11.2 - Più attenti su strada, in cantiere, a casa e in città
Ognuno di noi, nel corso delle normali attività quotidiane, a casa, al lavoro, per strada, è esposto a innumerevoli rischi che possono, in qualche modo, pregiudicare anche gravemente la nostra salute.
Gli incidenti stradali rappresentano la principale causa di morte tra i giovani, mentre gli infortuni sul lavoro attirano fortemente l'attenzione dei media sul problema della sicurezza sul lavoro. Tuttavia, non sono solo la strada e il luogo di lavoro ad esporci ai pericoli; anche il tranquillo ambiente domestico può riservare insidie. Inoltre, la criminalità delle nostre città, oltre al danno diretto subito dalle vittime, contribuisce a creare paura e insicurezza, compromettendo la qualità della nostra vita. Conoscere le situazioni a rischio in questi casi è importante per poter intraprendere le giuste azioni di prevenzione e di correzione dei comportamenti sbagliati e pericolosi, al fine di mantenere ed elevare lo standard di benessere della nostra società.
In quanto a situazioni di rischio per la salute, il fenomeno dell'incidentalità stradale resta un problema certamente di rilievo, nonostante il miglioramento osservato negli ultimi anni, frutto dell'impegno che mira alla sensibilizzazione, alla prevenzione e all'innalzamento del livello di sicurezza.
Nel 2006 in Veneto sono stati rilevati 19.261 incidenti che hanno coinvolto oltre 36.000 veicoli e quasi 1.300 pedoni. Il numero di incidenti stradali ogni 10.000 abitanti è esattamente pari alla media nazionale (40,3), con Padova e Treviso che spiccano con rispettivamente 45,7 e 43,2 incidenti ogni 10.000 abitanti. (Figura 11.2.1) Nel Veneto i morti in incidenti stradali ogni 100.000 abitanti sono 11,6, valore più elevato rispetto al resto dell'Italia (9,6), ma il dato va letto tenendo presente la notevole mole di traffico su gomma della regione che rappresenta un fondamentale asse di congiunzione tra il Nord-Ovest ed il Nord-Est. Sono i giovani a pagare il prezzo più alto: se in Europa gli incidenti stradali sono la prima causa di morte per i giovani dai 5 ai 29 anni, in Veneto la fascia d'età tra i 18 e i 29 anni nel 2006 ha lasciato sulle strade 127 vittime, che sommate alle 142 nella fascia 30-44 anni arrivano a costituire quasi il 55% del totale di conducenti e passeggeri morti nel corso dell'anno. Il problema è ancora più preoccupante se si considera che quelli citati sono valori sottostimati della vera mortalità. Infatti, i dati di mortalità per incidenti stradali qui riportati rappresentano il numero di individui deceduti sul colpo o entro il trentesimo giorno ed escludono, pertanto, tutti i casi di feriti gravi che si risolvono con la morte del soggetto oltre il suddetto termine. (Figura 11.2.2) Le cause
La rilevazione dell'Istat individua le cause dovute a comportamenti scorretti e ad avarie del veicolo che sono all'origine degli incidenti: nel 2006 sono state rilevate per i 37.778 soggetti - tra automobilisti e pedoni - coinvolti in incidenti che hanno provocato il ferimento o la morte di persone, più di 21.400 cause con attribuzione di responsabilità; oltre il 95% di queste sono riconducibili a situazioni o ad atteggiamenti che hanno intralciato la circolazione, come il mancato rispetto del codice della strada e le manovre errate, il 4,2% ad uno stato psico-fisico alterato, mentre solo una quota residuale è da attribuirsi ai difetti e alle avarie del veicolo. (Figura 11.2.3)Più nel dettaglio, la mancata precedenza e il rispetto delle segnalazioni semaforiche rappresentano il