8. Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I)

Inizio Pagina   Introduzione

A qualche anno di distanza, riprendiamo aggiornandola un’analisi che abbiamo realizzato nel 2003 in occasione della redazione del Programma regionale di sviluppo (nota 1) per continuare a fornire elementi di valutazione sulla situazione del Veneto in confronto ad altre realtà regionali italiane ed europee.
Dopo più di cinque anni dalla prima definizione della strategia europea a Lisbona nel 2000, la stessa Commissione constata (nota 2) che i progressi compiuti appaiono diseguali e, benché gran parte delle condizioni fondamentali per il rilancio dell’Europa siano già presenti, in concreto i risultati a livello comunitario e nazionale non sono stati propriamente quelli voluti. E’ per questo che per far fronte al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione e alla concorrenza su scala mondiale, nel corso di quest’anno è stata rilanciata la strategia del 2000 rinnovandola ed incentrandola sulla crescita e sull’occupazione. Tre i punti cardine: rendere l’Europa più capace di attrarre investimenti e lavoro, la conoscenza e l’innovazione che devono rappresentare il fulcro della crescita europea, elaborare politiche che consentano alle imprese europee di creare nuovi e migliori posti di lavoro. Questi sostanzialmente i temi guida per la nostra analisi, che prende in considerazione anche aspetti caratteristici delle realtà osservate.
Lo studio è incentrato su una comparazione di lungo periodo. Ogni capitolo riguarda il confronto tra il Veneto ed ognuna delle seguenti regioni: Baden-Württemberg, Baviera, Rhône-Alpes, Catalogna, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Toscana . Queste possiedono tutte economie evolute, ad alto reddito e con dinamiche sociali generalmente somiglianti: sono infatti regioni caratterizzate da un elevato livello di ricchezza, sia in termini assoluti che in rapporto a quella prodotta dall’intera Unione europea e dal proprio Paese di appartenenza. Tra le regioni di Germania, Francia e Spagna, Paesi tradizionalmente confrontati con l’Italia, sono state individuate quelle più ricche e con le quali il Veneto ha intessuto accordi di collaborazione su diversi fronti: Baviera e Baden-Württemberg producono rispettivamente il 17,4% e il 14,8% del Prodotto Interno Lordo nazionale tedesco, la Catalogna è la regione spagnola più importante con una quota di Pil del 18,3% sul totale nazionale, Rhône-Alpes produce il 9,5% del totale del Pil francese. All’interno dell’Italia sono state selezionate le regioni del nord con il rapporto Pil regionale su Pil nazionale più alto: Lombardia (20,6%), Emilia Romagna (8,8%), Piemonte (8,5%) e Toscana (6,7%) (nota 3).
Un confronto bilaterale quindi per consentire di cogliere non soltanto il posizionamento del Veneto rispetto ad ognuna di queste aree, considerate sue competitor, ma per tracciare e confrontare soprattutto i percorsi di sviluppo che queste hanno seguito.
Nella sintesi che segue poniamo a confronto tutte le regioni, in relazione anche alla situazione italiana ed europea. La lettura comparata delle informazioni di sintesi trattate ci dà modo di evidenziare forza e debolezze del nostro sistema sociale ed economico che avanza adagio, non senza scossoni, nella nuova dimensione europea.

Avvertenze

I dati su cui si basa l’analisi sono principalmente di fonte Eurostat e Bak. Per ogni argomento si è cercato di rappresentare la tendenza del fenomeno attraverso lo studio della serie storica, ma non è stato possibile riprodurre sempre gli stessi anni; vengono perciò presentati gli ultimi aggiornamenti disponibili. Per il Veneto sono disponibili dati più aggiornati per quasi tutti gli argomenti, ma per operare i dovuti confronti sono stati proposti i valori temporalmente omogenei per l’insieme di regioni analizzate. Si noteranno infatti alcune differenze tra i dati presentati nella prima parte di questo rapporto e quelli esposti nella seguente trattazione: questo è dovuto alla necessità di renderli omogenei tra loro e con alcune definizioni di Eurostat che non sempre coincidono esattamente con quelle ufficiali utilizzate a livello nazionale.

