto per le femmine, determinato dal notevole flusso di donne che dalle due piccole borghesie defluisce verso la classe media impiegatizia; sono per lo più donne diplomate che passano al lavoro dipendente, lasciando la conduzione dell'azienda familiare agli uomini. Inoltre la mobilità delle donne al primo lavoro risulta superiore a quella degli uomini, anche perché sono mediamente più istruite, ma la loro posizione iniziale tende più spesso a rimanere invariata nel corso della vita attiva.
Rispetto al contesto nazionale, infine, per le donne si registra un più debole tasso di mobilità ascendente, dovuto all'alta incidenza del lavoro operaio tra le occupate venete. (Figura 6.1.5)
Le opportunità di crescita sociale
Le disparità sociali non hanno impedito a molti individui di salire i gradini della scala sociale per raggiungere una condizione migliore di quella dei loro genitori. Tuttavia è legittimo chiedersi quanto della mobilità osservata sia la naturale conseguenza delle trasformazioni del sistema economico, che hanno moltiplicato le posizioni occupazionali in determinati settori, e quanto, invece, sia interpretabile come misura sia di apertura della società alle possibilità di riscatto sociale che di capacità dei singoli di cogliere tali opportunità di crescita, investendo sul proprio capitale umano.
Alla luce di questo, l'analisi del processo di mobilità sociale non può limitarsi a considerare la mobilità assoluta, poiché tale misura non elimina gli effetti strutturali esercitati nel tempo dai mutamenti avvenuti nel sistema occupazionale. Per stabilire se una società assicura pari opportunità a tutti i suoi membri, indipendentemente dalla classe sociale d'origine, è necessario considerare l'entità dei legami che intercorrono tra classe sociale del padre e classe di destinazione del figlio, al netto degli effetti strutturali.
Il reale livello di fluidità sociale deriva dalle misure di mobilità relativa, mediante il confronto delle probabilità di raggiungere una data classe di destinazione, anziché un'altra alternativa, per individui provenienti da due gruppi sociali diversi (Nota 7): in una società realmente aperta, che garantisce a tutti pari opportunità di mobilità, queste probabilità dovrebbero essere uguali per tutte le classi di provenienza.
In situazioni di completa indipendenza tra il ceto sociale del padre e quello del figlio, l'indice di mobilità relativa risulta pari a uno, mentre assume valori superiori e via via crescenti, quando si amplia il vantaggio ereditato dalla classe di origine. Valori compresi tra zero e uno, invece, segnalano che la classe di origine frena il passaggio verso un altro ceto. (Tabella 6.1.4)
La matrice di mobilità relativa qui riportata evidenzia sulla diagonale principale la probabilità dei figli di rimanere nella stessa condizione del padre, mentre sopra e sotto, rispettivamente, quelle di ascesa e di discesa sociale. La società italiana appare ancora poco mobile, come risulta dai valori tutti maggiori di uno e relativamente alti situati sulla diagonale. Il Veneto, seppur in linea con tale tendenza, si distingue per una maggiore fluidità sociale (Nota 8), cioè una più alta probabilità per gli individui di spostarsi in una classe diversa da quella di origine. In particolare, la borghesia veneta appare più permeabile: i figli delle famiglie borghesi, infatti, hanno una probabilità più che tripla (3,74) rispetto ai coetanei di estrazione sociale inferiore di rimanere all'apice della scala sociale, mentre a livello nazionale tale vantaggio risulta quasi raddoppiato (6,75).
La borghesia veneta si alimenta dalle classi medie urbane, soprattutto dalla piccola borghesia (2,05), e defluisce per lo più verso la classe media impiegatizia (1,34), delineando così confini abbastanza fluidi tra queste categorie sociali.
