SINTESI - GLI EQUILIBRI NELLA SOCIETA' E NELL'ECONOMIA

La ricerca dell'equilibrio fra efficienza economica, equità sociale ed evoluzione civile ci guida costantemente nelle nostre scelte. Noi statistici economisti e ricercatori sociali evidenziamo i cosiddetti trade-off, ovvero le situazioni da bilanciare, tenendo conto di coerenze e compatibilità tra fattori diversi, quali la salvaguardia dei posti di lavoro, le retribuzioni e l'inflazione, l'aumento di occupazione e l'impulso nella produttività del lavoro, flessibilità e sicurezza, sviluppo economico-infrastrutturale e sostenibilità ambientale, dinamiche insediative, sviluppo di servizi ed altro ancora, tutto ciò che annualmente curiamo nel rapporto statistico. Ad ogni beneficio spesso corrisponde un costo, che va affrontato sapendo che solo in una prospettiva di lungo periodo è possibile conciliare obiettivi diversi, spostare le curve di trade-off, garantire insieme competitività, sviluppo, progressione dei redditi, dell'occupazione, del benessere familiare. Sono proprio queste contrapposizioni, a volte apparenti, che andiamo a leggere anche quest'anno, attraverso un intreccio di temi economici e sociali legati alla natura dello sviluppo regionale, a ciò che ha caratterizzato l'anno appena trascorso, come il periodo storico che l'ha preceduto. Non lo facciamo con la preoccupazione o l'affanno di chi continuamente deve, per ruolo o per vocazione, trarre conclusioni ed operare le scelte cui prima si accennava, ma con l'oculatezza, l'obiettività e l'originalità di chi intende tracciare un quadro sulla realtà circostante, il più possibile fedele nel tratto, essenziale nello stile e vivace nei colori.

La riflessione con la quale si apre questa sintesi annuale riguarda il Veneto nella propria dimensione demografica ed insediativa che ne rappresenta, a tinte forti, lo stato evolutivo, che è stato possibile ricostruire a partire dai dati relativi agli ultimi quattro censimenti demografici, e che ci consente di avviare una serie di considerazioni legate ai diversi aspetti che caratterizzano le scelte e le abitudini dei nostri residenti.

Inizio Pagina  Le dinamiche insediative e le tendenze familiari

Negli ultimi decenni l'area centrale del Veneto si è andata popolando tanto da diventare una omogenea e quanto mai complessa città diffusa. Il fenomeno di espansione demografica e di conseguente urbanizzazione che ha investito la regione ha fatto cambiare la stessa connotazione dei comuni maggiormente coinvolti in tale processo; l'entità di questa trasformazione sottolinea l'importanza che sono andate assumendo le diverse aree interessate, con le connesse problematiche di urbanizzazione, della locazione di servizi, delle modalità di trasporto da finalizzare alla soddisfazione ed al miglioramento della qualità della vita dei propri abitanti.

Alla fine del 2003 la popolazione nel Veneto ammonta a 4.642.899 abitanti, proseguendo il suo trend crescente in corso ormai da tempo. Negli ultimi trent'anni essa cresce con un ritmo di 3,7 persone all'anno ogni 1000 inizialmente censite. E' soprattutto l'attrattività della regione a determinare l'incremento di abitanti complessivo, tanto da spiegare l'80% della crescita totale verificatasi nel trentennio a livello regionale: il numero di coloro che entrano nel Veneto supera quello di chi lascia il territorio regionale per trasferirsi altrove. La componente naturale, invece, ha un'incidenza molto relativa, dato che, a causa del diminuire dei livelli di fecondità, da un lato, e del progressivo invecchiamento della popolazione, dall'altro, il numero delle nascite risulta sostanzialmente uguale a quello dei decessi.

L'aumento interessa essenzialmente la fascia centrale del territorio regionale, mentre i comuni afflitti dallo spopolamento sono principalmente situati nella zona montana e nella bassa pianura padana, cui si aggiungono i grandi comuni capoluogo. Ancor più evidente è come ad una significativa perdita di peso dei capoluoghi si contrappone l'incremento demografico delle cinture urbane ad essi circostanti, nelle quali, nell'intero trentennio, si registra il massimo popolamento, generalmente con tassi di incremento annui superiori al 10 per mille. Il fenomeno di migrazione appena descritto ha richiesto necessariamente una modifica del territorio, comportando una crescente urbanizzazione dello spazio rurale. Spicca su tutti il caso di Padova che dal 1981 al 2001 ha fatto registrare un incremento nel numero delle abitazioni occupate nella prima e seconda cintura pari rispettivamente a 63,1% e 51,6%, contro i corrispondenti 48,4% e 40,3% dell'intera regione.

Il bisogno di cambiare residenza è avvertito soprattutto dalle famiglie giovani, desiderose di insediarsi in spazi abitativi ampi e in un ambiente di vita meno congestionato, più adatto alla crescita dei figli e più conveniente economicamente. Restano, così, in città le coppie mature o anziane, e quelle con redditi più elevati. Ma il legame con la famiglia di origine resta forte: si preferisce andare a vivere vicino ai genitori, anche in prospettiva di un aiuto reciproco, e si continua a mantenere contatti frequenti con i fratelli e le sorelle, ma soprattutto con la madre e il padre. Nel Veneto il 5,4% delle persone coniugate, e che hanno la madre ancora in vita, dichiara di abitare nella stessa casa della madre, il 10% nello stesso caseggiato, il 22% ad appena un chilometro di distanza e il 17,4% più lontano (nota 1), ma comunque sempre nello stesso comune dove si trova la famiglia di origine. E' da tener presente che al processo redistributivo qui analizzato si accompagna la trasformazione del concetto stesso di famiglia: la nostra società presenta una crescente pluralizzazione di forme familiari che va dalle famiglie costituite da genitori e figli alle famiglie di fatto, da quelle ricostituite alle famiglie allargate. Il volto della famiglia muta con grande rapidità: nell'arco di una generazione le nuove forme familiari si sono moltiplicate perdendo progressivamente il carattere di novità.

