Ma nel parlare di disagio economico, di vita soddisfacente e dignitosa, e quindi di qualità della vita, non si può ignorare di considerare la dimensione della casa.
Avere una casa è fondamentale per il raggiungimento del benessere di una persona: ciascuno di noi ha infatti bisogno di un proprio spazio che lo faccia sentire protetto e libero di esprimere la propria identità; è il luogo in cui si riunisce la famiglia e in cui l'individuo cresce.
Si tratta di un bene primario che deve essere tutelato in modo adeguato e concreto, da cui dipende anche l'integrazione sociale. La casa è un edificio attrezzato per le esigenze della vita quotidiana, focolare domestico, centro delle relazioni affettive, nonché dimora nel contesto della comunità locale in cui è ubicata.
Non tutti però riescono a trovare una soluzione abitativa soddisfacente a un prezzo accessibile, anzi negli anni va allargandosi l'area della povertà abitativa, un fenomeno dai contorni poco definiti, un insieme di situazioni molto eterogenee, soprattutto per intensità e tipo di disagio sofferto.
Tra i più significativi tentativi definitori del concetto di povertà abitativa presenti in letteratura, vi è quello della Federazione Europea delle Organizzazioni Nazionali che Lavorano con i Senza Dimora (FEANTSA) che include sia le persone senza tetto, sia quelle prive di una casa che vengono però ospitate in sistemazioni di tipo istituzionale e sia le persone che vivono in abitazioni insicure e inadeguate; categorie diverse, ma tutte stanno a indicare l'assenza di una vera abitazione. Tale classificazione è denominata ETHOS, acronimo per "Tipologia europea sulla condizione dei senza dimora e sull'esclusione abitativa", e vuole rappresentare un compromesso fra i diversi approcci nazionali
(Allegato 1) .
Secondo ETHOS vengono identificati tre domini che vanno a costituire l'abitare, in assenza dei quali si delinea una delle condizioni di disagio prima indicate, si identifica un problema abitativo importante fino ad arrivare all'esclusione abitativa totale, vissuta dalle persone senza fissa dimora. La condizione di piena abitabilità è soddisfatta solo in presenza di alcune caratteristiche: se si ha uno spazio abitativo adeguato sul quale si possa esercitare un diritto di esclusività (area fisica), se all'interno di quello spazio si ha la possibilità di mantenere relazioni soddisfacenti e riservate (area sociale) e se si è in possesso di un titolo legale riconosciuto che ne permetta il pieno godimento (area giuridica).
La deprivazione abitativa secondo Eurostat
Cercando di seguire l'approccio concettuale incluso nella classificazione ETHOS
(Nota 2), Eurostat definisce un indicatore che misura la deprivazione abitativa, servendosi dei dati rilevati tramite l'indagine EU-SILC sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie.
Secondo la definizione, si trovano in grave deprivazione abitativa le persone che oltre a vivere in abitazioni sovraffollate
(Nota 3) presentano almeno uno dei quattro problemi: la mancanza di un gabinetto interno, la mancanza di una doccia o vasca, la presenza di finestre, porte, tetti, pavimenti danneggiati o di umidità e problemi di scarsa luminosità nella casa.
Nello schema seguente si mappano le deprivazioni individuate da Eurostat nei domini concettuali alla base della definizione ETHOS. Rimane escluso il dominio "legale" che si riferisce a chi occupa una casa senza averne un diritto riconosciuto (occupazione senza titolo, affitti "in nero" o senza garanzia di rinnovo dopo la scadenza), perché questo ambito non viene adeguatamente indagato tramite l'indagine EU-SILC.
(Figura 8.2.1)
Nel nostro Paese la percentuale di persone che soffrono di grave deprivazione abitativa nel 2009 è pari al 7,4% contro il dato medio europeo del 5,9%. Le abitazioni in Italia dispongono ormai quasi tutte di gabinetto interno e di una vasca o di una doccia, non così scontati in tutti i Paesi europei, mentre registrano problemi maggiori per la presenza di umidità o per alcune carenze strutturali, ma anche per spazio insufficiente.
(Tabella 8.2.1)
Rispetto alla media nazionale, la situazione del Veneto risulta migliore e la condizione di grave deprivazione abitativa interessa una quota minore di popolazione, il 6,2% (circa 300.000 persone), in aumento però rispetto all'anno precedente (5,9%).
