Sintesi - Il Cambiamento in atto

Inizio Pagina   Il Veneto che cambia

I dati sull’attuale sistema economico, visti in una prospettiva più ampia, ci portano ad osservare che una lenta ed evidente metamorfosi sta investendo il Veneto negli ultimi anni, attraverso un processo di esfoliazione di alcuni strati produttivi, oggi divenuti obsoleti, che riflette una generale riconfigurazione delle componenti economiche. Spesso ci viene presentata l’immagine di un Veneto in declino, che dopo lo straordinario sviluppo di un recente passato, ha iniziato a manifestare tutte le sue debolezze invertendo i suoi trend positivi di crescita ed attestandosi su una situazione economica oramai compromessa. Ma una lettura più attenta sia dei peggiori periodi di crisi, come dei momenti di rialzo dei ritmi di crescita, ci permette di leggere una realtà in evoluzione che in questi ultimi anni ha conosciuto dei momenti di saturazione fisiologici del proprio sviluppo economico, ma che si avvia a riadeguarsi ai mutati assetti strutturali, quali i forti cambiamenti demografici e territoriali, ed alle diverse condizioni di contesto economico internazionale ed interno.
Ci sentiamo di dire che il problema di fondo è piuttosto di sincronizzazione temporale con il mondo esterno, cosa che sollecita un veloce adattamento al nuovo ambiente; è ormai riconosciuto che il Veneto è espressione delle aree a maggiore velocità di crescita in ambito nazionale, ed emanazione di una centralità europea oggi in fase di arduo lavoro per guadagnarsi posizioni dignitose ai tavoli mondiali.

La ricomposizione settoriale

La trasformazione dei settori tradizionali è evidente e purtroppo toccata con mano da molti, ma, vista in una dimensione complessiva, viene a far parte di quegli elementi di saturazione cui prima si accennava. Infatti dall’osservazione complessiva del sistema veneto risulta chiaramente non una crisi ma una sua ricomposizione a favore dei servizi: dal 2000 al 2004 la quota di valore aggiunto in questo settore è cresciuta di 1,3 punti percentuali a scapito della quota industriale, arrivando al 62,4%, ancora inferiore al dato nazionale (pari al 69%). Tale processo mostra come anche il Veneto, a vocazione fortemente industriale, stia seguendo la tendenza delle principali economie, che hanno quote di occupati nei servizi superiori al 70%. In particolare in Gran Bretagna nel 2003 gli occupati nei servizi sono l’80,4%, contro il 18,7% degli occupati nell’industria. Così anche nel Veneto tale quota, 41,3%, pur essendo ancora preponderante rispetto alle altre economie, resta tendenzialmente stabile nel corso degli anni con effetti evidenti a tutti.
Analogamente il valore aggiunto nel terziario si attesta a fine 2004 su livelli decisamente di rilievo: 72,3% nel Regno Unito, 69% in Germania, 72,8% in Francia, mentre la quota di valore industriale si posiziona fra il 20 e il 30%.
Tale tendenza è confermata anche dai dati sull’economia del Veneto nel 2004 che dà una crescita complessiva del Pil dell’1,4%, e vede anche negli anni successivi una variazione sempre positiva del valore aggiunto nei servizi, +1,7% nel 2005 e +2% nel 2006.
La terziarizzazione ha determinato in qualche modo il contenimento della crescita della produttività, comprendendo generalmente attività ad elevato contenuto di lavoro, ma le tendenze degli ultimi anni, soprattutto per ciò che riguarda la generale espansione del potenziale veneto in capacità di ricerca ed innovazione ci inducono a ritenere che la direzione da più parti indicata sia ormai intrapresa.

Il potenziale innovativo

Pur essendo ancora esigua la quota di spesa in Ricerca e Sviluppo sul Pil nel Veneto (0,7%) come in Italia (1,1%), posto l’obiettivo europeo del 3% da raggiungere entro il 2010, tale forma di investimenti si è notevolmente evoluta negli ultimi anni, crescendo dal 1999 al 2003 di circa il 40%.
Quale potenziale di ricarica di questo settore si considerino gli individui che possiedono un titolo di studio terziario, ovvero di livello universitario o post-universitario secondo la terminologia comparativa europea. Nonostante l’Italia sia annoverata tra i Paesi con la proporzione più bassa di laureati - il 10,7% della popolazione in età fra i 25 e i 64 anni possiede un tale titolo di studio nel 2003, il 9,1% nel Veneto -, il divario si va colmando e il livello di istruzione italiano e veneto è in continuo miglioramento; negli ultimi dieci anni il numero dei laureati veneti è più che raddoppiato.
Un potenziale in crescita quindi come è anche testimoniato dal forte aumento (+25,6%), negli ultimi dieci anni, della quota di persone che hanno un titolo di studio o che lavorano in settori inerenti la scienza e la tecnologia, ancora distante (circa 33% in Italia) dai livelli europei, dove per i maggiori Paesi supera il 50%. Tale quota è aumentata nel Veneto di quasi il 35%, molto più di ciò che è avvenuto a livello nazionale, attestandosi su un valore poco superiore al 30%.