La spinta verso una maggiore convenienza economica nelle scelte insediative viene confermata anche dalla spesa familiare relativa all'abitazione che risulta la più rilevante: l'affitto, il condominio, la manutenzione assorbono nel loro complesso più di un quarto della spesa complessiva delle famiglie venete, per un importo di circa 690 euro al mese; se a questa, poi, si aggiungono le spese per le utenze domestiche, si arriva a superare il 30% del bilancio familiare. Proprio le spese sostenute per l'abitazione restano uno dei problemi più sentiti dalle famiglie, e in Veneto il 64,2% di esse dichiara, infatti, di sostenere spese troppo elevate per l'abitazione in cui vivono. Si evidenzia comunque la netta preferenza per la proprietà della abitazione: il 75,7% delle famiglie risulta infatti in possesso della casa in cui vive e nel periodo intercensuario 1991-2001 il titolo di proprietà è aumentato del 20%, mentre l'affitto è diminuito di quasi il 10%. Ciò ad indicare ancora l'attaccamento al contesto di vita, ai legami familiari, come l'espressione di una forma di difesa e valorizzazione dei propri risparmi.

Spicca infatti la tendenza a considerare l'abitazione come una delle principali forme di investimento. Le abitazioni presenti sul territorio veneto sono più di 2 milioni, il 14,8% non sono occupate e si può ritenere che gran parte siano destinate a case per la villeggiatura. Questi dati considerati assieme al numero di famiglie forniscono un indicatore molto grezzo del patrimonio immobiliare da loro posseduto rappresentato da 1,18 abitazioni per famiglia. Inoltre le famiglie venete, secondo la Banca d'Italia, nel 2004 hanno acceso mutui per l'acquisto di abitazioni per 14.177 milioni di euro, con un incremento in valori correnti rispetto al 2000 del 101%, + 46% a livello nazionale.

Per quanto riguarda gli aspetti strutturali dell'abitazione, solo l'11% delle famiglie venete si lamenta per le dimensioni insufficienti, specie se residenti nei comuni più grandi e densamente popolati, mentre il 5,4% accusa problemi maggiori e in generale ne riconosce le cattive condizioni.

Inizio Pagina  La dotazione di beni, i consumi familiari e il reddito

Corollario della tendenza all'aumento delle abitazioni di proprietà è la dotazione familiare di beni largamente diffusi. Il 52,5% delle famiglie ha due o più televisori a colori, ma anche beni meno comuni e di nuova diffusione, quali il condizionatore (31,6%) e l'antenna parabolica (15,3%), nonché beni ad alto contenuto tecnologico, come l'impianto hi-fi (57%) e il personal computer (44,7%). Le nostre case sono sempre più attrezzate per l'uso delle nuove tecnologie, anche più di quanto non se ne disponga sul posto di lavoro, e proprio il possesso di personal computer, modem e la possibilità dell'accesso ad internet che nel 1998 coinvolgeva un ristretto segmento della popolazione, già investita dai processi di innovazione tecnologica (appena il 20,6% delle famiglie venete possedeva il pc), interessa ormai un vasto contingente di famiglie, raggiunte dalla rete anche nelle zone territorialmente più disagiate.

Nel corso del 2003, la famiglia veneta ha mediamente speso 2.635 euro, 322 euro in più rispetto alla media nazionale, per soddisfare tutti i propri bisogni quotidiani, tanto che, per il secondo anno consecutivo, il Veneto si conferma seconda, dopo la Lombardia, nella graduatoria delle regioni con spesa mensile più elevata. Nonostante la ripresa dei consumi, è anche vero, che, per il Veneto nel 2003 la spesa non raggiunge i livelli precedentemente sperimentati dalle famiglie nel periodo 2000-01, come si rileva anche dall'andamento della spesa depurata dall'effetto inflazionistico. L'aumento è più marcato per la spesa per generi alimentari e bevande, piuttosto che per la spesa per i non alimentari, anche perché nel corso del 2003 proprio il settore alimentare è tra quelli che registrano aumenti più consistenti dei prezzi. La spesa per generi alimentari e bevande assorbe comunque il 17,3% del totale della spesa mensile per consumi sostenuta dalle famiglie venete. Come in altre regioni, da due anni tale incidenza è nuovamente in crescita (+2,6 punti percentuali rispetto al 2001), ma rimane comunque nettamente inferiore a quella nazionale (19,5%), a conferma che il maggior benessere di cui possono godere le famiglie venete consente loro di destinare una quota maggiore di reddito all'acquisto di beni non alimentari.

Alle origini consumistiche vi è una base di reddito familiare veneto, al netto delle imposte e contributi, mediamente di 44.076 euro, superiore di 4.322 euro rispetto alla media nazionale, a causa anche delle caratteristiche socio-demografiche di questa regione, ovvero bassi tassi di disoccupazione e struttura demografica con quote di popolazione giovane contenute. Tale disponibilità è cresciuta dal 1995 al 2002 del 28,5%, valore di poco superiore all'incremento che si è registrato a livello nazionale (28 %), arrivando a costituire nel 2002 l'8,6% del reddito disponibile delle famiglie italiane.

