1. LA CONGIUNTURA INTERNAZIONALE
Il 2004 è stato un anno di grande crescita per il mondo, +4,7%.
Gli Stati Uniti, pur registrando nella seconda parte dell'anno un moderato
rallentamento, hanno continuato ad avanzare. Le economie asiatiche si sono
dimostrate ancora le più vivaci, pur avendo anch'esse risentito della
decelerazione degli ultimi mesi del 2004 quando sono anche state scosse
dallo spaventoso maremoto i cui effetti economici sono di difficile
quantificazione nel medio e lungo periodo. È ragionevole prevedere
che la Cina e l'India manterranno anche quest'anno la loro velocità di
crociera mentre il Giappone, che ha già ricominciato a crescere lo
scorso anno, manterrà uno sviluppo più lento. Non vanno sottovalutati
altri grandi paesi emergenti come il Brasile e il Messico: il 2004 è stato
un anno particolarmente favorevole per l'America Latina che ha avuto un
tasso di crescita del Pil pari al 6,3%. Il cammino dell'Europa si dimostra più lento, ma comunque in ripresa
rispetto alla stazionarietà degli anni precedenti: l'area dell'euro è
cresciuta dell'1,8%, poco di più l'Unione europea a 25, +2%, sullo slancio
della ripresa manifestatasi a partire dalla metà del 2003 soprattutto grazie
al sostegno della crescita e degli scambi su scala mondiale. Per gli USA si prevede un leggero rallentamento a partire da quest'anno;
prosegue la crescita dei consumi, alimentata da una creazione di posti di
lavoro superiore alla media di lungo periodo; vanno bene gli investimenti
in macchinari e nuovi impianti; in compenso, il buco nei conti esteri si
allarga, viene esportata crescita e aumentano i dubbi sulla sostenibilità
di questo crescente indebitamento, esposizione che assorbe quasi il 70% dei
surplus di tutto il resto del mondo. Ciò non potrà durare all'infinito, è una
situazione instabile, i tassi eccezionalmente bassi potrebbero in ogni momento
reagire bruscamente, mettendo a rischio la ripresa dell'economia e la
stabilità del sistema finanziario. Lo squilibrio è talmente connaturato alla
struttura produttiva e alle abitudini di consumo dell'economia americana che
è difficile comunque pensare a una correzione immediata. Da un lato si pensa
che gli squilibri saranno riassorbiti dal mercato e che questo avverrà
senza una perdita significativa di crescita, dall'altro si ritiene che
potrebbero essere richieste misure di politica economica che
comporterebbero inevitabilmente un rallentamento della crescita. Il petrolio e le materie prime Altri fattori di squilibrio continuano ad essere l'andamento del prezzo
del petrolio e la forte crescita del fabbisogno energetico in tutte le regioni
del mondo, alla quale non fa fronte una disponibilità di fonti tradizionali
né alternative. Fin da gennaio dello scorso anno le quotazioni del brent si
sono attestate oltre i 30 dollari a barile e hanno continuato a salire per
buona parte dell'anno arrivando ad ottobre a 50 dollari per poi ridiscendere
negli ultimi due mesi. La quotazione del greggio, smentendo le facili
previsioni di un ritorno a livelli più ragionevoli, è stata aiutata dal
grande freddo e sospinta dalla forte domanda aggiuntiva proveniente dalle
economie asiatiche. Così sono stati rivisti i massimi storici, che non sono
tali in termini reali: a potere d'acquisto di oggi, il picco del 1980 fu di
85 dollari. L'attuale shock petrolifero è perciò meno forte anche in
considerazione della costante riduzione dell'intensità energetica del Pil
in quasi tutte le aree mondiali, dirette ormai verso un continuo risparmio
di energia. Per questa seconda ragione il balzo dell'oil ha causato un
contenuto peggioramento delle ragioni di scambio, una frazione rispetto a
quanto avvenuto venticinque anni fa, e non ha dirottato la crescita mondiale. I prezzi delle materie prime, spinti dalla straordinaria domanda asiatica,
si sono notevolmente alzati nel 2004. Il fenomeno, che ha riguardato anche le
materie prime non petrolifere, ha degli impatti strutturali, modificando il
potere d'acquisto a favore dei paesi in via di sviluppo esportatori e
producendo un'enorme redistribuzione del reddito e della crescita. Il rincaro
delle materie prime potrebbe mettere a rischio la stabilità monetaria e
alimentare l'inflazione, ma il contesto non è propizio a dinamiche inflattive:
le dinamiche salariali sono contenute e l'offerta di prodotti finiti a basso
costo sta aumentando vertiginosamente, al passo dello sviluppo dei paesi
emergenti. Non si può escludere che i prezzi al consumo salgano un po', specie
in USA, dove il dollaro debole consente un maggior grado di libertà alle
politiche di prezzo delle aziende; tuttavia non si può parlare di allarme
inflazione, anche se la relazione tra andamenti della moneta e andamenti reali
contiene una serie di elementi di incertezza. La globalizzazione finanziaria e
reale da un lato, la tendenza all'unificazione delle monete dall'altro, come
il caso dell'euro, ma anche il cambio fisso fra dollaro e yen, hanno reso
ancora più imprevedibile tale relazione. La debolezza della valuta statunitense in atto dal 2002, dopo un arresto a
metà del 2004, è tornata ad accentuarsi raggiungendo nell'ultimo trimestre un
tasso di cambio rispetto all'euro pari a 1,30; questo andamento dovrebbe
proseguire nel 2005, e iniziare a rafforzarsi negli ultimi mesi dell'anno.