La base occupazionale

Questa situazione si incardina in un contesto occupazionale tendenzialmente positivo. Dei 158.000 lavoratori in più in Italia nel 2005, 21.000 sono stati assorbiti in Veneto (oltre il 13%). L’occupazione quindi in Italia, +0,7% rispetto all’anno precedente, come in Veneto, +1%, continua a crescere. Il tasso di occupazione veneto si porta al 64,6% contro il 64,3% dell’anno precedente, confermandosi ad un livello significativamente superiore alla media nazionale (57,5%), come effetto dovuto in parte anche alla regolarizzazione dei cittadini stranieri: gli occupati stranieri sono ormai circa il 5,4% dei lavoratori totali, e per poco meno di due terzi si concentrano nel Nord. Significativa è la crescita occupazionale condizionata anche dal prolungamento della vita attiva oltre che da un effettivo aumento dei posti di lavoro.
Ma l’occupazione veneta si muove anche verso gli obiettivi fissati dall’Unione Europea a Lisbona nel 2000: il tasso di occupazione maschile nel 2005 è pari infatti a 75,8%, più di quanto avvenga a livello nazionale, 69,7%. Nello stesso anno, invece, le donne occupate costituiscono il 53% delle venete in età attiva, sempre significativamente sopra la media nazionale, 45,3%, ma ancora indietro rispetto agli standard europei.
L’occupazione non può aumentare se non viene favorita la partecipazione di coloro che si collocano nella fase discendente della propria vita professionale; uno degli obiettivi posti dall’Unione europea a Stoccolma nel 2001 riguarda perciò l’incremento dell’occupazione delle persone in età 55-64 anni, con un tasso di occupazione del 50% da raggiungere entro il 2010. Il dato per il Veneto è pari a poco più della metà del target europeo, 27,4% nel 2005, e si colloca anche al di sotto della media nazionale, 31,4%; sarà quindi arduo per i prossimi quattro anni sperare di raggiungere l’obiettivo.
Verso gli standard europei sta però velocemente dirigendosi la compagine generazionale giovane: 82,6% delle persone tra 25 e 34 anni lavora, rispetto al 69,3% a livello nazionale, ed è interessante notare quanto sia ampia la partecipazione delle donne tra i 25 e i 34 anni, con un indice di occupazione del 74,7% rispetto al 58,2% italiano. Questa possibilità è favorita da una sempre maggiore propensione alla flessibilità, quale risulta dall’aumento dell’occupazione part-time.
E’ da rilevare a tal proposito che questa forma di flessibilità risulta nel Veneto di natura più “stabile”, il che non è una contraddizione di termini in quanto l’occupazione part-time, 13,9% degli occupati nel 2005, in crescita rispetto al 2004 (12,9%), è superiore rispetto al dato italiano, 12,8% nell’ultimo anno, mentre il dato sulla percentuale di occupati dipendenti a tempo determinato registra uno dei più bassi valori tra tutte le regioni, 9,9%, inferiore anche rispetto al dato medio nazionale, 12,3%.
Il tasso di disoccupazione veneto, sempre nel 2005, è pari al 4,2% della forza lavoro e rimane invariato rispetto a quello dell’anno precedente, continuando a mantenere in questi anni una posizione privilegiata in Italia, soprattutto se confrontato con il dato nazionale che, sebbene sia in costante diminuzione, interessa ancora il 7,7% della forza lavoro nel 2005.
Emerge inoltre un moderato ottimismo nelle previsioni occupazionali degli imprenditori, per il 2005 si stima infatti un aumento dello 0,6% nel Veneto rispetto allo 0,9% a livello nazionale e la buona performance delle cosiddette microimprese può essere il segnale che la dimensione minore meglio si adatta alle esigenze di flessibilità e specializzazione del mercato, in quanto per queste si stima una variazione di occupati del 2,1%.
Il più che positivo quadro occupazionale ha di conseguenza incentivato i flussi migratori ed ha determinato una ricomposizione della popolazione, influenzandone in qualche modo la struttura ed i ritmi di crescita.
Ma le radicate abitudini e tradizioni della realtà veneta generano modelli di comportamento che in qualche modo vengono incorporati dai nuovi attori sociali, tanto da farne emergere i caratteristici stili di vita, quale la maggiore propensione al consumo, ed altre tendenze legate ad una evoluzione sociale in senso moderno.
E’ oramai nostra consuetudine tenere annualmente monitorati gli obiettivi, più volte richiamati nei diversi capitoli del rapporto, posti dall’Unione europea a partire dal 2000 in occasione del Consiglio tenutosi a Lisbona e annualmente verificati ed aggiornati dalla stessa Commissione; presentiamo in questo rapporto la tavola sinottica indicativa dello stato di raggiungimento degli obiettivi per il Veneto, l’Italia e l’intera Europa.

