12. GLI STRANIERI
Il panorama migratorio risente di due eventi di impatto sicuramente non trascurabile:
l'allargamento dell'Unione europea con l'inserimento di dieci nuovi Stati membri e, in un
contesto più specificamente nazionale, la 'regolarizzazione' avvenuta a seguito delle leggi
n. 189/2002 e n. 222/2002. Dal primo maggio 2004, l'Unione passa da 15 a 25 Stati membri con l'inclusione di Cipro, Malta e di otto Paesi
dell'Europa dell'Est (cioè Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Slovenia, Ungheria, Estonia, Lettonia e Lituania);
si tratta del più ampio allargamento nella storia dell'Unione europea, che, anche istituzionalmente, pone fine alla
divisione tra Europa occidentale e Europa dell'est, verso una concreta riunificazione del continente. Ma quale sarà l'impatto dell'allargamento sulla società e in particolar modo sul mercato del lavoro dei vecchi membri
dell'Unione europea? Proprio il timore che l'apertura incondizionata delle frontiere potesse causare ingenti e incontrollati
flussi migratori provenienti dai nuovi Stati membri, più deboli da un punto di vista economico, ha indotto i governi dei
Quindici a stilare degli accordi transitori con i Paesi entranti. In particolare, è previsto un primo biennio di transizione,
fino al 2006, durante il quale i Quindici Stati potranno applicare ai lavoratori dei Paesi dell'allargamento le norme e le
misure previste a livello nazionale, anziché quelle comunitarie sulla libera circolazione, fermo restando il divieto di imporre
loro regole più restrittive di quelle già applicate prima del 2004. Tali misure potranno essere prorogate fino al 2009, e, solo
in caso di gravi minacce alla stabilità economica e sociale interna, per i due anni ancora successivi. Ad ogni modo, nel 2011,
dopo sette anni dall'allargamento, tutti gli Stati membri dovranno aprire completamente i propri mercati ad ogni cittadino dell'Unione. La maggior parte dei Paesi dell'UE15 ha deciso di avvalersi delle restrizioni transitorie alla libera circolazione per almeno
due anni, anche quelli che inizialmente si erano pronunciati in senso diverso e più liberale, quali Gran Bretagna, Irlanda, Svezia
e Paesi Bassi. L'Italia consente la libera circolazione ai lavoratori autonomi, mentre applica una moratoria di due anni nei
confronti dei lavoratori dipendenti, anche se nello stesso tempo privilegia in qualche modo gli ingressi dei lavoratori degli
Stati di nuova adesione, riservando loro una certa quota di posti di lavoro. Ciò nonostante, i timori di esodi di massa non trovano fondamento, anzi diversi studi sembrano concordare sull'ipotesi che
gli arrivi da parte degli Stati di nuova adesione rimarranno piuttosto contenuti. Un periodo di transizione così lungo è stato voluto con insistenza dalla Germania, che ospita attualmente il più elevato
numero di lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri e che sarà, quindi, maggiormente interessata dalla nuova pressione
migratoria. Dopo la Germania, l'Austria e l'Italia saranno probabilmente i Paesi più coinvolti dal fenomeno, a causa proprio
della loro vicinanza geografica ai nuovi entrati. Alla fine del 2003, in Italia i soggiornanti regolari originari di questa parte d'Europa orientale sono 88.254, il 4% degli
stranieri presenti nel territorio nazionale. Rispetto all'anno precedente sono aumentati di circa 35.000 unità, ossia del 65,4%,
soprattutto per effetto della regolarizzazione del 2002 che ha visto protagonisti proprio i Paesi dell'est. Si concentrano in larga misura nel Lazio (ben il 24,2%, oltre 21.000 persone), ma anche in Emilia-Romagna (10,5%) e in Campania (
9,8%); il 6,5% è presente in Veneto, ossia quasi 5.800 lavoratori, a evidenziare un coinvolgimento minore della nostra regione
rispetto ad altre e all'Italia in generale. Gli stranieri provenienti dai Paesi neocomunitari rappresentano solo il 2,7% delle
presenze totali in Veneto quando, invece, nel territorio nazionale sono il 4% e in tredici regioni la loro incidenza è superiore
a quella italiana. Il Paese più rappresentato in Italia è la Polonia con il 75% dei permessi attribuiti ai nuovi Paesi; anche in Veneto i polacchi
sono i più numerosi (il 56%), sebbene non in maniera così dominante come a livello nazionale, mentre nella nostra regione, rispetto