La nascita dell'euro ha eliminato le crisi valutarie intraeuropee, le tensioni
sui mercati dei cambi e dei tassi d'interesse, e i premi di rischio sui
mercati obbligazionari, consentendo all'Italia, così come alle altre undici
economie dell'area, di godere di un costo del denaro storicamente basso,
anche se ha fatto emergere alcune criticità del nostro sistema economico. La crescita del Pil in Cina è stata, nel 2004, pari al 9,5%, il miglior
risultato degli ultimi 5 anni, e crescerà ancora dell'8,6% nel 2005; anche
l'India merita una nota a parte registrando negli ultimi sei anni un tasso di
crescita medio annuo di circa il 6%. L'India e la Cina saranno entrambe i
principali motori della crescita asiatica. Ad oggi è necessario considerare
che il prodotto interno lordo pro capite dell'India è di 500-600 dollari,
la metà di quello cinese e 50 volte meno rispetto a quello degli Stati Uniti.
Inoltre, il tasso di crescita è del 7% circa, anche qui inferiore alla Cina,
a fronte però di una maggiore spinta demografica: una tendenza che porterà
l'India a perdere terreno nei confronti della propria rivale a livello di
ricchezza della popolazione. Il dibattito europeo e soprattutto italiano è ora
concentrato sulla difesa dalle esportazioni cinesi. Il sistema comunitario e
quello multilaterale offrono le garanzie necessarie per difendersi da
comportamenti illeciti ma occorre che i danni ed il calcolo del dumping siano
convincenti. Vi sono poi le misure di salvaguardia nel caso in cui il danno
sia ingente così come le misure di compensazione contro sussidi illeciti. È evidente nell'ultimo anno la forza della ripresa giapponese, ma la Cina
e l'India dimostrano un tale dinamismo economico da dominare il prossimo
decennio. È in via di trasformazione il loro modo di vivere e di produrre.
Cinesi e indiani stanno migrando da un sistema agricolo a un sistema
industriale, lasciando le campagne per vivere in città; si stanno arricchendo
e stanno modificando il loro stile di vita e il processo di modernizzazione
raggiungerà l'intera società. Tensioni finanziarie sono sempre possibili, ma
la trasformazione sociale ed economica non si fermerà. Il commercio mondiale, seguendo l'andamento dell'economia, ha registrato
un notevole incremento nel 2004, superiore al 10%; a questo contribuiscono sempre di più le economie asiatiche che hanno visto negli ultimi anni crescere
considerevolmente la propria quota negli scambi internazionali. La debolezza
della valuta americana ha favorito le stesse esportazioni statunitensi, ma
l'Europa resta comunque ancora il maggiore attore commerciale, con oltre il
40% delle esportazioni mondiali: la sua competitività è dimostrata dalla
bilancia positiva. Il processo di liberalizzazione perseguito dall'
Organizzazione mondiale del commercio influirà certamente sulla previsione
degli scambi commerciali e porterà con sé le preoccupazioni sulle conseguenze
di tale apertura. Dopo un triennio di scarsa dinamicità, l'economia europea sta per avviarsi
lungo un sentiero di crescita stabile. L'area dell'euro, secondo lo scenario
delineato, fra il 2005 e il 2006 dovrebbe portarsi gradualmente verso il tasso di crescita di lungo periodo, attorno all'1,8%. In particolare, dopo uno
sviluppo del prodotto interno lordo pari all'1,8% nel 2004, quest'anno si
prevede una crescita media annua dell'1,6%, che salirà nuovamente all'1,8%
nel 2006. La crescita nel 2005 è simile a ciò che è stata nel 2004: ciò che cambia
sostanzialmente è la qualità della crescita. Lo sviluppo dell'economia europea
nel 2004 è infatti da attribuire per più di un terzo alle scorte, mentre il
contributo dei consumi privati e degli investimenti è molto più ridotto
rispetto a quello che si prevede per il 2005. Negli USA e in Giappone già il
2004 è stato un anno di forte rilancio ciclico, con una crescita che si è
portata sopra il potenziale per entrambi i paesi. Nel 2005 dovrebbe quindi
accorciarsi, almeno parzialmente, la distanza fra le tre principali aree
mondiali e dovrebbe riprendere la crescita economica europea, tendendo alla
convergenza fra le principali economie; con tempi e traiettorie diverse
rispetto ai partner internazionali, anche Eurolandia sta uscendo dallo stallo
del 2002 e 2003 recuperando la dinamicità dei consumi e degli investimenti. L'Europa si trova oggi nelle condizioni per diventare un centro finanziario