Ancora una volta sono le regioni meridionali a mostrare le maggiori difficoltà, in particolare la Basilicata con oltre il 12% di persone che vivono in condizioni di grave precarietà abitativa, mentre la più alta qualità nelle abitazioni si registra in Umbria, Lombardia e Liguria.
Oltre alla diffusione del problema, diversa è anche la sua intensità, come risulta dall'esame del numero medio di carenze abitative sofferto dalle famiglie nelle varie regioni. In Campania, ad esempio, l'11% delle popolazione vive in stato di grave deprivazione abitativa e quasi il 5% perché presenta tre o più carenze, ossia le situazioni più svantaggiate tra quelle già gravi. Nelle regioni del Nord quest'area di estremo disagio si riduce notevolmente e nel Veneto interessa l'1% degli individui (quasi 5.000 persone).
(Figura 8.2.2)
Nel confronto europeo emerge che i Paesi con maggiore precarietà abitativa sono quelli dell'Est: colpisce il dato della Romania dove la quota di persone che vive in condizione di grave deprivazione è ben il 28,6%, segue la Lettonia con il 22,7%. Viceversa, ben dieci Stati su ventisette riportano un alto livello di qualità abitativa registrando un tasso inferiore al 2%, di cui tre Paesi con un valore al di sotto dell'1% (Cipro, Paesi Bassi e Finlandia).
(Figura 8.2.3)
Ma chi sono le persone costrette a vivere un tale disagio? Sono soprattutto giovani, persone con un titolo di studio basso, di ambo i sessi, anche se tra gli uomini la quota è leggermente più alta; vivono per lo più in affitto e in abitazioni abbastanza datate, costruite prima del 1960. In particolare, si tratta di coppie con figli a carico e famiglie formate da un solo genitore con figli.
Tra chi è a rischio di povertà la percentuale sale al 12,6% per il Veneto e al 15% per l'Italia, mentre tra chi vive già in condizione di deprivazione materiale oltre il 18% alloggia in case con gravi carenze.
Nel confronto europeo emerge soprattutto il maggior svantaggio che colpisce le famiglie con figli minori, vista la più alta quota di persone in stato di grave deprivazione abitativa tra chi è minorenne, e soprattutto le famiglie in affitto.
(Tabella 8.2.2)
La vulnerabilità abitativa: essere sfrattati
Non si può tralasciare, poi, la condizione di chi vive sotto minaccia di sfratto, una situazione di estrema vulnerabilità, poiché ha serie ripercussioni sul percorso di vita e sui progetti futuri di una persona e di una famiglia. Lo sfratto recide il rapporto con l'ambiente abitativo e comporta una serie di cambiamenti che non sempre gli individui o le famiglie sono pronti a vivere. Si rischia in questo modo di subire un peggioramento delle condizioni di vita e di ricadere nelle fasce più basse del disagio abitativo se non si hanno strumenti di supporto e di orientamento adeguati. La presenza di soggetti deboli nel nucleo familiare o di condizioni economiche precarie, unita a un'offerta non conforme alla domanda, trasforma lo sfratto in un evento fortemente impattante, che disorienta e disarma la famiglia, al punto che spesso l'unica soluzione a disposizione è il rifiuto a lasciare l'alloggio in cui vive, contravvenendo alle disposizioni di legge.
Negli ultimi anni i prezzi degli affitti sono cresciuti in maniera considerevole nel nostro Paese, soprattutto nelle grandi aree urbane, se a ciò si aggiungono le difficoltà determinate dalla crisi, è evidente che il costo dell'affitto viene a incidere sempre più nel bilancio familiare ed è quindi facile prevedere anche un aumento degli sfratti per morosità.
Nel 2010 i provvedimenti esecutivi di sfratto in Italia sono 65.489, il 6,5% in più dell'anno precedente, di cui quasi il 48% nei soli comuni capoluogo di provincia; ben l'85,7% dei casi sono per morosità o altra causa, in aumento rispetto al 2009 del 9%, il 12,9% per finita locazione e l'1,3% per necessità del locatore.
Nel contempo le richieste di esecuzione presentate all'Ufficiale Giudiziario sono 110.048 e gli sfratti eseguiti 29.825, rispettivamente il 5,6% in meno e l'8,1% in più dei dati registrati nell'anno precedente.