all'Italia, sono maggiormente presenti soprattutto cittadini della Slovacchia, dell'Ungheria e della Repubblica Ceca. A livello provinciale, i polacchi si concentrano nelle province di Verona, Venezia e Treviso con percentuali comprese tra il 22
e il 23%; così anche gli slovacchi, con una leggera preferenza per la provincia di Verona (24%). Gli ungheresi, che tra i Paesi
dell'allargamento sono la terza nazionalità presente nel territorio regionale, scelgono Treviso e Venezia; quest'ultima è anche
la provincia che accoglie la maggior parte di stranieri provenienti dalla Repubblica Ceca (29%). Infine gli sloveni, anche se meno
numerosi rispetto alle altre nazionalità, privilegiano in modo netto la provincia di Treviso (43%). Sicuramente con la libera circolazione, l'afflusso dei nuovi lavoratori tenderà ad aumentare rispetto alla situazione attuale,
soprattutto nei primi anni; successivamente, si può presumere che il fenomeno andrà progressivamente smorzandosi, in ragione anche
del fatto che il divario socio-economico tra i Paesi dell'est e quelli dell'Europa occidentale tenderà a ridursi, tanto più quanto
maggiore sarà il grado di integrazione nel mercato unico. Alla fine di aprile del 2005, Bulgaria e Romania hanno firmato il trattato di adesione che dovrebbe portare
i due Paesi nell'Unione europea entro il primo gennaio 2007, venendosi ad ampliare ulteriormente l'allargamento
dell'Unione verso est. I due Paesi dovranno impegnarsi molto per recuperare il loro ritardo di sviluppo in diversi
contesti economico-sociali; in particolare viene loro richiesto di potenziare e ammodernare il sistema giudiziario
e di intensificare la lotta contro la corruzione, soprattutto nel caso della Romania. Se non riusciranno a
conformarsi per tempo alle normative comunitarie, i 25 attuali Paesi membri dell'Unione potranno ritardarne
l'adesione fino al 2008. Rispetto ai Paesi entrati nell'Unione europea nel 2004, molto più numerosi sono i rumeni e i bulgari presenti
in Italia alla fine del 2003: più di 256.000 persone, circa il 12% degli stranieri nel territorio nazionale.
Confluiscono, in particolar modo, nel Lazio (29%), in Lombardia (15%), in Piemonte (15%) e in Veneto (11%);
nella nostra regione, alla fine del 2003, rappresentano il 13% dei permessi validi. Sono principalmente i rumeni a emigrare in Italia, quasi 240.000 nel 2003, anzi rappresentano alla fine
del 2003 la prima nazionalità per numerosità in Italia e la seconda nel Veneto, in forte crescita rispetto
all'anno precedente. Tra le province venete, Padova spicca per la presenza di rumeni: ne accoglie il 33%, quasi 9.200 unità,
rispetto a province quali Verona e Treviso, ciascuna delle quali ne ospita il 23%. La 'regolarizzazione' del 2002, ormai completata, offre numerosi spunti per quanto riguarda la pressione
migratoria da est, derivante non solo dai Paesi di nuova adesione. A livello nazionale, delle circa 700.000
domande presentate, infatti, il 59% si riferisce a lavoratori dell'Europa centro-orientale e dei Balcani: le
richieste da parte dei Paesi entrati in Europa nel 2004 sono una quota piuttosto ridotta (5,4%), più numerose,
invece, quelle da parte di Romania e Bulgaria (22%, per la quasi totalità presentate da rumeni). Tra le altre
nazionalità dell'Europa orientale spiccano gli ucraini (15%) e gli albanesi (8%). Gli effetti della regolarizzazione del 2002 I dati sui permessi di soggiorno alla fine del 2003 consentono una valutazione degli effetti della 'regolarizzazione'
ormai ultimata. Il numero di soggiornanti nel territorio nazionale è aumentato in modo significativo, tanto che nel 2003
la presenza straniera regolare risulta di oltre 2.190.000 unità, circa il 46% in più rispetto all'anno precedente. Per il
Veneto l'incremento dei soggiornanti è meno eclatante (39%, pari a quasi 60.000 unità in più), poiché, in effetti, si è
usufruito della regolarizzazione in misura minore che in altre regioni; ciò a positiva conferma che il fenomeno dell'immigrazione
irregolare e del lavoro sommerso è più contenuto che in altre parti d'Italia. Sono ormai 213.798 i soggiornanti regolari nel Veneto, ossia il 4,6% (nota 1) della popolazione
residente, quando invece a livello italiano la componente straniera incide per il 3,8%.