In Veneto, rispetto alle altre classi, i figli della piccola borghesia urbana hanno in media circa il doppio delle possibilità di salire alla classe superiore e ciò deriva anche dalla particolare struttura produttiva del nostro territorio, fatta di tanti piccoli imprenditori e di lavoratori autonomi che, espandendosi, garantiscono ai figli migliori condizioni sociali ed economiche. Anche i figli degli impiegati possono contare su tale vantaggio (1,55), seppur meno marcato di quello riservato alla piccola borghesia urbana (2,05). A livello nazionale, invece, sono proprio i figli della classe impiegatizia i più favoriti nella scalata verso la borghesia (3,03), a testimonianza di una rilevanza sociale del terziario diversa da quella del Veneto. (Figura 6.1.6)
I figli provenienti dalle classi inferiori incontrano ostacoli maggiori nel tentativo di salire la piramide sociale: in particolare, come in Italia, gli eredi delle classi agricole risultano svantaggiati nell'accesso alle classi medio-alte, mentre i figli della classe operaia urbana sembrano avere qualche possibilità in più di inserirsi nelle classi medie urbane. Tuttavia, la maggior parte di loro continua a fare l'operaio, alimentando la nuova classe operaia assieme ai figli di quella agricola. C'è anche da dire che da sempre le condizioni di vita delle famiglie operaie in Veneto, grazie all'origine prevalentemente rurale, sono migliori che in altre regioni di pari livello industriale, dove la classe operaia risiede per lo più nelle grandi periferie urbane. Per questo essere operaio o diventarlo non è vissuto in Veneto come un movimento di discesa sociale.

Inizio Pagina  Origine sociale e istruzione

Nei meccanismi di mobilità sociale l'istruzione ricopre un ruolo fondamentale: se da un lato rappresenta un importante strumento di promozione sociale, perché possedere un titolo di studio elevato, in particolare una laurea, facilita l'accesso alle professioni più prestigiose, dall'altro proprio le opportunità educative sono fortemente influenzate dalle condizioni di partenza individuali e, quindi, dall'origine sociale.
Lo status socio-culturale della famiglia di origine condiziona la scelta del percorso di studi già dalle scuole medie superiori, nonché il successo scolastico e i successivi esiti occupazionali. Gli studenti di estrazione elevata, figli di genitori maggiormente istruiti, sono più propensi a iscriversi ad un liceo e poi all'università, dimostrando anche migliori rendimenti durante tutto il percorso formativo. Crescono in un contesto familiare culturalmente più ricco e stimolante, sono motivati allo studio da genitori più attenti e preparati e la disponibilità economica della famiglia consente loro di accedere ad una migliore formazione. Non solo, anche la più ampia e privilegiata rete relazionale nella quale è inserita la famiglia - parenti, amici, conoscenti e colleghi dei genitori - offre maggiori opportunità per entrare più facilmente nel mondo del lavoro.
All'opposto, gli studenti di origine più modesta preferiscono ancora una formazione tecnica e/o professionale che permetta loro di inserirsi nel mercato del lavoro anche subito dopo il diploma. Per questi ultimi, infatti, il costo-opportunità degli anni d'istruzione universitaria è molto maggiore, tanto da considerarlo un investimento rischioso.
In questo senso, il contesto socio-culturale della famiglia, strettamente correlato al livello d'istruzione dei genitori, contribuisce a trasmettere le disuguaglianze sociali da una generazione all'altra.
Così, nonostante le riforme volte a liberalizzare l'accesso al sistema universitario, e a ridurne il carattere prettamente elitario, l'istruzione superiore non svolge ancora pienamente la funzione di canale di mobilità ascensionale, come dimostrato da diversi studi (Nota 9).
È indubbio che in Italia si sia assistito ad un innalzamento generale del livello d'istruzione, anche se ancora oggi il peso dei laureati sulla popolazione si mantiene al di sotto della media comunitaria e degli altri principali Paesi sviluppati. In Veneto, poi, la percentuale di laureati è ancora più modesta a causa della bassa domanda non sollecitata a sufficienza dalla struttura produttiva del territorio, basata essenzialmente su aziende di piccole dimensioni.
Nel contempo l'origine sociale dei laureati è andata progressivamente aprendosi e, come risulta dai dati AlmaLaurea, anche negli ultimi anni in Italia è sensibilmente diminuita la quota di laureati di estrazione borghese (di circa 16 punti percentuale, passando dal 38,6% nel 2000 al 22,6% nel 2006), mentre è aumentata la presenza di studenti provenienti dai ceti medi in generale (+3,4 punti percentuali) e dalle famiglie di operai (oltre 7 punti percentuali in più). Inoltre, nel 2007, circa 74 laureati ogni cento, e 75 in Veneto, portano a casa la laurea per la prima volta.