Nel Veneto la situazione non è delle più rosee: rispetto all'anno prima, nel 2010 i provvedimenti di sfratto aumentano del 15,2%, arrivando a oltre 4.800 unità, di cui il 93% per morosità o altra causa e il rimanente per finita locazione; in crescita anche le richieste di esecuzione (del 13%) e gli sfratti eseguiti (del 29%).
Più in dettaglio, nel corso di un decennio le difficoltà per le famiglie che vivono in affitto sono aumentate in maniera considerevole: si pensi che gli sfratti eseguiti passano da meno di 700 nel 2001 a oltre 2.100 nel 2010 e che nello stesso periodo le richieste quasi si quadruplicano (1.037 nel 2001, 4.055 nel 2010).
(Figura 8.2.4)
Il peggioramento della situazione è più evidente se si considera il rapporto tra i provvedimenti di sfratto emessi e il numero delle famiglie residenti: in Italia si passa da uno sfratto ogni 539 famiglie nel 2001 a uno sfratto ogni 380 famiglie nel 2010, mentre in Veneto da uno ogni 681 a uno ogni 413.
Le regioni che nell'ultimo anno presentano le situazioni di maggior disagio sono l'Emilia Romagna (un provvedimento di sfratto ogni 275 famiglie), la Lombardia (306) e il Lazio (308), mentre la Basilicata si distingue per la minor minaccia di sfratto: si registra, infatti, solo un provvedimento di rilascio ogni 2.859 famiglie.
Anche tra le province della nostra regione vi è una certa variabilità e si osservano condizioni diverse di disagio: se a Belluno a soffrirne sono una famiglia ogni 1.472, a Rovigo, Vicenza e Verona sono quattro volte tanto (uno sfratto ogni 300 famiglie).
(Figura 8.2.5)
Non avere una casa
Nell'ambito del processo di inclusione sociale appare come prioritario il problema dei senzatetto, allarme che trova enfasi soprattutto nei mesi invernali. La condizione di senzatetto è una grave ingiustizia e un'inaccettabile violazione della dignità umana, perchè l'applicazione del diritto all'alloggio è fondamentale per godere di molti altri diritti, compresi quelli politici e sociali. Vivendo la condizione di senza dimora è quasi impossibile realizzare le proprie potenzialità, ossia essere un membro attivo della società, oppure avere un lavoro o crescere dei figli.
Il Parlamento Europeo, vista l'urgenza del problema presente in tutti i Paesi dell'UE e ulteriormente aggravatosi con l'espansione delle dinamiche migratorie ma anche a seguito della crisi economica, con risoluzione del 14 settembre 2011 esorta gli Stati membri a confrontarsi e adoperarsi per conseguire l'obiettivo di risolvere il problema dei senzatetto entro il 2015, anche promuovendo un uso maggiore e più efficace dei fondi dell'UE, a sostegno dell'inclusione sociale e quindi anche per gli alloggi da destinare ai gruppi emarginati.
Nella risoluzione del Parlamento si riprendono alcuni elementi chiave della strategia per i senzatetto proposti nel rapporto congiunto della Commissione e del Consiglio sulla protezione e l'inclusione sociale 2010, tra cui:
- la prevenzione, innanzitutto, come metodo più efficace, sotto il profilo dei costi, per combattere il problema dei senzatetto; in particolare si evidenzia la necessità di evitare gli sfratti e di ridurre al minimo i casi di chi lascia gli istituti senza avere un posto in cui alloggiare;
- ridurre la durata della condizione di senzatetto;
- indirizzare le misure ai casi più gravi;
- migliorare la qualità dei servizi destinati ai senzatetto, anche in termini di accessibilità a prescindere dalla condizione giuridica e dalla cittadinanza;
- mettere a disposizione alloggi a un prezzo accessibile;
- offrire alle persone una soluzione abitativa solida come priorità, evitando il ricorso ad alloggi temporanei o d'emergenza;
- vista la natura pluridimensionale del problema, adottare necessariamente un approccio articolato e integrato, che includa tutti i settore strategici pertinenti (gli alloggi, gli affari sociali, la salute, l'occupazione...).
