Sintesi - Un modello di competitività per il Veneto

Essere in Europa da protagonisti, è oggi il principio guida delle società europee più sviluppate che per questo mobilitano risorse ed energie nella ricerca delle migliori forme di competizione.
Proliferano le graduatorie internazionali della competitività, nelle quali l'Italia si trova spesso in coda negli ultimi anni; molte di queste vengono accolte con una certa mancanza di senso critico e non ci si accorge che le ipotesi su cui si basano tali classifiche influiscono molto sui risultati diffusi e le migliori o peggiori condizioni degli Stati, spesso recepite clamorosamente dagli organi di stampa, dipendono da un intreccio innumerevole di fattori che quasi sempre non aiuta a comprendere la reale entità del fenomeno.
La competitività è il filo conduttore di questo rapporto, ma per trattare adeguatamente un tema dalla crescente complessità è da tener presente che quando si coniuga il concetto di competizione con quello di territorio, emergono alcune problematiche di analisi in termini concettuali ed empirici.
Negli ultimi vent'anni vi è stato un rilevante arricchimento della conoscenza sui meccanismi dello sviluppo che prescinde dalla teoria tradizionale della crescita (Nota 1). L'attenzione non è limitata alla quantità impiegata dei fattori produttivi, ma viene spostata sulla qualità dei rapporti tra i fattori e sugli attori che formano l'ambiente entro cui operano i soggetti economici. L'oggetto non possono più essere solo le variabili aggregate, quali il prodotto nazionale, ma emerge la diversità delle situazioni locali e delle città ove si esplicano processi di crescita e sviluppo indipendenti rispetto a quelli del resto del paese, e rispetto ai quali assumono un ruolo fondamentale le esternalità che vengono a prodursi.
Quando si parla di competizione territoriale, in primo piano vi sono quindi gli individui, le imprese, i prodotti e le tecnologie, ma competono anche entità aggregate come i paesi, le regioni, le città, i settori, i territori. Al massimo della semplificazione si può dire che gli individui competono in base alle loro capacità professionali, le imprese in base ai costi di produzione, all'innovazione ed alla qualità dei loro prodotti, i prodotti competono in base al rapporto tra qualità e prezzo e le tecnologie in base all'efficienza.
Diamo in questo rapporto concretezza al concetto di competitività percorrendolo attraverso questi elementi cardine, qui sistemati in un unico fluire di eventi, annotati nel dettaglio nei diversi capitoli: gli individui, le imprese, il prodotto, le tecnologie-l'innovazione-la logistica, il territorio e le peculiarità regionali, il sistema di finanza pubblica e l'energia, quest'ultimi trattati in un'ottica comparativa nella seconda parte del rapporto.

Inizio Pagina  Gli individui

competono per le loro capacità professionali
Aumenta la partecipazione al lavoro e diminuiscono le persone in cerca di lavoro. Nel 2006 in Italia l'offerta di lavoro cresce ad un ritmo che non si registrava da tempo, l'occupazione aumenta di quasi il 2%, pari a ben 425.000 unità in più rispetto al 2005, e ancora una volta un contributo rilevante deriva dalla componente straniera, che incide per il 42% sul totale dei nuovi occupati, e dal lavoro a tempo determinato. In progressivo aumento anche i livelli occupazionali veneti con quasi il 2% in più di lavoratori rispetto all'anno precedente e ben oltre il 18% in più se confrontato con il dato del 1995. Nonostante questo, sembrano ancora distanti per l'Italia gli obiettivi europei fissati dalla strategia di Lisbona di raggiungere un livello occupazionale medio del 70% entro il 2010, mentre migliori sono le prospettive per la nostra regione nel caso in cui riuscisse a mantenere, anche per i prossimi anni, la stessa tendenza all'espansione della quota di occupati realizzata nell'ultimo anno.
L'accesso al lavoro, alla formazione e ad altre opportunità sono elementi essenziali per conseguire uno sviluppo partecipato ed inclusivo di tutte le componenti sociali. L'impegno a ridurre le disuguaglianze e le situazioni di marginalità, pensando in modo integrato alle azioni per promuovere la coesione sociale, è secondo l'Unione europea una strada obbligata per raggiungere un livello di sviluppo realmente sostenibile, al riparo da fratture e squilibri sociali.
All'aumento della base occupazionale, deve innanzitutto corrispondere una evoluzione dei sistemi di aggiornamento e di miglioramento delle competenze degli adulti, fattore tra l'altro misurato dal Consiglio europeo con l'adozione di un parametro che prevede che almeno il 12,5% della popolazione adulta in età 25-64 anni partecipi all'apprendimento permanente entro il 2010. Nel 2005 l'UE25 supera di poco il 10%, quasi tre punti percentuali in più rispetto al dato di cinque anni prima, al di sotto l'Italia ed il Veneto nel 2006 con un tasso rispettivamente del 6,9% e del 7,3%.
Inoltre alla permanenza di un persistente svantaggio di genere in molti aspetti delle società europee contemporanee devono seguire decise azioni di riduzione del gap rilevato. Infatti il divario occupazionale fra uomini e donne è andato riducendosi nella generalità dei Paesi dell'Unione, pur rimanendo significativo: per le persone di 15-64 anni a livello europeo la differenza dei tassi di occupazione è di 15 punti percentuali (dato UE25), assai maggiore è il gap di genere per l'Italia (24 punti percentuali) e per il Veneto (23,3 punti percentuali). Al di là del dato generale, comunque in costante miglioramento, si registrano delle differenze strutturali a svantaggio delle donne, spesso derivanti dalle loro scelte professionali stereotipate che restano soprattutto nell'ambito dei settori dell'istruzione, della formazione e dell'orientamento professionale. Ma vi sono diversi segnali che inducono a riporre una maggiore fiducia nelle capacità delle donne di conseguire risultati soddisfacenti in campo professionale: infatti in una recente indagine europea (Nota 2) condotta dall'Eurostat sulle nuove attività imprenditoriali di successo, rappresentate da quelle imprese nate nel 2002 e ancora attive nel 2005 sotto la guida del proprio fondatore, il 28,1% delle 337.919 imprese analizzate nei quindici Paesi aderenti all'indagine sono fondate e guidate da donne, che manifestano così un'ottima capacità di fare fronte alle generali difficoltà dell'ambiente in cui operano.
Essere competitivi attraverso il miglioramento dei posti di lavoro, quindi puntando alla qualità, deve necessariamente basarsi sulla promozione di più elevati livelli di istruzione. Uno degli obiettivi concertati a Lisbona, da raggiungere entro il 2010, è che almeno l'85% dei giovani dovrebbe completare come minimo l'istruzione secondaria superiore. Al 2005 la percentuale della popolazione in età 20-24 anni in possesso di almeno il diploma di scuola secondaria superiore nell'UE25 è pari al 77,5%, solamente quasi un punto percentuale in più rispetto al dato del 2000. In Italia la situazione è anche meno buona: nel 2006 si attesta ancora su un valore più basso della media europea ed è pari a circa il 75%; migliore, invece, e in gran recupero la condizione del Veneto che nell'ultimo anno registra un tasso dell'81,6%, quasi cinque punti percentuali al di sopra del dato del 2005.
La qualità dell'istruzione ricevuta è valutabile attraverso la misura del livello delle competenze di base acquisite. In un confronto internazionale sui livelli di competenze conseguite in matematica, lettura e problem-solving, ossia la capacità di mettere in atto processi cognitivi per affrontare e risolvere situazioni reali e interdisciplinari, l'istruzione veneta nel 2003 ottiene risultati soddisfacenti, in quanto è meno marcata la percentuale di studenti con scarse competenze nei tre ambiti valutati, mentre la quota dei ragazzi con preparazione di livello medio-alto risulta maggiore della media italiana e abbastanza in linea con quella internazionale. Inoltre il 12% dei quindicenni veneti raggiunge i livelli più alti di competenze in matematica, l'8,2% in lettura e il 16,7% in problem solving.
Ne consegue che il Veneto presenta quasi sempre un livello di laureati in matematica, scienze e tecnologia, che secondo la strategia europea dovrebbe aumentare almeno del 15% entro il 2010, migliore della media italiana, anche se la regione continua a mantenere un'identità di tipo umanistico rispetto ad altre regioni europee dove prevale, invece, una radicata cultura tecnico-scientifica dei percorsi universitari che dà modo di soddisfare le esigenze del mercato del lavoro attuale attraverso l'uso delle nuove tecnologie. E' anche vero, però, che spesso i laureati nelle materie umanistiche, nella nostra società, in continuo e rapido cambiamento, riescono ad inserirsi in professioni diversificate, anche non apparentemente legate alle discipline di studio, grazie alla loro versatilità, alla capacità di risolvere problemi insoliti in modo creativo, contribuendo anche loro per aspetti diversi alla crescita dell'innovazione. Creatività, inventiva e capacità di sviluppare e applicare nuove conoscenze costituiscono il principale vantaggio competitivo sul quale far leva nel lungo periodo.

La spesa per l'istruzione

Sono piuttosto rilevanti le differenze tra gli Stati sulla spesa pubblica per istruzione. Questa in Italia interessa nel 2005 circa il 5% del Pil, mentre una quota più elevata spendono la Svezia, 7,4%, gli Stati Uniti, 6,3%, Francia, Finlandia, Austria e Regno Unito. E' stato comunque elevato l'impulso dato in questi ultimi anni, la spesa pro capite ha avuto in Italia un incremento del 5,6% dal 2001 al 2005.
In tutte le regioni italiane che abbiamo posto a confronto con il Veneto (Nota 3) vi è la tendenza all'aumento del livello pro capite di spesa, eccetto che per Veneto e Friuli V.G.; ma cresce in tutte le regioni la quota di spesa gestita dalle amministrazioni decentrate, come effetto del trasferimento di competenze di questa funzione di spesa. Il Trentino Alto Adige mantiene la spesa pro-capite più elevata, 1.733 euro nel 2005, + 26,4% dal 2001, dovuto proprio al maggior impegno profuso da parte delle amministrazioni locali (Nota 4).
Ma l'indice relativo ai laureati per 100 immatricolati nelle università trentine è il più basso della graduatoria regionale nel 2004, per questo aspetto è il Friuli V. G. a mostrare la più elevata dinamicità portandosi a 112 laureati ogni 100 immatricolati nel 2004, con una spesa pro capite nel 2001, 1.105 euro per abitante, seconda solo a quella del Trentino, e in diminuzione nel 2005, 1.082 euro.
Il Veneto è penultimo, prima della Lombardia, nella classifica regionale della spesa pro capite per istruzione, che si riduce ulteriormente nell'arco di tempo considerato, portandosi a 878 euro nel 2005, ma qui l'azione della pubblica amministrazione dimostra una buona efficacia, in quanto il Veneto si guadagna il 3° posto per tasso di laurea nel 2004 ed evidenzia una altrettanto buona performance per ciò che riguarda il basso numero di ripetenti per 100 iscritti nelle scuole secondarie, secondo solo al Trentino Alto Adige.