Inizio Pagina   8.1 La popolazione motore dello sviluppo

Sono demograficamente meno dinamiche le regioni italiane e quella spagnola, per le quali la crescita nei quindici anni dal 1990 al 2004 è stata più contenuta, soprattutto a causa dei più bassi livelli di natalità e per le caratteristiche strutturali più anziane. Il Veneto si è popolato più che tutte le altre regioni italiane confrontate, quasi +7%: il suo sviluppo demografico non è tanto distante da quello massimo del Baden-Württemberg, +11,2%. La popolazione è una ricchezza ma le condizioni di vivibilità peggiorano in funzione della carenza di superficie.

Molto diversificata risulta la distribuzione della popolazione nelle diverse aree regionali, così come le relative superfici: nella condizione più svantaggiata vivono i lombardi, costretti in 403 per ogni Kmq di superficie regionale; all’opposto la situazione più favorevole degli abitanti della regione francese, che sono invece 134 per Kmq. Il Veneto, con i suoi 262,4 abitanti per Kmq, evidenzia anch’esso una certa criticità, collocandosi al terzo posto della graduatoria. In ogni caso tutte le regioni confrontate sono più densamente popolate rispetto alla media europea, che, nel suo complesso, manifesta ancora ampi margini di sviluppo, sono infatti solo 117,5 i suoi abitanti per Kmq.

Il maggior vigore demografico tra le regioni italiane lo ritroviamo proprio nel Veneto, che più di tutte le altre può affrontare con determinazione il problema dell’invecchiamento della popolazione. 137 infatti il suo indice di vecchiaia, ad un livello intermedio tra Rhône-Alpes, la regione più giovane, dove vivono solo 79 anziani ultra 65enni per 100 ragazzi di età inferiore a 14 anni, e la Toscana, dove ve ne sono addirittura 192,3. Questa tendenza è possibile visualizzarla attraverso le diverse forme assunte da quelle che ormai impropriamente vengono definite piramidi per età: non più piramidi, quindi, ma strutture spesso simili ad alberi, con scarne radici, a parte il buon esempio del Rhône-Alpes, che faticano a garantire un equilibrato percorso di crescita delle generazioni future.

Inizio Pagina   8.2 La fisiologia della crescita

Alla relativa disomogeneità della situazione demografica si contrappone una comunanza di condizioni economiche. Sono tutte ricche le regioni poste a confronto: un Pil pro-capite che si pone sempre al di sopra della media europea e che va dai 23.780 euro della Catalogna ai 30.028 della Lombardia; inoltre lo sviluppo del prodotto complessivo dal 1995 al 2002, si aggira attorno al 30% per il Veneto, analogo a quello registrato per le altre regioni italiane, tranne che per il Piemonte, dove è aumentato del 26%. Più vivace la crescita nelle altre regioni europee dove l’incremento di medio periodo del Pil totale è stato più alto, con una punta del 50% in Catalogna che, partita da un livello più esiguo di prodotto pro-capite, è riuscita a superare la media europea, pur collocandosi ancora al di sotto delle altre regioni.

Leggendo i dati sulla distribuzione settoriale del valore aggiunto ritroviamo una simile struttura economica: dappertutto vengono registrate quote di valore aggiunto nei servizi superiori al 63% nel 2002, solo il Baden-Württemberg, che registra il 61,5%, è in coda al Veneto, il quale mostra una tendenza in aumento dal 1995, tesa al raggiungimento della media europea, pari a 71%. In tutte le aree è però ancora importante la componente industriale che si aggiudica generalmente circa un terzo del valore aggiunto totale, anche se in diminuzione dal 1995.