comportamento scorretto più ricorrente con il 24,8% del totale, seguito dalla guida distratta e andamento indeciso con il 20,1%. Il mancato rispetto della distanza di sicurezza risulta al terzo posto con l'11,9% e, pressoché allo stesso livello, troviamo l'eccesso di velocità e il non rispetto dei limiti (11,8%). Da segnalare, al nono posto, con un'incidenza del 3,2% e 695 casi rilevati, lo stato psicofisico alterato a causa di ebbrezza da alcool, che si conferma così un problema di rilevante importanza. (Figura 11.2.4) I giorni più pericolosi
Il verificarsi degli incidenti stradali è piuttosto uniforme nell'arco della settimana: si va da una minimo di 13,7% il lunedì fino a un massimo di 15,6% nella giornata di sabato. Diversa è invece la distribuzione degli incidenti mortali per i quali si osserva una maggiore concentrazione nel weekend, quando si verifica quasi il 52% del totale degli incidenti mortali. (Figura 11.2.5)Oltre ad una maggiore frequenza degli incidenti, nel weekend si verificano anche gli incidenti dagli esiti più drammatici: se il numero dei feriti non presenta picchi eclatanti, oltre la metà (52,1%) dei morti si registra, però, tra il venerdì e la domenica, con un estremo significativo la domenica (21%). (Figura 11.2.6) Negli incidenti stradali del weekend è maggiore l'incidenza di circostanze irregolari riconducibili ad un alterato stato psicofisico e l'alterazione da ebbrezza è il sesto tra i comportamenti scorretti rilevati, con 440 casi, il 4,8% del totale. (Figura 11.2.7) La sicurezza
L'uso dei dispositivi di sicurezza previsti dal codice stradale riduce notevolmente il rischio d'incidente e di lesioni gravi, come viene da più parti ribadito e ricordato anche nelle campagne di prevenzione volte a diffondere tra gli automobilisti alcune abitudini indispensabili per la sicurezza, come l'uso sistematico della cintura di sicurezza e del seggiolino per i bambini.Secondo una recente rilevazione (Nota 1) sull'uso delle cinture di sicurezza e dei seggiolini da parte degli automobilisti veneti, l'introduzione della patente a punti (Nota 2), quale ulteriore deterrente per i comportamenti che violano il codice della strada, ha aiutato ad innalzare la percentuale di coloro che rispettano le disposizioni di sicurezza del veicolo. Se nel 2003 poco più della metà (54,5%) dei conducenti indossava la cintura di sicurezza e oltre il 70% non usava gli adeguati mezzi di ritenzione per i bambini a bordo, nel 2004 la quota di chi mette la cintura sale all'82,8% mentre scende al 56,9% la percentuale di chi non usa il seggiolino, mantenendosi su questi livelli anche nei periodi successivi. Nel 2007 l'uso della cintura di sicurezza si mantiene abbastanza elevato soprattutto tra i conducenti (80,7%) e i passeggeri anteriori (76%), mentre rimane considerevolmente inferiore la quota dei passeggeri posteriori (23,7%) che la indossano, contravvenendo così in maniera generalizzata alle disposizioni del codice stradale. (Tabella 11.2.1) L'uso dei mezzi di protezione dei bambini a bordo dovrebbe essere maggiormente diffuso: nel 2007 sono usati nel 55,1% dei casi, quota che sale al 62% per i bambini seduti nel posto anteriore, mentre si abbassa al 50% per quelli che occupano quello posteriore. (Figura 11.2.8)
(Nota 3) I casi riportati dai media relativi alle morti bianche e i gravi incidenti sul lavoro contribuiscono a risollevare periodicamente la questione della sicurezza. Tale problema merita un'analisi attenta per quantificare il rischio e intervenire con le opportune azioni di prevenzione e protezione.