Inizio Pagina  I servizi e la rete commerciale

La vicinanza ai principali servizi di pubblica utilità, quali farmacie, pronto soccorso, uffici postali e comunali, forze dell'ordine è fondamentale a qualificare e ad apprezzare la zona in cui si vive. Complessivamente le famiglie del Veneto, nel 2003, riscontrano una minore difficoltà a raggiungere i principali servizi di utilità, rispetto alla totalità delle famiglie italiane, a conferma di una loro più razionale dislocazione nel territorio, come risposta all'espansione demografica e alla dinamica redistributiva tra i vari comuni, e per meglio provvedere, quindi, alle nuove esigenze della popolazione. Il processo di terziarizzazione che ha investito l'economia negli anni recenti ha visto la nascita di numerose nuove attività produttive, soprattutto nelle aree ad alta densità abitativa. I dati relativi alla variazione delle unità locali nel corso del ventennio 1981-2001 sono eloquenti: nel settore dei servizi l'incremento delle unità locali nelle prime cinture urbane ha addirittura oltrepassato ampiamente il 200%. In particolare il commercio, pur riducendosi strutturalmente, ha avuto effetti meno pesanti nelle cinture rispetto ai capoluoghi.

In generale, la configurazione strutturale della rete commerciale del nostro paese evidenzia un'eccessiva frammentazione dei punti di vendita e generalmente una loro piccola dimensione, quindi la rete distributiva deve fare un notevole sforzo di adeguamento alle continue modificazioni delle abitudini di acquisto dei cittadini. Nell'attuale fase di ridimensionamento delle vendite al dettaglio a soffrire maggiormente sono infatti i piccoli punti di distribuzione. Con l'obiettivo di aumentare la propria concorrenzialità e reggere la congiuntura avversa, si assiste, negli ultimi anni, ad un processo di concentrazione e di alleanza di piccoli negozianti. Nonostante la tendenza generale, nel 2003 in Veneto si registra un incremento complessivo delle vendite al dettaglio dell'1,9%, risultante da un buon andamento della grande distribuzione (+2,4%) e da uno più contenuto delle piccole e medie strutture (+1,6%).

Inizio Pagina  Mobilità, viabilità

Gli aspetti della zona in cui si vive considerati più problematici da parte delle famiglie venete nel 2002 continuano ad essere quelli legati alla viabilità: il traffico eccessivo in generale (50,2%), ma anche più nello specifico le cattive condizioni stradali (44,1%) o la loro scarsa illuminazione (33,8%) e la difficoltà di parcheggio (31,4%). Sono problemi avvertiti ormai da tempo e che secondo la percezione degli abitanti vanno in generale peggiorando.

L'incremento demografico nelle aree circostanti ai capoluoghi dà origine ad una maggiore domanda di mobilità: la quota di popolazione che si sposta giornalmente è superiore nelle due cinture rispetto al capoluogo ed è anche chiaro che buona parte di questa si muove verso destinazioni esterne; dai dati censuari risulta infatti che dalla prima e dalla seconda cintura urbana escono rispettivamente il 25 ed il 24% della popolazione. Vi è quindi una tendenza alla mobilità verso luoghi più distanti, infatti si riduce nel 2001 la quota di spostamenti interni al territorio, che sia capoluogo, prima o seconda cintura, viceversa aumenta la quota degli entrati e degli usciti.

Ma i crescenti collegamenti pendolari di accesso al lavoro e ai servizi sono affidati alla preesistente infrastruttura relazionale viaria di breve-medio raggio. Si tratta di una rete stradale, per lo più provinciale e comunale, che risulta oggi sottoposta ad una pressione ben superiore a quella per cui era stata creata.

I tradizionali indicatori di dotazione, che rapportano l'estensione stradale (nota 2) alla popolazione residente, ai veicoli circolanti e alla superficie, confrontati con il dato nazionale, confermano la situazione di criticità del territorio veneto, sempre più sottoposto a intensi flussi di traffico di varia natura, come confermano i dati sui veicoli circolanti, sul traffico autostradale, sul trasporto merci.

Anche i dati sulle prime iscrizioni di autovetture nuove di fabbrica e sulle radiazioni confermano la continua crescita della presenza di veicoli sulle strade regionali. Infatti nel 2003, nonostante le due variabili siano in diminuzione rispetto all'anno precedente, la loro differenza, ovvero la domanda netta, risulta pari a 28.051, con una variazione del 43% rispetto all'anno precedente, superiore al dato nazionale di 5,5 punti percentuali. Inoltre le caratteristiche del tessuto economico e produttivo del Veneto nonché la sua posizione geografica, soprattutto in seguito all'apertura ad Est del mercato, sono due fattori fondamentali per la generazione e attrazione di traffico, come confermano anche i dati relativi ai flussi della rete autostradale e al trasporto delle merci.

Per quanto riguarda i trasporti, pur aumentando la mole di traffico, i consumi energetici nel settore dei trasporti variano in modo molto contenuto nell'arco dell'intero quinquennio. I prodotti petroliferi costituiscono sempre la primaria fonte energetica di questo settore - 97% nel 2001 - mentre i combustibili gassosi e l'energia elettrica rappresentano ancora una alternativa poco utilizzata.

Una soluzione ad almeno una parte dei problemi legati all'intensità dei flussi di traffico, con implicazioni di natura energetica, può essere data dal ricorso al trasporto pubblico locale (TPL), che dovrebbe avere un ruolo di alternativa all'uso individuale dell'automobile o del motociclo. L'osservazione della realtà, però, ci dice che l'uso individuale dei veicoli privati si è spontaneamente imposto anche a causa della incapacità del TPL di fornire servizi dimensionati a immagine delle reali e mutate esigenze, in parte conseguenza di quel processo di abbandono dei grandi centri urbani a favore della periferia precedentemente descritto. L'indice di utilizzo di mezzi pubblici di trasporto (nota 3) in Veneto è pari a 16,8, un valore nettamente inferiore a quello dell'Italia (23,3), nonostante siano sempre più alti gli indicatori di soddisfazione del Veneto.