Inizio Pagina  Le imprese

devono essere e restare diverse conservando le risorse che giovano a questo scopo cercando di fronteggiare i vincoli esogeni
Schumpeter (Nota 5) asseriva che la capacità di competere dipende essenzialmente dalla capacità di innovare. Oggi si è andati oltre e si ritiene che la competitività delle imprese riposi essenzialmente sulle risorse tangibili e intangibili controllate; per mantenere un vantaggio competitivo sulle rivali un'impresa deve essere e restare diversa conservando le risorse che giovano a questo scopo. Quando si passa dalla singola impresa all'aggregato di imprese o ad altri livelli di aggregazione, si deve ricorrere ad altre misure della competitività.
La struttura economica del Veneto si trasforma e continua gradualmente a crescere. Nel 2006 la base imprenditoriale veneta è cresciuta di ben 2.543 unità, +0,6%, portando il numero di imprese attive al valore di 459.421 unità. Crescono nel settore dei servizi e delle costruzioni, e prosegue il processo di ristrutturazione nel settore manifatturiero, -1% nell'ultimo anno, che premia le imprese più forti e competitive, quelle organizzate in filiera e che sanno puntare sulla qualità.
Una delle forme di slancio innovativo dell'attività imprenditoriale attiene al fenomeno dell'internazionalizzazione delle imprese tramite investimenti diretti esteri (IDE) e altre forme di internazionalizzazione non mercantile che, a partire dai primi anni novanta, ha assunto una dimensione sempre più rilevante anche per le imprese venete, tale da configurarsi come uno dei caratteri distintivi del modello di sviluppo regionale. Forme di decentramento produttivo, basate sulla delocalizzazione in paesi a basso costo del lavoro di specifiche fasi manifatturiere al fine di innalzare la concorrenzialità dei beni finali prodotti, si sono affiancate ad investimenti diretti volti a rafforzare la penetrazione commerciale, favorendo l'insediamento ed il radicamento dell'impresa sui mercati di sbocco attraverso investimenti greenfield e/o acquisizioni totali o parziali di imprese estere. Allo stesso tempo, negli ultimi anni è cresciuta anche la presenza in Veneto di imprese a partecipazione estera.
Nell'ambito di una crescente globalizzazione, i paesi di più antica industrializzazione hanno per ora mantenuto il controllo dei centri di comando e dei principali gateways delle attività economiche, mentre si va trasferendo, almeno in parte, in nuove aree del mondo il locus dell'innovazione sottesa alla produzione manifatturiera. Un altro fenomeno da rilevare è come la delocalizzazione tenda ad investire sempre più anche attività pregiate, relative alla generazione di conoscenze, nei campi più applicativi della R&S, e coinvolgenti altri assets strategici per lo sviluppo, come nell'ampio settore dei servizi.

Le imprese a partecipazione estera in Veneto

Con riferimento a tutte e sole le attività coperte dalla banca dati Reprint (Nota 6), all'inizio del 2006 le imprese venete partecipate da imprese multinazionali (IMN) estere sono complessivamente 463, con 43.797 dipendenti e un fatturato riferito al 2005 di 19.959 milioni di euro. (Nota 7)
Nella larga maggioranza dei casi, la presenza delle IMN in Veneto si esplica tramite partecipazioni di controllo, coerentemente con quanto avviene in ambito nazionale. L'incidenza di tale tipologia è pari all'88,6% delle imprese a partecipazione estera (92,1% a livello nazionale), il 92% dei dipendenti (contro il 91,5%) e il 93,2% del fatturato (contro il 92,3%).
Gli ultimi anni hanno visto peraltro un certo incremento della presenza di IMN estere in Veneto, cresciuta a ritmi più veloci della media nazionale. Nel periodo 2001-2006 il numero delle imprese a partecipazione estera con sede in Veneto è incrementato del 21,5%, a fronte di un aumento del 12,5% a livello nazionale; in relazione alla consistenza economica delle attività delle imprese partecipate, il numero dei dipendenti delle imprese venete a partecipazione estera è cresciuto del 16,5%, contro una media nazionale dell'8,2%. Nell'industria manifatturiera l'occupazione delle imprese a partecipazione estera si è ridotta nel periodo considerato del 7,9% a livello nazionale, mentre il Veneto registra un incremento (+3,5%).
Rispetto alla consistenza complessiva delle partecipazioni italiane all'estero, il Veneto rappresenta il 15,4% delle imprese multinazionali italiane, il 13,1% delle imprese partecipate all'estero, il 9,2% dei dipendenti e il 6% del fatturato. Relativamente alle partecipazioni di controllo, il peso del Veneto sale al 13,5% delle imprese, al 9,7% dei dipendenti e al 6,9% del fatturato. Tali dati indicano come il Veneto presenti un numero di soggetti investitori e di partecipazioni all'estero superiore al peso economico complessivo della regione nel contesto nazionale, mentre l'incidenza scende al di sotto di tale quota se si guarda alla consistenza delle attività partecipate all'estero, in particolare se misurata in termini di fatturato, data la maggiore incidenza di iniziative prevalentemente volte a delocalizzare all'estero specifiche fasi del processo produttivo. Occorre però sottolineare come un'analisi basata sulle partecipazioni dirette all'estero delle imprese colga solo una parte - certamente la più rilevante per "spessore" strategico - di quell'ampia varietà di accordi non equity con cui le imprese danno impulso al proprio coinvolgimento estero. Sono infatti escluse le cosiddette forme "leggere" di internazionalizzazione, basate su accordi e partnership con imprese estere che non implicano lo scambio di quote azionarie tra le imprese coinvolte, le quali rappresentano certamente una modalità importante di internazionalizzazione per le imprese italiane in genere e venete in particolare, sia per decentrare in paesi a basso costo del lavoro parte della lavorazione dei prodotti, sia per accedere a canali distributivi sui mercati di sbocco.
Un altro fenomeno che assume dimensioni di particolare rilievo in questo ambito, in particolare per quanto concerne il Veneto, riguarda le forme di imprenditorialità italiana all'estero, ovverosia le imprese partecipate all'estero da privati cittadini italiani, che non rientrano dunque nel computo delle attività multinazionali del nostro paese. Tali iniziative si concentrano soprattutto nel campo delle attività di tradizionale competitività dell'industria nazionale; con riferimento al Veneto, il fenomeno assume particolare rilevanza nei paesi dell'Europa centrale e orientale, in alcuni dei quali (Romania in primis) la consistenza delle attività riferibili a cittadini italiani che hanno ivi stabilito il fulcro delle loro attività imprenditoriali supera in misura anche significativa quella delle attività partecipate da imprese italiane. Una misura della consistenza di tale fenomeno viene dal raffronto tra i dati contenuti nella banca dati Reprint e i risultati di un'indagine sulla presenza imprenditoriale veneta in Romania promossa da Antenna Veneto Romania (Nota 8). Il numero complessivo delle imprese di origine veneta registrate in Romania a partire dal 1990 e fino a marzo del 2005 risulta essere pari a 2.578 unità; tali imprese occupano oltre 39mila addetti e nel 2003 hanno registrato un giro d'affari di circa 458 milioni di euro. Le imprese rumene partecipate da imprese venete censite dalla banca dati Reprint a fine 2005 sono 182, con circa 17.300 dipendenti e un giro d'affari di circa 380 milioni di euro. Rispetto agli investimenti diretti effettuati da privati, è evidente come le partecipazioni delle imprese abbiano una dimensione media e soprattutto una produttività assai più elevate.
Il carico fiscale delle imprese e del personale altamente qualificato è un fattore di costo importante per la scelta del luogo di insediamento delle stesse. Un basso carico fiscale permette di praticare prezzi più bassi e, potenzialmente, di raggiungere una maggiore quota di mercato. Questo dovrebbe avere un effetto positivo anche sulla crescita economica regionale.
Le imprese non devono affrontare solo la tassazione diretta, bensì anche una parte del carico fiscale dei propri dipendenti. In un'economia basata sulla conoscenza, il capitale umano è sempre più importante e contemporaneamente sempre più mobile, specialmente quello qualificato. Nel processo di scelta del luogo d'insediamento, per un'impresa, soprattutto per una multinazionale, diventa fondamentale considerare sia il proprio carico fiscale effettivo sia quello dei dipendenti altamente qualificati. L'Italia, con un carico fiscale effettivo di quasi 45%, nella corsa al personale altamente qualificato, è svantaggiata rispetto alla maggior parte degli Stati europei qui confrontati. Livelli di tassazione simili a quelli italiani si registrano in Francia, mentre Germania e Irlanda sono ad un livello leggermente inferiore (circa 41-42%). Attorno al 40% risulta anche il carico fiscale in Spagna e in Gran Bretagna.
Nei Paesi confrontati (Nota 9) il carico fiscale del personale altamente qualificato varia quindi notevolmente, raddoppiando dal Cantone Zugo (25%) alla Finlandia (56%). In altre parole, un datore di lavoro a Zugo spende 132.800 euro per garantire al dipendente un reddito disponibile di 100.000 euro, mentre in Finlandia lo stesso datore di lavoro deve spendere 229.900 euro. In Italia, per 100.000 euro di reddito disponibile, il datore di lavoro affronta una spesa di 180.500 euro.
Il carico fiscale per il personale altamente qualificato non è l'unico fattore determinante per il successo economico di una regione. Un basso carico fiscale attira nuove imprese in una regione e crea incentivi a restare e a fare nuovi investimenti per quelle già insediate. Di fatto alcuni Paesi dell'Est europeo hanno adottato una strategia aggressiva in questa direzione, raggiungendo il più basso carico fiscale delle imprese in tutta Europa (l'esempio più evidente è la Slovacchia). Al contrario della tassazione del reddito delle persone, spesso la tassazione delle imprese presenta variazioni tra le diverse regioni dello stesso Stato. In Germania, ogni comune ha la possibilità di modificare il moltiplicatore della tassa sul commercio. In Svizzera, le imprese sono tassate sulla base del sistema federale che prevede, oltre ad una tassa nazionale dell'8,5%, una cantonale e una comunale, che variano in base alle leggi cantonali e alle decisioni comunali. Una certa autonomia fiscale delle regioni esiste in teoria anche in Italia: la legislazione nazionale sull'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), stabilita al 4,5%, permette alle regioni di variare il tasso di un punto percentuale. In realtà, nel 2005 nessuna regione ha fatto uso di questo diritto.
Come per la tassazione del personale altamente qualificato, anche per quella delle imprese esistono notevoli differenze tra i diversi Paesi presi a confronto. Con un tasso d'imposizione di quasi il 31%, il Veneto (come pure le altre regioni italiane, con minime differenze) si posiziona tra le regioni con un carico fiscale medio-alto. Le regioni con la tassazione più pesante sono però quelle francesi, tedesche e spagnole. In Spagna e in Germania, l'elevato carico fiscale deriva dall'alto tasso d'imposizione dei profitti, che include la tassazione nazionale e quella locale.
Se la maggior parte delle regioni non rivela grossi cambiamenti nella tassazione delle imprese in questo periodo, si notano alcuni casi interessanti di modifica della politica fiscale nei confronti degli investimenti delle imprese. In generale si riconosce una tendenza di riduzione della tassazione in diversi paesi europei.
Sulla base degli ultimi dati storici disponibili risalenti al 2004 e delle previsioni per i prossimi anni, la dinamica degli investimenti appare piuttosto variegata, A livello nazionale, dopo un anno di recessione, gli investimenti nel 2004 sono ritornati a salire (+2,2%), mentre a livello Veneto la crescita dello 0,9% è trainata principalmente dagli investimenti nei servizi (+3,2%) e in particolare nell'intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari ed imprenditoriali. Viceversa risultano in caduta quelli nel comparto industriale complessivo, -3,8%, e nelle costruzioni, -24,4%. Nonostante la persistenza di un basso costo di finanziamenti sul mercato del credito, nel 2005 in Italia gli investimenti diminuiscono leggermente, -0,5%, probabilmente a causa del peggioramento delle condizioni di redditività e del modesto grado di utilizzo degli impianti.
Tuttavia, i dati per gli anni successivi a livello nazionale registrano una ripresa complessiva degli investimenti. In Italia l'incremento del 2,3% avvenuto nel 2006 è risultato diffuso a tutte le componenti, sia in macchinari e mezzi di trasporto, sia in costruzioni. Per il Veneto si stimano nel 2006 prospettive di crescita che dovrebbero proseguire anche per il biennio successivo, riflettendo così la tendenza al generale alleggerimento fiscale.