Inizio Pagina   La congiuntura

La ricchezza prodotta

Dagli ultimi dati storici di contabilità territoriale disponibili per il 2004, il Veneto si conferma una delle regioni di vertice dell’economia italiana, contribuendo con una quota del 9,1% alla formazione del Pil nazionale. In termini di dinamica annua il Pil del Veneto è aumentato nel 2004 dell’1,4%; +0,5 punti percentuali rispetto alla media nazionale e +0,1 rispetto alla Lombardia. Il Pil pro capite veneto a prezzi correnti cresce nell’ultimo anno di +2,7 punti percentuali, passando dai 25.266 euro del 2003 ai 25.954 euro del 2004, confermandosi all’ottava posizione nella graduatoria del Pil pro capite regionale.
Alla crescita a prezzi costanti del valore aggiunto prodotto in Veneto (+1,6%) contribuiscono maggiormente, in ordine di importanza, il settore dei servizi (+1,4%), all’interno del quale si evidenziano i risultati dei comparti del commercio, alberghi, ristoranti e trasporti (+2,4%) e dei servizi pubblici e sociali (+2%), e delle costruzioni (+3,1%). Ottima la performance del settore agricolo (+14,2%), mentre per l’industria in senso stretto si registra un modesto incremento (+0,4%).
Nel 2005 anche per il Veneto, come in Italia (nota 1), si stima una crescita reale del Pil vicina allo zero (+0,1%), la dinamica rimane, pur di poco, positiva grazie al contributo essenziale dei consumi finali delle famiglie (+1%) e dei consumi delle Amministrazioni pubbliche e delle Istituzioni sociali private (+0,9%). Diminuiscono poi, come nella media nazionale, gli investimenti fissi lordi (-1,9%).
Per quanto riguarda la dinamicità dei settori, risulterebbe in crescita unicamente il valore aggiunto dei servizi (+1,2%), mentre in tutti gli altri settori si assiste a una riduzione della ricchezza prodotta. Il valore aggiunto generato dal settore agricolo avrebbe perso quasi 5 punti percentuali, quello dell’industria in senso stretto cala del –1,1% e anche il valore aggiunto delle costruzioni, dopo alcuni anni largamente favorevoli, resta stazionario (–0,6%). Nel 2006 è prevista una ripresa del Pil regionale (+1,4%), stimolata in primo luogo dalla crescita degli investimenti.
E’ certamente complesso trarre indicazioni dalla recente stasi dell’economia italiana (nota 2), ma si evidenzia generalmente, al di là di situazioni congiunturali, una dinamica più contenuta dei consumi, in linea con ciò che si verifica anche negli altri Paesi europei. Sembra valere la considerazione che va aumentando il risparmio precauzionale, in conseguenza per alcuni Paesi dell’elevato livello di disoccupazione, per altri degli annunci realizzati o non di riforma delle prestazioni sociali, per altri ancora del rapido invecchiamento della popolazione e delle incertezze circa le condizioni di autosufficienza prospettiche che esso implica. Per l’Italia il più rapido invecchiamento della popolazione rispetto agli altri Paesi europei e le riforme del mercato del lavoro messe in atto hanno consentito di passare attraverso una fase di quasi stagnazione dell’attività produttiva, senza interrompere il processo di riduzione sistematica del tasso di disoccupazione. Vi è comunque la generale tendenza all’andamento irregolare dell’attività produttiva nel settore industriale: per tutti i comparti, ad eccezione di quello energetico, il 2005 è stato un anno di flessione rispetto al 2004. Tale andamento della produzione industriale ha interessato tutte le principali categorie di prodotto del settore manifatturiero, concentrandosi soprattutto nei beni di consumo e in quelli strumentali. Interessate principalmente le produzioni del Made in Italy (abbigliamento, tessile, calzature), ma sono calate anche le produzioni di alcuni dei settori più tecnologici quali quelli dei mezzi di trasporto. Comunque, pur in presenza di un ciclo industriale oscillante, il periodo più difficile pare superato; infatti vi sono indicazioni positive che derivano sia dal clima di fiducia delle imprese industriali, in crescita dai primi mesi del 2005, che dai primi risultati riguardanti l’indice della produzione industriale stimato dall’Istat, cresciuto nei primi due mesi del 2006 del +3,8% rispetto al corrispondente periodo del 2005.
Per il 2006 si prevede quindi un graduale recupero dell’economia italiana: la crescita del Pil (attorno al +1%) sarà sostenuta maggiormente dalle componenti della domanda interna, con un aumento degli investimenti dell’1,9%, soprattutto nella componente più innovativa dei macchinari e dei mezzi di trasporto (+2,5%), e dei consumi delle famiglie (attorno al +1%). Per l’export, la previsione di un ulteriore rafforzamento dell’euro sul dollaro dovrebbe in parte limitare l’andamento delle vendite all’estero.