Tuttavia il percorso verso una maggiore eguaglianza delle opportunità è stato solo parziale e rimane ancora forte il condizionamento dell'origine sociale sulla probabilità di accedere all'università, specie ad alcune facoltà, come emerge dal confronto tra le famiglie dei laureati e il resto della popolazione. Ad esempio, in Veneto, l'incidenza della classe borghese tra i laureati arriva nel 2007 al 28,2%, mentre pesa solo per il 7,4% nella popolazione complessiva (Nota 10); così i padri dei laureati sono per il 20% anch'essi laureati e le madri per il 12%, mentre nella popolazione complessiva di età corrispondente, ossia di 45-69 anni, la percentuale di laureati per i maschi raggiunge il 7,8% e per le femmine il 5,5%. E in Italia la situazione non è tanto diversa; si spiega, così, come il figlio di un padre laureato abbia una probabilità di conseguire a sua volta la laurea di oltre 7 volte superiore a quella riservata al figlio di un genitore con il minimo grado di istruzione, un vantaggio molto maggiore rispetto al valore medio osservato nei 25 Paesi dell'Unione europea (3,6). (Figura 6.1.7)
L'origine sociale non influenza solamente la possibilità di conseguire una laurea, ma sembra determinare anche la scelta del tipo di percorso accademico. I figli di operai tendono a preferire le specialità che non prevedono l'obbligo di frequenza e permettano loro di svolgere un'attività lavorativa per mantenersi agli studi; all'opposto le lauree scelte dai figli borghesi sono più impegnative e richiedono tempi più lunghi, con periodi di specializzazione o tirocinio post-laurea per poter esercitare la professione. D'altra parte vi è anche una maggiore disponibilità economica da parte delle famiglie di mantenere il figlio agli studi per tutto il tempo richiesto. E' soprattutto il caso della laurea in medicina e, seppur in misura minore, di quella in giurisprudenza: ad esempio in Veneto oltre la metà dei laureati in medicina è di origine borghese, mentre solo il 13% è figlio di operai. (Figura 6.1.8)
Andando più a fondo nell'analisi, oltre ad una generica corrispondenza tra il livello di istruzione dei genitori e quello dei figli, si evidenzia una vera e propria ereditarietà per certi tipi di laurea, soprattutto per quelle di accesso alle libere professioni. La laurea del padre appare più condizionante rispetto a quella della madre, evidenziando una relazione più forte per i figli maschi. Se si fa riferimento al titolo del padre, il 31% dei laureati veneti consegue proprio lo stesso tipo di laurea del padre (il 26% a livello nazionale), percentuale che sale al 35% considerando solo i figli maschi (31% in Italia). D'altronde è anche naturale pensare che il figlio di un avvocato, di un ingegnere o di un medico possa essere attratto dalla possibilità di continuare la professione già avviata dal padre.
L'origine familiare, poi, influisce pesantemente sul destino dei laureati anche dopo il conseguimento del titolo, non solo sulla probabilità di trovare un lavoro, ma anche in termini di retribuzione e di soddisfazione per l'attività svolta.
La protezione economica che le famiglie benestanti riescono a garantire ai propri figli spiega la minore motivazione dei laureati borghesi a trovare un'occupazione subito dopo la laurea, preferendo piuttosto investire ancora in formazione per meglio qualificarsi. Così ad un anno dalla laurea il 56% dei laureati di estrazione borghese risulta occupato, in misura inferiore al resto dei laureati (63,9%), mentre il 32% non cerca ancora lavoro; al contrario, forse perché spinti dalla vivacità imprenditoriale respirata in famiglia, i laureati della piccola borghesia, figli dei tanti piccoli imprenditori, già ad un anno dalla laurea lavorano nel 70% dei casi e solo il 17% di loro non cerca lavoro.
Una volta trovato lavoro, però, i laureati di estrazione più elevata, partiti in condizioni più favorevoli, riescono a mantenere il vantaggio in termini economici e di successo nella carriera professionale. A cinque anni dall'uscita dall'università guadagnano circa 1.460 euro netti al mese, l'8,3% in più della media dei laureati e il 14% in più dei colleghi figli di operai. La differenza è attribuibile solo in parte al tipo di laurea conseguito: è vero che i laureati borghesi scelgono lauree più remunerative, tuttavia differenze retributive permangono anche all'interno dello stesso tipo di laurea. I gap più marcati tra le classi estreme riguardano soprattutto i laureati in giurisprudenza, mentre sono modesti in altre tipologie di laurea, come scienze politiche, psicologia, ingegneria e architettura.