La principale fonte informativa è costituita dagli archivi dell'Inail (Nota 4). Il primo dato disponibile è il numero degli infortuni denunciati all'Istituto Assicuratore tramite trasmissione del primo certificato medico rilasciato prevalentemente dal pronto soccorso o dal medico di base. Tuttavia, gli infortuni denunciati richiedono un tempo di maturazione dovuto ad una complessa attività istruttoria sanitaria e amministrativa, che varia a seconda della gravità, per essere considerati infortuni sul lavoro riconosciuti. (Figura 11.2.9) Il fenomeno degli infortuni registra in Veneto un costante calo, infatti tra il 2000 e il 2005 il numero di infortuni denunciati all'Inail si riduce del 14,2% e quello degli infortuni riconosciuti del 13%. Il numero di denunce per infortunio pervenute all'Inail passa, infatti, da 141.066 nel 2000 a 120.996 nel 2005 (120.894 il dato provvisorio del 2006), mentre i casi riconosciuti, che nel 2005 rappresentano il 63% degli infortuni denunciati, si riducono da 87.778 nel 2000 a 76.397 nel 2005 (75.085 il dato provvisorio per il 2006 degli infortuni riconosciuti). Dopo un primo sostanziale aumento tra il 2000 e il 2001, nel periodo successivo il numero degli infortuni in itinere, cioè quelli avvenuti lungo il tragitto casa-lavoro o quelli verificati in occasione degli spostamenti necessari per raggiungere le eventuali altre sedi di servizio o il luogo di ristoro, si mantiene relativamente costante attorno ad una media di circa 10.600 eventi l'anno, mentre gli infortuni riconosciuti avvenuti sul luogo di lavoro registrano in 6 anni un significativo e incoraggiante calo del 18,4%, passando da 75.468 nel 2000 a 61.604 nel 2005. In linea con quanto accade circa ogni anno, risulta che oltre la metà (55%) degli infortuni denunciati nel 2005, trascorso il tempo necessario per la definizione, sono riconosciuti dall'Inail infortuni temporanei, perché comportano un'inabilità temporanea assoluta superiore a tre giorni e non determinano postumi permanenti superiori al 5%, mentre il 21,7% dei denunciati vengono chiusi perché comportano meno di quattro giorni di prognosi (in franchigia) e il 14,6% perché non corrispondono alla definizione di legge (negativi). Per il resto, il 5,4% non sono indennizzati dall'Inail pur trattandosi di eventi riconoscibili come veri e propri infortuni sul lavoro (regolari senza indennizzo), il 2,7% degli infortunati riporta lesioni permanenti, con postumi permanenti superiori al 5%, e solo un esiguo 0,1% ha conseguenze mortali. (Figura 11.2.10) Emergono interessanti considerazioni se si va ad esplorare l'evoluzione temporale degli infortuni riconosciuti dall'Istituto Assicuratore e avvenuti in occasione di lavoro escludendo gli infortuni in itinere e quelli accaduti a sportivi professionisti, colf e studenti. Il numero di infortuni mortali si attesta attorno agli 83 casi l'anno nel biennio 2001-2002; sono stati 99 nel 2003 e poi inizia un significativo calo, fino ad arrivare a 63 eventi nel 2005. Gli infortuni con lesioni permanenti sono in aumento: i 2.053 casi registrati nel 2000 diventano 2.659 nel 2005 (+29,5%), mentre gli infortuni temporanei mostrano un calo del 20,3% nel periodo considerato. (Figura 11.2.11) Il calo del numero di infortuni riconosciuti, e in particolare degli infortuni con prognosi temporanea, riguarda principalmente gli eventi non gravi: tra il 2003 e il 2005 sono calati del 14% gli eventi con prognosi minore di 9 giorni e del 11,8% quelli con prognosi compresa tra 9 e 14 giorni. È più ridotto, invece, il calo degli incidenti più gravi (con prognosi superiore ai 28 giorni) che si riducono del 5% circa. (Figura 11.2.12) e (Figura 