I consumi e la spesa familiare

L’analisi delle stime riguardanti i consumi finali interni del 2004, evidenzia una crescita dei consumi veneti (+1,2%) superiore a quella della media nazionale.
Aumentano quindi i consumi delle famiglie venete, stimolati soprattutto dagli acquisti di beni durevoli (+7%), che sarebbero stati agevolati non solo dalla crescente offerta di prodotti innovativi high-tech, ma anche dalla maggiore disponibilità di finanziamenti per il credito al consumo. Cresce anche la componente dei servizi (+1,2%), mentre cala leggermente la spesa delle famiglie in beni non durevoli (-0,8%).
Il panorama previsto per il 2005 denota per il Veneto una stabilità della spesa per consumi rispetto all’anno precedente, con una crescita attorno all’1% sia dei consumi delle famiglie che di quelli delle Amministrazioni pubbliche.
La considerazione di quanto spende mensilmente la famiglia veneta (nota 3) ci dimostra un trend contrario al generale contesto di debolezza dei consumi, inducendoci a ritenere che alcuni elementi negativi della congiuntura rilevata negli ultimi anni non hanno sostanzialmente compresso le condizioni sociali ed economiche della realtà veneta.
Nel corso del 2004, la spesa mensile sostenuta in media dalla famiglia veneta è di 2.716 euro, 335 euro in più rispetto a quella media nazionale, terzo posto tra le regioni italiane dopo la Lombardia e l’Emilia Romagna, 96 euro in più rispetto all’anno precedente.
Il maggior benessere di cui possono godere le famiglie venete consente loro di destinare una quota maggiore di reddito all’acquisto di beni non alimentari, diminuisce infatti del 3% la spesa per generi alimentari e bevande, pari a 440 euro, pur continuando ad assorbire una quota rilevante del bilancio familiare, 16,2% del totale della spesa, ma nettamente inferiore alla quota media nazionale (19%).

I prezzi al consumo

Nel 2005, nonostante l’impennata dei prezzi dell’energia, l’inflazione al consumo nell’area dell’euro è rimasta quasi stazionaria, passando dal 2,1% del 2004 al 2,2% del 2005. In Italia, l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) è risultato leggermente inferiore a quello del 2004, passando dal 2,1% del 2004 all’1,8% del 2005.
Per quanto riguarda le città venete, nel 2005 il ritmo di crescita dei prezzi è risultato più elevato (+1,8%) nelle città di Venezia e Vicenza, con un incremento annuo dell’indice dei prezzi di +0,1 punti percentuali a Venezia e di +0,2 punti percentuali a Vicenza. Per tutte le altre città campione del Veneto l’indice dei prezzi è inferiore alla media nazionale, scendendo nell’ultimo anno di 0,3 punti percentuali a Verona (da +1,9% nel 2004 a +1,6% nel 2005) e Padova (da +1,7% a +1,4%) e di 0,2 punti percentuali a Belluno (da +1,6% a +1,4%).