Inizio Pagina  I prodotti

competono in base al rapporto tra qualità e prezzo
Il ciclo economico italiano a partire dal 2000 fino al 2005 è stato caratterizzato da una prolungata stasi dell'attività economica, di durata ben superiore a quella dei cicli precedenti ed esauritasi con un punto di minimo individuabile all'inizio del 2005. A partire da febbraio 2005 è partita una fase di ripresa, dapprima moderata, poi più intensa, che ha portato a registrare nel 2006 un aumento del Pil dell'1,9%, in linea con quanto accaduto nella seconda metà degli anni Novanta.
Anche la produttività, nonostante l'incremento sostenuto nell'occupazione, è tendenzialmente in aumento, benché su ritmi contenuti, mentre il rialzo del costo del lavoro per unità di prodotto è rallentata.
Gli indicatori congiunturali disponibili per i primi mesi del 2007 ipotizzano un modesto rallentamento dell'attività produttiva e della conseguente crescita del Pil nel primo semestre 2007, dovuto all'apprezzamento dell'euro, alla minore domanda estera, al ridimensionamento del processo di accumulo delle scorte. All'origine della ripresa vi sono i fattori legati al risveglio europeo, ma anche processi di ristrutturazione e/o assestamento in atto nei settori più esposti alla concorrenza internazionale, in particolare nel manifatturiero.
Nelle aree emergenti, e soprattutto in Cina e India, l'elevata domanda di materie prime ha l'effetto di sostenerne i prezzi, ma allo stesso tempo, l'abbondante offerta di lavoro nei paesi asiatici consente di contenere il costo di questo fattore e di compensare attraverso di esso i rialzi dei prezzi delle materie prime, che non vengono quindi trasferiti per intero sui prodotti finali. La conseguenza è che i prezzi dei manufatti sono cresciuti meno di quelli delle commodity e la maggiore presenza di manufatti a prezzi bassi nei mercati ha portato alla sterilizzazione dello shock del rialzo del prezzo del petrolio sulla dinamica inflazionistica.
Oltre all'espansione della domanda proveniente dalle aree emergenti, altri fattori specifici hanno contribuito a sostenere la dinamica dei prezzi dei metalli. I rincari del petrolio si sono riflessi sui prezzi di quei beni, quali l'acciaio, la cui produzione richiede elevati consumi di energia e, indirettamente, su quella dei più prossimi sostituti del petrolio, ad esempio l'uranio. Inoltre è ormai evidente lo sfruttamento speculativo del mercato delle materie prime: queste rappresentano ormai una quota significativa dei portafogli degli investitori internazionali e un importante strumento di diversificazione del rischio.
Ciò però non ha impedito il recupero della produzione che inizialmente ha interessato gli ambiti tipici della specializzazione italiana della metalmeccanica e dei mezzi di trasporto, in particolar modo dell'industria automobilistica, ai quali si è associato dal secondo quadrimestre 2006 anche il più tradizionale "made in Italy", ossia tessile, abbigliamento, pelli, legno e mobili.
Le esportazioni sono state favorite dall'intenso sviluppo della domanda mondiale e dal nuovo ciclo espansivo della Germania. Nel 2006 i dati provvisori (Nota 10) dell'interscambio commerciale veneto hanno messo in evidenza una crescita annua delle esportazioni di merci a prezzi correnti pari al +7,8%, per un importo complessivo che supera i 43 miliardi di euro. Nell'ambito dei paesi dell'Unione europea, che incidono per il 55% sul totale dell'export veneto, l'aumento delle vendite di prodotti veneti è stata del +2,7%, mentre con i paesi extra Ue la dinamica dell'export, in valore, ha toccato il +14,8%.
Da un punto di vista settoriale, le esportazioni venete sono state trainate dagli apparecchi elettronici ed ottici (+14,7% annuo), dai prodotti in metallo (+19,6%) e dal settore meccanico (+6,6%). La crescita delle esportazioni di questi beni è stata particolarmente accentuata nei mercati emergenti in cui lo sviluppo dell'industria manifatturiera ha fatto e farà da volano all'espansione della domanda di beni strumentali ed intermedi (beni che vengono acquistati per produrre beni finali). Sostenuta anche la dinamica, dopo un 2005 non esaltante, delle esportazioni venete del comparto dei mobili (+7,1%) e del settore orafo (+13,4%).
Le aziende del settore moda, dopo alcuni anni di crisi dovuti ai grandi cambiamenti indotti dall'irruzione della produzione cinese nel commercio internazionale, sembrano vedere la fine del tunnel e l'apertura di una nuova stagione di ripresa. Si vendono più tessuti (l'export 2006 è salito del +1,7%) e torna ad aumentare il valore dell'export dei prodotti in cuoio e pelle (+2,9%).
Il miglioramento nella dinamica dell'export veneto negli ultimi cinque anni (+10,1%) ha trovato sostegno nei processi di trasformazione strutturale, ampliatisi negli ultimi anni sotto la spinta dell'inasprimento della concorrenza internazionale, che hanno selezionato le aziende in grado di elevare la qualità dei propri prodotti. Questi processi hanno principalmente favorito la posizione delle imprese specializzate nella produzione di beni strumentali ed intermedi, che hanno dimostrato di saper reggere il passo dei concorrenti stranieri.
Alcuni studi (Nota 11) evidenziano altre motivazioni che possono aver contribuito alla crescita delle esportazioni. Da un lato è spiegata dallo spostamento verso segmenti di mercato a più elevato valore aggiunto e miglior livello qualitativo quindi meno vulnerabili rispetto alla concorrenza dei paesi emergenti. Dall'altro, si osserva un cambiamento di tipo strutturale relativo ai processi produttivi delle singole aziende: gran parte delle esportazioni avviene da parte delle imprese che hanno intensificato l'attività di internazionalizzazione. Questa evoluzione ha innalzato il costo di operare sui mercati esteri, con la conseguenza di consolidare la posizione di imprese di medie e grandi dimensioni, facendo uscire dal mercato le imprese più piccole e marginali.
Per il Veneto, in questo contesto, si stima un rafforzamento anche della domanda interna sull'onda dello slancio nazionale, come risultato di un sia pur iniziale contenuto rallentamento dei consumi privati e di una accelerazione della crescita degli investimenti. Per il 2006 l'Istituto di ricerca Prometeia stima una crescita complessiva del Pil pari a un +2,1%, in linea con i dati stimati dall'Istat relativi alle ripartizioni territoriali per lo stesso anno, +2,3% la crescita del Pil nel Nord est (Nota 12). Per il Veneto Prometeia prevede un aumento del +1,9% per il 2007.
Nel 2005, ultimo anno del dato ufficiale di contabilità territoriale, l'economia veneta ha continuato a mantenere una quota consistente nella produzione del Pil nazionale (9,3%), risultando la terza regione nella graduatoria regionale della produzione di ricchezza nazionale, dopo la Lombardia (20,9%) ed il Lazio (10,9%), ma in termini di dinamica è rallentata. Le aspettative pessimiste delle famiglie e delle imprese hanno portato ad un atteggiamento di prudenza e ad una stagnazione della domanda interna. Già dalla seconda parte dell'anno sono evidenti miglioramenti e l'evoluzione positiva prosegue nel 2006 in seguito ai progressi nelle esportazioni, produzione industriale e la ripresa dei consumi.
Alla stasi del valore aggiunto ha contribuito in maniera determinante il settore dei servizi che rappresenta il 62,2% dell'intera ricchezza regionale, ma che nel 2005 ha avuto un ridimensionamento del -1,2%, nonostante, al suo interno, il comparto del commercio abbia avuto un'ottima performance, +2,2%. L'industria in senso stretto, dopo un 2004 estremamente positivo, +2,8%, registra una frenata di -1%, mentre le costruzioni si riprendono e aumentano del 2,8%. L'agricoltura riporta una caduta del -4,2%.
Nel 2006 l'Istat stima una decisa contrazione del valore aggiunto nel settore dell'agricoltura per l'intero nord est. Per lo stesso anno l'istituto di ricerca Prometeia stima per il Veneto una stasi nelle costruzioni e una performance superiore al 2% nell'industria e nei servizi, quasi analoga al dato diffuso dall'Istat per la ripartizione del nord est, +3,1% dell'industria e +1,8% nei servizi. Situazione analoga si prospetta nel Veneto per il 2007.