Infine, il 41,8% dei figli di dirigenti, imprenditori o liberi professionisti, a soli cinque anni dalla laurea ricopre già posizioni apicali e di responsabilità, come quelle del genitore, più facilmente di quanto riescano a ottenere gli altri laureati (34,4% dei casi).

Inizio Pagina  Maggiori difficoltà per gli stranieri

Un discorso a parte merita di essere fatto per gli stranieri (Nota 11) che lavorano regolarmente nel nostro Paese, i quali, nonostante un background educativo spesso anche di spessore, faticano più dei cittadini italiani ad emergere socialmente e per alcuni di loro la scalata sociale si presenta davvero molto faticosa.
Nonostante l'alto livello raggiunto del tasso di occupazione degli immigrati, la maggior parte di loro occupa posizioni poco qualificate e spesso con ridotte opportunità di carriera, indipendentemente dalle potenzialità e dal grado di istruzione posseduto. Se è vero che per molti stranieri si presenta l'ostacolo del riconoscimento del titolo di studio conseguito nel Paese d'origine, ciò non spiega del tutto la portata del processo di dequalificazione professionale che coinvolge molti dei lavoratori stranieri, anche quelli più istruiti.
La popolazione straniera residente presenta livelli di scolarizzazione nel complesso abbastanza elevati e simili a quelli posseduti dagli italiani: d'altra parte i flussi migratori sono caratterizzati da processi auto-selettivi, ovvero sono proprio le persone relativamente più intraprendenti e più istruite che emigrano in cerca di nuove e migliori opportunità. Questa situazione dà origine a fenomeni che molti studiosi identificano con i termini brain drain e brain waste, nel senso che la fuga di cervelli dai Paesi di origine indebolisce il tessuto socio-culturale locale, deprivando la nazione delle migliori risorse umane, e al tempo stesso si assiste a uno spreco di cervelli nella società di destinazione (Nota 12).
In Italia nel 2007 quasi la metà degli stranieri tra i 15 e i 64 anni può vantare una laurea o un diploma, una percentuale non molto inferiore a quella degli italiani (circa 51%). In Veneto gli stranieri sono addirittura più istruiti, grazie ad un maggiore presenza di diplomati e ad una significativamente più esigua quota di quanti hanno appena la licenza elementare. D'altro canto le maggiori opportunità lavorative offerte in generale dalle regioni del Nord e la speranza di poter essere impiegati in comparti professionali più qualificati e vicini alle proprie competenze attirano i soggetti più istruiti. (Tabella 6.1.5)
Tuttavia, se si osserva la distribuzione degli occupati secondo il livello di qualifica nella professione, emerge una sorta di mercato del lavoro duale, nettamente a sfavore degli stranieri. In Veneto, in linea con il valore nazionale, quasi tre stranieri ogni quattro sono operai o impiegati in attività non qualificate (Nota 13), mentre neanche il 10% riesce ad inserirsi nelle professioni che richiedono maggiori competenze. Tra questi si contano soprattutto piccoli imprenditori, proprietari e gestori di negozi, bar e ristoranti, infermieri, insegnanti o traduttori.
Proprio la via dell'imprenditorialità può rappresentare per gli immigrati non solo una un'opportunità di maggior guadagno, ma una vera occasione di riscatto dalla posizione di lavoro dipendente, soprattutto se poco soddisfacente dal punto di vista sociale oltre che retributivo. Nel 2008 il numero degli imprenditori stranieri in Veneto arriva a rappresentare il 6,3% degli imprenditori, un numero in costante crescita dagli inizi del decennio, così come il più recente fenomeno delle donne straniere imprenditrici (6 ogni 100 imprenditrici).
La dequalificazione professionale, coinvolge, seppur in maniera diversa, sia gli uomini che le donne: se il 60% degli occupati maschi in Italia e ben il 70% in Veneto sono operai, la forza lavoro femminile immigrata si riversa prevalentemente nel segmento ancora più basso del mercato del lavoro, quello delle attività domestiche e di cura agli anziani. (Figura 6.1.9)
Analizzando l'inserimento occupazionale degli stranieri in relazione al titolo di studio, lo squilibrio con la controparte italiana risulta ancora più accentuato. In Veneto il titolo universitario garantisce un lavoro qualificato ad oltre l'87% degli occupati laureati di cittadinanza italiana, ma il massimo grado di istruzione non fa altrettanto per gli stranieri: il 29% degli occupati stranieri laureati è operaio contro la media del 17,6% registrata in Italia. Naturalmente al calare del titolo di studio cresce l'incidenza di stranieri occupati nei segmenti meno qualificati del mercato del lavoro, arrivando a rappresentare la quasi totalità della popolazione straniera occupata per quelli con al più la licenza di scuola media.