Inizio Pagina  L'ambiente urbano

Cresce anche la percezione relativa ai problemi dell'inquinamento, sia per la maggiore sensibilizzazione dei cittadini nei confronti di tali problematiche, sia per l'oggettivo peggioramento di certi aspetti ambientali; tra le famiglie venete, il 43,3% nel 2003 - lievemente superiore al dato nazionale (41%) - individua l'inquinamento dell'aria come problema molto o abbastanza presente nella zona in cui vive, il 35,8% il rumore eccessivo e, infine, il 28,2% la presenza di odori sgradevoli.

Uno dei maggiori problemi connessi alla qualità dell'aria riguarda l'emissione del PM10. All'interno dei grandi centri abitati le fonti di emissione delle particelle di PM10 sono principalmente i trasporti su strada e gli impianti di riscaldamento. I valori relativi alle medie annuali di concentrazione di PM10 dimostrano la criticità dell'area della pianura padana, anche se va considerato che tali punti di rilevamento sono sempre collocati all'interno di aree ad alta densità abitativa o comunque di sostenuto traffico urbano.

Un altro inquinante atmosferico tenuto costantemente monitorato è l'ozono. Le sue cause determinanti sono l'inquinamento dovuto ai veicoli a motore e alle industrie, abbinato alle condizioni di alta pressione e forte radiazione solare tipiche dei periodi estivi. La situazione attuale nelle città della nostra regione mostra come le condizioni climatiche influiscano in modo cruciale sulle concentrazioni in aria di ozono. Per le altre sostanze inquinanti come il monossido di carbonio e l'anidride solforosa sono state attuate delle efficaci misure di riduzione delle emissioni sia nel settore industriale che in quello del traffico su strada che hanno consentito di raggiungere il traguardo di un livello di emissione notevolmente più basso rispetto ai limiti di legge. Per ciò che concerne infine la classificazione acustica territoriale, già nel 1993 l'Amministrazione regionale si è impegnata nella stesura dei principi per la realizzazione del relativo piano che prevede la creazione di una "zonizzazione" delle diverse aree comunali, ai fini della riduzione dell'inquinamento acustico, ed il rispetto dei limiti previsti dalla legge in ciascuna di esse; infatti se nel 2000 i comuni "zonizzati" erano il 7,4%, nel 2003 sono invece il 36,3%.

In tema di trattamento dei rifiuti il Veneto risulta all'avanguardia sia per la capacità di smaltimento che per la percentuale di raccolta differenziata e riciclaggio. Confrontando i dati del Veneto con l'obiettivo fissato per il 2011 dal D.Lgs. 36/2003 per i Rifiuti Urbani smaltiti in discarica, si nota come nel 2003 questo sia già stato raggiunto e superato, difatti sono stati avviati in discarica 111kg/abitante all'anno di RU contro il tetto massimo dei 115 kg/abitante. La produzione di rifiuti pro capite si è mantenuta stazionaria nel 2001 e nel 2002, ed è rallentata nel 2003 del 3,6%, passando da 475,7 kg per abitante a 458,6. Quest'ultimo dato diventa ancor più significativo se si considerano le presenze turistiche che certamente influiscono notevolmente sulla produzione di rifiuti in una regione tanto attrattiva come il Veneto. La produzione di rifiuti pro capite, depurata dall'effetto delle presenze turistiche, riferita all'anno 2003, è stata pari a 446,1 Kg annui per abitante/turista. Il Veneto mantiene infatti da diversi anni il primato tra le regioni italiane per presenze turistiche, contribuendo in maniera decisiva alla prima posizione occupata dall'Italia tra le nazioni europee. Secondo le ultime stime, la nostra regione nel 2004 ha totalizzato il 14,5% degli arrivi e il 16,2% delle presenze dell'intera nazione. Tali quote sono ancora più elevate di quelle registrate nel 2003, anche se nell'ultimo anno i flussi turistici hanno risentito del generale clima di incertezza, da imputare al terrorismo ed alla crisi economica di alcuni dei maggiori paesi di provenienza, che si sono riflessi in un calo di presenze dell'1%.

Inizio Pagina  Il contesto internazionale ed il mondo imprenditoriale

Al percorso analitico tracciato nella prima parte di questa sintesi che ha toccato temi legati alla ricomposizione insediativa della popolazione, strettamente connessa ai cambiamenti dell'ambiente urbano ed alle stesse trasformazioni socio-economiche che hanno interessato la famiglia negli ultimi anni facciamo seguire una disamina di aspetti della congiuntura economica con la quale tradizionalmente apriamo questo rapporto statistico, nato nelle versioni precedenti alla prima edizione del 2004, quale allegato al Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF) della Regione Veneto. Anche per questa edizione un estratto dei diversi argomenti sarà allegato al DPEF dell'anno corrente.

Il 2004 è stato un anno di grande crescita per il mondo, +4,7%. Gli Stati Uniti hanno continuato ad avanzare e le economie asiatiche si sono dimostrate ancora le più vivaci, pur avendo anch'esse risentito della decelerazione degli ultimi mesi del 2004 quando sono anche state scosse dallo spaventoso maremoto i cui effetti economici sono di difficile quantificazione nel medio e lungo periodo. Il cammino dell'Europa si dimostra più lento, ma comunque in ripresa rispetto alla stazionarietà degli anni precedenti: l'area dell'euro è cresciuta dell'1,8%, poco di più l'Unione europea a 25, +2%, sullo slancio della ripresa manifestatasi a partire dalla metà del 2003 soprattutto grazie al sostegno della crescita e degli scambi su scala mondiale.