Il commercio estero

In un contesto internazionale di forte cambiamento, nel quale sono ormai connaturate le leggi della globalizzazione, il Veneto ne ha certamente risentito, data la sua forte apertura ai mercati esteri.
Una relativa frenata si è registrata nei traffici commerciali mondiali, aumentati di circa il 7%, rispetto al 10% del 2004. Alla base vi è stata la parziale riduzione del ritmo di sviluppo dell’economia mondiale, in particolare di alcuni Paesi emergenti asiatici e degli Stati Uniti. Dopo la pausa sperimentata nei trimestri centrali del 2005, il commercio internazionale ha mostrato segnali di risveglio sul finire dell’anno. Nel 2006 ci si attende un incremento marginalmente più sostenuto.
Come sempre, ormai dall’inizio del terzo millennio, gli scambi delle economie emergenti sono cresciuti a un ritmo circa doppio di quello dei Paesi industrializzati, facendo salire il loro apporto a circa il 40% dell’interscambio mondiale. L’incremento dei flussi commerciali permane quindi sostenuto, in particolare, dalla positiva prestazione della regione asiatica che può contare sulla straordinaria evoluzione delle transazioni della Cina e dell’India: in ambedue i Paesi sia le importazioni che le esportazioni sono aumentate nella media del 2005 a un ritmo compreso tra il 15 e il 20 per cento.
Nel 2005 il Veneto risente in maniera particolare dell’indebolimento del legame tra l’andamento della domanda mondiale e della domanda interna europea e italiana, pur mantenendo sempre una quota consistente, 13,4%, delle esportazioni nazionali.
Le esportazioni venete diminuiscono infatti del –1,5%, dopo un brillante 2004 (+6,5%) (nota 4), a fronte della variazione positiva a livello nazionale di +4%; questi dati necessitano di essere analizzati in dettaglio, tenendo anche presente che ormai annualmente i dati ufficiali provvisori diffusi in primavera vengono, a distanza di mesi, rivisti in rialzo (nota 5).
Nonostante ciò il Veneto si conferma la seconda regione italiana sia per valore complessivo di export (39,6 miliardi di euro), che per esportazioni per abitante (8.482 euro).
Le importazioni, pari a 32,1 miliardi di euro, sono invece aumentate del +2,1% producendo un saldo commerciale attivo pari a 7,5 miliardi di euro.
La UE resta il principale mercato di sbocco per i prodotti veneti con una quota del 56% sul totale delle esportazioni, ma si registra una variazione annua negativa pari al 5,1%. Impulsi più significativi vengono registrati nei flussi diretti verso l’Europa dell’est (+5,9%), il Medio Oriente (+23,5%), l’America settentrionale (+1,5%), l’Asia orientale (+1,5%), e l’Asia centrale (+12,5%).
La dinamica degli ultimi due anni evidenzia che è in atto un significativo spostamento verso oriente dell’asse dell’interscambio commerciale veneto: aumentano in maniera apprezzabile le quote dell’export verso la Cina, la Russia e la Turchia, cioè verso quei Paesi che fanno da traino alla crescita mondiale. Analizzando i mercati “più vicini”, si manifesta invece una contrazione dell’export verso i partner storici (Germania, Stati Uniti, Francia, Regno Unito), in parte controbilanciata dalla crescita di altri mercati come la Spagna, la Svizzera, il Belgio e la Croazia.
Il settore del metallo e dei prodotti in metallo ha complessivamente guadagnato il 5%, incorporando in qualche modo anche gli aumenti delle quotazioni del ferro e dell’acciaio; aumenta del 2,5 % anche il settore delle macchine e degli apparecchi meccanici, consolidando così la prima posizione tra le merci maggiormente esportate a livello regionale (quota regionale del 21,9%) e riflettendo principalmente i mutamenti di qualità delle merci esportate, che non corrispondono a pure variazioni di prezzo di un prodotto immutato; aumentano infine l’export di apparecchi elettrici ed elettronici (+3,3%) e dei prodotti chimici, gomma e plastica (+2,1%). Tra i settori che nel Veneto detengono la maggiore quota sul valore totale hanno pesato in modo negativo quelli tradizionali del tessile (-5,2%), dove il saldo negativo dell’export del settore moda (-551 milioni di euro) è quasi equivalente a quello complessivo del Veneto (-586 milioni di euro), risultato in parte provocato anche dalla cessazione dell’accordo multifibre, e del cuoio, che ha perso circa il 7% in valore corrente; il settore del mobile registra una flessione dell’export pari a 7,1%, l’oro e i gioielli si riducono del 12,7%. Anche il comparto dei mezzi di trasporto registra una perdita delle esportazioni dell’11,8%, in gran parte provocata dalla negativa performance nel comparto dei veicoli aeromobili e veicoli spaziali della provincia di Venezia.
L’aumento delle importazioni venete del 2,1% è in gran parte dovuto al boom dell’import dall’Asia orientale e in particolare dalla Cina (+30,7%): nel 2005, scavalcando l’Est europeo (9,8%), l’Asia orientale diventa la seconda area geografica, dopo la UE (59,4%), per valore di merci importate, con una quota dell’11,2%. Il valore delle importazioni passa dai 2,9 miliardi di euro del 2004 ai 3,6 miliardi di euro del 2005, per un incremento annuo pari al 22,5%.
La fase che sta attraversando l’export italiano è connessa con due tipi di processi, innanzitutto quelli legati all’integrazione produttiva nel mercato unico di gran parte delle imprese europee, in secondo luogo quelli legati in modo più stretto all’intensificazione della globalizzazione. Particolarmente interessati sono i processi inerenti i settori che producono tipologie di beni con tecniche labour intensive e che hanno subìto e continuano a subire eccezionali pressioni competitive di costo e di prezzo soprattutto dai Paesi asiatici emergenti. Tali processi implicano fenomeni di riallocazione dei fattori produttivi e, in molti casi, si traducono in delocalizzazione di alcuni stadi dei processi produttivi. Sono emersi perciò problemi di competitività che spesso si riferiscono a questioni sottostanti di innovazione e di miglioramento qualitativo dei prodotti e dei servizi connessi alla loro vendita ed all’assistenza successiva al momento della vendita.
Gli indicatori frequentemente utilizzati non sono sempre in grado di misurare correttamente la dinamica della competitività, soprattutto in un periodo come l’attuale caratterizzato da innovazioni rapide di processi e di prodotti e da profonde ristrutturazioni merceologiche e strutturali. Spesso i valori dell’export non tengono conto del mutamento della qualità dei beni e, di conseguenza, un dato aumento del valore relativamente a quello medio dei concorrenti può indicare alternativamente un miglioramento della qualità dei prodotti, con riflessi positivi sulla competitività, o un peggioramento di prezzo relativo con effetti negativi.