Inizio Pagina  Tecnologie, innovazione, logistica

la competizione in base all'efficienza
L'Italia è ancora distante dall'obiettivo di Lisbona per percentuale di spesa in R&S in rapporto sul Pil , 2,5% entro il 2010, pur avendo incrementato nel 2004 la spesa (+3,3%) in modo più incisivo di ciò che ha fatto l'intera Unione (+2,9%). L'indice è ancora modesto anche per il Veneto, 0,64% nel 2004, e, in termini assoluti, la spesa ha registrato nell'ultimo anno in esame un assestamento, +0,4%, rispetto all'elevato sviluppo dei primi anni 2000.
A livello nazionale quasi la metà della spesa in R&S è effettuata dal mondo imprenditoriale, dovrebbe essere due terzi secondo un altro obiettivo specifico dell'Unione europea, mentre circa un terzo è investito dalle Università, il 17,8% dalle Amministrazioni pubbliche e la rimanente percentuale irrisoria dalle istituzioni private no profit. Nel Veneto la spesa in R&S si distribuisce quasi equamente tra il mondo imprenditoriale e l'Università, che spendono rispettivamente una quota pari a 43,5% e 45,1%.
Spesso si giustifica il ritardo nazionale sul piano dell'innovazione imprenditoriale con le caratteristiche specifiche del sistema produttivo italiano ed in particolare attraverso la modesta dimensione delle imprese. Il Veneto non è esente da tale criticità, in quanto la dimensione media d'impresa nel 2004, ultimo dato disponibile, era di poco superiore ai 4 addetti e le Piccole Imprese rappresentano il 93,7% del totale. Nella maggioranza dei casi la piccola impresa non è predisposta alla ricerca, né dispone dei mezzi per farne, ha scarsi collegamenti con il mondo universitario e difficoltà di finanziamenti bancari, oltre alla diffusa convinzione che la ricerca non possa incidere positivamente sul profitto nel breve periodo.
Anche le Piccole Medie Imprese, che in Veneto rappresentano il 6,2% del totale, sono molto sensibili al contenimento dei costi e poco propense ad avviare investimenti che potrebbero non dare frutti immediati.
A contrastare questa tendenza, negli ultimi anni si assiste ad una trasformazione nella struttura della forma giuridica aziendale, all'aumento della quota di società di capitali nel panorama imprenditoriale veneto: si tratta di una dinamica di lungo periodo che riflette la necessità di far nascere imprese più robuste, di gestire reti e filiere produttive, di avere e reperire più risorse da investire nella ricerca e nel capitale umano, di innovare e proporre nuovi prodotti.
Nel 2006 le imprese di capitali del Veneto sono cresciute del +5,5% rispetto all'anno precedente, mentre più contenuto, in linea con il valore medio nazionale, è stato l'incremento annuo (+0,6%) delle società di persone. Al contrario si è registrata una leggera flessione (-0,6%) delle ditte individuali, che rimangono la tipologia di impresa più diffusa a livello regionale, mantenendo una quota ben superiore al 60% del totale delle imprese attive venete.
Nel Veneto si è tra l'altro incentivato il processo dell'innovazione del mondo imprenditoriale, tramite la promozione ed il sostegno allo sviluppo del sistema produttivo regionale, introdotto con legge regionale. Sono stati così finora individuati 43 distretti che coinvolgono 7.840 imprese, per un totale di 214.577 addetti. Tale processo di aggregazione e cooperazione tende a fare dei distretti i luoghi di innovazione e avanzamento tecnologico, di trasferimento delle capacità produttive, di partnership che rafforzino l'importanza dei processi innovativi per la qualità e competitività del sistema veneto.
Queste ristrutturazioni si innestano su un terreno fertile in molti settori: si pensi che nel 2006 il Veneto detiene, dopo la Lombardia, la seconda maggiore quota di imprese manifatturiere ad alto contenuto tecnologico (Nota 13), pari al 9,4% del totale Italia.
Tale risultato è da attribuire fondamentalmente al comparto delle apparecchiature medicali, di precisione ed ottiche, che da solo costituisce quasi l'80% del totale delle imprese ad alta tecnologia nel Veneto e che rappresenta il 10% dell'intero settore nazionale, seguito da quello relativo agli apparecchi radio e TV (12%). Anche l'indice di specializzazione settoriale indica la maggior concentrazione regionale del settore degli strumenti ottici, apparecchiature medicali e di precisione rispetto all'Italia.
Si rileva inoltre negli ultimi anni la volontà di perseguire una migliore razionalità organizzativa data dallo sviluppo dei settori di servizio alle imprese che aggiungono valore ai prodotti. In Veneto è infatti cresciuta notevolmente dal 2000 al 2006 la presenza imprenditoriale in tali ambiti: le imprese di informatica sono aumentate ad un ritmo del 20,3%, +1% nell'ultimo anno; le società di ricerca e sviluppo hanno avuto dal 2000 una diffusione del 34,3% e del 4,4% nel 2006; le società di servizi professionali e imprenditoriali dopo un ampliamento dell'ordine del 28,2%, si sono sviluppate ad un tasso del 4,4% nel 2006.
Inoltre, restando nel campo degli ausili alle attività ordinarie, un recente studio promosso dalla Regione Veneto ha messo in luce che l'87% delle imprese con più di tre addetti utilizza Internet (89% dato Italia) e che il 63% è dotato di connessione a banda larga (61% dato Italia). E' un utilizzo massivo ed evoluto per il 72% delle imprese venete che utilizzano internet e dispongono di una connessione a banda larga che amplia le potenzialità di uso degli strumenti telematici.
Queste logiche organizzative fanno si che l'impresa possa dedicarsi appieno al proprio core business, ovvero a ciò che sa meglio fare. E sembra che tale logica possa considerarsi vincente.
In Italia, nel 2006 sono state presentate 63.962 domande di brevetto, +4,8% rispetto all'anno precedente. Piuttosto rilevante è risultata l'attività creativa in Veneto se si considera che per ogni milione di abitanti sono state presentate 1.302 domande di brevetto, rispetto alle 1.089 a livello nazionale.
Nel Veneto, che rappresenta il 9,6% del totale nazionale e la quarta regione per importanza nella presentazione di brevetti, le domande sono aumentate del 3,9%. Nella graduatoria regionale per tipologia di brevetti, il Veneto si classifica quarto nei marchi, terzo nelle invenzioni, secondo nei modelli di utilità e ornamentali. I marchi che costituiscono la più grossa fetta di tipologia di brevetti nel Veneto hanno visto una flessione nel 2006 rispetto al 2005 del -2,5%, mentre le invenzioni sono salite del 17%, i modelli di utilità del +5,6% e i modelli ornamentali sono più che raddoppiati.
I dati relativi ai flussi immateriali degli scambi in servizi tecnologici e di ricerca, relativi alla Bilancia tecnologica dei pagamenti, fanno rilevare una domanda dall'estero maggiore sia del Veneto che dell'Italia rispetto a ciò che viene offerto. Nel Veneto, nel 2005, i saldi si attestano su valori positivi solo per il commercio in tecnologia e per i servizi con contenuto tecnologico, infatti il rapporto tra incassi e pagamenti, assume un valore pari a 2,6 per il commercio in tecnologia, esprimendo un ammontare di incassi superiore di due volte e mezza i pagamenti e anche nei servizi a contenuto tecnologico si evidenzia la maggiore capacità di cedere conoscenze quale investimento sull'innovazione futura, con un indice pari a 1,9.
In relazione a queste riflessioni ed in particolare ai sistemi produttivi, sarebbe interessante studiare l'evoluzione dei volumi dei flussi di scambio e dei relativi modi di trasporto, in considerazione anche dell'aumento delle esportazioni venete di beni strumentali e intermedi (Nota 14), +19,5% dal 2002 al 2006, più quattro punti percentuali in termini di quota sul totale regionale (dal 50,6% del 2002 al 54,9% del 2006).
Possiamo constatare che tanta parte delle merci scambiate viaggia ancora su strada, infatti i dati sul trasporto merci ci indicano quantità sempre crescenti in partenza e in arrivo sulle strade del Veneto, sia in termini di tonnellate che di tonnellate/km. In Veneto, nel 2004, l'indicatore che calcola il valore delle tonnellate di merci in ingresso e in uscita su strada (Nota 15) sul totale delle modalità è pari a 97 (contro 93,7 del dato nazionale). Inoltre, nella graduatoria dell'indice del traffico merci su strada, la nostra regione non solo sta davanti a tutte le sue tradizionali competitor, ma risulta seconda solo al Trentino Alto Adige con valori crescenti di anno in anno (44,8 nel 2005, contro 24,9 del dato Italia). Anche gli operatori con l'estero prediligono il trasporto stradale, infatti il 59% delle merci da loro esportate è trasportato su strada contro un 25% trasportato via nave. Le percentuali sono sostanzialmente invertite, invece, con riferimento alle merci da loro importate. E' soprattutto lo scambio con l'Unione Europea e con l'Est Europa che avviene su gomma.
E' da dire che il Veneto occupa una posizione geografica strategica in Europa grazie alle importanti direttrici di traffico commerciale che lo attraversano (Est-Ovest, Nord-Sud) e al recente allargamento che ha spostato verso Est il baricentro dello spazio del continente. Questa sua centralità rispetto ai nuovi confini va considerata sia come distanza fisica sia come ruolo di porta verso l'est ed il sud del mondo ed è al tempo stesso privilegio e vantaggio competitivo ma anche fonte di criticità. Infatti, l'essere attraversato da due assi fondamentali quali il Corridoio I del Brennero ed il Corridoio V Barcellona-Kiev da una parte e il trovarsi in posizione strategica nelle relazioni con i paesi dell'Europa dell'Est e con quelli della costa meridionale del Mediterraneo dall'altra, espongono il territorio veneto ad un continuo aumento del traffico di attraversamento che, allo stato attuale, insiste sullo stesso sistema viario utilizzato dalla mobilità intraregionale di breve percorrenza.
Gli sforzi e i tentativi di spostare parte del traffico su gomma alla modalità ferrovia stanno però dando i primi risultati. Infatti, nonostante l'indicatore della quantità di merci in ingresso ed in uscita per ferrovia sul totale delle modalità per il Veneto continui ad essere ben al di sotto del dato Italia (1,1 contro 1,9), c'è da segnalare tuttavia che l'indice del traffico merci su ferrovia (tonnellate di merci in ingresso ed in uscita per ferrovia per 100 abitanti) va crescendo di anno in anno e nel 2005, per la prima volta, ha superato il dato nazionale.
Nell'ambito delle iniziative intraprese e da intraprendere al fine di riequilibrare i diversi modi di trasporto si segnalano in particolare quelle riguardanti gli interporti, ai quali va riconosciuto un ruolo importante. Il Veneto, infatti, è un "ambiente logistico" di grande vitalità, secondo solo al milanese, emergente nel panorama nazionale e internazionale in forza di numerosi indicatori: i risultati in servizi e traffico intermodale degli interporti di Verona e Padova, l'articolazione dei servizi di logistica e trasporto offerti dalle imprese, l'andamento del mercato immobiliare per la logistica. In particolare, la politica regionale intende sviluppare principalmente due indirizzi: integrare i due principali interporti (Verona e Padova) e aprire il retroterra del porto di Venezia verso le regioni del centro Europa.