mondiale, trasformandosi da potenza mercantile in potenza capitalista, dove il
mercato finanziario e il mercato dei servizi potranno avere maggiore importanza
della produzione manifatturiera, in un'economia globale fondata sul libero
scambio. Dal dopoguerra a oggi l'Europa è stata essenzialmente una potenza
mercantilistica, il cui sviluppo è stato in gran parte affidato all'attivo
della bilancia commerciale. Gli Stati Uniti hanno invece creato un forte
mercato dei capitali, basato sul dollaro come moneta di riferimento negli
scambi internazionali, e su un'industria finanziaria che nel giro di un secolo
ha spostato da Londra a New York la piazza finanziaria mondiale. Parallelamente
le specializzazioni industriali USA si sono concentrate sui settori ad alta
tecnologia. L'Europa si è appoggiata per decenni all'economia USA e alla sua
capacità di aumentare il passivo della bilancia commerciale. Oggi la grande
crisi del dollaro ha influito sull'export europeo. La crescita europea non può
quindi più basarsi sul modello mercantile, trainato dall'export; l'Europa,
dopo aver costruito una moneta unica, dovrà strutturare un mercato finanziario
in grado di attirare maggiori quote di capitali, che prima o poi lasceranno
l'area del dollaro verso un nuovo spazio che rappresenti davvero la forza dell'Unione europea a 25. Tale nuovo mercato europeo consentirà di affrontare
l'interscambio economico con l'Asia e i mercati emergenti con un modello assai
diverso dall'attuale. Fondi comuni europei, reti di imprese, consorzi di
università e centri di ricerca potrebbero investire in questi mercati,
competere nella gestione di servizi, trasferire know-how e tecnologie,
ridirezionando lo sviluppo e creando percorsi alternativi anche per l'export.
Un export che mette in primo piano i servizi finanziari, tecnologici,
di ricerca, non quindi la semplice delocalizzazione alla ricerca di margini
basati sul basso costo del lavoro. Un altro elemento strettamente collegato al precedente riguarda l'uso delle
nuove tecnologie: anche in questa direzione l'Europa necessita di ulteriori
sforzi in quanto, scegliendo la carta dell'innovazione, elemento centrale
dell'Agenda di Lisbona, si potenzierebbe la produttività dell'economia.
Negli Stati Uniti la rivoluzione informatica ha prodotto grandi cambiamenti
nell'evoluzione della produttività del lavoro già a metà anni 90, favorendo
la ricerca e l'innovazione tecnologica; l'Europa non ha ancora pienamente
recepito tali vantaggi. Il progresso scientifico e tecnologico oggi è
impressionante e richiede un rinnovamento dei processi produttivi, non solo
nel settore manifatturiero, ma anche in quello dei servizi. In questo contesto di bassa crescita e bassa produttività ha un ruolo
importante anche l'invecchiamento della popolazione. In molti paesi della
zona euro si assiste a un progressivo aumento di quella parte della popolazione
meno dinamica e meno attiva che induce in generale un calo di consumi e
investimenti, imprimendo sull'economia un'influenza negativa. Per questo vengono
richiamate le riforme nel sistema sanitario, pensionistico e nel mercato del
lavoro. In alcuni paesi si tenta di correggere la tendenza demografica con
delle politiche specifiche. E' all'ordine del giorno il dibattito sul nuovo
patto di stabilità e di crescita, la cui maggiore flessibilità sarà utile a
creare migliori condizioni di crescita in Europa. Certo l'Europa ha bisogno di una serie di riforme strutturali, riducendo le
rigidità, modernizzando e adeguando il welfare alla nuova struttura della
società. È inoltre da dire che l'Unione necessita di recuperare sugli
Stati Uniti ma anche di gestire le conseguenze dell'eccessivo slancio della
Cina. Oggi in quasi tutti i campi le migliori università di ricerca sono
americane, ma l'investimento che la Cina sta facendo, per esempio, nei suoi
politecnici è una minaccia anche per gli americani. Ed i paesi europei
purtroppo, per rispettare il 3% di Maastricht, spesso tagliano proprio
sull'istruzione e sulla ricerca. Oltre quindi ai target economici vengono
posti degli obiettivi di revisione sociale per modernizzare senza indebolire
i sistemi di welfare. L'interesse ai cambiamenti costituzionali, alle
modifiche dei sistemi di governance devono accompagnarsi ai temi della difesa
comune, della politica estera e dell'allargamento della stessa Unione. Il terrorismo resta uno dei grandi rischi da affrontare alle sue radici.