11.2.13) In tutte le province si registra un calo del numero assoluto di infortuni, ad esempio nelle province di Treviso e Padova il numero degli infortuni sul lavoro denunciati e riconosciuti nel 2005 è di oltre il 20% inferiore a quello osservato 6 anni prima. Facendo riferimento alla Posizione Assicurativa Territoriale (PAT), ovvero il contratto assicurativo che una azienda stipula con l'Inail per assicurare i propri lavoratori, consideriamo ora l'indice di incidenza degli infortuni sul numero di addetti. L'indice di incidenza calcolato per 1.000 addetti nel periodo 2000-2005, ottenuto come rapporto tra il numero di infortuni sul lavoro riconosciuti (Nota 5), con l'esclusione degli infortuni di colf, studenti e sportivi professionisti, accaduti tra il 2000 e il 2005 a lavoratori la cui PAT di riferimento ha sede in Veneto, e gli addetti (Nota 6) stimati per le PAT con sede nel territorio regionale, permette di individuare i comparti produttivi più pericolosi, nei quali sono più frequenti gli incidenti sul lavoro. (Figura 11.2.14) Tra i comparti con l'incidenza più elevata risalta l'industria dei metalli con 99 infortuni su 1.000 addetti, segue il comparto dell'agrindustria e della pesca con un indice pari a 80 per 1.000 e l'industria della trasformazione dei non metalliferi (73 infortuni su 1.000 addetti). Il comparto della metalmeccanica, pur essendo al secondo posto per numero assoluto di infortuni, ha un indice di incidenza pari a 60 per 1.000, paragonabile a quello delle costruzioni, dell'industria della gomma e dell'industria del legno. Per quanto riguarda la pericolosità dei comparti produttivi, oltre alla frequenza degli infortuni va considerata anche la gravità. Considerando gravi gli infortuni mortali o che determinano una prognosi superiore a 40 giorni o un grado di postumi permanenti superiore o uguale all'1%, al primo posto c'è l'agricoltura, dove ogni 100 infortuni ben 28 risultano gravi, seguita dai trasporti (26%), il settore dell'estrazione di minerali (23%) e quello delle costruzioni (22%). (Figura 11.2.15) In seguito all'inserimento lavorativo progressivamente più intenso degli stranieri nei settori produttivi veneti, la percentuale di eventi che li vedono coinvolti è significativamente aumentata in questi ultimi anni, passando dall'11% nel 2000 al 17% dal 2003 agli anni a seguire. (Figura 11.2.16) Il comparto dell'industria conciaria risulta essere il primo per numero di infortuni a lavoratori stranieri, seguito dall'industria dei metalli, della chimica e l'industria della trasformazione dei non metalliferi, settori nei quali molti stranieri trovano occupazione. È interessante un approfondimento del fenomeno nel comparto delle costruzioni, considerando l'indice di incidenza calcolato per i lavoratori stranieri nati in paesi non comunitari (Nota 7) e confrontato con quello totale. Nel 2000 l'indice di incidenza per i lavoratori stranieri non comunitari era di 111,1 ogni 1.000 addetti contro un livello dell'indice totale di 70,7. Tuttavia, con il passare degli anni la forbice iniziale va diminuendo e in cinque anni sono 27,8 in meno gli infortuni per 1.000 addetti accaduti a lavoratori stranieri non comunitari, a fronte di un calo di 15,4 punti dell'indice calcolato per tutti i lavoratori delle costruzioni. (Figura 11.2.17) Le malattie professionali