In questo ambito la carenza di politiche organiche e strutturate, non meramente emergenziali, si accompagna alla mancanza di una conoscenza adeguata del problema dei senzatetto, specie da un punto di vista quantitativo, anche per la difficoltà di misurare e monitorare il fenomeno. I dati in merito sono infatti estremamente limitati a livello internazionale e anche in Italia. Solo di recente si è conclusa la ricerca "Dai un nome agli invisibili", uno studio sulla grave emarginazione promosso da Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Caritas, Istat e Fiopsd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora), con l'obiettivo di definire un quadro approfondito sul fenomeno delle persone senza dimora sul territorio nazionale, capire chi sono e quali sono i processi di vita che conducono a una così grave condizione di emarginazione, oltre che censire l'insieme dei servizi offerti.
Lo studio vuole essere un'opportunità per riportare attenzione e consapevolezza sul problema e per coinvolgere e rendere più responsabili i decisori politici, ad ogni livello istituzionale, venendo a colmare un vuoto informativo di oltre 10 anni. Gli ultimi dati ufficiali sugli homeless italiani, infatti, risalgono al 1999, quando la Fondazione Zancan di Padova, su richiesta della Commissione d'indagine sull'esclusione sociale, contò 17 mila senzatetto. In questi anni il numero è certamente cresciuto, secondo quanto dicono le associazioni, si stima che i senza dimora in Italia possano essere 50-60 mila. Non è detto però che questa impressione corrisponda alla realtà; la nuova ricerca dovrebbe riuscire a dare qualche certezza.
I risultati, tuttavia, sono ancora in fase di elaborazione e al momento sono pubblicati solo i dati sull'offerta dei servizi che si occupano di persone senza dimora e la relativa utenza. Si deve precisare, però, che, l'utenza non corrisponde al numero di persone senza dimora che si rivolgono ai servizi considerati, ma ne è una sovrastima sia perché a tale tipo di servizi ricorre anche chi, seppur povero, ha un alloggio in cui abitare, sia perché una persona può usufruire di più servizi e venire quindi conteggiata più volte.
Pur in assenza di un sistema specifico e strutturato di politiche per contrastare l'emarginazione, vi è una parte del Paese che si muove per cercare di creare delle opportunità alle persone senza dimora: nei 158 comuni in cui è stata condotta l'indagine
(Nota 4) si contano 727 enti e organizzazioni per un totale di 3.125 servizi erogati a favore di persone senza fissa dimora, rispondendo ai bisogni di oltre 2.600.000 utenti-servizio
(Nota 5).
Nel Veneto, in un ambito territoriale che riguarda i sette comuni capoluogo più altri due comuni con popolazione sopra le 30 mila unità, operano 263 servizi cui si sono rivolti oltre 143 mila utenti nel corso del 2010. Per il 35% si tratta di servizi che provvedono a rispondere ai bisogni primari, come cibo, vestiario e igiene personale, cui fa riferimento ben il 69% dell'utenza, persone che non riescono in modo autonomo a soddisfare i bisogni elementari per vivere dignitosamente. Il 22% dei servizi, tra alloggi, comunità e dormitori, offre accoglienza notturna, coprendo appena il 3% dell'utenza, mentre è residuale (5%) la quota di interventi indirizzati all'accoglienza diurna. Tra le altre attività, i servizi di segretariato sociale (21%), con finalità soprattutto informativa, di orientamento ai servizi territoriali e di aiuto a espletamento pratiche, e i servizi di presa in carico e accompagnamento (17%), che, andando oltre al soddisfacimento dei bisogni fisici di sopravvivenza, intendono sostenere, accompagnare, aiutare sotto vari punti di vista la persona senza fissa dimora nel percorso di superamento dello stato di emergenza e di reinserimento. Simile la distribuzione dei servizi e dell'utenza nel territorio nazionale.
Guardando soprattutto all'utenza, emerge in tutto il Paese, anche se in modo diversificato, la grossa differenza tra numero di persone che usufruiscono dei servizi di prima accoglienza, di supporto ai bisogni primari, e di quanti si rivolgono agli altri servizi, a sottolineare come buona parte dell'energia sia assorbita da interventi di tipo emergenziale, non riuscendo invece ad accompagnare le persone in un percorso ulteriore, verso l'inclusione sociale. I servizi di risposta ai bisogni primari sono minoritari, in termini di utenza, solo in Valle D'Aosta, Friuli Venezia Giulia, Marche, Lazio e Basilicata, regioni che mostrano, invece, percentuali superiori alla media tra i servizi di segretariato sociale e di presa in carico e accompagnamento.
(Tabella 8.2.3)