Il gap tra le potenzialità possedute e il modesto profilo cui sono relegati gli occupati stranieri, oltre a costituire la base di un pesante disagio occupazionale, rappresenta una grossa perdita di opportunità di crescita per la società e l'economia locale. E in una società come quella italiana, dove la classe sociale della famiglia sembra contare più delle potenzialità espresse sul campo e le disuguaglianze tendono a tramandarsi da una generazione all'altra, gli stranieri devono affrontare un ostacolo in più, quello della loro origine, che frena e limita le loro prospettive di crescita sociale ed economica.
Le attese per i figli
I genitori dei tanti bambini immigrati nel nostro Paese sperano per i propri figli in un futuro diverso, e gli stessi ragazzi hanno attese migliori, perché sono più integrati, sono nel nostro territorio da più anni o addirittura sono nati qui.
In Veneto uno straniero su sette ha cittadinanza straniera ma è nato nel nostro territorio. Si tratta della seconda generazione di immigrati, per lo più costituita da minorenni, che presenta caratteristiche, stili di vita nuovi e diversi rispetto alla prima generazione. Sono figli di stranieri radicati nel territorio, che frequentano coetanei italiani, che assorbono la nostra cultura ma che hanno alle spalle valori e abitudini del Paese di origine dei genitori. Su questi si gioca la sfida più grande per la coesione degli stranieri nel nostro sistema sociale, le cui leve sociali sono rappresentate dalla scuola, dal lavoro e dalle occasioni per coltivare relazioni interpersonali. Ciò dipende dall'ambiente che troveranno ad accoglierli e dalle politiche di integrazione che verranno attuate, se finalizzate a creare un ponte tra culture. I figli di italiani nati in America si sentono molto probabilmente americani. Interessante sarebbe conoscere cosa risponderebbero i figli di immigrati in Italia.
A questo fine la scuola assume un ruolo fondamentale. È qui che si gioca la costruzione del capitale umano di ciascun individuo, ed è ancora più vero per i ragazzi figli di immigrati, che nel rapporto con i loro coetanei e nella sfida dell'apprendimento gettano le basi per l'integrazione futura e per il successo nel mondo del lavoro. La scuola, nella sua visione più ampia di agenzia formativa e di socializzazione, dovrebbe avere la capacità di colmare per i figli di stranieri tale disavanzo di partenza.
Nello specifico, indicatori importanti che segnalano gli effetti di tale investimento sono la capacità di portare a termine il percorso scolastico, i risultati ottenuti e l'acquisizione di un'adeguata competenza linguistica.
Secondo la ricerca GEN2ITA (Nota 14), dall'analisi delle performance scolastiche dei ragazzi stranieri residenti nella nostra regione emerge un quadro di disparità ancora forte. Nonostante i risultati a scuola migliorino all'aumentare del tempo di permanenza degli stranieri in Italia, permangono forti differenze rispetto ai coetanei italiani: quasi un terzo degli studenti veneti di origine italiana ha ottenuto nell'anno scolastico 2005/2006 il giudizio distinto o ottimo agli esami di terza media, solo il 13,2% tra gli stranieri. Il giudizio sufficiente ha interessato il 36,4% degli italiani, ma ben il 62,6% degli stranieri e i bocciati sono più che doppi tra gli stranieri (6,4%) rispetto ai compagni di origine italiana (3,1%).
Per quanto riguarda le competenze linguistiche, i ragazzi che dicono di preferire la lingua italiana per comunicare sono oltre il 60% sia per gli studenti italiani che per gli stranieri, ad indicare che almeno per questo aspetto il mondo scolastico riesce a colmare il gap tra i due gruppi, pur non essendo sufficiente ad ottenere pari livelli di abilità scolastica.