Inizio Pagina  Territorio e peculiarità regionali

quando si parla di territorio, entrano in campo altre forze che esprimono relazioni di interdipendenza ordinate rispetto ad un centro urbano o ad altre entità
Qualche anno fa in occasione della predisposizione del Piano territoriale di coordinamento (Nota 16) si parlava di territorio o città, pensando a due realtà che è facile distinguere ma difficile da separare: da un lato l'assetto fisico dei manufatti, dall'altro la gente che li usa e nessuna di queste due realtà, da sola, "fa la città".
Restando sul tema della competitività, quando si parla di territorio, entrano in campo altre forze che esprimono relazioni di interdipendenza ordinate rispetto ad un centro urbano o ad altre entità quale un complesso industriale. Basandosi sull'aspetto relazionale, il territorio è il luogo dove le interdipendenze di attività industriali, servizi alle imprese, istituzioni sono particolarmente intense e formano un sistema socio-economico che conferisce significativi vantaggi a chi ne fa parte. I sistemi locali, i distretti basano molto della loro sopravvivenza e funzionalità sulla natura delle relazioni che intercorrono tra gli agenti.
Il territorio veneto, come mettono in evidenza gli studi realizzati per la predisposizione del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC), ha conosciuto nel tempo differenti modalità di sviluppo, sia in termini demografici e abitativi sia per ampliamento della struttura produttiva. Evidente è l'espansione che ha riguardato la fascia centrale allargata a nord fino a comprendere la zona pedemontana delle province di Vicenza e Treviso. Si è venuta a formare, così, un'area metropolitana densa e continua, che ha i suoi nodi principali nelle città capoluogo e soprattutto nella direttrice Venezia-Padova-Verona. Una macchia in rapida e continua espansione, in cui convivono quartieri residenziali, insediamenti produttivi, aree artigianali, insediamenti direzionali, strutture commerciali grandi e piccole. E' zona di importanti risorse propulsive per lo sviluppo, polo di attrazione di energie, ma nello stesso tempo con un impatto forte sul territorio, per la quasi totale antropizzazione e i conseguenti problemi in termini di mobilità e viabilità, di inquinamento e di sfruttamento intensivo delle aree.
Oggi il Veneto conta 4.738.313 abitanti; in circa trentacinque anni si è assistito ad un incremento di oltre 600.000 residenti ad una intensità tale (tasso incremento medio del 4,1 per mille all'anno) da non essere paragonabile a quella sperimentata dalle altre regioni del Nord-Est. Nell'ultimo quinquennio il tasso di crescita risulta quasi triplicato (11,4 per mille)
Gli stranieri regolarmente residenti in Veneto sono 320.793, abbondantemente raddoppiati rispetto al 2001, e rappresentano ormai il 6,8% della popolazione. La loro presenza è evidentemente più forte nell'area metropolitana centrale, nei grossi capoluoghi, anche se le dinamiche di crescita interessano ormai sempre di più la generalità dei comuni.
Mediamente in Veneto abitano circa 258 persone per kmq., si va da un minimo della zona montuosa della provincia di Belluno (58 per kmq.) ai valori molto più elevati della fascia centrale, che toccano in provincia di Padova i 416 abitanti per kmq.
Queste aree sono caratterizzate da interscambi interni sempre più densi di persone e di merci; si tratta certamente di qualcosa di profondamente diverso rispetto alla struttura insediativa di tipo agricolo ancora predominante all'inizio degli anni Settanta.
Sempre secondo gli studi realizzati per il PTRC, nel 12% del territorio veneto, occupato da aree urbane o piccoli insediamenti, risiede circa il 92% della popolazione. In questa porzione di regione, altamente frammentata, sono insediate anche il 95% delle unità locali di cui il 27% operanti nel settore dell'industria ed il 72% in quello dei servizi. Nel 1971 le città avevano il 75% di abitanti in più rispetto alle prime cinture, il 42% in più rispetto alle seconde cinture. Nel 2005, invece, i capoluoghi, i comuni di prima cintura e quelli di seconda cintura hanno ormai lo stesso numero di abitanti; ciò rende pienamente conto del significato reale di termini quali "città diffusa" e "campagna urbanizzata". I servizi primari non risultano concentrati solo nei capoluoghi, ma sono presenti in modo piuttosto omogeneo sul territorio rispondendo alle esigenze espresse dalla popolazione.
E' per questo che il Veneto si trova da qualche tempo ad affrontare alcune emergenze ambientali, tipiche peraltro di tutte le aree industriali e urbanizzate, dipendenti sia dalla crescente domanda di utilizzo di risorse naturali, sia dalla immissione nell'ambiente di sostanze inquinanti. A queste problematiche, tipiche soprattutto dei centri ad elevata densità demografica, si pensi che in soli 26 comuni del Veneto si concentra il 32,4% della popolazione, rispondono le amministrazioni locali con interventi tesi a migliorare la qualità della vita, attraverso l'estensione degli spazi dedicati al verde pubblico, la razionalizzazione dei sistemi di raccolta differenziata, i piani di classificazione acustica adottati dai comuni e le misure per il contenimento dell'inquinamento atmosferico.
La crescente dispersione insediativa ha avuto effetti anche sulle tendenze della mobilità, che si è manifestata attraverso una crescita del ruolo dei poli secondari rispetto ai comuni capoluogo. La dinamica di questi centri non si presenta omogenea, infatti i dati evidenziano una crescente incidenza delle polarità secondarie, mentre i principali comuni capoluogo manifestano variazioni significative, ma spesso di segno negativo. In termini generali la mobilità sistematica afferente ai capoluoghi è diminuita globalmente dell'1,6% dal 1991 al 2001, ancora più accentuata la contrazione della componente di mobilità interna agli stessi, ridottasi dell'8,3%, solo parzialmente compensata da un aumento della mobilità di scambio con gli altri comuni circostanti, l'attrazione dall'esterno aumenta per tutti i capoluoghi ad esclusione di Venezia.
Si tratta di un fenomeno associabile alla trasformazione del sistema di mobilità che vede crescere le componenti di scambio, caratterizzate anche da maggiori distanze e maggiore dispersione territoriale, rispetto alle componenti interne, brevi distanze e struttura prevalentemente radiale.

La grande distribuzione commerciale

A questi cambiamenti ed alle mutate esigenze della popolazione, negli ultimi decenni, sia in Italia che nel Veneto, la rete distributiva del commercio al dettaglio è andata via via adeguandosi, con la diffusione di un numero sempre crescente di esercizi della grande distribuzione e di centri commerciali.
Una nuova proposta è la progressiva diffusione di parchi commerciali, aree abbastanza vaste al di fuori dell'area urbana che riuniscono quelle strutture distributive che necessitano di ampi spazi espositivi.
Il nuovo orientamento commerciale è quello di cercare di incrementare le vendite puntando non solo su politiche di prezzo, ma anche su un'offerta sempre più diversificata e più elevata dal punto di vista qualitativo e che sia quindi in grado di incontrare le preferenze di consumatori appartenenti a diverse età, livelli di istruzione e classi sociali.
Nel 2005 in Veneto gli esercizi della grande distribuzione (Nota 17) sono 1.148, in aumento del 5,7% rispetto all'anno precedente, con una superficie media di vendita di oltre 1.200 mq.
Dal confronto con le altre regioni, emerge che nel 2005 il Veneto raccoglie quasi la metà degli esercizi e della superficie di vendita della grande distribuzione (grandi magazzini, ipermercati e supermercati) del Nord-Est, rispettivamente il 45,7% e il 47,3%.

Caratteristiche di competitività del settore agricolo

A fronte dell'espansione degli spazi produttivi e commerciali, continua ad evidenziarsi una netta tendenza alla contrazione dell'agricoltura, cui fa da contrappeso un consolidamento del ruolo multifunzionale del settore e delle sue imprese: questo viene misurato rilevando attività diverse da quelle meramente agricole ma con esse attinenti, svolte mediante l'utilizzo di risorse dell'azienda o di suoi prodotti.
Di maggior rilevanza sono: l'agriturismo, l'artigianato, la lavorazione di prodotti agricoli vegetali o animali, la produzione di energia rinnovabile, la produzione di mangimi e la realizzazione di attività didattiche e ricreative.
In tutto il territorio nazionale, le aziende che hanno attività connesse con l'agricoltura (agriturismo, lavorazione di prodotti, artigianato ecc..) sono in crescita rispetto al 2003 (+17,7%) ed in maniera decisamente più sensibile in Veneto (+53,9%).
Da notare come la maggior parte di aziende agricole multifunzionali sia di piccola o media dimensione: quasi il 47% ha meno di 3 ettari di superficie. Ciò evidenzia come in un contesto strutturale in cui le aziende di piccola dimensione tendono a scomparire, quelle che investono nel cambiamento, per rimanere sul mercato, adottano strategie alternative e diversificate al fine del mantenimento e/o dell'aumento del reddito prodotto.