Altri fenomeni fuori controllo sono quello della povertà estrema, delle
epidemie e dell'accesso all'acqua potabile, specialmente nei paesi in via di
sviluppo. Questo ci fa pensare che la crescita deve essere il più possibile
strutturale, innovativa, ecocompatibile ed equamente distribuita.
La globalizzazione, per essere sostenibile, deve evitare qualsiasi dumping
sociale e ambientale. L'Italia e le principali economie europee Anche se sulla base degli ultimi risultati economici nel suo complesso l'area
dell'euro continua a crescere, la situazione in Germania e in Italia non è del
tutto rosea. I due Paesi, che insieme rappresentano circa la metà del Pil della
zona euro, hanno subìto una riduzione della crescita nell'ultima parte dell'
anno scorso. I dati sul quarto trimestre sono stati negativi in Italia e in
Germania, soprattutto per ciò che riguarda i consumi. In Italia dopo una
crescita dello 0,4% nel secondo e terzo trimestre 2004, c'è stata una
contrazione dello 0,4% nell'ultimo trimestre. Spagna e Francia registrano
invece un aumento del Pil, con tassi di sviluppo dello 0,8/0,9%, superiori
rispetto a quelli preventivati. La debole crescita ha alcune caratteristiche
comuni a Italia e Germania, quali la sua durata pluriennale, il declino
demografico, la debolezza dei consumi, la presenza di regioni a differente
livello di sviluppo. Ma anche l'euro forte e il conseguente forte rallentamento delle esportazioni
hanno pesato sull'economia. La perdita di competitività del sistema italiano rispetto ai partner
dell'area euro è riconducibile anche all'evoluzione sfavorevole del costo
del lavoro, influenzato negativamente dalla dinamica della produttività.
Ci sono paesi come la Germania che vantano bilance commerciali in attivo con
la Cina, perché sono riusciti ad affermarsi con prodotti di elevata qualità,
cosa che avviene con i migliori settori del nostro made in Italy, ma soltanto
in parte. Le esportazioni tedesche registrano nel 2004 un incremento dell'8,6%
e cresceranno ancora (+6,8% e +5,7% le previsioni rispettivamente per
2005 e 2006). In crescita anche l'export della Francia, dopo un incremento
del +3,9% registrato l'anno scorso si stima un ulteriore sviluppo
rispettivamente del +6,2% e +6,6% per il prossimo biennio. In Italia, ad un
2004 controverso, segue già in questi ultimi mesi un andamento più vivace
dell'export. Si teme molto l'effetto della concorrenza cinese, sia sul fronte
delle esportazioni che del mercato interno, a partire dal settore del
tessile-abbigliamento dopo la fine degli accordi multifibre. È da dire che
anche gli americani, oltre agli europei, sono preoccupati per quel che sta
accadendo sui mercati dopo l'abolizione dei dazi sui prodotti tessili. Vi sono
tassi di incremento elevatissimi nelle richieste di importazioni cinesi e
vengono richiamate misure più o meno protezionistiche, ma quelle anti-dumping
di solito sono di carattere temporaneo, permettendo di conquistare tempo ma
non risolvono il problema alla radice. Ma quanto il nostro paese contribuisce a creare quello spazio finanziario
europeo cui prima si accennava? Le partecipazioni estere nel nostro paese
restano su un livello relativamente modesto. Non ha aiutato la congiuntura
internazionale negativa, che dal 2001 ha generato una drastica riduzione
degli investimenti diretti esteri a livello mondiale. L'Italia ha a suo favore
una grande inventiva e creatività del suo settore produttivo, il dinamismo
delle sue piccole e medie imprese, pur con le proprie debolezze quali l'aumento
del costo unitario del lavoro che negli ultimi anni non ha aiutato la
competitività dell'economia. La valorizzazione del nostro territorio sta
proprio in questo: aumentare la competitività grazie all'aumento della capacità
di attrazione delle nostre aree metropolitane; la crescita dei distretti
plurispecializzati e il contestuale ridimensionamento di quelli a carattere
monosettoriale; lo sviluppo del terziario ad alta qualità. A tirare la volata
saranno ancora una volta le imprese del centro-nord, che si confermeranno quelle
più dotate di capacità innovative |