A livello provinciale, a Padova e a Venezia si registrano gli incrementi più alti, superiori alla media regionale e più elevati,
anche, rispetto alle tre province di Verona, Vicenza e Treviso, le aree storicamente più interessate dal fenomeno migratorio.
Il maggior numero di immigrati si concentra a Treviso, mentre nella fascia più marginale si confermano Belluno e Rovigo. Per effetto della regolarizzazione si sono determinate anche notevoli modifiche nella graduatoria dei gruppi nazionali di immigrati.
Alla fine del 2003, a livello regionale, sette delle prime dieci nazionalità sono Paesi dell'Europa dell'est; sono proprio quelli per
cui si sono avuti gli incrementi più significativi rispetto all'anno precedente. Risultano più che duplicati i permessi rilasciati
ai rumeni, che con una presenza pari a 27.586 sono secondi solo ai marocchini (circa 1000 unità in più); nell'ultimo anno hanno
inoltre superato gli albanesi, comunque sempre numerosi e ora in terza posizione. Ma la vera novità sono le provenienze dalla Moldavia e dall'Ucraina, che registrano i più alti incrementi (rispettivamente del
441% e del 560%). Oggi sono la sesta e la settima nazionalità presente in Veneto con rispettivamente 8.956 e 7.085 permessi, mentre
l'anno scorso occupavano il ventunesimo e il ventottesimo posto della graduatoria. Per la stragrande maggioranza si tratta di
immigrazione al femminile, come anche nel caso dei cittadini rumeni, la prima comunità femminile del Veneto. L'ultima regolarizzazione, oltre ad aver aumentato in misura considerevole l'entità della presenza straniera legale e ridisegnato
il profilo delle provenienze geografiche, ha modificato anche la distribuzione per fasce di età e stato civile: si tratta, infatti,
di immigrati in età lavorativa, generalmente non ancora sposati. Risulta, poi, alterato anche il rapporto tra i sessi, poiché sono emerse molte lavoratrici straniere impegnate nel lavoro domestico
e nell'assistenza domiciliare, tanto che ad esse si riconduce circa il 49% delle domande presentate a livello nazionale e il 41% nel
Veneto. E' vero che negli ultimi anni il sempre più intenso processo di stabilizzazione dell'immigrazione nel nostro Paese ha comportato
un aumento dei ricongiungimenti familiari e quindi della componente femminile, ciò nonostante, il primato numerico degli uomini non è mai
venuto meno. Alla fine del 2003, invece, nella maggior parte delle regioni si rileva una situazione di sostanziale parità numerica
tra i due sessi, eccetto che per alcune realtà (Liguria, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania e Sardegna) dove il numero delle
donne supera quello degli uomini. In Veneto, si registra un sensibile incremento della componente femminile straniera, sebbene
ancora insufficiente per raggiungere il pareggio con quella maschile: sono presenti 82 donne per 100 uomini. Questo anche perché
nella nostra regione ci sono state, proporzionalmente, meno domande da parte di lavoratori nel settore domestico che nel lavoro
subordinato. Proprio la regolarizzazione del 2002 mostra che le donne dei Paesi dell'Est Europa sono le protagoniste del settore della collaborazione
domestica e dell'assistenza domiciliare agli anziani e ai disabili non autosufficienti: l'elevato grado di istruzione posseduto,
la migliore preparazione professionale e l'età più matura, le fanno preferire a cittadine di altre nazionalità, favorendo il loro
inserimento in questo settore. Delle 24.959 domande presentate in Veneto da parte di lavoratori domestici, l'80% si riferisce a
cittadini dell'Est Europa, in particolare a ucraini (26%), moldavi (24%) e rumeni (18%). L'afflusso di donne nel settore assistenziale è peraltro destinato ad aumentare parallelamente all'invecchiamento della popolazione,
ma anche al crescente inserimento delle donne italiane nel mercato del lavoro. Questo perché in Italia il sostegno alle famiglie è
prevalentemente di carattere privato, a differenza di Paesi del Centro e del Nord d'Europa, dove maggiore è l'assistenza offerta