Un ultimo importante aspetto della sicurezza sul lavoro è rappresentato dal pericolo delle malattie professionali (Nota 8). Pur con la quasi scomparsa o la netta riduzione delle tecnopatie tradizionali, coesiste il fenomeno delle nuove patologie professionali in costante aumento. Se nel 1990 le ipoacusie (Nota 9), le malattie muscolo scheletriche, le dermatiti erano rispettivamente l'86%, l'1% e il 7% delle malattie totali denunciate, nel 2006 esse risultano rispettivamente il 45%, il 28% e il 3%.Nonostante ciò, non è facile analizzare il fenomeno delle malattie professionali, sia per i lunghi tempi di definizione, sia per una discreta sottostima del fenomeno. Inoltre, la difficoltà nel disporre di dati (Nota 10) adeguati deriva anche dalla natura stessa del fenomeno: la malattia professionale è causata da una esposizione prolungata a una molteplicità di fattori di rischio, che spesso sono di difficile identificazione e associazione con il lavoro. (Figura 11.2.18) Le denunce di malattia professionale agli Spisal sono aumentate notevolmente dal 1990 al 1993 per effetto della vigilanza messa in atto dai servizi sulla sorveglianza sanitaria ed effettuata dai medici competenti. Questo ha portato al coordinamento e al controllo dei protocolli degli accertamenti sanitari periodici predisposti dai medici e l'estendersi della sorveglianza sanitaria a nuove aziende ha determinato l'emersione di nuove patologie professionali. Dopo il 1993 il numero di malattie professionali denunciate si stabilizza intorno ai 2.000 nuovi casi per anno, con due picchi negli anni 1997-1998 e 2001-2002; il primo potrebbe essere la conseguenza dell'applicazione della nuova legislazione europea che estende la sorveglianza sanitaria a nuovi rischi, mentre il secondo picco è probabilmente da attribuire all'aumento combinato di tre categorie di malattie: le muscolo-scheletriche, le patologie non tumorali da amianto e i tumori da amianto.
Nonostante il rassicurante ambiente familiare, a volte la casa può rivelarsi un luogo non sicuro. Gli incidenti in ambito domestico ne sono l'esempio, rappresentando un fenomeno di preoccupante importanza anche per il sistema della sanità pubblica.
In Italia, come nella gran parte dei paesi industrializzati, negli ultimi 20 anni sono stati attivati numerosi progetti di ricerca e programmi di prevenzione al fine di conoscere il problema, quantificarlo ed agire in un'ottica di protezione dell'individuo dalle molteplici insidie dell'ambiente casalingo. Il crescente interesse deriva dalla gravità delle conseguenze che episodi apparentemente banali possono generare; molti degli incidenti domestici rappresentano, infatti, cause di mortalità o di invalidità e i soggetti più esposti al pericolo risultano essere quelle persone che trascorrono più tempo in casa: donne, bambini e anziani. Sebbene ne sia riconosciuta l'importanza, in Italia non esistono dati esaurienti del fenomeno (Nota 11) e la principale fonte informativa è l'Indagine campionaria Multiscopo dell'ISTAT che, basandosi sulle autodichiarazioni degli intervistati, descrive sommariamente il fenomeno ma non fornisce indicazioni sulla gravità degli infortuni e sull'eventuale ricorso all'assistenza sanitaria. In Veneto nel 2006 sono stati circa 62.000 (Nota 12) gli individui che avrebbero subito incidenti all'interno delle mura domestiche o nell'ambito delle pertinenze dell'abitazione. Il fenomeno nella nostra regione, con 13,2 individui che hanno subito un incidente domestico ogni 1.000, è di poco inferiore al valore medio nazionale (13,7 ogni 1.000 persone) e in calo rispetto al 2000. (Figura 11.2.19) (Figura 11.2.20)
Tra i fattori che possono minacciare il nostro benessere quotidiano, vi è la criminalità, che si classifica al secondo posto tra le paure degli italiani, subito dopo il timore generato dalla disoccupazione. Oltre al danno diretto, infatti, il crimine produce insicurezza e diffidenza nel prossimo, condizionando fortemente le abitudini quotidiane e lo stile di vita.