L’economia agricola risente dappertutto delle proprie difficoltà strutturali, ma seppur l’incidenza del settore sul valore aggiunto complessivo risulti limitata, esso è importante nel sistema economico europeo per tutto l’indotto collegato alla trasformazione dei prodotti, al settore agroalimentare e anche in termini di forza lavoro utilizzata. Si evidenzia una contrazione, oltre che in termini di valore aggiunto, anche per carenze strutturali, sia dal punto di vista del numero di aziende agricole che della Superficie Agricola Utilizzata. Si nota la diversa tipologia di azienda agricola: nelle regioni italiane, e in particolare nel Veneto, la maggioranza di esse ha dimensioni molto ridotte (al di sotto dei 5 ettari), mentre nelle regioni tedesche e nel Rhône-Alpes prevalgono le strutture medio-grandi.
Nel mondo agricolo la contrazione in atto del valore aggiunto si affianca a quella strutturale: le aziende agricole nelle regioni analizzate si riducono tra il 2000 e il 2003 di più del 10% annualmente e anche la superficie agricola utilizzata (SAU) diminuisce, sebbene in misura decisamente inferiore rispetto alla numerosità aziendale, non più del -5%.
La migliore tenuta delle superfici ha conseguentemente permesso un aumento della SAU media aziendale, i cui valori, tra l’altro, dimostrano una notevole differenziazione tra le regioni considerate. Se in Italia, ed in modo più evidente nel Veneto, essa si aggira su valori inferiori ai 10 ettari, in Europa, come per esempio nelle regioni tedesche e nel Rhône-Alpes, la SAU media risulta più che doppia e superiore ai 20 ettari.
La bibliografia sugli studi di economie di tipo avanzato, come quelle delle regioni sotto esame, dimostra che lo sviluppo è maggiore se si accompagna ad una specializzazione rispetto a qualche settore o funzione economica specifica. Possiamo in questo senso effettuare un approfondimento considerando cinque gruppi guida di settori di attività economica calcolandone sempre il valore aggiunto: il settore tradizionale, la new economy, la old economy, i servizi, il settore di governo. I dati utilizzati sono di fonte BAK International Benchmark Club e non vi sono, né sono stimabili in maniera omogenea, analoghe informazioni per l’Emilia Romagna, la Toscana e l’intera Unione europea.
Il settore della new economy (nota 4), che usa essenzialmente i nuovi strumenti della tecnologia dell’informazione e della comunicazione, è stato il principale motore alla base del boom economico mondiale verso la fine degli anni novanta. Le sue diverse ramificazioni sono state caratterizzate negli anni recenti da tassi di crescita superiori alla media e da un livello comparativamente più elevato della produttività oraria reale. I dati evidenziano come la new economy sia un elemento di diversificazione tra le regioni considerate: spicca Rhône-Alpes con una quota dell’11,2% nel 2004, seguono Baden-Württemberg e Baviera con quote superiori al 10% del valore aggiunto totale. Il Veneto, con il 6,3%, è fanalino di coda rispetto alle altre regioni, ma ha manifestato comunque una decisa volontà di crescita con un tasso dell’1,9% dal 2000 al 2004.
Il settore della old economy (nota 5), strutturalmente forte, include le industrie tradizionali, molte delle quali sono caratterizzate da una produzione ad alto valore aggiunto e quindi da un livello eccezionalmente alto di produttività. Anche in questa collocazione industriale tradizionale, il settore è riuscito in linea generale a tenere il passo con l’innovazione competitiva mondiale odierna. La Catalogna possiede la quota di valore aggiunto in questo campo più elevata (9,3%), il Veneto, con il 4,8%, si trova in una posizione intermedia tra le regioni italiane. Il trend quadriennale 2000-2004 evidenzia un andamento compresso nelle regioni italiane, viceversa una sostanziale crescita nelle tedesche e nel Rhône-Alpes, mentre resta stabile nella Catalogna.
Il settore tradizionale (nota 6) è composto da quelle industrie che non possono essere attribuite né alla New economy né alla forte Old economy. Molte di queste, così importanti negli anni passati, hanno cessato di recente di fare da guida della crescita nell’Europa occidentale e nel Nord America e hanno subito un crescente spostamento verso i mercati emergenti ed i Paesi in via di sviluppo. Restare vincolati a questo settore non risulta però solo svantaggioso per le regioni dell’Europa occidentale, in quanto la specializzazione negli strati superiori del settore tradizionale può ancora certamente generare una crescita potenziale. Al settore tradizionale viene riservata una quota di valore aggiunto significativa per tutte le aree, prima fra tutte nel Veneto, dove raggiunge il 27,8%, mentre la Baviera possiede la quota inferiore tra tutte le regioni, 18,3%; in termini di sviluppo negli ultimi anni il settore mostra, in quasi tutte le regioni, segnali di arretramento.
Il settore urbano (nota 7) secondo la classificazione specifica adottata include da una parte segmenti come servizi finanziari e collettivi, e dato che la loro fornitura normalmente richiede una stretta vicinanza fisica ai clienti, non sorprende che le aziende specializzate in questo ambito tendano a concentrarsi nelle grandi aree metropolitane. D’altra parte questo settore include servizi che soddisfano le necessità quotidiane che tendono sempre a concentrarsi nelle grandi città o nelle aree urbane. Tale tendenza viene favorita dall’influenza dei fattori demografici, ad esempio dalla presenza di famiglie unipersonali e senza figli, gruppi di popolazione che usualmente scelgono di vivere in città e che sono crescenti in rapporto alla popolazione dei Paesi occidentali. La maggior parte di questi servizi ha un alto potenziale di crescita, perché sono funzionali a quella parte di popolazione con quote di reddito disponibile (nota 8) totale stabilmente in crescita, come d’altra parte avviene nelle regioni considerate, dove il reddito disponibile per abitante è aumentato dal 1995 al 2002 mediamente del 25%.