Negli Stati Uniti il buco nei conti esteri si allarga, viene esportata crescita e aumentano i dubbi sulla sostenibilità di questo crescente indebitamento, esposizione che assorbe quasi il 70% dei surplus di tutto il resto del mondo. Altri fattori di squilibrio continuano ad essere l'andamento del prezzo del petrolio e la forte crescita del fabbisogno energetico in tutte le regioni del mondo, alla quale non fa fronte una disponibilità di fonti tradizionali né di alternative. La debolezza della valuta statunitense in atto dal 2002, dopo un fermo a metà del 2004, è tornata ad accentuarsi raggiungendo nell'ultimo trimestre un tasso di cambio rispetto all'euro pari a 1,30.

Dopo un triennio di scarsa dinamicità, l'economia europea sta per avviarsi su un sentiero di crescita stabile. L'area dell'euro, secondo lo scenario delineato, fra il 2005 e il 2006 dovrebbe portarsi gradualmente verso il tasso di crescita di lungo periodo, attorno all'1,8%. L'Europa si trova oggi nelle condizioni per diventare un centro finanziario mondiale, trasformandosi da potenza mercantile in potenza capitalista, dove il mercato finanziario e il mercato dei servizi possano avere maggiore importanza della produzione manifatturiera, in un'economia globale fondata sul libero scambio.

La crescita europea non può più basarsi sul modello mercantile, trainato dall'export; l'Europa, dopo aver costruito una moneta unica, dovrà strutturare un mercato finanziario in grado di attirare maggiori quote di capitali, che prima o poi lasceranno l'area del dollaro, un nuovo spazio che rappresenti davvero la forza della Ue a 25. Tale nuovo mercato europeo consentirà di affrontare l'interscambio economico con l'Asia e i mercati emergenti con un modello assai diverso dall'attuale. Fondi comuni europei, reti di imprese, consorzi di università e centri di ricerca potrebbero investire in questi mercati, competere nella gestione di servizi, trasferire know-how e tecnologie, redirezionando lo sviluppo e creando percorsi alternativi anche per l'export. Un export che metta in primo piano i servizi finanziari, tecnologici, di ricerca. Non quindi la semplice delocalizzazione alla ricerca di margini basati sul basso costo del lavoro.

Il Veneto sotto questo aspetto conta un elevato numero di imprese di piccole e medie dimensioni, spesso nate con i caratteri propri dell'azienda a conduzione familiare, ma sempre più orientate verso una nuova organizzazione "di gruppo". Molto spesso, i rapporti tra aziende non si limitano alla pura dimensione mercantile, ma finiscono per allargarsi alla sfera degli investimenti finanziari e delle partecipazioni in società estere, dando il via a quel processo di internazionalizzazione che è alla base dello sviluppo imprenditoriale di questa era.

A conferma di questo, i dati relativi al 2000 diffusi dal Centro Studi di Unioncamere Nazionale, hanno posto il Veneto in quarta posizione nella graduatoria nazionale, dopo Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna, per numero di gruppi di imprese, con una quota pari al 9,3% sul totale. Dal punto di vista giuridico la netta prevalenza di gruppi organizzati in società di capitali (53,7%) conferma la progressiva diffusione di forme di rapporto più forti, che possono contare sulla solidità di basi finanziarie condivise, maggiormente organizzate e quindi potenzialmente più competitive.

Se osserviamo invece le relazioni dal punto di vista dimensionale facendo riferimento alle classi di addetti, i dati Istat relativi al 2002 indicano il Veneto come la seconda regione italiana per numero di gruppi di imprese che hanno complessivamente da 20 a 99 addetti e da 100 a 499, mentre risulta in terza posizione per i gruppi di imprese da 500 a 4.999 addetti e in quarta sia per quelle più piccole, da 1 a 19 addetti, che per quelle più grandi con più di 5000 addetti.

Tenendo conto che la dimensione media delle singole unità locali delle imprese del Veneto in base all'ultimo Censimento dell'Industria e dei Servizi del 2001 è risultata pari a soli 4 addetti, tale risultato non è affatto irrilevante; ne deriva infatti che i gruppi di imprese della regione sono costituiti mediamente da un congruo numero di piccole unità locali che decidono di allearsi per incentivare la loro competitività.

Inizio Pagina  L'economia veneta nel contesto nazionale

Nel generale contesto di crescita dell'economia internazionale, l'Italia ha mantenuto nel 2004 il ritmo di sviluppo moderato che aveva sperimentato già negli ultimi anni, registrando un incremento del Pil pari all' 1,2% (nota 4) rispetto all'anno precedente. Il prodotto è stato sostenuto principalmente da consumi e investimenti, mentre le scorte hanno leggermente frenato la crescita.

Nella ricerca degli equilibri nazionali, il Veneto è nel 2004 una delle regioni di punta dell'economia nazionale: il Pil sarebbe aumentato infatti dell'1,5% in termini reali, cui ha contribuito principalmente la spesa per consumi finali delle famiglie (+1,5%). Il settore più dinamico è risultato quello dell'agricoltura il cui valore aggiunto cresce del +14,2%, riprendendosi dopo la cattiva annata del 2003, e superando di circa tre punti percentuali la variazione media nazionale; seguono il settore dei servizi che riprende slancio (+1,8%) dopo un periodo di stazionarietà, e le costruzioni che crescerebbero di circa l'1% mitigando l'exploit del biennio precedente.