A causa dell'alta percentuale di reati non denunciati, i dati (Nota 13) che riguardano la criminalità richiedono molta cautela nella lettura e nell'interpretazione. Inoltre, è solo nel medio-lungo periodo che si possono misurare le tendenze dei fenomeni criminali. Nel 2005 i delitti, vale a dire i reati per i quali è prevista la pena principale della reclusione o della multa e una serie di pene accessorie, denunciati dalle Forze di polizia all'autorità giudiziaria in Veneto sono stati 196.764, il 2,2% in più rispetto all'anno precedente. Le province venete più coinvolte sono Venezia, Verona e Padova, dove si denunciano quasi 5.000 delitti ogni 100.000 abitanti, contro i 4.169 denunciati mediamente in Veneto e i 4.401 in Italia. Rovigo è la provincia che ha evidenziato la più alta crescita annua di delitti denunciati: il 18,1% in più rispetto al 2004. (Figura 11.2.21) L'illecito più diffuso è il furto con quasi 120.000 casi denunciati nel 2005. A distanza seguono nell'ordine i danneggiamenti (18.448), i reati di minaccia e ingiuria (10.873), le truffe e le frodi informatiche (8.580) e le denunce per lesioni dolose e percosse (5.938). (Figura 11.2.22) Il Veneto evidenzia, tuttavia, livelli di pericolosità inferiori a quelli osservati mediamente in Italia sia per quanto riguarda i crimini violenti, sia per quelli meno gravi e più diffusi. Nel 2006 nella nostra regione si registrano 14,3 crimini violenti ogni 10.000 abitanti e 25,7 furti e rapine meno gravi ogni 1.000 abitanti contro, rispettivamente, i 20,1 e i 26,9 osservati in Italia. (Figura 11.2.23) Esplorare il fenomeno della criminalità significa anche indagare e misurare la percezione soggettiva e sociale del rischio, in altre parole quanto una persona si sente sicura in casa, nella sua città, tra la gente. L'aver già subito un reato, ma anche le notizie di episodi criminali che quotidiani e telegiornali diffondono, contribuiscono ad accrescere la paura e il senso di insicurezza dei cittadini. Nonostante in Veneto non si raggiungano i livelli di preoccupazione di alcune altre regioni limitrofe, la criminalità è comunque un problema sentito. (Figura 11.2.24) In Veneto la percentuale di famiglie che ritiene rischiosa la zona in cui vive è stata per anni superiore al valore medio nazionale, ma si evidenziano recenti e incoraggianti miglioramenti: dal 2005, infatti, la parte di famiglie che esprime preoccupazione è in costante riduzione e nel 2007 scende sotto il livello medio nazionale (34,6%) attestandosi al 29,2%. (Tabella 11.2.2) Stranieri e criminalità
Per quanto riguarda gli immigrati, la criminalità si concentra soprattutto nel mondo degli irregolari.Il Veneto, come il Nord-Est, è una terra con alte concentrazioni di ricchezza e probabilmente di forte presenza di flussi migratori clandestini, attirati dalla chimera di una vita più facile e dalla promessa di un lavoro regolare che non sempre riescono a trovare. Tra gli 11.970 individui condannati in Veneto nel 2005 il 35% è nato all'estero e il 90% di questi ultimi proviene dai paesi dell'Africa e dell'Europa; sono prevalentemente marocchini e rumeni, nazionalità maggiormente presenti nel nostro territorio. (Figura 11.2.25) La criminalità minorile
Sempre più frequentemente i fatti di cronaca hanno per protagonisti individui giovani o giovanissimi. Nel 2005 i minori denunciati (Nota 14) in Veneto sono 1.858 e di questi il 35,5% non è imputabile perché ha un'età inferiore ai 14 anni. In Veneto, tuttavia, il quoziente di delittuosità giovanile risulta il più basso tra le regioni italiane: su 100.000 giovani residenti in Veneto di età 10-17 anni si registrano 548 denunce, contro le 882 in Italia. (Figura 11.2.26) Territorialmente il problema della criminalità giovanile è sentito soprattutto nelle province di Venezia con 845 denunce ogni 10.000 