Questo settore si conferma nel 2004 quello guida in tutte le regioni. La sua quota di valore aggiunto è superiore nelle regioni italiane, massima in Lombardia, 49,4%, segue il Piemonte, 49,3%, quindi il Veneto con il 48%; nelle altre regioni europee il trend di sviluppo negli ultimi anni è risultato mediamente superiore, a segnalare un riallineamento tra tutte le aree.
Il settore di governo, denominato pubblico nella dicitura originaria, comprende il primario, l’energia e l’acqua, la ricerca e sviluppo, la pubblica amministrazione, la scuola, i servizi sociali e sanitari, le fognature e rifiuti. Esso è fortemente influenzato dall’azione politico-amministrativa. Come risultato di una bassa pressione competitiva, le attività di tale settore hanno mostrato una produttività inferiore alla media negli anni passati. Quindi una forte concentrazione su segmenti del settore politico produce svantaggi per la competitività delle regioni. Nondimeno ci si può aspettare un impulso in questo ambito se le regioni dirigono i propri sforzi nel creare condizioni strutturali orientate alla competizione.
E’ interessante notare come nelle regioni italiane la quota di valore aggiunto nel settore di governo risulti inferiore a quella delle straniere, anche rispetto alla stessa media nazionale, pari al 17,8%. Ultima posizione per la Lombardia, con l’11,5% del valore aggiunto totale, subito sopra il Veneto con circa il 13%. Nel Rhône-Alpes, prima fra tutte, l’intervento dell’amministrazione pubblica nell’economia si esprime con una quota di valore aggiunto pari al 24%.

Inizio Pagina   8.3 La struttura produttiva

Risulta piuttosto complicato effettuare un confronto tra diverse regioni europee sulla realtà delle attività produttive in quanto la copertura dell’Eurostat è incompleta, disomogenea e spesso non sufficientemente aggiornata. Si evidenzia, in particolare, che le statistiche della Germania sulle imprese produttive coprono soltanto le unità locali che impiegano almeno 20 addetti relativamente ai settori minerario, manifatturiero, energetico ed edilizio. Alla luce di queste difficoltà, si analizza lo sviluppo delle unità locali e degli addetti per alcuni settori di attività economica.

La trasformazione della struttura produttiva in atto, come peraltro già evidenziato nella prima parte di questo rapporto, è comune a tutte le regioni in osservazione: dal 2000 al 2003 (nota 9) aumentano in tutte le regioni le unità locali operanti nei settori dei servizi inerenti le attività immobiliari, il noleggio, l’informatica e la ricerca, il massimo sviluppo lo si registra nel Baden-Württemberg, dove le relative unità locali in questo periodo sono aumentate di circa il 30%, subito seguito dal Veneto, + 29%. Tutte le altre regioni, a parte il Piemonte e la Catalogna, dove l’aumento è contenuto in un +4,4%, manifestano uno spiccato sviluppo di queste strutture produttive. Tale andamento si evidenzia anche in termini di addetti nel settore, anche se stavolta è la regione francese a mostrare il più rapido sviluppo, +25% in 4 anni, seguono a ruota l’Emilia Romagna, +24%, e il Veneto, +22%; nelle regioni tedesche gli addetti in questo settore crescono meno delle unità produttive facendo probabilmente emergere strutture di più ridotte dimensioni. Tutte le regioni manifestano un ridimensionamento della struttura manifatturiera in termini di unità produttive, con la sola eccezione della Catalogna.
Le unità locali dedite alle costruzioni si riducono in maniera consistente nelle regioni tedesche, di circa il 17%; stessa tendenza, ma in modo meno marcato, -6,6%, in Catalogna, dove però la relativa occupazione assume un andamento di segno diametralmente opposto, +13%, a manifestare una crisi solo apparente; nelle altre regioni il settore si dimostra in netta espansione in termini di unità produttive e ancor più per addetti. Il settore dell'edilizia nelle regioni italiane e nella vicina regione francese non conosce battute d'arresto, a sottolineare la vitalità del comparto correlata alla dinamicità del mercato immobiliare che vede una grande mole di fabbricati immessi sul mercato. Il fenomeno può essere interpretato come il segnale di un processo di maggiore strutturazione del settore; tra l’altro lo sviluppo dell'occupazione nelle costruzioni è merito dei persistenti progressi del lavoro dipendente, alla base del quale vi è il vero motore delle imprese ed in parte gli effetti della regolarizzazione dei cittadini stranieri, che sono per gran parte occupati in questo ambito.
E’ infine evidente in quasi tutte le regioni italiane, a parte la Toscana, un’involuzione della base produttiva estrattiva, che fa registrare in Italia una riduzione di circa il 20% di unità locali nel quadriennio considerato.
Corollario dell’evoluzione delle strutture economiche finora confrontate è il livello della produttività oraria reale, che come risulta dalle informazioni elaborate dall’Istituto Bak, è per il Veneto più basso rispetto alle altre regioni (nota 10), anche se è da dire che, nel lungo periodo, mostra un tasso di crescita medio annuo piuttosto consistente, 2,2% dal 1990 al 2000, secondo solo allo sviluppo registrato in Baviera.




