1.1 - La crescita mondiale e l'economia veneta
"In un ambiente ricco di sfide le organizzazioni riescono ad eccellere a patto che riescano a reperire adeguate risorse ed esprimano superiore determinazione nel raggiungere obiettivi audaci". Così Michael Porter (Nota 1) sintetizza la possibilità di costruire un vantaggio competitivo da parte di una nazione, regione, impresa. In linea con quanto previsto anche dalla programmazione comunitaria per il ciclo 2007-2013, che individua nella "competitività regionale e occupazione" uno degli obiettivi fondamentali, questo capitolo ha la finalità di analizzare la congiuntura internazionale, nazionale e locale attraverso quegli elementi macroeconomici su cui è possibile agire per accrescere la competitività di un territorio. La concorrenza internazionale e le economie emergenti
Nel 2006 l'economia mondiale ha continuato ad espandersi a ritmi elevati, 5,2%, mantenendo la tendenza al rialzo che ha avuto da dieci anni a questa parte e che si prevede prosegua. Continua la fase di espansione degli scambi internazionali sostenuta dal peso crescente dei paesi emergenti; si stima una crescita del 9% nel 2006 del commercio internazionale: il periodo 2004-06 rappresenta il triennio di crescita più elevata e a maggior dinamismo degli scambi dal primo shock petrolifero degli anni Settanta. (Tabella 1.1.1) e (Figura 1.1.1) I fattori esogeni che incidono sullo sviluppo
Il fattore "costo delle commodity" (Nota 2) incide profondamente sulla competitività di un paese: nelle aree emergenti, e soprattutto in Cina e India, l'elevata domanda di materie prime ha l'effetto di sostenerne i prezzi, ma allo stesso tempo, l'abbondante offerta di lavoro nei paesi asiatici consente di contenere il costo di questo fattore e di compensare attraverso di esso i rialzi dei prezzi delle materie prime, che non vengono quindi trasferiti per intero sui prodotti finali. La conseguenza è che i prezzi dei manufatti sono cresciuti meno di quelli delle commodity e la maggiore presenza di manufatti a prezzi bassi nei mercati ha portato alla sterilizzazione dello shock del rialzo del prezzo del petrolio sulla dinamica inflazionistica.
Nell'Unione Monetaria Europea il Pil nel 2006 è tornato a crescere con un tasso del 2,8%, sostenuto dalla domanda interna, dalle esportazioni nette e dall'espansione degli investimenti. L'indicatore del clima di fiducia delle imprese, diffuso dalla Commissione europea, rimane elevato, ma si prevede una variazione del Pil in marginale rallentamento per il 2007. La crescita 2006 ha riguardato tutti i Paesi europei, compresi Germania e Italia, che l'anno precedente avevano mostrato segnali di debolezza. La crescita media annua della Germania nel 2006 è stata del 2,9%, spiegata dal miglioramento competitivo dei prodotti tedeschi sui mercati esteri e dalla ripresa degli investimenti in costruzioni e produttivi trainati dal basso costo del credito e da una buona profittabilità aziendale. Meno vivace la ripresa francese, Pil +2,0%, ha mostrato i due lati di questa economia: da una parte la forza dei consumi delle famiglie e della produzione nei servizi, dall'altra l'andamento deludente della produzione industriale, in particolare del settore automobilistico. La Spagna chiude il 2006 registrando un aumento del Pil significativamente superiore alla media Uem, +3,9%, affiancato ad una sostenuta crescita dell'occupazione. Il risultato complessivo del Regno Unito per il 2006, +2,7% del Pil, mostra il rafforzamento di un modello di sviluppo trainato fondamentalmente dalla crescita dei servizi. (Tabella 1.1.4) La produttività
Il ciclo di espansione in atto sta favorendo anche la ripresa della produttività del lavoro in Europa, dopo un trend di lungo periodo discendente che si era accentuato negli anni Novanta. Tra le cause il rallentamento dell'intensità di capitale e della produttività totale dei fattori, al contrario di quanto è accaduto negli USA dove molto rilievo è stato attribuito alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione nella spiegazione del rafforzamento dell'intensità di capitale e della produttività totale dei fattori. Se il punto di minimo sembra essere stato toccato nel 2004 dall'Uem, attualmente si osserva, tra i maggiori paesi dell'area, una ripresa della produttività del lavoro, particolarmente netta nel settore industriale e del commercio, trasporti e comunicazioni. (Figura 1.1.3) Il costo del lavoro
Al contrario, nei maggiori paesi europei sta peggiorando il costo del lavoro, un altro elemento chiave della competitività e attrattività di un territorio. Il costo del lavoro in Europa rimane elevato ed in crescita anche rispetto agli Stati Uniti, soltanto la Spagna risulta avere un costo orario del lavoro competitivo. E' vero che chi investe oggi in Europa non lo fa solo per ricercare manodopera a basso costo, ma piuttosto un'alta professionalità; da alcuni studi (Nota 3) è emerso che comunque il costo del lavoro è uno dei fattori che, a parità di condizioni, facilita la scelta della localizzazione di un'impresa. (Figura 1.1.4)