residenti di 10-17 anni, Rovigo (661), Verona (610) e Padova (580), mentre nelle province di Venezia, Verona, Vicenza e Padova il 35-40% dei minori denunciati ha meno di 14 anni. (Tabella 11.2.3) Come nel resto del Paese, anche in Veneto prevale nettamente la quota di maschi denunciati rispetto alle ragazze: nel 2005 solo una denuncia su quattro riguarda un crimine commesso da una ragazza. Se si considerano le denunce ad adolescenti sotto i 14 anni la quota di ragazze coinvolta aumenta, raggiungendo quasi la parità con i coetanei maschi tra gli stranieri minorenni denunciati. Almeno in parte, ciò è da collegare alla componente straniera di nomadi, nella quale le ragazze giovani e soprattutto preadolescenti si rendono frequentemente responsabili di reati contro il patrimonio come i furti nelle abitazioni. (Figura 11.2.27) Il bullismo
Se a lungo il bullismo è stato considerato come una tappa innocua ed inevitabile dello sviluppo adolescenziale, recentemente vari studi hanno dimostrato che si tratta di un vero e proprio problema comportamentale con gravi effetti sia nell'immediato che a lungo termine. Si è dimostrato, infatti, che i bambini protagonisti di atti di bullismo sono maggiormente esposti al rischio di essere coinvolti da grandi in attività criminali anche gravi. Il bullismo si manifesta in vari modi (aggressione fisica, verbale, psicologica), tutti accomunati dal ripetersi degli episodi e dalla presenza di un pubblico che partecipa o assiste omertosamente. Il fenomeno del bullismo può interessare anche bambini molto piccoli, ma è nell'età adolescenziale che si sviluppa in maniera preoccupante. Diversi studi concordano nell'evidenziare che gli atti di bullismo hanno come sfondo principale la scuola, registrando casi frequenti già nei primi anni delle scuole medie. Le azioni di prevenzione dovrebbero, perciò, iniziare molto presto a casa e poi continuare durante tutto il percorso scolastico. Nonostante vi sia sempre più la necessità di conoscere il bullismo per poterlo prevenire, analizzare quantitativamente il fenomeno rimane ancora complesso, data la scarsità di dati disponibili, nonché la difficoltà nell'individuare e registrare tutti gli episodi incriminati. Una ricerca condotta dalla Regione Veneto, dall'Università di Padova e dalla Direzione Scolastica Regionale per il Veneto sui risultati dell'indagine HBSC (Nota 15) 2002 rappresenta attualmente la fonte informativa più recente sul fenomeno del bullismo adolescenziale a livello regionale. Il comportamento riscontrato negli adolescenti veneti di 11, 13 e 15 anni appartenenti al campione studiato conferma che il bullismo è un fenomeno che tocca anche la nostra regione. Nei due mesi precedenti l'intervista quasi un terzo degli 11enni (31,4%) e dei 15enni (32,6%) ha partecipato ad almeno un episodio di bullismo, ma è il gruppo dei 13enni ad essere composto per oltre il 40% da piccoli bulli. (Figura 11.2.28) Ad ogni età prevale la componente maschile, responsabile soprattutto di aggressioni fisiche, mentre le ragazze tendono ad aggredire verbalmente o con comportamenti indiretti come il pettegolezzo e l'esclusione dal gruppo. Considerando il fenomeno dal lato delle vittime, invece, sono i più giovani, gli 11enni, e la componente maschile, ad essere più frequentemente oggetto di episodi violenti o di scherno. Quasi la metà (44,7%) dei ragazzini maschi di 11 anni riferisce di aver subito almeno un episodio di bullismo. Tuttavia, crescendo con l'età questa preoccupante percentuale scende al 33,4% nei maschi 13enni e nel 22,8% in quelli di 15 anni. La violenza sulle donne