La tipicità dei prodotti agricoli

Una leva strategica per lo sviluppo dell'agricoltura in Italia e nella nostra regione è sicuramente costituita dalla tipicità interpretata non solo come prodotto agro-alimentare ma vista anche in stretta correlazione con il territorio di produzione.
Il Veneto del resto si è già avviato in questa direzione: nel nostro territorio si snodano ben 13 strade del vino e dei sapori e sono presenti ben 21 fra le 155 delle denominazioni nazionali DOP (denominazione di origine protetta) e IGP (indicazione geografica protetta), collocandosi subito dopo l'Emilia Romagna nel novero dei riconoscimenti italiani. Tra le diverse risorse appartenenti al Veneto, inoltre, la coltivazione della vite e la produzione del vino rappresentano un chiaro esempio del profondo rapporto tra esigenze economiche e valorizzazione dell'ambiente, fra tradizione e innovazione. La regione apporta un contributo decisamente consistente alla performance italiana nel mondo: si colloca infatti come prima regione esportatrice di vino in valore, totalizzando un aumento rispetto all'anno precedente di 4,7 punti, ed occupando una quota di mercato che garantisce un peso di oltre il 27% su quello nazionale.

turisti nel Veneto

La coniugazione di aspetti quali il territorio, la multifunzionalità e la qualità del servizio fanno del turismo nel Veneto una delle principali risorse, si pensi che nel 2006 la spesa (Nota 18) dei viaggiatori stranieri in Veneto è stata pari a 3.845 milioni di euro, cifra che, rappresentando il 15,9% delle spese sostenute dal turismo straniero in Italia, fa ottenere al Veneto la seconda posizione tra le regioni italiane dopo il Lazio.
Negli ultimi anni, accanto alla componente tradizionale, città d'arte e mare, va sempre più delineandosi una nuova categoria di turisti costituita da quella tipologia di viaggiatori particolarmente attratti dagli aspetti naturalistici e della tradizione locale.
Sono questi i turisti dei parchi, i turisti sportivi, della buona cucina che amano il contatto con la natura e l'aria aperta e che preferiscono, alle strutture alberghiere, le sistemazioni più semplici e informali quali l'agriturismo, il Bed&Breakfast, il campeggio e i rifugi alpini. E' proprio in queste strutture, infatti, che il turista ha la possibilità di essere avvolto in una atmosfera familiare e di trovarsi in stretto contatto con le culture locali, anche attraverso la degustazione dei prodotti tipici e genuini.
A testimoniare il crescente desiderio di vacanze semplici e "responsabili" si possono citare i dati relativi all'aumento nella nostra regione del numero di arrivi, 7,8%, e di presenze, 4,6%, nel 2006 rispetto all'anno precedente: infatti, se tale aumento ha riguardato sia le strutture alberghiere che quelle extra-alberghiere, sono proprio queste ultime ad aver registrato l'incremento maggiore, pari al 9,1% degli arrivi e al 5,2% delle presenze.
Nelle tipologie complementari sono gli agriturismi a mostrare la miglior performance, con aumenti di poco inferiori al 30% sia degli arrivi che delle presenze, e anche i campeggi e i villaggi turistici, seppur con variazioni minori, indicano una crescita degli arrivi del 5,6%, anche grazie all'elevata qualità delle strutture e dei servizi offerti tra i migliori a livello europeo.
Per raggiungere una dimensione maggiormente sostenibile del turismo e conquistare la fiducia di un numero sempre crescente di turisti molte sono ancora le azioni da intraprendere; tali interventi vanno dalla tutela delle risorse esistenti alla decongestione e riqualificazione delle aree più frequentate, passando soprattutto attraverso un'intensa attività di sensibilizzazione degli operatori del settore e una continua promozione delle forme alternative di turismo.
Nel contesto della sostenibilità il Veneto è stato precursore: Bibione è stato il primo polo turistico a livello europeo ad ottenere la certificazione EMAS, un marchio rilasciato alle organizzazioni che dimostrano il loro impegno ambientale per il miglioramento continuo della qualità ecologica del territorio e, successivamente, anche altre organizzazioni turistiche regionali hanno ottenuto tale certificazione, tra queste il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e il comprensorio turistico dell'isola di Albarella, in provincia di Rovigo.

L'attrattività culturale

Il patrimonio storico ed artistico e le iniziative culturali di un territorio così vario e ricco di storia come quello veneto, rappresentano forti motivazioni di scelta per il viaggiatore, cosa che costituisce un altro dei principali fattori d'investimento, per la promozione e lo sviluppo della competitività turistica regionale.
Da alcuni anni, infatti, tra tutti i comprensori turistici veneti sono le città d'arte a registrare l'incremento maggiore in termini di presenze, il +7% nel 2006 rispetto all'anno precedente, rappresentando il motore trainante del turismo della nostra regione.
Questo successo è da ricondursi all'importanza, alla bellezza e alla particolarità delle strutture architettoniche, dei monumenti e dei musei oltre che al numero sempre crescente di manifestazioni ed eventi culturali organizzati nelle località venete.
Nella nostra regione il panorama dei musei appare particolarmente ampio e diversificato. Nel 2005 in Veneto i musei attivi non statali sono 340; tale consistenza non tiene conto di un altro centinaio circa di musei tra istituendi, chiusi per restauro, aperti senza continuità o di dimensioni strutturali o culturali limitate. A questi, inoltre, ne vanno aggiunti altri 14 tra musei, circuiti museali e aree argheologiche statali. Nel 2005, i visitatori dei soli musei statali della nostra regione sono stati più di 983 mila, con un incremento dell'1,2% rispetto all'anno precedente.
Le principali mostre organizzate nel 2006 in Veneto hanno ospitato oltre 526 mila visitatori. Dai primi dati sugli eventi espositivi in programma a cavallo tra il 2006 e il 2007 risulta che i visitatori giornalieri sono stati 1.187 per la mostra su Picasso organizzata a Venezia, 1.211 per quella sul Mantegna a Padova, 1.140 per quella sul Mantegna a Verona e 710 per la mostra "da Boccioni a Vedova" a Treviso.
Durante la Mostra del Cinema di Venezia dal 30 agosto al 9 settembre 2006 le presenze nelle strutture ricettive del centro storico e del Lido sono state ben oltre 216 mila.

Inizio Pagina  I sistemi di finanza pubblica

la competitività risiede molto nell'efficienza del sistema fiscale e distributivo, cui deve corrispondere una pubblica amministrazione anch'essa sempre più efficiente
Tutto il sistema socio-economico e territoriale fin qui illustrato è il risultato di tante forze più o meno contrapposte, condizionate anche dalla regolazione che interviene attraverso i sistemi fiscali e di spesa pubblica. Parte del rapporto è dedicata a questo aspetto in un'ottica di confronto internazionale, da cui risulta che l'Italia si colloca all'8° posto tra tutti i Paesi dell'Ocse in termini di rapporto percentuale di entrate fiscali su Pil, con un valore del 41,1%, dopo Svezia, 50,4%, Danimarca, Belgio, Finlandia, Norvegia, Francia, 43,4%, e Austria, 42,6%. Seguono piuttosto distanziate la Spagna, 34,8%, e subito dopo la Germania, 34,7%, rispettivamente 17° e 18° posto tra i 30 paesi OCSE. In fondo alla classifica il Giappone e gli Stati Uniti con valore dell'indice di fiscalità pari rispettivamente a 26,4% ed a 25,5%.
La composizione delle entrate fiscali tra le diverse sue componenti economiche è piuttosto diversificata: i Paesi dell'est Europa hanno quote più elevate di entrate fiscali derivanti dai contributi sociali, mentre Svezia, Stati Uniti e Danimarca hanno una distribuzione incentrata sulla tassazione alla fonte dei redditi, salari e profitti. Da questi in Italia proviene il 31,4% delle entrate fiscali, il 30,3% deriva dai contributi sociali, il 26,4% dai tributi sui beni e servizi.

La tassazione dei trasferimenti sociali

Come si rileva da uno studio dell'Ocse, una delle più frequenti questioni poste sull'incidenza della tassazione rispetto al Pil riguarda la motivazione sottostante alla notevole diversità dell'indice di fiscalità tra i Paesi. Gran parte di questa è indubbiamente causata dalle differenti scelte riguardo la dimensione dei servizi pubblici che i governi intendono fornire (come la spesa per istruzione e salute) e la generosità del sistema di trasferimento sociale (quali il pensionamento ed i benefici per la disoccupazione). Oltre alla sostanziale differenza tra i sistemi fiscali e la diversità delle rispettive regolamentazioni, vi sono comunque due significative ragioni che possono in parte spiegare le differenze degli indici di fiscalità nazionali: la prima è che i Paesi differiscono nel modo in cui essi perseguono gli obiettivi sociali attraverso le detrazioni fiscali o i trasferimenti sociali, la seconda ragione sta nelle differenze tra le modalità di tassazione dei trasferimenti sociali.
I più alti livelli delle tasse pagate sui trasferimenti sociali si registrano in Danimarca ed in Svezia, che sono i due paesi al top della classifica per indice di fiscalità generale, mentre i paesi con i livelli più bassi di tassazione dei trasferimenti sociali (Messico, Corea, Giappone, Stati Uniti) sono quelli con i quattro più bassi indici di fiscalità. Questo suggerisce che la rimozione di parte delle differenze tra paesi nel trattamento fiscale dei trasferimenti sociali attenuerebbe la variazione degli indici di fiscalità generale rispetto al Pil osservato tra i Paesi.
Si è poi osservato in che misura il diverso gettito fiscale supporta l'investimento in spesa sociale per capire come l'Italia si colloca nei confronti degli altri Paesi. Se si considerano tutte le funzioni di spesa di carattere prettamente sociale (Nota 19) la Svezia è al primo posto con un importo pari al 40% del Pil ed una spesa pro-capite di 12.478 euro, mentre Giappone e Stati Uniti si posizionano in coda alla classifica. L'Italia, 30,4%, si colloca a metà della classifica dei paesi considerati (Nota 20), in generale risulta che all'elevata tassazione corrisponde una altrettanto consistente spesa sociale, ma si evidenziano Paesi quali Germania e gli Stati extraeuropei, che destinano il modesto gettito fiscale quasi interamente a questa voce di spesa.