Un ulteriore sintomo di ripresa dello scenario macroeconomico italiano ed in particolar modo di quello veneto, almeno per il 2004 appena concluso, viene dalla crescita dell'export oltre le aspettative: gli ultimi dati sull'interscambio commerciale del Veneto confermano una ripresa delle esportazioni, +4,2% rispetto al 2003, dovuta soprattutto agli ottimi risultati registrati negli ultimi tre trimestri del 2004. Nel 2004 il solo settore manifatturiero ha rappresentato il 98,6% delle esportazioni venete di beni ed è interessante notare come dalla fine degli anni '90 la quota di esportazioni venete di beni ad alta tecnologia tende a crescere, passando dal 7,1% del 1999 all'8,8% del 2004, evidenziando così un graduale aumento delle esportazioni di quei prodotti che meno risentono della concorrenza, legata al basso costo del lavoro, dei nuovi paesi emergenti. Pur rimanendo preponderante, diminuisce, invece, la quota delle esportazioni di beni a bassa tecnologia; si passa dal 44% del 1999 al 41% del 2004.

Non si leggono sostanziali cambiamenti riguardo allo scenario economico nazionale e veneto secondo le ultime previsioni per il 2005: le stime confermano anche per l'anno in corso un incremento del Pil pari all'1,1% a livello nazionale e dell'1,3% per il Veneto.

Il 2003, anno per il quale sono resi disponibili i dati storici, si è confermato un anno di debole crescita generale, quando il PIL nazionale è infatti aumentato dello 0,3%.

La performance economica del Veneto nel 2003 ha raggiunto livelli leggermente superiori a quelli previsti: il Prodotto Interno Lordo regionale è infatti aumentato in termini reali dello 0,4%, poco sopra anche al dato complessivo nazionale.

Il Veneto ha così risentito in questo periodo del generale contesto di debole crescita, ma ha comunque contribuito per una quota pari al 9% alla composizione del PIL italiano, risultando terza dopo Lombardia e Lazio nella graduatoria regionale per produzione di ricchezza nazionale ed ha inoltre mantenuto un Pil pro-capite nettamente superiore al valore medio nazionale.

La produttività del fattore lavoro (nota 5) ha manifestato in Veneto nel 2003 una lieve ripresa, +0,5%, mentre in Italia, nello stesso anno, si è registrata una flessione pari a -0,2 punti percentuali. L'aumento della produttività nel Veneto è stato in parte dovuto alla flessione delle unità di lavoro (-0,1%), che comunque hanno mantenuto una quota consistente (9,1%) sul totale delle unità di lavoro in Italia. Analizzando la posizione del Veneto in relazione ad altre regioni europee (nota 6) inserite nell'iniziativa comunitaria INTERREG III che si realizza tramite progetti di cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale, finanziati dall'Unione europea nel ciclo di programmazione 2000-2006, risulta che nelle regioni italiane dell'area si lavora molto: nel 2003, le prime sette regioni in termini di ore lavorate per occupato sono italiane e la prima, con 1748 ore, è proprio il Veneto.

Inizio Pagina  Le attività produttive, tendenze settoriali

Complessivamente, rispetto al 2003 le imprese attive sono aumentate di 0,9 punti percentuali. Pur trattandosi di un buon sintomo di tenuta del sistema produttivo regionale, tale incremento risulta inferiore al dato medio italiano (+1,3%), continuando a risentire degli effetti della crisi produttiva dei settori tradizionali

Dall'analisi della ripartizione settoriale giunge la conferma sulla tendenza positiva assunta negli ultimi anni dal terziario; nel 2004 le imprese attive occupate nei servizi, commercio escluso, sono state il 25,8% del totale veneto con 117.197 imprese sulle 453.994 complessive, a scapito del settore primario che, invece, prosegue la flessione passando da una quota pari al 21,9% registrata nel 2003 al 21,1% del 2004.

Le quote maggiori del numero di imprese restano comunque ai settori tradizionali: il commercio (23,3%), l'agricoltura (20,5%), l'attività manifatturiera (14,8%) e le costruzioni (14,4%). La crisi del made in Italy, che da qualche anno ha messo in difficoltà grossa parte dell'economia nazionale, sta investendo ancora più profondamente quelle realtà produttive locali, tra cui il Veneto, che di questo settore avevano fatto il proprio cavallo di battaglia. Le imprese dedite all'industria manifatturiera nella nostra regione si stanno infatti progressivamente riducendo: la flessione di 1,2 punti percentuali registrata nel 2004 è risultata leggermente superiore rispetto a quella dello scorso anno. Un primo importante sintomo di ripresa proviene tuttavia da un altro dei settori trainanti dell'economia veneta: quello dell'industria tessile, fortemente legato a quello delle confezioni di articoli di vestiario. Dopo la forte flessione registrata nel 2003 si è infatti passati nell'ultimo anno ad un incremento nel numero di imprese attive che ha superato i sette punti percentuali, per un totale di 188 imprese in più in termini assoluti.

Per quanto riguarda l'agricoltura, invece, le profonde trasformazioni che stanno coinvolgendo il settore negli ultimi tempi, sono alla base della progressiva contrazione del numero di imprese agricole che, anche nel 2004, hanno subito una flessione del 2,7%. Effettuando un confronto nel lungo periodo viene confermata la tendenza della riduzione del numero delle imprese, della superficie e delle giornate di lavoro. In Veneto, le perdite sono accentuate nelle fasce montane e collinari, mentre in pianura le aziende tendono a conservare la propria porzione di superficie, a fronte di un decremento del numero, da ricondursi all'invecchiamento dei conduttori (età superiore ai 55 anni senza successori). A risentire sono soprattutto le aziende medio-piccole, mentre quelle di più ampie estensioni vedono crescere la loro incidenza. Si viene, così, a mettere in evidenza un processo di riaccorpamento, un incremento delle superfici medie aziendali e un riposizionamento strategico.