La violenza sulle donne rappresenta una forma di abuso tra le più diffuse al mondo.Ogni giorno, donne di ogni età, razza, religione e ceto sociale sono vittime di aggressioni fisiche, sessuali e psicologiche, nella gran parte dei casi proprio all'interno delle mura domestiche e frequentemente ad opera di familiari o conoscenti. Tuttavia, stimare il fenomeno con precisione è difficile perché la maggior parte dei casi non viene denunciata, sia per la paura di ritorsioni, sia perché in alcune società la violenza domestica è tollerata o addirittura giustificata. Anche in Italia, così come nella cultura occidentale permane ancora una forte reticenza nel denunciare il fatto da parte delle vittime che provano vergogna e, soprattutto quando conoscono l'aggressore o ne sono la partner, spesso tendono a difenderlo, a minimizzare il fatto e ad assumersi parte della responsabilità. Nel 2006 (Nota 16) quasi il 32% delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni è stata vittima di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, mentre in Veneto la percentuale è di poco superiore (34,3%). (Figura 11.2.29) Si evidenzia una maggior vulnerabilità delle donne giovani, mentre le donne sopra i 45 anni sono meno coinvolte negli episodi di violenza, segno forse di una crescente manifestazione di fenomeni violenti nella società, oppure di una percezione differente del proprio vissuto o di una diversa propensione nel dichiarare gli atti subiti. (Figura 11.2.30) Andando ad esaminare le forme di aggressione si può notare come prevalga nettamente la violenza fisica quando l'aggressore è il partner della vittima, mentre sono più frequenti gli episodi di violenza sessuale quando l'aggressione avviene al di fuori della coppia. (Figura 11.2.31) In Veneto, i casi di violenza fisica o sessuale all'interno della coppia sono inferiori ai valori medi nazionali, con 11 donne su 100 che accusano violenza fisica e 5 su 100 che subiscono violenza sessuale dal partner. Viceversa, la violenza subita da un soggetto diverso dal partner è più elevata: il 23% delle donne venete ha subito una qualche forma di violenza sessuale da un uomo non partner e l'11,3% ha subito violenza fisica. Come si è detto, le denunce sono ancora poche in tutto il territorio nazionale, soprattutto nelle regioni del Centro-Sud. In particolar modo, il silenzio è molto diffuso per quelle forme di violenza, come lo stupro, che vanno a ledere profondamente la dignità della donna. In generale, le vittime denunciano con più frequenza gli atti subiti dal partner rispetto a quelli di altri uomini e il Veneto, collocandosi circa a metà graduatoria, conta il 6,1% di denunce di violenza subita dal partner e solo il 4,4% da non partner. (Figura 11.2.32) Anche se ogni tipo di aggressione rappresenta una violazione dei diritti umani, la violenza perpetrata dal partner è percepita come più grave di quella subita da parte di un altro uomo, anche perché le ferite sono più frequenti quando l'aggressore è il partner. In Veneto, il 28,4% delle vittime ritiene molto gravi gli episodi di violenza interni alla coppia; non va sottovalutata, poi, la violenza subita da non partner che per il 21% delle vittime è da considerarsi altrettanto grave. (Figura 11.2.33) Alla violenza fisica e sessuale spesso si aggiunge quella psicologica, i cui effetti sono altrettanto dolorosi. A livello nazionale, così come in Veneto, circa il 91% delle donne vittime di violenza fisica e/o sessuale da parte del partner o ex, subisce anche violenza psicologica. Sono soprattutto le donne del Centro-Sud a subire violenza psicologica in maniera sistematica: quasi un terzo delle donne campane, ad esempio, ne è vittima sempre o spesso. In Veneto, la percentuale si riduce al 18,7% e tra queste, il 43,4% è vittima di atteggiamenti di isolamento, il 36,2% è controllata nell'uso del proprio denaro e il 33,2% subisce atti di controllo esagerati da parte del partner. (Figura 11.2.34) (Figura 11.2.35) Torna indietro
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