dai servizi sociali soprattutto mediante personale locale. A distanza di oltre due anni dalla regolarizzazione, si stima che in Veneto quasi un quinto del lavoro dell'assistenza familiare
continui ad essere svolto in forma irregolare (nota 2); appare evidente la necessità di adeguate politiche di intervento al fine di
tutelare le donne immigrate che si inseriscono in questo settore, cercando di far emergere e soprattutto di prevenire il
lavoro sommerso, ma cercando anche di garantire loro una migliore qualità di vita. Ad esempio, gli orari di lavoro molto
lunghi, fino a coprire spesso l'intera giornata, lasciano scarsi spazi all'integrazione e alla vita familiare e sociale. Il censimento generale della popolazione effettuato nel 2001 non è riuscito a rilevare in
modo esaustivo la presenza straniera in Italia: sicuramente non sono emersi gli irregolari,
ma non ha raggiunto neanche tutti i regolari (nota 3). Innanzitutto le esigenze di un immigrato, ma anche il suo legame con il Paese di accoglienza, cambiano a seconda della
durata della sua permanenza in un dato territorio o in una certa comunità: secondo i casi si tratta o di un adattamento
provvisorio o di un inserimento a carattere stabile che coinvolge ormai non più il singolo lavoratore immigrato che per
primo arriva in Italia, ma l'intera sua famiglia che nel frattempo lo raggiunge. Di conseguenza vanno modulate e pensate,
in maniera differenziata, le politiche a favore degli immigrati da attuare nel territorio: dall'accoglienza alla vera
integrazione, non solo esclusivamente lavorativa, ma in ogni ambito del contesto sociale. Laddove ci sia la presenza di
una permanenza di lunga durata, sono necessarie adeguate strategie di integrazione, fondate sulla mediazione interculturale
e sulla conoscenza reciproca, per favorire la convivenza di culture, religioni e tradizioni diverse. Sono indispensabili
anche interventi nel sistema scolastico e in quello sanitario, politiche abitative più strutturate o differenti politiche
occupazionali, in risposta alle nuove esigenze lavorative degli immigrati. Al censimento del 2001, gli stranieri che risultano presenti in Italia da più di cinque anni sono 693.450, pari al 59%
del totale; principalmente (32%) vi risiedono ormai da prima del 1992. Il 25%, invece, è entrato nel nostro Paese
durante il periodo 1997-1999 e solo il 16% nei due anni successivi. In tutte le regioni, seppur con valori differenziati, la maggior parte degli stranieri ha un'anzianità di soggiorno superiore
ai cinque anni, anche se non necessariamente in maniera continuativa nella stessa regione. Le regioni che mostrano un'immigrazione
più consolidata nel tempo, ossia che per prime sono state interessate dal fenomeno dell'immigrazione, ma non per questo necessariamente
quelle con la maggiore presenza straniera, sono Sicilia, Sardegna, Molise e Valle d'Aosta; qui, nel 2001, la quota degli immigrati
che soggiornano in Italia da più di dieci anni, raggiunge o addirittura supera il 40%, con percentuali di 8-15 punti in più rispetto
al dato nazionale. In Veneto, invece, l'immigrazione è un fenomeno relativamente più recente rispetto al resto d'Italia, ma anche
rispetto ad altre regioni del Nord, manifestandosi in maniera significativa soprattutto dopo la seconda metà degli anni '90: cospicua
è, infatti, la percentuale degli stranieri insediatisi a partire dal 1997 (il 46% contro il dato nazionale del 41%), in particolare
nel triennio 1997-1999 (28%), mentre coloro che sono presenti da prima del 1992 nella nostra regione sono appena il 25% (il 32% per l'Italia). Gli stranieri che hanno una permanenza più che decennale appartengono prevalentemente a Paesi Sviluppati, quali gli Stati dell'UE15
o dell'America Settentrionale: in entrambi i casi si tratta del 54% del totale degli immigrati provenienti da quelle zone; tra i Paesi
meno sviluppati, spiccano gli Africani, soprattutto se originari dell'Africa Orientale (il 45% in Veneto), anche se numericamente poco
significativi, ma anche dall'Africa Settentrionale e Occidentale (il 34-33%), gruppi 'storici' del panorama migratorio italiano già