Scarsi risultati scolastici non sono necessariamente per gli stranieri sintomo di minore intelligenza, ma possono essere il riflesso di svantaggi della famiglia di origine in termini economici e linguistici, che rappresentano quindi un ostacolo alla loro mobilità sociale da adulti. I genitori in generale, infatti, mettono a disposizione dei figli tre tipi di risorse per prepararsi alla competizione sociale: economiche, culturali e sociali. Le prime derivano dalla professione svolta dal padre, le seconde dall'istruzione dei genitori e dal livello culturale della famiglia, le terze rimandano alla rete di relazioni sociali dei genitori. Prima ancora che nel successo sociale, tali aspetti trovano eco nelle attese per il futuro. (Figura 6.1.10)
Rispetto ai coetanei italiani, molti ragazzi stranieri provengono da una famiglia con livelli economici medio-bassi. Ciò è testimoniato dalla professione svolta dal padre: oltre il 70% di questi ha un profilo lavorativo basso (muratore, operaio o lavoro non qualificato). Occupazioni più elevate, anche a livello retributivo (imprenditori, impiegati, tecnici, occupati nel commercio e nei servizi), interessano il 44,7% dei padri di ragazzi di origine italiana, mentre solo il 12,3% per gli immigrati.
Questo disavanzo di partenza si lega al livello culturale più basso delle famiglie di stranieri, che giustifica anche rendimenti scolastici meno brillanti. Tale origine socio-culturale non impedisce però ai ragazzi di origine straniera di sognare il futuro: le loro aspettative sono molto simili a quelle dei coetanei italiani, segnale questo della loro volontà di riscatto e di integrazione nel nuovo contesto sociale. E non manca loro la fiducia, dal momento che 9 ragazzi stranieri su 10 credono di avere molte o abbastanza possibilità per raggiungere tale desiderio. I loro risultati scolastici più scarsi, però, lasciano supporre maggiori difficoltà oggettive; tuttavia ciò non comporterà necessariamente uno scivolamento verso il basso della piramide sociale, poiché fino a quando il tessuto produttivo del Veneto sarà radicato nel settore manifatturiero molti artigiani e operai specializzati potranno raggiungere buoni guadagni e un dignitoso livello sociale anche senza titoli scolastici necessariamente elevati (Nota 15).

Tabella 6.1.1
Distribuzione percentuale della popolazione per classe sociale nel 1951, 1971, 1981, 1991, 2004 e 2007 - Veneto e Italia
Figura 6.1.1
Vantaggio dei figli di manager, professionisti e tecnici, rispetto ai coetanei con padri in altre professioni, nel raggiungere i più alti livelli professionali nei Paesi dell'UE25
Figura 6.1.2
Elasticità intergenerazionale del reddito per i più importanti Paesi industrializzati
Figura 6.1.3
Tassi di mobilità intergenerazionale, intragenerazionale e assoluta. Italia - Anno 2003
Figura 6.1.4
Tassi di mobilità ascendente per regione - Anno 2003
Tabella 6.1.2
Tassi di mobilità intergenerazionale, intragenerazionale e assoluta. Veneto e Italia - Anno 2003
Tabella 6.1.3
Mobilità assoluta: occupati per classe occupazionale attuale e classe occupazionale del padre. Veneto - Anno 2003
Figura 6.1.5
Tassi di mobilità assoluta per sesso. Veneto e Italia - Anno 2003
Tabella 6.1.4
Indici di mobilità relativa (odds ratio generalizzati). Veneto e Italia - Anno 2003
Figura 6.1.6
Concorrenza sociale: vantaggio ad accedere alla borghesia secondo la classe sociale d'origine. Veneto e Italia - Anno 2003
Figura 6.1.7
Confronto tra le famiglie dei laureati e il resto della popolazione. Veneto - Anno 2007
Figura 6.1.8
Tipo di laurea conseguita dai laureati di origine borghese e di classe operaia. Veneto - Anno 2007
Tabella 6.1.5
Popolazione 15-64 anni per sesso, cittadinanza e titolo di studio. Veneto e Italia - Anno 2007
Figura 6.1.9
Occupati 15-64 anni per sesso, cittadinanza e livello nella qualifica professionale. Veneto e Italia - Anno 2007
Figura 6.1.10
Professione del padre e professione desiderata dal figlio. Distribuzione percentuale sul totale ragazzi italiani e ragazzi stranieri. Veneto - Anno 2006

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I dati elaborati dall'Ufficio di Statistica della Regione Veneto sono patrimonio della collettività; si autorizza la riproduzione a fini non commerciali del presente materiale con la citazione della fonte "Regione Veneto - Direzione Sistema Statistico Regionale".
La traduzione in inglese è a cura del Centro Linguistico di Ateneo dell'Università di Padova.