Inizio Pagina  Tendenze recenti nel mercato del lavoro

Il mercato del lavoro italiano sta vivendo dal 1996 uno straordinario periodo di espansione, il 2004 è stato il nono anno di crescita ininterrotta dell'occupazione dopo la crisi occupazionale del 1992-1995, la più grave attraversata dal Paese nella seconda metà del Novecento. Un elemento di novità è dato dall'intensità della crescita: in questi nove anni di espansione senza interruzioni, l'occupazione è cresciuta in media d'anno dell' 1,3%, ovvero di circa 266 mila unità l'anno. Risultato ancor più significativo se confrontato con i ritmi di espansione del prodotto: infatti nonostante i ritmi di crescita più blandi del Pil nella fase recente, rispetto agli anni Ottanta, la creazione di posti di lavoro non solo non è rallentata, ma ha addirittura accelerato il passo. Ad ogni punto percentuale di crescita di Pil, nel ciclo espansivo appena trascorso, corrisponde un incremento dell'occupazione doppio rispetto a quanto si registrava nella fase espansiva degli anni Ottanta. Per ciò che riguarda il Veneto, nel periodo 1998-2003 l'andamento dell'occupazione ha seguito le variazioni del Pil in maggiore sintonia rispetto a ciò che si è verificato a livello nazionale, mantenendosi su valori positivi anche in periodi di generale difficoltà.

Tale fenomeno è analogo a ciò che è avvenuto in UE, essenzialmente a causa di alcuni fattori comuni. Uno di questi è la terziarizzazione delle economie avanzate, che ha portato con sé il rallentamento della produttività. Infatti le attività che fanno capo al settore dei servizi sono per loro natura meno sensibili al progresso tecnico e organizzativo delle attività industriali e spesso hanno anche livelli di produttività inferiori. In Veneto il valore aggiunto dei servizi è cresciuto dal 56% del Pil nel 1995 al 58,8% del 2003, l'occupazione del settore è anch'essa aumentata passando dal 52,6% del 1995 al 54,7% del 2003 mentre la relativa produttività ha subito un netto rallentamento facendo registrare una variazione del 3,3% nel 1995 e dello 0,9% nel 2003.

Altro aspetto da considerare quale causa del rafforzamento della reattività occupazionale al ciclo, è quello della flessibilizzazione delle forme di lavoro, che ha permesso al sistema produttivo di instaurare un legame più immediato tra occupazione e prodotto, consentendo ad un numero crescente di donne di trovare nell'impiego a tempo parziale un efficace strumento di conciliazione degli impegni familiari con quelli lavorativi. A tal proposito è da dire che a differenza di quanto accade a livello nazionale, dove il 39% dei dipendenti atipici ha un contratto a tempo indeterminato con un'articolazione parziale dell'orario di lavoro ed il 61% lavora a tempo determinato, nel Veneto i dipendenti part-time a tempo indeterminato sono il 55% e quelli a tempo determinato il 45%, evidenziando così una condizione di flessibilità di tipo diverso rispetto a ciò che avviene a livello nazionale, meno dovuta nel Veneto a situazioni di precarietà del rapporto di lavoro date dalla determinatezza del periodo d'impiego.

Il mercato del lavoro negli ultimi anni è influenzato inoltre dalla presenza degli stranieri. La regolarizzazione del 2002 ha fatto emergere gran parte dell'immigrazione irregolare, venutasi a costituire a partire dal 1998: oltre 700mila domande presentate in Italia, che, ripartite nei quattro anni precedenti, fanno emergere un fabbisogno del mercato occupazionale di circa 175mila unità in aggiunta alle quote programmate ufficialmente. Nel 2004 in Italia sono stati creati 163mila nuovi posti di lavoro, lo 0,7% in più rispetto all'anno precedente. Il Veneto presenta il medesimo incremento percentuale, con 15mila unità in più, risultato migliore di quello rilevato in altre regioni come l'Emilia Romagna (-1,3%) o la Toscana (+0,3%), ma inferiore all'incremento registrato in Lombardia (+1,6%).

Il tasso di occupazione, che rapporta gli occupati a tutta la popolazione fra i 15 e i 64 anni, in Italia diminuisce dello 0,1% portandosi al 57,4%. Il Veneto, che si pone su livelli occupazionali significativamente superiori alla media nazionale, si attesta su un valore pari a 64,3% contro il 64,8% del 2003.

Il dato fa dunque pensare ad una certa saturazione del ciclo occupazionale post 1995, il mercato del lavoro italiano è entrato in una fase dove i segnali positivi provengono più dal prolungamento della vita attiva che da un aumento dei posti di lavoro e non è agevole prevedere quanto questa fase potrà durare.

Nel 2004, in Italia, le persone in cerca di una occupazione diminuiscono rispetto all'anno precedente e così anche il tasso di disoccupazione, che passa dall'8,4% del 2003 all'8%. Nel Veneto queste sono aumentate rispetto all'anno precedente, incremento che si riflette sul tasso di disoccupazione che è salito dal 3,8% del 2003, valore rivisto in seguito alla modifica della rilevazione sulle forze lavoro, come si approfondirà in seguito, al 4,2%, continuando comunque a mantenere la propria posizione privilegiata tra le regioni italiane.

Inizio Pagina  L'Europa della ricerca, dell'innovazione, del capitale umano

Un elemento strettamente collegato allo sviluppo del sistema imprenditoriale, economico e produttivo riguarda quindi gli investimenti in attività di ricerca e l'uso delle nuove tecnologie. Anche in questa direzione l'Europa necessita di ulteriori sforzi, in quanto scegliendo la carta dell'innovazione, elemento centrale dell'Agenda di Lisbona, si potenzierebbe la produttività dell'economia. Negli Stati Uniti la rivoluzione informatica ha prodotto grandi cambiamenti nell'evoluzione della produttività del lavoro già a metà anni novanta, favorendo la ricerca e l'innovazione tecnologica, l'Europa non ha ancora pienamente recepito tali vantaggi. Il progresso scientifico e tecnologico oggi è impressionante e richiede un rinnovamento dei processi produttivi, non solo nel settore manifatturiero, ma anche in quello dei servizi.