I flussi finanziari

Nel processo di snellimento dell'apparato burocratico, al fine di rendere sempre più efficienti i sistemi di erogazione di servizi al cittadino, migliorandone la qualità e la tempestività con la garanzia di ottimali modalità di allocazione ed utilizzo delle risorse, molti Stati europei hanno già da alcuni anni avviato processi di decentramento delle funzioni del governo centrale verso le amministrazioni locali (Nota 21). Di particolare rilevanza è stata cioè la devoluzione di maggiore autonomia di spesa e di entrata a favore degli enti decentrati, con un ampliamento delle risorse disponibili e delle capacità di spesa attribuite ai bilanci pubblici locali. Questo processo, in alcuni paesi, si è andato costruendo insieme a riforme costituzionali che hanno fatto evolvere la forma di stato da unitaria a federale.
Le potenzialità di spesa delle amministrazioni locali sono però ancora condizionate dall'andamento dei flussi finanziari con lo Stato che è ancora fonte di forti disparità territoriali. Infatti dai dati disponibili, che risalgono però al 2002, risulta che ogni persona residente nel Veneto versa allo Stato mediamente di più di quanto riceva, in misura decisamente superiore a ciò che avviene nelle altre regioni. Viceversa il gruppo di regioni a statuto speciale - che gode di una maggiore autonomia nella gestione di gran parte delle imposte versate dai propri soggetti economici - consegue saldi finanziari positivi con lo Stato.
Il cittadino veneto ogni anno versa allo Stato ben 2.971 euro più di quanto lo Stato investe nel territorio regionale. Tale cifra è pari al 12% del Pil pro capite regionale. Un mese all'anno di ricchezza prodotta nel Veneto va allo Stato, che la investe altrove.
E' disponibile inoltre il dato sui pagamenti aggiornato al 2004. Da esso si evince che la forbice tra le regioni si è accentuata fra il 2002 e il 2004. Infatti, la Valle d'Aosta che resta prima nella graduatoria dei pagamenti pro capite effettuati dallo Stato, con 9.599 euro ricevuti nel 2004, vede aumentare tale quota del +13% rispetto a due anni prima; mentre il Veneto, che è ancora ultimo, riceve per ogni suo residente 2.553 euro, -6,2% rispetto al 2002. E' da dire che non essendo disponibile il dato al 2004 sulle imposte versate dai cittadini di ciascuna regione per un aggiornamento sul saldo finanziario, non è possibile valutare l'andamento più recente dei flussi finanziari.

Il funzionamento della P.A

L'efficienza della spesa pubblica dipende anche dalla consistenza delle risorse impiegate per il funzionamento delle amministrazioni.
Aumenta del 21% dal 2001 al 2005 in Italia la spesa per le attività di amministrazione generale, date dal funzionamento delle strutture amministrative, degli organi istituzionali e dalla gestione e conservazione del patrimonio della pubblica amministrazione, tendenza che si conferma nelle regioni poste a confronto (Nota 22) nella seconda parte del rapporto dedicata a questo argomento, tranne che nel Trentino dove questa si mantiene essenzialmente stabile.
Tale genere di spesa è pari al 7% del prodotto interno lordo in Italia, suddiviso tra il 4% delle amministrazioni centrali e 3% di quelle periferiche. Salta all'occhio una maggiore virtuosità della Pa presente nel Veneto: con il suo 5% di Pil utilizzato per sostenere le istituzioni pubbliche del proprio territorio e mantenere il proprio patrimonio, si pone ultima tra le diverse regioni. Il Trentino Alto Adige mostra un maggiore impegno di spesa in questo ambito, 8% rispetto al proprio prodotto totale, superiore alla media nazionale che è pari al 7%, che dà ragione della stabilità registrata in questi cinque anni.

Il personale

Sono 4,8 i dipendenti a tempo indeterminato della Pa del Veneto rispetto ai suoi 100 abitanti, suddivisi tra i 2,6% delle amministrazioni centrali e 2,2% di quelle periferiche. Solo la Lombardia tra le regioni confrontate ne ha di meno, 4,4 per 100 suoi residenti. Spicca il caso del Trentino Alto Adige dove, a differenza delle altre regioni, il personale delle amministrazioni decentrate ammonta a quasi 3 volte e mezza quello della PA centrale, sono infatti 4,2 i dipendenti della sua PA locale rispetto a suoi 100 residenti contro 1,2% delle amministrazioni centrali qui localizzate, ciò è spiegabile con l'effetto della propria condizione di regione a statuto speciale che dà più ampie possibilità al governo locale trentino di esercitare direttamente funzioni amministrative che nelle altre regioni vengono ancora svolte dallo Stato.
La spesa per il personale (Nota 23) della pubblica amministrazione è nel 2005 pari al 10% del Pil, e raggiunge il 12% nelle due regioni a statuto speciale e nel Lazio; Il Veneto e la Lombardia occupano gli ultimi due posti della graduatoria regionale, rispettivamente con il 7% ed il 6% del proprio prodotto.
E' interessante notare come la graduatoria regionale effettuata sulla base dell'indice unitario di spesa per il personale metta ancora al primo posto il Trentino Alto Adige con oltre 65.000 euro spesi dalla pubblica amministrazione per ogni suo dipendente sia nelle amministrazioni centrali che in quelle periferiche, mentre all'ultimo posto si collocano le amministrazioni locali del Veneto che con meno di 38.000 euro dimostrano una particolare attenzione al contenimento di questo genere di spesa rispetto alle altre regioni.

Le principali spese di funzionamento nelle amministrazioni locali

La spesa per il personale, assieme all'acquisto di beni e servizi (Nota 24) da parte delle amministrazioni decentrate, costituisce quella principalmente sottoposta ai vincoli imposti dal patto di stabilità interno a partire dal trattato di Maastricht e vincola notevolmente gli enti locali attraverso le azioni di contenimento della spesa. Infatti negli enti locali la maggior parte della propria spesa viene impegnata nell'acquisto di beni e servizi, 38%, che assieme alla spesa per il personale, 27%, raggiunge il 64,6% della spesa consolidata decentrata in Italia nel 2005.
Questa supera in tutte le regioni abbondantemente il 50% delle rispettive spese complessive anche se con una notevole variabilità, si va infatti dal 52,4% della spesa del Trentino Alto Adige al 73,2% della Toscana.
L'andamento della spesa per l'acquisto di beni e servizi si ripercuote in termini monetari sull'indice di spesa in rapporto al Pil, 6% la spesa per acquisto di beni e servizi nelle amministrazioni locali in Italia, 2% del Pil quella delle amministrazioni centrali; questo andamento si riscontra anche nelle diverse regioni, ad eccezione del Lazio che fa sentire il maggior peso delle funzioni esercitate dalla sua PA centrale. Il Veneto e l'Emilia Romagna spendono il 6% del proprio prodotto interno lordo per l'acquisto di beni e servizi, acquisiti come input del processo di produzione, meno rispetto a tutte le altre regioni, dovuto in gran parte alle amministrazioni locali.

La percezione del problema del debito pubblico

La semplificazione delle procedure, la soddisfazione dell'utente, la razionalizzazione delle sempre più scarse risorse finanziarie sono perciò gli obiettivi più rilevanti dell'azione pubblica. Quindi la misurazione della sua efficienza ed efficacia è di fondamentale importanza per orientare le scelte gestionali ed organizzative con la finalità di migliorare la competitività territoriale ed affrontare al meglio i pressanti vincoli esterni. Ma è necessario che tutti siano consapevoli di questo problema e resi partecipi degli sforzi da compiere per evitare gli sprechi. Tra i problemi considerati prioritari per il Paese, il debito pubblico è davvero sentito per circa il 14% degli italiani, ma se si guarda alle opinioni di coloro che abitano nel centro nord tale quota sale fino a quasi il 19% di chi vive nel nord est. Tra le regioni poste sotto la nostra lente di ingrandimento, sembra che i lombardi si disinteressino maggiormente di questo problema, 14,4%, sono un po' più preoccupati i toscani e quindi i veneti, quasi 17% di questi ritengono infatti il problema del debito pubblico prioritario per il paese. Vi è quindi una maggiore consapevolezza della popolazione di queste regioni dell'impatto che ha tale aspetto della vita politica sui cittadini; ciò è percepito ancora di più da chi abita nelle due regioni a statuto speciale, soprattutto nel Trentino Alto Adige, quale effetto della propria diversa condizione nei rapporti con il governo centrale.

Inizio Pagina  L'energia

La dipendenza crescente dal petrolio e da altri combustibili fossili e l'aumento del costo dell'energia hanno reso l'Europa sempre più vulnerabile ed è necessario cambiare rotta.
All'interno della UE la situazione è piuttosto eterogenea tra i diversi paesi membri per quanto riguarda sia la capacità di approvvigionamento che le rispettive politiche fiscali con gli inevitabili effetti sui prezzi.
In questo contesto si inserisce l'Italia, dove la situazione è particolarmente critica. In particolare importiamo la maggior parte dei combustibili fossili e del gas necessari a produrre energia.

La dipendenza energetica

La produzione totale di energia primaria nell'UE25 è stata nel 2004 pari a 882 milioni di tep (Nota 25), cui si sono aggiunti quasi 910 milioni di tep importati per fare fronte alla richiesta interna, oltre il 50% dell'intero consumo interno lordo (Nota 26), manifestando pertanto forte dipendenza dai paesi produttori di materie prime.
Il 25% della produzione europea è dovuta al Regno Unito e, tra tutti gli stati membri, solo Francia e Germania hanno superato i 100 milioni di tep. L'Italia ha invece prodotto solo 30 milioni di tep, evidenziando una situazione particolarmente critica visto che il saldo tra importazioni ed esportazioni (Nota 27) è stato pari a circa 156 milioni di tep, pari all' 85,7% del consumo interno lordo (Nota 28).
Analizzando l'indice di dipendenza energetica (Nota 29), esso varia, tra i paesi membri, dal valore quasi nullo del Regno Unito e della Polonia che possiedono ampie risorse naturali, fino a superare l'80% in Portogallo, Irlanda, Cipro, Lussemburgo e Malta. L'Italia si colloca in questa graduatoria al quinto posto tra i paesi maggiormente dipendenti dall'estero riguardo agli approvvigionamenti di materie prime per la produzione di energia con un indice di dipendenza pari all'84,1%.
Il Veneto segue l'andamento nazionale, e manifesta una richiesta energetica particolarmente gravosa. Infatti, se la produzione primaria è stata pari a 774.000 tep, il saldo tra le importazioni e le esportazioni, al netto dell'energia elettrica, è stato pari a oltre 16 milioni e mezzo di tep, ossia il 96% del consumo lordo regionale, valore nettamente superiore rispetto alla corrispondente quota italiana.