Il ciclo economico italiano a partire dal 2000 fino al 2005 è stato caratterizzato da una prolungata stasi dell'attività economica, di durata ben superiore a quella dei cicli precedenti ed esauritasi con un punto di minimo individuabile all'inizio del 2005. A partire da febbraio 2005 è partita una fase di ripresa, dapprima moderata, poi più intensa, che ha portato a registrare nel 2006 un aumento del Pil dell'1,9%, in linea con quanto accaduto nella seconda metà degli anni Novanta. All'origine della ripresa vi sono i fattori legati al risveglio europeo, ma anche processi di ristrutturazione e/o assestamento in atto nei settori più esposti alla concorrenza internazionale, in particolare nel manifatturiero. Infatti tutti i comparti hanno concorso al buon andamento dell'attività, ma quello industriale ha giocato un ruolo importante attraverso la crescita nella produzione del valore aggiunto dell'1,4% a dicembre 2006 e la guida all'espansione degli scambi verso l'estero. Gli ambiti che hanno trainato il recupero produttivo sono stati inizialmente quelli tipici della specializzazione italiana della metalmeccanica e dei mezzi di trasporto, ai quali si sono associati dal secondo quadrimestre 2006 anche il più tradizionale "made in Italy", ossia tessile, abbigliamento, pelli, legno e mobili. Le esportazioni sono state favorite dall'intenso sviluppo della domanda mondiale e dal nuovo ciclo espansivo della Germania. Alcuni studi (Nota 4) evidenziano altre motivazioni che possono aver contribuito alla crescita delle esportazioni. Da un lato è spiegata dallo spostamento verso segmenti di mercato a più elevato valore aggiunto e miglior livello qualitativo quindi meno vulnerabili rispetto alla concorrenza dei paesi emergenti. Dall'altro, si osserva un cambiamento di tipo strutturale relativo ai processi produttivi delle singole aziende: gran parte delle esportazioni avviene da parte delle imprese che hanno intensificato l'attività di internazionalizzazione. Questa evoluzione ha innalzato il costo di operare sui mercati esteri, con la conseguenza di consolidare la posizione di imprese di medie e grandi dimensioni, ma anche dell'uscita dal mercato di imprese più piccole e marginali.
In questo contesto, per il Veneto si stima un rafforzamento della domanda interna sull'onda dello slancio nazionale, come risultato di un sia pur iniziale contenuto rallentamento dei consumi privati e di una accelerazione della crescita degli investimenti. Per il 2006 l'Istituto di ricerca Prometeia stima una crescita complessiva del Pil pari a un +2,1% e una prospettiva di +1,9% per il 2007.
Sulla base degli ultimi dati storici disponibili risalenti al 2004 e delle previsioni per i prossimi anni, la dinamica degli investimenti appare piuttosto variegata. A livello nazionale, dopo un anno di recessione, gli investimenti nel 2004 sono ritornati a salire (+2,2%), mentre a livello Veneto la crescita dello 0,7% è trainata principalmente dagli investimenti nei servizi (+3,2%) e in particolare nell'intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari ed imprenditoriali. Viceversa risultano in caduta quelli nel comparto industriale complessivo, -3,8%, e nelle costruzioni, -24,4%. Nonostante la persistenza di un basso costo di finanziamenti sul mercato del credito, nel 2005 in Italia gli investimenti diminuiscono leggermente, -0,5%, probabilmente a causa del peggioramento delle condizioni di redditività e del modesto grado di utilizzo degli impianti.
La relativa ripresa dei consumi delle famiglie del 2004 sembra essersi arrestata nel 2005 in Veneto (-0,1%) come in Italia (-0,1%). Continua la tendenza al ridimensionamento della domanda di beni non durevoli, in particolare vestiario e calzature e bevande alcoliche e tabacchi, a favore dei beni durevoli, +0,6% in Veneto, +0,8% in Italia. In Veneto, nel periodo dal 2000 al 2005, l'intero comparto dei beni non durevoli sul totale della spesa è sceso del 3%, la quota dei beni durevoli è rimasta stazionaria (-0,1%) grazie al consistente aumento del capitolo relativo alle spese in comunicazione, crescono i consumi in servizi (+2,6%) che ricoprono la considerevole fetta pari al 48,6% del totale.
L'inflazione in Europa può ritenersi stabilizzata su valori bassi e nei primi mesi del 2007 è rimasta al di sotto dell'obiettivo della BCE. In Italia l'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC) si assesta sopra la media UE e in crescita, 2,1%, rispetto all'1,9% del 2005, manifestando, contestualmente ad un basso livello di crescita, una perdita di competitività nel panorama europeo.
Per quanto riguarda la creazione di ricchezza a livello provinciale, per il 2005, sono disponibili soltanto dei valori stimati. Si osserva che la debolezza regionale è da attribuirsi all'andamento delle province di Belluno, Treviso, Venezia e Padova. Vicenza si è stabilizzata sui valori dell'anno precedente, mentre Rovigo e Verona hanno contribuito positivamente alla crescita del valore aggiunto regionale. Torna indietro
|
|