Nel 2002 l'UE25 ha raggiunto una quota di spesa in Ricerca e Sviluppo pari all'1,9% del Pil, quasi analoga a quella dell'UE15, 2%. Diversa, invece, è la situazione nei singoli paesi: a fronte di stati come la Svezia e la Finlandia che hanno superato l'obiettivo già nel 2001 e confermato il loro primato nel 2002, ci sono paesi che destinano alla spesa in R&S quote più contenute del PIL, tra questi l'Italia con l'1,2%. Tale forma di investimenti nel Veneto si è notevolmente evoluta negli ultimi quattro anni, con un incremento della spesa del 61% e della sua quota sul prodotto pari al 43%, ma si mantiene ancora distante dall'obiettivo europeo.

Certo l'Europa ha bisogno di una serie di riforme strutturali, riducendo le rigidità, modernizzando e adeguando il Welfare alla nuova struttura della società. E' inoltre da dire che l'Unione necessita di recuperare sugli Stati Uniti ma anche di gestire le conseguenze dell'eccessivo slancio della Cina. Oggi in quasi tutti i campi le migliori Università di ricerca sono americane, ma l'investimento che la Cina sta facendo, per esempio, nei suoi Politecnici è una minaccia anche per gli americani. Ed i paesi europei purtroppo per rispettare il 3% di Maastricht spesso tagliano proprio sull'istruzione e sulla ricerca.

Per ciò che riguarda il sistema universitario italiano, il raggiungimento del termine del corso di studi di terzo livello ha sempre costituito una forte criticità, ma negli anni recenti si sono evidenziati importanti segnali di miglioramento attraverso il continuo aumento del numero di laureati, soprattutto in proporzione al numero di iscritti. In dieci anni il Veneto ha più che raddoppiato il suo contingente di laureati (da poco meno di 7.800 a oltre i 18.000), passando da una percentuale di laureati su iscritti del 7% nel 93/94 all'oltre 17% dei giorni nostri. Nel 2003/04, inoltre, su 100 giovani che si immettono nel sistema per la prima volta 87 sono quelli che ne escono con esito positivo, contro un valore che si aggirava intorno alle 70 persone quattro anni prima, a conferma di migliori prestazioni non solo degli studenti, ma anche degli stessi atenei, sempre più attenti a seguire i ragazzi nel corso della loro vita accademica e a condurli fino alla laurea, e di una consapevolezza sempre più radicata nella nostra cultura sociale che livelli di istruzione più elevati si traducono in vantaggi nella ricerca del lavoro e generano benefici salariali.

Fra le 30 nazioni OCSE, l'Italia, pur essendo nel 2002 fra i quattro paesi che presentano la proporzione di individui che hanno raggiunto un titolo di studio universitario più bassa nella classe d'età 25-64 anni, ha mostrato una crescita nel lungo periodo molto consistente e pari al 71%, passando dal 6,1% nel 1991 al 10,4% nel 2002. Inoltre in Veneto, secondo i dati Eurostat, solo il 9,1% della popolazione compresa tra 25 e 64 anni ha un titolo di studio universitario. Fra le regioni europee confrontate nella sezione del rapporto dedicata al benchmarking, quelle con la proporzione più alta sono la Catalogna (26,1%), il Baden-Württemberg (24,7%) e Rhône-Alpes (23,1%). Un capitale umano più istruito ha sicuramente un potenziale di efficienza più elevato, consentendo all'economia del suo paese investimenti in attività meglio qualificate e più produttive e dando quindi slancio alla competitività.




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Note

  1. I dati si riferiscono al 2000, ultimo anno per cui si hanno informazioni sul fenomeno; si è ritenuto importante riportarli comunque per il fatto che si tratta di comportamenti piuttosto stabili nel tempo: ad esempio la percentuale di chi abita nello stesso caseggiato, nel 2000 pari al 10%, nel 1998 era il 10,8%; così la percentuale di chi abita a 1 km dalla casa della madre: nel 2000 pari al 22% e nel 1998 era il 23%.
  2. L'estensione stradale considerata è formata da autostrade, strade statali, regionali e provinciali
  3. Percentuale di occupati, studenti e scolari utenti di mezzi pubblici sul totale delle persone che si sono spostate per motivi di lavoro e hanno usato mezzi di trasporto. La popolazione di riferimento sono gli occupati di 15 anni e più, gli studenti fino a 34 anni e gli scolari di scuola materna che sono usciti di casa per recarsi al lavoro, università e scuola. Sono considerati mezzi pubblici: treno, tram, bus, metropolitane, pullman e corriere.
  4. Osservando la serie dei dati destagionalizzati e corretti per il diverso numero di giorni lavorativi, la variazione del Pil dell'Italia, valutato ai prezzi 1995, per il 2004 è pari all'1%.
  5. Rapporto tra valore aggiunto e unità di lavoro
  6. Sono le regioni del cosiddetto Spazio Alpino Allargato: Austria (intero territorio): Voralberg, Tyrol, Salzburg, Carinzia, Stiria, Alta Austria, Bassa Austria, Vienna e Burgenland; Francia: Rhône-Alpes, Provence-Alpes-Cote d'Azur, Franche-Comté ed Alsace; Germania: distretti dell'Alta Baviera e della Swabia (in Baviera), Tubingen e Friburgo (in Baden-Württemberg); Italia: Lombardia. Friuli-Venezia Giulia, Vento, Province Autonome di Trento e Bolzano, Valle d'Aosta, Piemonte e Liguria; Slovenia (intero territorio) e gli Stati non Membri del Liechtenstein e della Svizzera.

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