La competitività imprenditoriale

Gli indicatori di demografia imprenditoriale nel 2005 denotano un certo momento di riflessione del sistema veneto: stabile il tasso di natalità delle imprese, 7,6%, rispetto all’anno precedente, in lieve aumento il tasso di mortalità, 6,7% rispetto al 6,5% nel 2004. Nonostante questo il Veneto, con le sue 456.878 imprese, +0,6% rispetto al 2004, si conferma anche quest’anno in seconda posizione nella graduatoria regionale per numero di imprese attive, con l’8,9% del totale nazionale, preceduta soltanto dalla Lombardia (15,6%).
Ed anche in questo caso è da apprezzare l’impegno ad accrescere la competitività imprenditoriale: aumentano infatti negli ultimi anni sia le imprese specializzate nella realizzazione di prodotti ad elevato contenuto tecnologico che, di conseguenza, l’analoga offerta sui mercati esteri. A questo proposito, emerge che nel 2005 il Veneto deteneva il 9,6% di imprese manifatturiere operanti in settori ad alto contenuto tecnologico sul totale nazionale, seconda solo alla Lombardia (22,2%).
Un’altra indicazione sulla qualità tecnologica dei beni si può ottenere osservando la dinamica delle esportazioni del settore manifatturiero e aggregando i settori in base alla classificazione standard OCSE (2003) (nota 6). Si nota che dalla fine degli anni ’90 la quota di esportazioni venete di beni ad alta tecnologia tende a crescere. La quota dell’export veneto di merci ad alto contenuto tecnologico passa dal 6,3% del 1998 all’8,3% del 2005, rilevando così un progressivo aumento delle esportazioni di quei prodotti ad altissimo valore aggiunto e che meno risentono della concorrenza dei nuovi Paesi emergenti. Pur rimanendo prevalente, diminuisce, invece, la quota delle esportazioni di beni a bassa tecnologia; si passa dal 44,7% del 1998 al 39,2% del 2005. La quota di export delle categorie di livello tecnologico intermedio, nell’arco di tempo considerato, cresce limitatamente: la quota dei beni a medio-alto contenuto tecnologico passa dal 32,8% del 1998 al 34,4% del 2005, mentre quella dei beni a medio-basso si porta dal 16,3% del 1998 al 18,1% del 2005.

L’economia mondiale nei primi 5 anni del XXI secolo

Tutto ciò è avvenuto in un contesto economico mondiale ancora in crescita, se pur in lieve decelerazione, come risulta dal dato del 2005, +4,4%, anno che ha segnato il completamento del primo lustro di questo inizio millennio, positivo in termini di crescita globale.
Cinque anni storicamente determinanti per i cambiamenti intervenuti nel mondo economico, innanzitutto per ciò che riguarda le regole e le ragioni di scambio, così come per gli shock legati alle tensioni geopolitiche, l’aumento del prezzo del petrolio, l’andamento dei tassi di cambio dell’euro rispetto al dollaro, tutti elementi che hanno determinato momenti di riflessione e rivisitazione degli stessi schemi di sviluppo.
L’inizio di questo XXI secolo è testimone dell’importante ruolo dato alla crescita economica come obiettivo comune che lega i Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo nonostante le loro diverse condizioni: i primi hanno bisogno della crescita per contrastare le conseguenze finanziarie legate alla loro contrazione demografica, mentre i secondi la perseguono per migliorare le condizioni di vita dei propri quattro miliardi di abitanti. E’ indispensabile che questi diversi ritmi e condizioni di crescita tendano al riequilibrio in quanto con l’aumento della globalizzazione, dei mercati e degli investimenti, le decisioni prese da aziende in un continente influiscono su quelle prese da altre aziende in un altro continente; da qui l’esigenza di un alto grado di sincronizzazione delle scelte di una elevata gamma di soggetti, che necessitano di essere filtrate ed indirizzate.

Le principali aree mondiali

Gli Stati Uniti e la Cina sono stati ancora i principali motori dello sviluppo, ma sono rimasti ampi i divari di crescita tra le maggiori aree mondiali. Alla spinta fornita da Stati Uniti e Cina si sono affiancati, nell’area delle economie emergenti, il maggiore dinamismo dell’India e, tra le economie industriali, il recupero di tono del Giappone. Il 2005 si è chiuso con una buona performance dell’economia dell’America Latina, nonostante un rallentamento del ritmo di espansione del Pil in Brasile rispetto al 2004.
Anche nel 2005, l’Uem ha rappresentato una delle aree meno dinamiche a livello mondiale, con un ritmo di espansione in termini annui intorno all’1,4%. Un certo rafforzamento dell’attività economica si è verificato nei due trimestri centrali dell’anno cui è seguita un’attenuazione negli ultimi mesi. La fase di maggiore vivacità ha coinciso con un più significativo contributo delle esportazioni, sospinte, a partire dalla primavera, dal deprezzamento dell’euro. Nei primi mesi dell’anno in corso, l’euro è tornato a mostrare segni di rafforzamento rispetto al dollaro e dovrebbe esibire una certa stabilità nei valori medi del 2006 rispetto al 2005.
Il rallentamento dell’area euro ha interessato in misura diversa i maggiori Paesi. In Francia la dinamica del Pil, sospinta dalla domanda interna, si è mantenuta lievemente superiore al resto dell’area; in Germania, all’opposto, è stata frenata dalla perdurante debolezza dei consumi, che ha quasi annullato l’impulso della domanda estera, pure esso in diminuzione; l’attività economica ha accelerato in Spagna. In Italia l’anno si è chiuso con una crescita quasi nulla.
Crisi energetica e materie prime di uso industriale
La crescita a livello mondiale ha quindi proseguito nonostante gli squilibri; il petrolio, risentendo della persistente scarsità di offerta, rispetto ad una domanda ormai strutturalmente elevata per i fabbisogni delle grandi economie emergenti, si è ulteriormente impennato, toccando in estate livelli di oltre i 60 dollari a barile, oltre i 70 dollari nella prima metà dell’anno in corso con previsioni di ulteriori rialzi. I prezzi dell’energia sono circa raddoppiati negli ultimi cinque anni. Il rincaro ha procurato un significativo incremento del livello medio dei prezzi al consumo, senza però innescare aumenti diffusi e ripetuti dei prezzi dei beni e servizi non energetici; l’inflazione di fondo e quella attesa sono rimaste contenute.
Sulla scia del petrolio e in conseguenza dell’alta richiesta asiatica, aumenti rilevanti dei prezzi sono stati sperimentati pure dalle altre materie prime di uso industriale, con punte di quasi il 40% nel comparto dei metalli ferrosi.
La crisi del gas naturale ha segnato l’inverno trascorso: ad inizio 2006, lo scenario energetico si è complicato in Europa, a seguito di alcune difficoltà di approvvigionamento sul fronte del gas dovute a minori forniture dalla Russia (nota 7), causate sia dai contenziosi politici nella regione, sia da fattori climatici. La domanda di gas naturale è negli ultimi anni molto aumentata, in alternativa al greggio, per effetto delle maggiori quotazioni petrolifere, ma la sua produzione, in crescita, per i Paesi industrializzati non è destinata ad aumentare, mentre i Paesi in via di sviluppo svolgeranno un ruolo chiave nell’espansione, sia della domanda che dell’offerta.
Tra i Paesi dell’Europa pochi possiedono una sufficiente autonomia energetica rispetto a questa fonte, e anche l’Italia importa gran parte dell’energia di cui necessita non avendo la capacità di coprire i consumi domestici.