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Note

  1. Il Veneto all’apertura del nuovo millennio – benchmarking europeo
  2. Crescita e occupazione: il rilancio della strategia di Lisbona, Comunità europee 2005
  3. La quota percentuale di Pil prodotta dal Veneto sul totale nazionale è pari al 9%.
  4. La new economy comprende i seguenti settori economici: computer e attrezzature per ufficio; attrezzature per la telecomunicazioni (inclusa l’ingegneria elettronica); servizi per la telecomunicazione; servizi IT.
  5. La old economy comprende i seguenti settori economici: chimica e farmaceutica; oggetti di precisione e strumenti ottici, orologi; fabbricazione di veicoli.
  6. Il settore tradizionale comprende i seguenti settori economici: alimentari, bevande e tabacco; tessile, abbigliamento, pelli, prodotti in cuoio e scarpe; industria del legno; carta e suoi prodotti, stampa ed editoria;coke e prodotti petroliferi; gomma e plastica; altri prodotti da minerali non metalliferi; metalli e prodotti metalliferi/ingegneria meccanica; altre industrie manifatturiere; costruzioni.
  7. Il settore urbano comprende i seguenti settori economici: commercio e riparazione di automobili e beni durevoli; hotel e ristoranti; trasporti; servizi finanziari; attività immobiliari; noleggio di macchinari senza operatore; fornitura di servizi alle aziende; gruppi d’interesse ed altre associazioni; attività ricreative, culturali e sportive; servizi personali; servizi domestici presso famiglie e convivenze.
  8. Il reddito disponibile è ciò che rimane del reddito primario, ovvero della capacità delle famiglie di produrre reddito con l’impiego del proprio lavoro e del proprio capitale, dopo la fase di distribuzione secondaria che opera la detrazione delle imposte correnti e dei contributi sociali e l’addizione delle prestazioni sociali e dei trasferimenti netti.
  9. Non si è potuto considerare la variazione rispetto ad un anno del decennio precedente per la disomogeneità dei dati.
  10. Non sono disponibili dati a riguardo per Emilia Romagna e Toscana.

Tabella 8.1
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Tabella 8.1
Figura 8.1
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.1
Figura 8.2
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.2
Figura 8.3A
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.3A
Figura 8.3B
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.3B
Figura 8.3C
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.3C
Figura 8.3D
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.3D
Figura 8.3E
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.3E
Figura 8.3F
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.3F
Figura 8.3G
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.3G
Figura 8.3H
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.3H
Figura 8.3I
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.3I
Figura 8.4
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.4
Figura 8.5
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.5
Figura 8.6
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.6
Figura 8.7
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.7
Figura 8.8
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.8
Figura 8.9
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.9
Tabella 8.2
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Tabella 8.2
Figura 8.10
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.10
Figura 8.11
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Figura 8.11
Tabella 8.3
Il Veneto in Italia e in Europa dagli anni '90 ad oggi (parte I) - Tabella 8.3

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