a partire dagli anni '70. La percentuale di soggiornanti di lunga durata tra i cittadini dei nuovi dieci Stati membri dell'Unione europea si abbassa al 24%;
Ancor più recente, e anche numericamente più significativa, è l'immigrazione
proveniente dagli altri Paesi dell'Europa Centro-Orientale e dai Balcani: tra questi appena il 12% ha un'anzianità di soggiorno
anteriore al 1992, mentre più della metà (55%) ha iniziato ad arrivare durante la seconda metà degli anni '90. Se si considera poi che tra gli stranieri residenti in Veneto al censimento l'11,8% risulta essere nato nel territorio
nazionale, quasi 18.000 persone che nella maggior parte dei casi sono minorenni, e che i nati da genitori stranieri nel biennio
successivo al censimento sono più di 9.000, pari ormai al 10% dei nati complessivamente in Veneto, si capisce quanto forte e
radicato sia il processo di stabilizzazione degli immigrati. Si tratta ovviamente di stranieri di seconda generazione,
non di immigrati, il cui legame con l'Italia è sicuramente diverso e forse più forte. La famiglia e la stabilità familiare Il desiderio di riunire la propria famiglia, segno anche di una situazione economica o abitativa più stabile, ha fatto sì che negli
ultimi anni siano aumentati di molto i permessi di lavoro rilasciati per ricongiungimento familiare. Il 99% degli stranieri residenti
al censimento del 2001 vive in famiglia e sono 70.725 le famiglie con almeno un componente straniero. Rappresentano il 4,1% del totale
delle famiglie venete, mentre a livello nazionale la loro incidenza è pari al 3,1%. Nel 70%, cioè in oltre 49.700 famiglie (il 2,9% del totale delle famiglie venete), i componenti sono tutti stranieri: per il 39% dei
casi sono famiglie unipersonali, ossia di persone che vivono da sole senza altri familiari, il 48% è di 2-4 componenti ed il 13% ha più
di cinque persone. Rispetto alle famiglie venete, maggiore è l'incidenza delle famiglie unipersonali, per lo più giovani non ancora sposati
e prevalentemente uomini, come anche la percentuale delle famiglie di maggiori dimensioni, ossia con più di 5 componenti (il 13% delle
famiglie di stranieri contro il 7% delle nostre famiglie). La stabilità occupazionale è un requisito essenziale per poter rinnovare il permesso di soggiorno e restare in Italia, ma è anche la
condizione primaria per poter pensare di farsi raggiungere dalla propria famiglia o per crearsene una nuova. In Veneto, il tasso di occupazione degli stranieri risulta ben più alto rispetto a quello nazionale: il 66,8% degli stranieri di età
superiore ai quattordici anni è occupato, con punte di oltre il 70% nelle province di Vicenza e Treviso, contro il 58,6% dell'Italia.
Tra gli immigrati lavoratori prevale nettamente la condizione di dipendenza: l'87,2% di tutti gli occupati si trova
in tale condizione e solo circa 10.000 stranieri risultano avere, invece, una professione indipendente. Quasi il 70% degli stranieri occupati è di sesso maschile ed il 63% risulta inserito nell'industria, confermando come zone industriali
prevalenti Vicenza e Treviso. La netta prevalenza del settore secondario è probabilmente da attribuire al forte interesse dell'industria
verso gli immigrati, fonte di una sempre più ricercata manodopera, spesso meno costosa e sempre più rara perché scartata dai lavoratori locali. Nel 2001, invece, solo il 3,2% degli stranieri occupati residenti in Veneto lavora nel settore agricolo; si tratta comunque di una sottostima,
che non considera gli immigrati non residenti o irregolari impiegati stagionalmente nelle campagne venete.
Il problema della disoccupazione per gli immigrati sembra essere meno grave in Veneto dove il tasso si assesta all'8,1%, ben 4 punti in
meno rispetto a quello calcolato per l'Italia. Sotto la media regionale, ancora una volta, le province di Treviso e Vicenza, rispettivamente
con 6,7 e 7,1 disoccupati ogni 100 stranieri residenti, e Padova con 8,1. Leggermente più alta della media è, invece, la disoccupazione a
Belluno, Verona e Venezia; fanalino di coda, Rovigo, con quasi 12 stranieri disoccupati su 100 residenti.
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