L’attrattività turistica

Restando nella dimensione internazionale, tra le regioni italiane il Veneto mantiene da diversi anni un primato anche nel settore turistico che non è solo numerico, ma è avvalorato dalla capacità di tenuta rispetto alle difficoltà che si sono manifestate negli ultimi anni. Il turismo risulta, in questo modo, uno dei punti di forza dell’economia veneta. L’anno appena trascorso ha visto uno sviluppo del fenomeno sotto tutti i punti di vista. Infatti, nel confronto con il 2004, si sottolinea l’andamento positivo sia negli arrivi che nelle presenze, rispettivamente +3,4% e +4%, con un incremento della ricezione sia da parte delle strutture alberghiere che di quelle extra-alberghiere. In aumento sia gli arrivi di turisti italiani che stranieri, +1,9% e +4,3%, a conferma della crescente attrattività del Veneto, che viene sempre più spesso annoverato tra le principali mete turistiche a livello mondiale per le proprie diversificazione e qualità d’offerta. Il Veneto mantiene tra l’altro ormai da diversi anni il primato tra le regioni turistiche italiane: si conferma tale infatti nel 2004 (nota 8), totalizzando il 14% degli arrivi ed il 15,8% delle presenze di turisti dell’intera penisola. A queste percentuali contribuisce in maggior misura l’afflusso di turisti stranieri, con gli oltre 31 milioni di presenze, 17,7% nel 2005 (nota 9), che differenziano nettamente il Veneto dalle altre regioni, cui si aggiungono i 23 milioni di presenze dei turisti italiani, cifra superata solo dall’Emilia Romagna.