Il livello dei consumi

L'andamento del consumo interno lordo pro capite nel periodo 1994:2004 ha evidenziato una leggera tendenziale crescita nei paesi dell'UE25, passando in media dai 3,5 tep per abitante nel 1994 ai 3,8 nel 2004. Lo stesso trend si è osservato in Italia nonostante l'indice si sia sempre mantenuto su livelli più bassi rispetto alla media europea (2,7 tep per abitante nel 1994 e 3,1 nel 2004). Il Veneto, nel corso del decennio, ha manifestato un andamento altalenante, mantenendo però il livello dei consumi pro capite sempre al di sopra della media nazionale.

L'efficienza energetica

Il quadro che se ne ricava è quello di territori tendenzialmente poveri di materie prime però dallo sviluppo economico elevato che li rende grossi consumatori di energia e quindi dipendenti dai paesi produttori di fonti tradizionali come petrolio e gas naturali, ancora usate nella maggior parte dei casi. Ma se da una parte ci sono alti livelli di consumo energetico, qual è la capacità di sfruttarli in maniera sostenibile per produrre effettivamente ricchezza?
Nel decennio dal 1994 al 2004, all'interno dell'Unione Europea, si è assistito ad una progressiva diminuzione dell'intensità energetica e quindi al miglioramento dell'efficienza stessa. L'Italia, all'interno di questo contesto, nonostante le problematiche legate all'approvvigionamento delle risorse, ha una buona capacità di trasformarle in ricchezza. Infatti già nel 1994 l'intensità energetica era di poco superiore ai 183 tep/milione di euro di Pil, valore nettamente inferiore a quello europeo. Nel 2004 è risultata al sesto posto come valore di intensità energetica (185,8 tep/milione di Euro di Pil) più basso tra gli stati membri, preceduta solo da Francia, Germania, Irlanda, Austria e Danimarca.
Ancora meglio faceva il Veneto nel 1994 con un valore pari a 181,4 tep/milione di euro, ma nell'arco del periodo considerato sia in Italia che in Veneto, contrariamente a quanto avvenuto su base europea, si è assistito ad un progressivo peggioramento dell'indice di intensità energetica dell'economia, anche se il livello si è sempre mantenuto ben al di sotto della media dell'Unione. Questa tendenza al rialzo è stata più marcata nella regione padana visto che nel 2004, con 191 tep per milione di euro ha superato il livello medio nazionale.




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Note

  1. Note di lavoro di Dino Martellato, Università Cà Foscari, Dipartimento di Scienze Economiche - Competitività territoriale, 2006
  2. Indagine 'Factors of Business Success' (FOBS) coordinata da Eurostat su 15 Paesi europei aderenti: Austria, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Francia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia.
  3. Piemonte, Lombardia, Trentino A.A., Veneto, Friuli V.G., Emilia Romagna e Toscana
  4. Regioni ed altri enti territoriali
  5. Joseph Alois Schumpeter (Triesch, 1883 - Taconic, Connecticut, 1950), economista austriaco, tra i maggiori del ventesimo secolo. L'apporto più originale e caratterizzante dato da Schumpeter alla teoria economica è costituito dalla sua concezione dello sviluppo. La teoria delle innovazioni consente a Schumpeter di spiegare l'alternarsi, nel ciclo economico, di fasi espansive e recessive. Le innovazioni, infatti, non vengono introdotte in misura costante, ma si concentrano in alcuni periodi di tempo - che, per questo, sono caratterizzati da una forte espansione - a cui seguono le recessioni, in cui l'economia rientra nell'equilibrio di flusso circolare. Un equilibrio però, non uguale a quello precedente, ma mutato dall'innovazione.
  6. Banca dati realizzata presso il Politecnico di Milano, la quale censisce le partecipazioni di imprese italiane all'estero ed estere in Italia, misurandone la numerosità, la consistenza economica, gli orientamenti geografici e settoriali.
  7. Giova sottolineare che in questa sede vengono considerate venete le imprese che in Veneto hanno localizzato la loro principale sede operativa (ovvero la sede che ospita la Direzione generale e amministrativa della società, indipendentemente dalla localizzazione della sede legale dell'impresa stessa).
  8. L'Antenna Veneto Romania, costituita con l'accordo tra il Centro Estero delle Camere di Commercio del Veneto e la Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Timisoara, svolge la funzione di sportello per gli imprenditori veneti che intendono avviare o consolidare i rapporti economici con la Romania e per le aziende venete già delocalizzate nel paese. L'iniziativa ha il patrocinio della Regione Veneto.
  9. Austria, Italia, Irlanda, Spagna, Francia, Regno Unito, Finlandia, Germania, Slovenia, Danimarca
  10. La tempestività con la quale viene comunicato il dato provvisorio sull'interscambio commerciale con l'estero nasconde un errore di stima che ha un peso particolarmente rilevante per le esportazioni. Se tale errore riguarda l'export di tutte le regioni italiane, per il Veneto ha una rilevanza maggiore sia in termini di differenza di punti percentuali che in termini di peso. Nel 2005 la sottostima dell'export veneto ha superato in valore il miliardo di euro, vale a dire il 2,5% di quanto esportato.
  11. Isae, Fondazione Debenedetti, Prometeia
  12. Nella ripartizione del Nord est si considerano Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna
  13. Essa associa le varie voci del settore manifatturiero a ciascun livello tecnologico (alto, medio-alto, medio-basso, basso) basandosi sui valori mediani della distribuzione della spesa in ricerca e sviluppo in rapporto al valore aggiunto in ciascun settore in dodici Paesi membri nel 1999.
  14. Raggruppamenti principali di industrie (RPI). Tale classificazione è definita dal Regolamento della Commissione n.586/2001 (G.U.C.E. del 27/03/2001). Ad ogni raggruppamento vengono attribuiti, secondo il criterio della prevalenza, interi gruppi e/o divisioni di attività economica. I beni importati ed esportati e derivanti da attività economiche diverse da quelle dell'industria in senso stretto (non contemplati nel citato regolamento) sono stati a loro volta attribuiti, sempre con il criterio della prevalenza, agli RPI.
  15. Media delle merci in ingresso ed in uscita.
  16. La campagna che si fa metropoli - la trasformazione del territorio veneto, a cura di Leonardo Ciacci, Regione del Veneto 2005
  17. Con grande distribuzione si fa riferimento a grandi magazzini, ipermercati e supermercati. I minimercati, strutture appartenenti per definizione alla grande distribuzione per le modalità di funzionamento caratterizzate da self-service e pagamento alla cassa, sono qui trattati a parte. Le ridotte dimensioni delle superfici di vendita dei minimercati (comprese tra 200 e 399 mq) fanno si che essi, diversamente dalle altre strutture della grande distribuzione, siano localizzati anche all'interno dei centri storici o nelle località dal profilo territoriale più difficile, e siano quindi più simili agli esercizi della piccola e media distribuzione.
  18. La spesa turistica indica il consumo totale di beni e servizi effettuato dal viaggiatore comprende: alloggio, pasti, visite a musei, souvenir, regali, altri articoli per uso personale, trasporto all'interno del paese visitato, ecc.
  19. Ossia Sanità, Attività ricreative, culturali e di culto, Istruzione e Protezione sociale
  20. Svezia, Francia, Finlandia, Austria, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Giappone, Irlanda, USA.
  21. Consideriamo come Amministrazioni locali o periferiche gli enti pubblici territoriali la cui competenza si estende a una parte del territorio economico (Regioni e Province autonome, Camere di Commercio, ASL, Ospedali, Province, Comuni, Comunità montane, Università, altri enti locali); per Amministrazioni centrali consideriamo tutti gli organi amministrativi dello Stato e gli altri enti centrali la cui competenza si estende alla totalità del territorio economico, assieme agli Enti di Previdenza ed Assistenza Sociale; il sottosettore Amministrazioni Sub-centrali, non presente in Italia, è definito come l'insieme delle unità istituzionali che esercitano alcune delle funzioni amministrative ad un livello inferiore a quello delle amministrazioni centrali e superiore a quello delle unità istituzionali amministrative esistenti a livello locale.
  22. Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Lazio, quest'ultima considerata in quanto regione che ospita la capitale e, quindi, con un evidente impatto sugli indicatori relativi alla PA.
  23. Comprende retribuzioni lorde al personale in attività, ovvero le retribuzioni nette, i contributi previdenziali e assistenziali a carico dell'ente, le ritenute erariali, il compenso per lavoro straordinario, i compensi speciali, l'indennità di missione, l'indennità di licenziamento, i contributi ai fondi pensione
  24. Esclusi quelli aventi natura di capitale fisso utilizzabili nel processo produttivo per un periodo superiore all'anno
  25. Tonnellate equivalenti di petrolio
  26. Il consumo interno lordo, secondo la definizione Eurostat, è dato dalla somma di produzione primaria, saldo tra importazioni ed esportazioni e variazione delle scorte, sottraendo poi i bunkeraggi internazionali.
  27. Dati di fonte Enea. I valori delle importazioni ed esportazioni di energia sono calcolati al netto delle importazioni ed esportazioni di energia elettrica al fine di rendere i dati confrontabili con quelli Eurostat.
  28. Calcolato a partire dal dato Enea che adotta una diversa definizione rispetto a quella Eurostat in quanto comprende anche i bunkeraggi che quindi sono stati sottratti.
  29. L'indice di dipendenza energetica è dato dal rapporto tra saldo import/export di energia e consumo lordo definito da Eurostat come la somma di produzione primaria, saldo tra importazioni ed esportazioni e variazioni delle scorte.


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