La trasformazione demografica

La trasformazione sociale e territoriale in atto nel Veneto negli ultimi decenni traspare nettamente dall’evoluzione demografica: la popolazione ha sempre continuato ad aumentare fino a raggiungere i 4.699.950 alla fine del 2004, crescendo in un anno dell’1,2% ad un tasso di incremento di 12,2 unità ogni mille abitanti, superiore al dato nazionale.
L’incremento della popolazione è ancora in parte dovuto alle iscrizioni anagrafiche relative a stranieri già presenti in Italia e regolarizzati con la sanatoria del 2002, prevista dalle leggi 189/02 e 222/02, i cui effetti si sono protratti anche nel corso del 2004, si pensi che all’inizio dell’anno, infatti, sono circa 58.300 i permessi di regolarizzazione concessi nella nostra regione in base a queste leggi e rappresentano il 9% dei permessi rilasciati in tutta Italia. Inoltre sempre nel 2004 si contano in Veneto circa 288.000 stranieri residenti, in aumento del 57% rispetto al 2002.
E’ evidente quindi una grande attrattività, certamente assecondata dai forti indici occupazionali, che si sono sempre mantenuti al di sopra dei livelli nazionali ed europei. Tale componente spiega infatti il 91% della crescita totale; incidono soprattutto le immigrazioni dall’estero, largamente superiori alle emigrazioni, ma sono anche in aumento i trasferimenti di quanti si stabiliscono in Veneto da altre regioni italiane. Resta compresso il contributo dato alla crescita della popolazione dalla sola componente naturale, espressa dall’eccedenza di nascite rispetto ai decessi, anche se è da rilevare che il fenomeno sembra avere da qualche tempo cambiato rotta: per quest’anno infatti il saldo naturale è più che positivo, +5.340 i nuovi nati rispetto ai decessi, uno dei valori più alti dell’ultimo decennio, che colloca il Veneto al quarto posto tra le otto regioni italiane in crescita per il fattore biologico. A questo si aggiunga anche il forte calo nei decessi, che può essere attribuito, in parte, alla supermortalità dei mesi estivi che ha caratterizzato l’anno precedente.
Si intravede quindi un’inversione di tendenza che pensiamo possa influire positivamente sull’attuale squilibrio - che caratterizza tutte le evolute società occidentali - tra le componenti anziana e giovane della popolazione, che ha portato al ridimensionamento della popolazione in età attiva con conseguenze anche nell’ambito assistenziale. La popolazione in uscita dal mercato del lavoro supera infatti del 34% quella in età 15-19 anni e quindi potenzialmente entrante ed inoltre oggi si contano 137 persone sopra i 65 anni ogni 100 ragazzi di età inferiore ai 15 .
Il maggior numero di nascite trova corrispondenza nell’ulteriore incremento del livello di fecondità, verificatosi anche nell’ultimo anno: infatti, dopo un trend decrescente di circa trent’anni, culminato nel 1994 con il minimo storico per il Veneto di appena 1,06 figli per donna, dalla metà degli anni novanta il tasso di fecondità è lentamente in ripresa, venendo progressivamente a ridursi il gap tra i comportamenti riproduttivi del Veneto e del resto del Paese. Anzi secondo le ultime stime nel 2004, per la prima volta dopo anni, il tasso di fecondità della nostra regione, pari a 1,37 figli per donna, si attesta ad un valore superiore a quello medio italiano (1,34); addirittura il Veneto risulta tra le prime regioni più prolifiche d’Italia a pari merito con la Lombardia, superata solo dal Trentino Alto Adige (1,54 figli per donna), dalla Campania (1,48) e dalla Sicilia (1,43).
D’altra parte il recupero della natalità negli ultimi anni a livello italiano si deve essenzialmente all’aumento della fecondità nelle regioni del Centro-Nord, cui si contrappone invece una diminuzione nel Sud, tradizionalmente la parte del Paese con il maggior numero di figli per donna.




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Note

  1. La crescita del Pil in Italia nella media del 2005 è stata pari a +0,1%, inferiore quindi a quella della Unione europea monetaria, in decelerazione rispetto al 2004. Tale andamento ha riguardato tutte le componenti della domanda, ad eccezione dei consumi pubblici (+1,2) che sono riusciti in parte a compensare la contrazione degli investimenti(-0,4%). Si registra un sostanziale stallo dei consumi delle famiglie(+0,1%).
  2. Questa fase è andata di pari passo anche con la revisione dei dati di contabilità nazionale conseguente all’applicazione di una diversa metodologia di calcolo.
  3. Informazioni derivanti dall’indagine annuale Istat sulla spesa delle famiglie.
  4. A seguito dell’entrata in vigore del regolamento UE n. 638/2004 e di quello di applicazione n. 1982/2004, le variazioni percentuali 2004/03 sono state elaborate utilizzando la nuova metodologia di calcolo riguardante gli scambi intracomunitari.
  5. Il valore dell’interscambio commerciale del 2005 è provvisorio e negli ultimi anni tale valore, soprattutto nel caso dell’export veneto, è stato sottostimato. Negli ultimi tre anni, dal 2002 al 2004, la variazione tra i due valori, provvisorio e definitivo, dell’export veneto è stata mediamente di circa 3,5 punti percentuali (circa 8,5% per la provincia di Vicenza) a fronte dell’1,7% nazionale.
  6. Basata sui valori mediani della distribuzione della spesa in R&S in rapporto al valore aggiunto in ciascun settore di classificazione in dodici Paesi membri nel 1999,che suddivide i prodotti del settore manifatturiero in quattro categorie (alta tecnologia, tecnologia medio alta, tecnologia medio bassa, bassa tecnologia).
  7. La Russia, tramite l’azienda pubblica GazProm fornisce attualmente il 31% del gas naturale richiesto dall’Italia, così come sono molto elevate le quote richieste dagli altri Paesi, evidenziando la sua indubbia leadership nell’offerta ai Paesi europei; la modifica degli equilibri geo-politici, a seguito di spinte indipendentiste di alcuni Stati dell’area ex-sovietica, incidono sull’offerta di questo bene, poiché i gasdotti della GazProm attraversano alcune di queste repubbliche, prima di raggiungere l’Europa. A queste tensioni politiche si sono aggiunti eventi climatici che hanno reso necessaria una diminuzione dell’intensità delle forniture della GazProm ad alcuni Paesi europei per soddisfare le maggiori richieste provenienti dalla popolazione e dalle industrie nazionali.
  8. Ultimo anno di disponibilità dei dati a livello nazionale.
  9. Dati dell’Ufficio Internazionale Cambi – rilevazione campionaria sul “Turismo internazionale in Italia”.

Strategia di Lisbona
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